L'ULTIMO MINUTO NON ARRIVA MAI
Inviato: lunedì 15 febbraio 2021, 23:47
Prima dell’armistizio praticavo il contrabbando dalla Svizzera, molto redditizio perché in Italia mancava tutto. Adesso, dopo l’8 settembre, faccio contrabbando al contrario: ebrei, ex-prigionieri alleati, ricercati vari da accompagnare in Svizzera.
Prima, con la Finanza, era facile: “Alt, e mola” e lasciavamo lì una bricola, filando via col resto. Adesso, con la Milizia Confinaria, le cose sono diventate acide: quelli prima sparano, poi ti ordinano di arrenderti.
Quella notte stavamo attraversando il bosco del Togn, l’ultimo ostacolo prima del confine. Ci precedeva Lampo, il cane del Togn, che sentiva la Confinaria a un chilometro. Era il nostro esploratore. Un acuto dolore al petto mi obbligò a fermarmi. Il fuoco non brucia così intensamente come quel dolore. Non riuscii a respirare e sentii gelo in tutto il corpo. Crollai al suolo con le mani strette sul petto e la bocca aperta che cercava aria e non riusciva ad emettere nessun suono. Aria, aria, aria… Ero convinto che fosse arrivato il mio ultimo minuto. Lampo emise un lamento, mi alitò in volto, poi corse verso la baita. I miei compagni si fermarono interdetti, poi uno di loro, forse era un dottore, non so, si avvicinò. Mi infilò in bocca una pastiglia.
“La tenga sotto la lingua e lasci che si sciolga. È nitro, nitroglicerina, sì, proprio l’esplosivo. Dilata le coronarie e le vene.”
Mi controllava il polso e mi dettava la respirazione.
“Stia calmo e respiri, un respiro profondo… la crisi è superata, ma non può riprendere la marcia. Deve riposare, possibilmente al caldo, subito.”
“Portiamolo alla baita.”
Riconobbi la voce del Togn, svegliato e condotto lì da Lampo.
Mi sollevarono delicatamente in quattro e mi portarono senza scossoni alla casupola, dove il Togn mi fece adagiare sul suo letto. Marisa, sua moglie, mi coprì con una pesante coperta.
“E adesso?” riuscii a dire mentre un po’ di calore tornava a fluire nel mio corpo.
“Li accompagno io di là” disse Togn “ma dobbiamo muoverci subito”.
“Grazie, Togn.”
Più a gesti che a parole gli dissi di prendere il mio portafogli.
“C’è un biglietto con le credenziali del mio conto a Lugano. Preleva quello che ti serve … io non ho eredi, se lascio questa terra incassa tu tutto quello che c’è.”
L’indomani trascorse tranquillo. Togn e Lampo tornarono nella notte. Ma all’alba sentimmo Lampo ululare con tutto il fiato che aveva. Nel corso della giornata, da qualche cucuzzolo, col binocolo, la Confinaria aveva visto le tracce nel fieno, non ancora tagliato, che si dirigevano alla baita. Spararono a Lampo, spararono al Togn, spararono alla Marisa, Poi diedero fuoco a tutto. Credevo che fosse arrivato il mio ultimo minuto, ma non mi fucilarono, perché gli servivo vivo. Mi portarono a valle con tutte le precauzioni. E mi curarono. Molto bene anche, perché ripresi rapidamente le forze. Con mio sommo terrore perché con la salute si avvicinava anche il giorno della tortura.
Mi legarono, nudo, a una sedia di ferro con le gambe immerse in bracieri già accesi, davanti a un tavolo su cui erano allineati rasoi, pinze, aghi, accendini e un saldatore.
“Vediamo se ti basta una scottata al sedere, per farti dire chi sono i tuoi complici, o se dobbiamo cominciare anche a strapparti le unghie” disse il Comandante della Confinaria cominciando ad arroventare un lungo ago. La seduta della sedia cominciava a diventare calda, molto calda. Il mio ultimo minuto stava arrivando e sarebbe stato un minuto molto terribile.
Entrarono tre militi, armi spianate. Sollevarono la sedia togliendola dai bracieri.
“Non faccia idiozie, comandante. I partigiani stanno scendendo dalle montagne, i tedeschi sono in fuga dovunque. Questo prigioniero sarà la nostra merce di scambio. La sua vita in cambio della nostra.”
Il comandante tirò fuori la pistola, ma i suoi uomini lo freddarono.
Così sto ancora aspettando il mio ultimo minuto.
Ma senza un soldo, perchè i documenti del conto a Lugano sono bruciati assieme alla baita del Togn.
Prima, con la Finanza, era facile: “Alt, e mola” e lasciavamo lì una bricola, filando via col resto. Adesso, con la Milizia Confinaria, le cose sono diventate acide: quelli prima sparano, poi ti ordinano di arrenderti.
Quella notte stavamo attraversando il bosco del Togn, l’ultimo ostacolo prima del confine. Ci precedeva Lampo, il cane del Togn, che sentiva la Confinaria a un chilometro. Era il nostro esploratore. Un acuto dolore al petto mi obbligò a fermarmi. Il fuoco non brucia così intensamente come quel dolore. Non riuscii a respirare e sentii gelo in tutto il corpo. Crollai al suolo con le mani strette sul petto e la bocca aperta che cercava aria e non riusciva ad emettere nessun suono. Aria, aria, aria… Ero convinto che fosse arrivato il mio ultimo minuto. Lampo emise un lamento, mi alitò in volto, poi corse verso la baita. I miei compagni si fermarono interdetti, poi uno di loro, forse era un dottore, non so, si avvicinò. Mi infilò in bocca una pastiglia.
“La tenga sotto la lingua e lasci che si sciolga. È nitro, nitroglicerina, sì, proprio l’esplosivo. Dilata le coronarie e le vene.”
Mi controllava il polso e mi dettava la respirazione.
“Stia calmo e respiri, un respiro profondo… la crisi è superata, ma non può riprendere la marcia. Deve riposare, possibilmente al caldo, subito.”
“Portiamolo alla baita.”
Riconobbi la voce del Togn, svegliato e condotto lì da Lampo.
Mi sollevarono delicatamente in quattro e mi portarono senza scossoni alla casupola, dove il Togn mi fece adagiare sul suo letto. Marisa, sua moglie, mi coprì con una pesante coperta.
“E adesso?” riuscii a dire mentre un po’ di calore tornava a fluire nel mio corpo.
“Li accompagno io di là” disse Togn “ma dobbiamo muoverci subito”.
“Grazie, Togn.”
Più a gesti che a parole gli dissi di prendere il mio portafogli.
“C’è un biglietto con le credenziali del mio conto a Lugano. Preleva quello che ti serve … io non ho eredi, se lascio questa terra incassa tu tutto quello che c’è.”
L’indomani trascorse tranquillo. Togn e Lampo tornarono nella notte. Ma all’alba sentimmo Lampo ululare con tutto il fiato che aveva. Nel corso della giornata, da qualche cucuzzolo, col binocolo, la Confinaria aveva visto le tracce nel fieno, non ancora tagliato, che si dirigevano alla baita. Spararono a Lampo, spararono al Togn, spararono alla Marisa, Poi diedero fuoco a tutto. Credevo che fosse arrivato il mio ultimo minuto, ma non mi fucilarono, perché gli servivo vivo. Mi portarono a valle con tutte le precauzioni. E mi curarono. Molto bene anche, perché ripresi rapidamente le forze. Con mio sommo terrore perché con la salute si avvicinava anche il giorno della tortura.
Mi legarono, nudo, a una sedia di ferro con le gambe immerse in bracieri già accesi, davanti a un tavolo su cui erano allineati rasoi, pinze, aghi, accendini e un saldatore.
“Vediamo se ti basta una scottata al sedere, per farti dire chi sono i tuoi complici, o se dobbiamo cominciare anche a strapparti le unghie” disse il Comandante della Confinaria cominciando ad arroventare un lungo ago. La seduta della sedia cominciava a diventare calda, molto calda. Il mio ultimo minuto stava arrivando e sarebbe stato un minuto molto terribile.
Entrarono tre militi, armi spianate. Sollevarono la sedia togliendola dai bracieri.
“Non faccia idiozie, comandante. I partigiani stanno scendendo dalle montagne, i tedeschi sono in fuga dovunque. Questo prigioniero sarà la nostra merce di scambio. La sua vita in cambio della nostra.”
Il comandante tirò fuori la pistola, ma i suoi uomini lo freddarono.
Così sto ancora aspettando il mio ultimo minuto.
Ma senza un soldo, perchè i documenti del conto a Lugano sono bruciati assieme alla baita del Togn.