L'odore della foresta

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo aprile sveleremo il tema deciso da Luca Verducchi e Danilo Bultrini. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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Andrea Furlan
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L'odore della foresta

Messaggio#1 » giovedì 15 aprile 2021, 22:34

L’odore della foresta
di Andrea Furlan


La giungla puzza.
Puzza terribilmente. Roba in decomposizione, sempre bagnata, umido schifoso che ti entra nelle ossa, ti fa marcire i piedi provati da giornate di cammino. E anche i pensieri.
Ci sono nato, cresciuto. Ma l’ho sempre odiata.
Mentre la guardo dall’alto, attraverso il finestrino dell’aereo, ho preso la decisione. Questa è l’ultima volta che ci metto piede.
Da bambino ho vissuto con gli stupidi nativi, mi hanno insegnato tutto sulle piante e gli animali. È stata la mia scuola, insieme alle strade della favela e all’esercito dove sono entrato volontario, da ragazzo.
Poi ho deciso che dovevo mettermi in proprio: tutti lavori diversi, ma sempre immerso in quella merda verde. Trasportare droga, armi, catturare animali rari, fare da scorta ai boss locali. Da quando c’è Bolsonaro, che sia benedetto, ho guadagnato molto di più: è diventato facile aiutare gli agricoltori a liberare i terreni col fuoco. Elimino ettari di foresta e mi diverto a sfuggire alla polizia dei parchi. Non c’è niente di meglio.
All’aeroporto, vedo coppie scendere dal volo con gli occhi gonfi, distrutti: i loro mocciosi hanno pianto per tutto il tempo. Non fa per me, niente legami: a quarantanove anni suonati preferisco ancora frequentare i bordelli di S. Paolo, quando rientro a casa fra un lavoro e l’altro.
Ho giurato a me stesso che questo sarà l’ultimo lavoro: qualche soldo in più e userò i risparmi per comprare un’hacienda in Argentina. Sto diventando troppo vecchio per rischiare, come ho fatto finora.
Questo viaggio in aereo a Cartagena, in Colombia, mi ha aiutato a chiarirmi le idee. Ma adesso devo smettere di pensare, fare piani. Ora devo concentrarmi.
Il taxi mi lascia di fronte a un vecchio caffè, in centro. Scritte colorate, muri sbrecciati, clienti anziani che passano la giornata a bere caffè e giocare a scacchi.
Il gruppo che mi attende a un tavolino è l’unica cosa fuori posto: l’americano che mi ha contattato si alza e mi viene incontro. Alto, pallido, guance cadenti, stretto in un completo scuro gessato che starebbe bene a un impiegato di banca.
Gli altri, tutti militari a pagamento: aspetto anonimo, sguardi diffidenti. Mi assomigliano, in cerca di soldi facili come me. Poche parole in inglese per presentarsi, interesse solo per la ricompensa e i dettagli tecnici. Un appuntamento sbrigativo per la mattina dopo, nessun saluto.
Me ne vado con le tasche un po’ più gonfie.

***

La giungla puzza soprattutto quando ci sei dentro da giorni. Ancora di più mentre apri la strada col machete e i succhi delle piante ti sporcano le mani. Ci fermiamo a riposare su tronchi ingombri di liane. Neanche una buona sigaretta riesce a coprire il suo odore.
Camminiamo dall’alba. Non sono stanco, ma fa bene togliersi il poncho e lo zaino per qualche minuto. Per fortuna non piove.
Louis, l’impiegato di banca mancato che ci ha assunto, si asciuga gli occhiali pieni di gocce, poi mi chiama per controllare la mappa.
«Vedi, abbiamo fatto bene a non venire in auto, sarebbe stato troppo rischioso. Ancora due ore, poi arriveremo a San Jose.» Annuisco: è un coglione, ma abbastanza affidabile. Conosce la zona e il lavoro, per il momento non ha fatto errori.
Nessuno replica. Meglio così, visti i precedenti.
Da dietro il fumo della sigaretta li osservo tutti.
Ivan, il gigante russo, è un ex pugile professionista. Parla pochissimo e sta seduto sulle radici di un albero rugoso, immobile. La divisa cachi e il volto dipinto con i colori della foresta lo rendono simile alla corteccia. Solo i capelli biondo platino risaltano sul verde delle foglie.
Come sempre Leon è impassibile dietro agli occhiali da sole che non toglie mai, così come quell’assurda cuffietta nera. Mi inquieta, è capace di passare dall’immobilismo totale a scatti d’ira violenta in un secondo: sembra uno psicopatico. È ben piazzato, spalle large, fisico asciutto. Se ho capito bene ha avuto un passato nella Legione Straniera.
Il nero con i baffetti cammina avanti e indietro: non sta mai fermo, ma almeno in questo momento non sta prendendo in giro nessuno. Ride sempre, in un modo che all’inizio ho trovato trascinante, ma poco dopo ha cominciato a darmi sui nervi. Si chiama Axel, è un ex poliziotto di Detroit, ma racconta sempre della missione a Los Angeles che, dice, gli ha cambiato la vita.
L’ultimo è Arnold, l’austriaco americano. Difficile indovinare la sua forza sotto alla larga mimetica: una sera ci ha mostrato le foto delle sue gare da body builder. Dei cinque, è l’unico che mi sta simpatico: alterna fasi in cui rimane zitto a altre dove racconta battute divertenti. Si è seduto di fianco a me, credo che mi stia osservando da un po’.
«Una bella manica di bastardi» mi dice col suo inglese reso aspro dall’accento tedesco «gente con cui non avrei voluto dividere neanche una birra. E invece eccoci qui.» Mi fissa.
«Già. Speriamo di finire presto e andarcene con i soldi senza che nessuno si faccia male.» Schiaccio la cicca sotto al tallone.
Annuisce, con un sorriso enigmatico. Avrà colto la mia allusione al battibecco di ieri sera.
«Let’s go! Sta per ricominciare a piovere.» Dico un po’ a tutti, senza guardarli. Mi incammino, prendendo come sempre la testa della fila.
Estraggo di nuovo il machete e mi faccio strada, seguendo il sentiero appena accennato.

***

Questa volta la puzza non è quella della giungla.
Corpi bruciati, fumo nero di pneumatici. Attraverso il binocolo, il piccolo villaggio immerso nella foresta è quasi completamente distrutto. Case e auto incendiate, persone cadute a terra come burattini dimenticati. Alcuni di loro smembrati, braccia e gambe staccate dal corpo. La testa che non è più al suo posto.
Il sudore mi brucia gli occhi, devo smettere di guardare.
«What a mess! Grande casino, fratello.» La voce di Arnold è allarmata. Mi giro mentre arrivano tutti. I loro sguardi attoniti mi colpiscono forse più della distruzione a cui ho appena assistito. Credevo fossero dei duri.
Louis è più sconvolto degli altri. «L’appuntamento è fra un’ora. Ma loro sono già lì, quella è la loro macchina.» Indica un grosso pick up che sta terminando di bruciare.
Mentre lo cerco con lo sguardo un boato scuote l’aria. Uno dei pneumatici è scoppiato.
«Cazzo!» Louis salta indietro, come se l’avesse morso un serpente.
Leon fissa la scena dietro alle sue lenti scure finché non sente l’esclamazione. Rapidissimo, si allunga e afferra Louis per il collo.
«Shut up, connard… chiunque ha fatto questo è ancora lì. Dobbiamo stare ben nascosti qui, al sicuro. Ora ci spieghi dove si trova il nostro maledetto carico, lo prendiamo e ce ne andiamo. Putain
«Che diavolo ne so, l’appuntamento era nel villaggio,» cerca di spiegare Louis «dovevamo vedere il mio contatto e prendere la droga. Facile. Qui abitano solo contadini che coltivano l’oppio, ci sono già venuto altre volte, mai avuto problemi.»
«Sì, questo ce l’hai già detto. Un lavoro facile e pulito. Invece di pulito non c’è un cazzo. Shit!» È la prima volta che vedo Axel nervoso, impugna la sua colt puntandola in modo distratto verso Louis. Per un attimo temo che voglia sparare. Allora sarebbe un vero casino.
«Zitti ora. Guardate là. Dietro l’angolo di quella casa gialla.» Sdraiato a terra più in basso, Ivan ci fa cenno con la mano guantata.
Mi asciugo la fronte, metto a fuoco.
Teste. Un piccolo mucchio di teste giace sul terreno in mezzo a una delle strade sterrate. Uomini, vecchi, madri, figli. Qualcuno ha ancora il cappello, altri la bocca spalancata in un urlo silenzioso, capelli imbrattati di sangue, occhi sbarrati, annichiliti dal terrore.
Resisto a un conato di vomito, chiudo gli occhi, contando fino a cento, come mi ha insegnato il mio sergente. Respiro. Ritrovo la calma.
Ritorno con lo sguardo sul villaggio. Questa volta una visione d’insieme, dai margini della foresta alla piccola chiesa che sorge al centro. Passo in rassegna le case, le vie, i campi, i mezzi bruciati. Riesco a intravedere le due strade che danno accesso alla radura.
All’improvviso noto il particolare strano, quello che mi fa capire.
Entrambe le strade sono chiuse da macchine ferme, due o tre in colonna, come se avessero cercato di scappare. Sembra che siano le uniche non incendiate. Controllo meglio col binocolo.
«Ehi, venite qui. Guardate le strade. Qualcuno li ha intrappolati.» Li chiamo: in breve tutti si rendono conto della presenza dei grossi alberi tagliati, a terra. Bloccano ogni accesso carrabile.

***

Sto scendendo la collina con Ivan dopo un’altra, inutile discussione.
Passiamo da un albero all’altro senza fare rumore, i mitragliatori pronti all’uso. Cerco di mantenere la mente sgombra, senza pensare allo sguardo offuscato dal panico di Louis, le sue stupide giustificazioni e il continuo ripetere: «un lavoro pulito, un lavoro facile e pulito…»
Leon lo voleva accoltellare sul posto, lo abbiamo dovuto bloccare in tre. Axel rideva da solo da una parte, senza partecipare. Arnold non sapeva che fare, ma almeno ha tenuto fermo il francese. Nessuno decideva nulla. Poi io e Ivan siamo partiti verso il villaggio per controllare, anche se gli altri erano contrari.
CI fermiamo dietro alle ultime piante. Mi sporgo, individuo la meta: l’edificio dove stivano la droga. Stimo duecento metri fra case e piccole strade sterrate. Siamo in pieno sole dopo giorni passati nella giungla. Comincio a sudare, non solo per il caldo.
Iniziamo una lenta gimcana fra piante, recinti, case in fiamme, cadaveri a terra. Nessun segno di ostilità. Il villaggio sembra deserto. L’ultimo tratto attraversa una strada larga, poi siamo al magazzino.
Entro, trovandomi nell’oscurità. Il fresco incolla vestiti e sudore. Rabbrividisco.
Aspetto che gli occhi si abituino, raggomitolato a lato della porta. Alla luce tenue che filtra dalle piccole finestre, posso vedere una specie di laboratorio ingombro di cadaveri, ne conto almeno dieci. La testa manca da tutti, mentre braccia e gambe sono sparse in punti assurdi del capannone.
Louis ci ha spiegato: la droga per la spedizione si trova dall’altro lato. Mi muovo con precauzione lungo il muro più libero. Cerco di non guardare i corpi, mitragliatore spianato.
Finalmente entro nell’ampio magazzino, dove c’è solo un carico di sacchi di plastica pieni di una sostanza bianca, preparati su un pallet.
Ci guardiamo stupiti, abbassiamo un attimo la guardia avvicinandoci alla droga. Poi vedo il pallino rosso sulla fronte di Ivan. Diversi laser si accendono sul suo corpo. Anche io vengo accecato per un attimo. Sono sotto tiro come lui.
Un suono imprevisto viene dalle ombre vicino alle pareti, dura a lungo, come se qualcuno parlasse una lingua sconosciuta.
L’aria vibra all’improvviso: vedo comparire dall’ombra delle figure diafane che diventano solide dopo pochi secondi. Sono alti due metri e mezzo, ricoperti di metallo. Non sembrano umani.

***

Odore di paura, di morte: viene da noi due, seduti in mezzo alla polvere.
Ci hanno spogliato di armi e vestiti, legato a dei pali infilati nel terreno. Ho sete, ci hanno tenuto sotto il sole per almeno due ore. Le creature che ci hanno catturato nel magazzino sono vicine, in piedi attorno a un circolo tracciato nel terreno, pieno di chiazze scure.
In tutto questo tempo ho pensato a come fuggire, ma i tizi sembrano troppo pericolosi. Parlano fra loro in quella lingua aliena, hanno movimenti precisi, abitudinari, come se avessero fatto la stessa cosa decine di volte. Ogni tanto indicano il mucchio di teste, ma non capisco il motivo.
I nostri compagni ci avranno visto dalla collina e saranno già scappati a Cartagena. Non ci possiamo aspettare aiuto da loro.
I bastardi sono in cinque: ora che li vedo bene è evidente che portano un’armatura di metallo grigio verde. La testa è sproporzionata, più grande rispetto al corpo, con il volto celato da una maschera squadrata e delle protuberanze che sembrano capelli rasta, come quelli dei giamaicani. Hanno delle specie di pugnali appuntiti che spuntano da un polso e un congegno che di sicuro è un’arma da fuoco sull’altro: i puntatori laser venivano da lì. Legate all’armatura, una serie di teschi e ossa che sembrano di animali.
Senza preavviso, uno di loro si avvicina, taglia i nostri legacci e ci tira in piedi. CI fa cenno di entrare nel cerchio.
Un altro prende i nostri coltelli e li butta in mezzo. Poi rimangono immobili, in attesa.
«Una maledetta arena. La roda…» penso confuso.
Un ricordo vivido del mio passato mi torna in mente. Sono nella favela, per strada. Il ritmo martellante di tamburi e berimbau riempie la piccola via, dandomi energia. Il sudore mi acceca mentre danzo nel cerchio. Attacco, schiva, calcio alto, finta di lato, mi abbasso e poi entro nella difesa del mio avversario. Cade, lo colpisco in pieno volto. Le persone che battono le mani a tempo e delimitano il cerchio della roda urlano il mio nome da capoeirista: «Cascudo! Cascudo!»
Mentre sono distratto Ivan si china a raccogliere il pugnale. Faccio lo stesso, mi fissa.
Mi avvicino anch’io intuendo quello che vuole fare, un segno di rispetto fra combattenti. Sollevo i pugni, pronto a opporre resistenza.
«I must brake you!» Esclama.
Colpisce i miei pugni dall’alto al basso. Le mie mani non resistono all’impatto, rischio di perdere il pugnale.
Sono stupito dalla sua forza, ma cerco di mascherarlo facendo un passo indietro: con un sogghigno tengo il coltello fra due dita, poi lo butto fuori dal cerchio. Lo tengo sott’occhio cominciando a girargli attorno. Scaldo collo e polsi. Lo faccio prima di ogni roda.
Si mette in posizione di attacco e comincio la mia danza.
Ginga, la base della capoeira: muovo le gambe su una base triangolare, difendendomi con le braccia, senza dargli un bersaglio fisso. Schivo facilmente i primi due affondi per capire come si muove. Al terzo tentativo cado a terra evitando il colpo. Tenendomi in equilibrio sulle mani, spazzo la sabbia, colpendo la sua gamba d’appoggio con la caviglia. Cade con un grido, annullato da un calcio rotante che lo colpisce in pieno volto. Il pugnale cade, mentre con un grugnito mi riesce a bloccare. Con uno sforzo, faccio leva dietro al suo braccio potente, spingo dall’altra parte col ginocchio in una morsa che non si aspetta. Ma riesce a sollevarmi di peso, mi scaraventa per terra. Prendo un pugno in faccia e lo trovo sopra di me. Lottiamo.
La sparatoria comincia all’improvviso: dalla foresta qualcuno mira alle creature che seguono la nostra lotta. Ci stendiamo, coprendoci la testa con le mani. Due di loro vengono colpite, un liquido fluorescente che esce dalle loro ferite. Cadono, senza più muoversi.
Gli altri scompaiono nel nulla come per magia.
Io e Ivan scattiamo appena gli spari si diradano, raccogliendo i pugnali. Fuggiamo dietro a una casa.
Per un po’, solo il nostro respiro riempie il silenzio.
Poi vediamo il fuoco di un mitragliatore. Axel compare al limite della giungla: è disteso sulla schiena nell’aria, volando a due metri dal suolo. Grida di dolore, mentre il sangue sgorga dal suo petto. Qualcuno spara dalla giungla, uccidendolo. Posso intravedere una delle creature comparire per un secondo dietro di lui: lo ha accoltellato con uno dei suoi lunghi pugnali, ma ora cade immobile sulla sabbia, tornando visibile.
Posso intravedere i puntatori rossi accendersi nella foresta. Richiami umani, grida, rumori alieni, gli spari delle creature.
All’improvviso scoppia una bomba a mano, poi più nulla.
Aspetto qualche minuto, poi mi giro verso Ivan.
«Andiamo. Dobbiamo controllare…»
Il suo sguardo sbarrato è l’unica risposta. Ha una mano insanguinata che copre un foro sul petto. Dev’essere stato colpito da un proiettile vagante.
Raccolgo anche il suo pugnale e vado, facendo un largo giro di lato.
Arrivo nel punto del combattimento, al limitare della giungla. Louis è sdraiato come una bambola rotta. La testa è rotolata un metro più in là. Leon è seduto per terra, occhi spalancati, per una volta non protetti dalle lenti scure. Un foro di venti centimetri, cauterizzato, si apre nel suo petto.
Poco più in là, un paio di creature giacciono in mezzo allo scoppio della bomba. Mentre guardo, una delle due si muove.
Faccio appena in tempo a raccogliere l’unico mitragliatore vicino che quello è già in piedi. Ha l’armatura bruciata, la maschera spezzata. Cerca di azionare una tastiera sul polso sinistro. La sua immagine scompare un secondo, poi riappare.
«Figlio di puttana, ti vedo!» Dico con una risata. Apro il fuoco, scaraventandolo di nuovo a terra.
Ma i proiettili finiscono subito e lui se ne frega, si rialza. Attendo e se la prende comoda: mette le mani dietro alla testa, si sente un sibilo, getta via la maschera. Il suo volto verde, orribile, ha due occhi piccolissimi e una bocca con quattro zanne. Urla, un suono alieno che mi fa rabbrividire. Poi aziona una delle sue lame, che sporge. Trenta centimetri di metallo da un altro mondo. Si avvicina.
Getto via l’arma inutile e impugno i due pugnali. Gli giro intorno, scaldo collo e polsi. Comincio a danzare, poi aspetto che si sbilanci, voglio che sia lui il primo a colpire.
Il maledetto è forte, veloce, anche se zoppica. Nei primi due affondi riesce a ferirmi al torace e in un braccio, ma la seconda volta gli lascio anch’io un ricordo, trovando un varco nell’armatura. Sangue verde sgorga.
Scendo a terra, mi metto in posizione di negativa. Rotolo di lato un paio di volte, mentre cerca di inchiodarmi per terra con la sua lama, ma va a vuoto. Lo calcio su un ginocchio, si sbilancia, poi taglio col pugnale e lo ferisco di nuovo. Di nuovo in piedi, faccio per allontanarmi ma mi prende con un colpo dall’alto al basso nella pancia. Mi solleva verso di sé, urlandomi in faccia. Preso dal panico, non trovo niente di meglio di affibbiargli una testata in pieno volto.
Il suo odore è orribile, ma sento anche qualcosa che si spezza. Mi lascia cadere, portandosi le mani alla faccia.
Tento il tutto per tutto. Salto in avanti in una tesoura, abbracciandogli il corpo con le gambe e spingendo indietro. Cade, lo tengo fermo a terra con uno sforzo sovrumano mentre il dolore all’addome mi fa quasi svenire. Il pugnale mette fine alla sua sofferenza.
Ansimando, recupero una camicia da uno dei cadaveri e mi fascio alla meglio la ferita, poi lo esamino per qualche minuto: mi sfiora la curiosità di sapere che diavolo ci faccia un mostro simile nel bel mezzo della giungla colombiana, ma in realtà non mi interessa. Basta che stia fermo, ad affogare nel suo maledetto sangue fluorescente.
L’immagine del carico di droga pronto nel magazzino mi torna in mente: devo andarmene presto, prima che succedano altri casini. Poi sento un lamento.
Solo ora noto Arnold lì vicino, il corpo semi bruciato sul lato sinistro.
Mentre mi avvicino, emette un suono soffocato, tossisce. Mi guarda con gli occhi socchiusi.
«Aiut..a…mi…»
Mi chino, verifico la gravità delle ferite. Potrebbe cavarsela.
«Tranquillo, è tutto a posto. Ora ti porto via da qui» gli dico mentre pulisco il suo viso dai residui dell’esplosione. Il suo sguardo si distende, sorride.
Gli pianto il coltello direttamente nel cuore, secco, deciso.

***

La jeep sobbalza allegramente sulla pista in mezzo alla foresta. Medicarmi da solo è stata la parte più difficile. Spostare il tronco e caricare la roba un gioco da ragazzi: sono partito in meno di due ore.
Ogni tanto mi tornano in mente il volto urlante dell’alieno, i loro maledetti puntatori nel buio del magazzino, le facce dei miei compagni. Poi però cerco di essere pratico, rifletto su quale sia la persona migliore a cui piazzare la droga: ho diversi contatti in città, con calma riuscirò a venderla tutta.
Potrei costruire la mia fattoria in mezzo alla pampa, su una collina da cui posso vedere ogni giorno alba e tramonto. Belle ragazze, una mandria di manzi per fare soldi, cavalli. Adoro i cavalli.
Sorrido mentre bevo un sorso da una bottiglia di whisky e fumo con calma.
L’odore della giungla che entra dal finestrino aperto non è poi così male.



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Andrea Furlan
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Re: L'odore della foresta

Messaggio#2 » giovedì 15 aprile 2021, 22:40

Come avrete intuito il mio racconto è un tributo ai fantastici film d’azione degli anni 80 e 90, che ho amato alla follia da ragazzo.

Ed ecco i bonus a cui aspiro:
Bonus 1: Nel racconto dev'essere presente un personaggio icona degli anni '80
Tutti i mercenari lo sono, fra personaggi di film famosi o attori, tranne il protagonista: divertitevi a cogliere le citazioni.

Bonus 2: Qualcuno deve morire
Direi che c’è solo l’imbarazzo della scelta… :-)

Bonus 3: Dovete inserire una frase tipica degli anni '80
La frase è inserita nel combattimento fra Ivan e il protagonista, l’avete riconosciuta? Diciamo che nel film da cui l’ho tratta avviene prima dello scontro fra due famosi pugili. Sarete probabilmente abituati alla versione italiana, mentre l'ho preferita in lingua originale.

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MatteoMantoani
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Re: L'odore della foresta

Messaggio#3 » venerdì 23 aprile 2021, 16:09

Prime Impressioni: Ciao Andrea. Gran bel racconto! L'ho letto volentieri, ma ho comunque un po' di appunti da farti.

Aderenza al Tema: Come tema direi ci siamo. Come bonus anche, e... durante la lettura mi sono appunto divertito molto perché ho (spero) compreso tutte le tue citazioni. Vediamo se ho indovinato:
- Ivan: ovviamente Ivan Drago, interpretato da Dolph Lundgren, che nel film Rocky IV pronuncia la frase famosa "I must break you"
- Leon: il protagonista del film omonimo di Luc Besson, interpretato da Jean Reno (gran bel film)
- Axel: Eddie Murphy in Beverly Hills Cop
- Arnold: e c'è bisogno di dire chi è?
Il tuo intero pezzo potrebbe far parte dell'universo di Predator, con giungla e tutto.

Punti di Miglioramento: Diciamo che nel tuo pezzo ho trovato due pecche, una stilistica e un'altra più legata a un gusto personale. La prima cosa, è che la voce narrante ogni tanto parla troppo come se ci fosse un pubblico davanti: mi riferisco soprattutto all'enorme infodump del primo paragrafo, in cui addirittura il narratore specifica che Cartagena è in Colombia, proprio come stesse parlando con qualcuno che non è a conoscenza delle sue stesse informazioni. Non sono contrario al tell, per me se usato sapientemente è un arricchimento al racconto, ma qui è un po' troppo invasivo (ma comunque, anche qui si potrebbe dire che è gusto personale, se il tuo stile è questo, io non sono nessuno per dirti di cambiarlo).
Seconda cosa: non mi piacciono granché le scene d'azione nei romanzi o nei racconti. Sia chiaro, adoro i film d'azione, ma i libri in cui c'è solo azione no. Il problema è che le scene d'azione sono molto veloci, però per leggerle occorre troppo tempo (almeno per me), e quindi devo scegliere se andare veloce e perdermi qualche pezzo, o immaginarmi tutto al rallentatore. Leggendo questo racconto, è accaduto proprio questo, purtroppo. Saranno gusti personali, come dicevo: c'è un romanzo che ha avuto enorme successo, farcito di scene d'azione, che per questo ho trovato illeggibile (mi riferisco al classico della fantascienza: "Pensa a Fleba").
Il finale è forse un po' troppo conclusivo, lui scappa con la droga... e quindi? Anche qui, gusto personale.

Punti di Forza: Devo farti tanto di cappello per il modo superbo con cui hai descritto la foresta e, soprattutto, i dettagli della capoeira e della vita in Brasile. Ho il sospetto che tu ne sappia qualcosa in prima persona, di questi argomenti, perché ne parli con molta disinvoltura e il racconto ne è solo che arricchito. Anche alcune scene, come "li guardo da dietro il fumo della sigaretta" sono vivide e mi sono particolarmente piaciute (sei avvisato, ho deciso di fregartele ;)
I riferimenti ai film che, a quanto pare, entrambi amiamo, hanno aiutato a caratterizzare l'orda di mercenari che altrimenti resterebbero magari un po' troppo nell'ombra. Altra cosa: ottimo incipit, a parte l'infodumpone, "la giungla puzza da morire" e il seguito sono molto divertenti. Direi che scrivi bene, mi piace la tua penna.

Conclusioni: Se non sarai in cima alla classifica è solo per motivi di gusti personali, perché alla fine dei conti trovo il tuo racconto scritto bene e con dei piccoli dettagli memorabili. Peccato davvero per la mia allergia alle scene d'azione, e magari per un finale un po' troppo scontato.

Dario17
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Re: L'odore della foresta

Messaggio#4 » sabato 24 aprile 2021, 17:29

Il primo paragrafo è una biografia del protagonista.
Il secondo paragrafo è la raccolta delle biografie dei coprotagonisti.
Dal terzo in poi comincia l'azione e la situazione migliora, introducendo l'azione e delle discrete descrizioni sensoriali e non, seppur ben lungi dall'essere perfette.
Da qui in poi è un minestrone di clichè dei film anni ottanta che io ho interpretato come una sottospecie di simpatica parodia di tutti i film d'azione chiamati dai più "americanata", spaventosamente attinente con il tema del contest.
Mi ha ricordato il viedogioco indie "Broforce"(buttaci un occhio su Youtube, ti prego!), dove per l'appunto c'è una pletora di personaggi americani dei film anni 80/90 che in uno scenario 2D procede contro criminali, alieni, terroristi e mostri di tutti i tipi sparando e distruggendo qualsiasi cosa.
Per me che certi fim li conosco, le citazioni hanno centrato il bersaglio, sarei curioso di sapere che ne penserebbe qualche giovincello.
In definitiva: se la tua idea era la parodia perculante, hai raggiunto l'obiettivo. Se invece fossi stato intenzionato di creare un bel plot con una storia di livello, direi che sei finito un pò lontano dalla buca numero 18.
Pregevole il file rouge degli odori che lega i diversi episodi.

Quellon
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Re: L'odore della foresta

Messaggio#5 » domenica 25 aprile 2021, 21:56

Ha amato molto le citazioni, e mi è spiaciuto un po' che i mercenari non venissero caratterizzati meglio, anche se capisco le necessità di spazio.
Veniamo però ai punti dolenti: i primi due pezzi danno proprio l'impressione del protagonista che racconta la propria vita a qualcuno che non sa nulla, come se stesse facendo la propria biografia. Che se è vero che dimostra una buona padronanza della materia da parte dell'autore è un pesante spiegone (o infodump se preferisci) tranquillamente evitabile.
L'immagine, ripetuta due volte, dei cadaveri come bambole rotte oltre ad essere un cliché abusato stona pesantemente col tono del resto della narrazione, molto più crudo e terra terra.
Infine una cosa che proprio non mi è piaciuta è l'utilizzo di parole o frasi in inglese senza motivo. Esempio banale: Ivan che prima di combattere dice "I must break you.". Perché è in inglese? Il protagonista ha già dichiarato che il gruppo di mercenari comunica tra di loro in inglese, e viene tutto "tradotto" in italiano nel testo. Perché questo pezzo no? Solo per evitare lo "ti spiezzo in due" che suona un po' comico?
In generale una cafonata divertente, ma che poteva essere molto migliore.

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Andrea Furlan
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Re: L'odore della foresta

Messaggio#6 » lunedì 26 aprile 2021, 0:56

Grazie mille per i vostri commenti, soprattutto a Matteo con cui a quanto pare condividiamo diversi gusti e che mi ha premiato con un commento super dettagliato e positivo (ne avevo un gran bisogno dopo una serie di schiaffazzi ricevuti su altri miei scritti di MC).
Complimenti, hai pure indovinato tutte le citazioni e hai collocato correttamente la storia nell'universo di Predator: la figura di questi cacciatori alieni ma sportivi mi ha sempre affascinato. Quando ho letto la call l'idea di farli rientrare in azione è stata immediata.
Avete assolutamente ragione sui primi due paragrafi che avrei potuto gestire molto meglio, cosi come sulle scene d'azione forse un po' eccessive. Però l'idea di fondo era proprio fare un mistone dei film di questo tipo: Commando, Terminator, Alla ricerca della pietra verde (qui c'era un'altra citazione...), i film da cui ho tratto i mercenari e chi più ne ha più ne metta.
Non avrei usato il termine "parodia perculante" suggerito da Dario, ma mi sono divertito davvero a buttare dentro atmosfere e riferimenti, senza alcuna velleità di scrivere una cosa seria...
Sulle frasi in inglese e parzialmente in francese a mio parere ci stanno, la mia intenzione era di arricchire la narrazione e ho preferito la frase di Ivan Drago in lingua originale perchè vedendo Rocky IV in inglese da tutto un altro senso.
Infine, come ha intuito Matteo, pratico la capoeira: un mondo fantastico per atmosfera, forza, grazia e fratellanza che ho scoperto tramite mio figlio. Anche inserire qualche scena di combattimento è stato un divertimento assoluto.

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MatteoMantoani
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Re: L'odore della foresta

Messaggio#7 » lunedì 26 aprile 2021, 8:14

Andrea Furlan ha scritto:Grazie mille per i vostri commenti, soprattutto a Matteo con cui a quanto pare condividiamo diversi gusti e che mi ha premiato con un commento super dettagliato e positivo (ne avevo un gran bisogno dopo una serie di schiaffazzi ricevuti su altri miei scritti di MC).
Complimenti, hai pure indovinato tutte le citazioni e hai collocato correttamente la storia nell'universo di Predator: la figura di questi cacciatori alieni ma sportivi mi ha sempre affascinato. Quando ho letto la call l'idea di farli rientrare in azione è stata immediata. L'idea di fondo era proprio fare un mistone dei film di questo tipo: Commando, Terminator, Alla ricerca della pietra verde (qui c'era un'altra citazione...), i film da cui ho tratto i mercenari e chi più ne ha più ne metta.

Ahia! Devo dire che mi ero perso il riferimento del film "All'Inseguimento della Pietra Verde"! Ho riletto il tuo racconto e... forse nel finale? Quando il pdv scappa dicendo all'altro (moribondo) "tranquillo"? Come succede a Danny De Vito nel film?

Andrea Furlan ha scritto:Infine, come ha intuito Matteo, pratico la capoeira: un mondo fantastico per atmosfera, forza, grazia e fratellanza che ho scoperto tramite mio figlio. Anche inserire qualche scena di combattimento è stato un divertimento assoluto.

Grande! Io quando ero più giovincello (e in forma) praticavo Judo, e mi manca un po', anche (proprio come hai detto anche tu) per lo spirito di fratellanza e mutuo miglioramento che si maturava durante gli allenamenti. La cosa più vicina che mi è rimasta, è proprio la sportività di Minuti Contati.

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Andrea Furlan
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Re: L'odore della foresta

Messaggio#8 » lunedì 26 aprile 2021, 22:14

Matteo non ti preoccupare, il riferimento a "All'inseguimento della pietra verde" era solo nel nome della città da cui parte l'azione cioè Cartagena, difficile da trovare e davvero minimale. Nella prima stesura avevo indicato Bogota, poi ho pensato che fosse un piccolo omaggio che mi riportava alla mia adolescenza. Quel film che poi ho visto numerose volte, mi colpi moltissimo per l'atmosfera esotica e avventurosa valorizzata dai grandi attori.

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Alessandro -JohnDoe- Canella
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Re: L'odore della foresta

Messaggio#9 » martedì 27 aprile 2021, 0:09

Ciao Andrea.
Parto con una nota dolente: non essendo un amante delle fanfiction, non sono riuscito ad apprezzare appieno il tuo pezzo. Perché la sensazione provata durante la lettura è esattamente questa: di trovarmi di fronte a una fanfiction di Predator, solo con un cast più ricco.

Tale sensazione nasce anche dalla scarsa (per non dire nulla) caratterizzazione data ai personaggi. Non fosse per il fatto che tali personaggi “esistono” nella mia testa perché appartenenti ad altre opere, non avrei avuto molti elementi per poterne creare un’immagine chiara a partire dal tuo testo. A proposito: perché inserire anche Leon, visto che il film è degli anni Novanta?

Altro fattore che non mi ha fatto apprezzare molto il testo è la tendenza al raccontato anche quando non necessario. Per dire, il primo paragrafo sfrutta la bellezza di 2k caratteri, ognuno dei quali (assieme a molti altri del paragrafo successivo) poteva essere utilizzato per mostrare l’appuntamento con cliente e allo stesso tempo far capire al lettore il tipo di attività di cui si occupa il protagonista. Il passaggio dal racconto al mostrato ti permetterebbe anche d'immergere maggiormente il lettore nell'animo del protagonista (fondamentale nella prima persona). Prendi la scena in cui viene ucciso Arnold? Allo stato attuale è asettica, priva di emozioni, insomma meccanica. Facci vedere il dolore (se c'è) provato dal protagonista nell'uccidere l'unico tizio che gli stava simpatico. Oppure facci vedere tutta la sua avidità. Non limitarti a (fargli) descrivere le sue azioni.

Sia chiaro: il problema non è tanto l’uso del raccontato in sé, quanto il fatto che esso, soprattutto se associato alla prima persona, strappa il lettore dall’immersione nella scena, palesando la costruzione meccanica del brano.

Segnalo infine alcuni passaggi a mio avviso non ottimali.

Roba in decomposizione


“Roba” è proprio brutto da leggere. Troppo generico. Non permette di avere un’immagine nitida nella testa.

Mentre la guardo dall’alto, attraverso il finestrino dell’aereo, ho preso la decisione.

Attenzione: azione al presente, ma considerazione al passato.

Nessuno replica. Meglio così, visti i precedenti.

Quali precedenti? Ok, posso intuire a cosa si riferisca il protagonista, ma rimane un dettaglio troppo generico.

Come sempre Leon è impassibile

“Come sempre” fa presupporre che il protagonista conosca Leon da tempo, ma così non è. Forse sarebbe stato meglio adottare un termine temporale più breve e riferito al solo periodo trascorso insieme. A proposito: proprio la parola “sempre” è utilizzata di continuo nella prima metà del racconto (ben 7 volte in poco più di 5k caratteri).

«Cazzo!» Louis salta indietro, come se l’avesse morso un serpente.
Leon fissa la scena dietro alle sue lenti scure finché non sente l’esclamazione. Rapidissimo, si allunga e afferra Louis per il collo.

Scena poco chiara. Le parole e le azioni di Louis si svolgono nel presente narrativo. Nella “grammatica” della narrativa è lecito pensare che quanto viene scritto subito dopo si svolga successivamente, ma invece quel “Leon fissa la scena dietro alle sue lenti scure” si svolge di qualche attimo nel passato, per poi tornare al presente narrativo soltanto dopo il “finché”. Una tale sequenza asincrona degli eventi descritti porta il lettore a dover rallentare il flusso di lettura, costringendolo a rielaborare quanto appena letto.

CI fermiamo dietro alle ultime piante

CI fa cenno di entrare nel cerchio.

Segnalo giusto che errore di battitura ripetuta.

Axel compare al limite della giungla: è disteso sulla schiena nell’aria, volando a due metri dal suolo. Grida di dolore, mentre il sangue sgorga dal suo petto.

Anche questo passaggio è a mio avviso poco chiaro, tanto da averlo dovuto leggere due volte prima di capire cosa intendessi. Se mi scrivi che Axel è disteso, io lo immagino a terra, perché questo significa disteso. Solo che invece non è disteso, ma sollevato in aria. Immagina che questo testo venga letto da qualcuno che non ha mai visto Predator e non conosce quindi tutte le capacità di questi alieni: pensi potrebbe capire al volo quanto sta succedendo? Secondo me no, se non almeno dopo una seconda o terza lettura.

Posso intravedere una delle creature comparire per un secondo dietro di lui: lo ha accoltellato con uno dei suoi lunghi pugnali, ma ora cade immobile sulla sabbia, tornando visibile.
Posso intravedere i puntatori rossi accendersi nella foresta.

Altra ripetizione a breve distanza con quel “posso intravedere”.

All’improvviso scoppia una bomba a mano, poi più nulla.

Un consiglio: evita formule introduttive come “all’improvviso”, “improvvisamente” et similia. Fai subito capire al lettore che sta per succedere qualcosa d’imprevisto, togliendo di fatto l’effetto sorpresa. Se qualcosa accade all’improvviso, accade e basta.

La jeep sobbalza allegramente sulla pista in mezzo alla foresta.

A parte il fatto che ogni volt che viene usato un avverbio, un gattino muore, cosa distingue un sobbalzo allegro da un normale sobbalzo? Se ci stai attento, scoprirai che il 99,99% degli avverbi che tendiamo a usare sono superflui. Il mio consiglio è di lasciarli soltanto nel parlato, essendo una formula usato soprattutto nella lingua di tutto i giorni.

Ok, ho finito di fare le pulci. Mi spiace non essere riuscito ad apprezzare il brano. Riconosco di non rientrare nel pubblico ideale a cui un testo del genere si rivolge, e di certo questo non aiuta. Resta il fatto perché che cercherei in futuro di condensare le informazioni con le azioni, anziché cadere nella trappola dell’infodump (non a caso il passaggio migliore dell'intero racconto è proprio quello in cui, vista anche la tua esperienza personale, hai inserito il maggior numero di dettaglio concreti, ovvero la scena della capoeira). Alla prossima.
lupus in fabula

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roberto.masini
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Re: L'odore della foresta

Messaggio#10 » venerdì 30 aprile 2021, 19:08

Ciao, Andrea.
Mi sono ritrovato immerso nella foresta in una vera ipotiposi, cioè in una rappresentazione viva e immediata di una situazione. Nonostante le accuse d'infodump, io invece concordo sulla scelta biografica della prima parte del racconto. È altrettanto evidente che tu conosca il mondo carioca molto bene. I due riferimenti ai film che avevo individuato sono in realtà, ho scoperto, leggendo gli altri commenti, sono molti di più. Quindi ti meriti non solo i 3 bonus ma anche un superbonus n. 1. A rileggerci.

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Damjen
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Re: L'odore della foresta

Messaggio#11 » venerdì 30 aprile 2021, 22:58

Ciao, piacere di conoscerti :)

Ecco, in casi come questo mi rendo conto di quanto sia utile scrivere in un posto dove chi ti legge non lo ha fa perché cercava proprio il tuo genere o la tua scrittura. Io, ad esempio, a differenza di ciò che ho trovato nei commenti precedenti, ho apprezzato molto la parte raccontata, ricca di pensieri e sensazioni, e ho trovato molto nitidi i personaggi, pur nella brevità delle pennellate che li descrivono. Ma ci sta, sono persone appena conosciute e che non mostrano quasi nulla di sé, per cui li ho trovati vividi al punto giusto.
L’unica cosa che non amo è il corsivo, che mentre leggo mi appare come il microfono durante le riprese di un film, ma per me il tuo racconto è un ottimo lavoro che mi ha immerso nelle sensazioni del protagonista e mi ha invogliato a procedere nella lettura.

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