Kletka
Inviato: domenica 13 giugno 2021, 11:21
La direttrice Sonja avvicina le dita ossute alla sferza giallastra man mano che il direttore Vorobyov elenca le nostre colpe.
«Mi aspetto che quelle due vengano punite severamente, direttrice.» conclude il ciccione infilando le braccia tozze nelle maniche della pelliccia nera
«Ho sempre considerato il collegio femminile della Vergine delle Cerve prestigioso almeno quanto il mio.
Il ragazzo passerà dei brutti momenti, garantisco.»
Sergej, in piedi accanto a Vorobyov al centro dell’ufficio, chiude gli occhi; i baffetti acerbi che mi facevano il solletico mentre lo baciavo sussultano per un istante.
Stronzo traditore! Spero che il tuo direttore te li strappi con una pinza!
«Stia tranquillo, Vorobyov.» Sonja trafigge me e Tania con uno sguardo obliquo «non avrò pietà.»
Serro l’occhio destro per non vedere più il volto butterato della direttrice, illuminato dalla luce diafana del finestrone centrale.
L’occhio sinistro mi fa male al solo pensiero di muovere la palpebra; Tania è una troia che picchia duro ma i suoi incisivi spezzati le ricorderanno che neppure io ci vado piano.
Vorobyov apre la porta dell’ufficio, da una spinta a Sergej che esce incespicando sui propri piedi.
«Dasvidaniya, collega direttrice. Che Gesù e Maria perdonino i nostri ragazzi.»
«Dasvidaniya, collega direttore. Che li aiutino sempre.»
Vorobyov si chiude la porta alle spalle con uno schiocco talmente forte da far vibrare la parete.
La direttrice afferra la verza, si alza dalla poltrona e aggira la scrivania.
Le rughe in fronte sono solchi sulla terra arida, le sopracciglia grigie inarcate come gatti furiosi.
«E così non solo siete sgattaiolate via durante il coprifuoco…» la prima nerbata squarcia la manica della divisa di Tania;
la puttana urla di dolore e le intravedo lo spazio tra i denti scheggiati, nero quanto la sua coda di cavallo.
«Non solo vi siete sporcate l’anima fornicando con un ragazzo prima del matrimonio…»
Mentre mi chiedo cosa significhi fornicare, la seconda nerbata mi lacera la gonna.
Il taglio sulla coscia brucia e punge allo stesso tempo, butto il peso sull’altra gamba e mi appoggio alla scrivania mentre mosche luminose danzano per la stanza.
«Ma vi siete addirittura picchiate come cagne rabbiose quando avete scoperto di essere due cornute!»
La direttrice disegna un arco a mezz’aria con la sferza ed entrambe strilliamo insieme; nemmeno durante i canti in chiesa io e Tania siamo così a tempo.
Aghi arroventati mi trafiggono il naso e l’ufficio diventa un guazzabuglio di forme acquose e confuse.
Un tonfo sul pavimento. Tania dev’essere finita col culo per terra.
«Sergej ha promesso che mi sposerà quando saremo adulti!» biascica lei dal pavimento.
Cosa?
«Si condivide un letto con un uomo soltanto dopo aver giurato sull’altare, non prima!» la direttrice urla indemoniata «non hai imparato proprio nulla?»
Un sibilo d’aria, uno schiocco e Tania geme ancora.
Tra i due tormenti pulsanti del naso e della coscia, germoglia una terza fitta al petto sorda e amara:
Sergej non ha mai promesso nulla del genere a me!
«Mi avete molto deluso, Tania e Orianthi. Molto. Il vostro comportamento non solo vi ha degradato al livello di animali lussuriosi, ma avete offeso la Vergine che vi protegge con infinito amore.
E avete offeso me, rinnegando tutti gli insegnamenti che io, in Suo nome, vi ho dato perché voi viviate una vita retta.»
La sagoma confusa della direttrice si allontana e torna alla scrivania.
«Ma forse sono in tempo per correggere certe brutte pieghe, di cacciare il maligno dai vostri corpi.
Chiederete perdono alla santa Madre con quattro giorni di kletka, a partire da domani sera.»
«No!» grido.
Spalanco l’occhio buono e questo si libera delle lacrime che scivolano leste sulla guancia.
L’ufficio torna nitido e opprimente.
«La kletka no, la scongiuro direttrice!» protesto.
Nella mente si rincorrono i volti di Katia, di Mirna, di Natasha e di tante altre compagne tornate da quel posto infame: corpi sfregiati, visi sbiancati e sguardi assenti piegati dalla fame e dalla sete.
«Il vostro peccato è grande, Orianthi. Troppo grande per essere perdonato con delle semplici frustate o con pomeriggi sui libri di preghiere.» la voce della direttrice si riduce a un soffio, come se stesse parlando da sola «Quattro giorni di kletka, ribadisco.»
Giro la testa. Tania è distesa con la testa tra le pieghe della gonna lunga, singhiozza tra la stoffa macchiata di sangue.
-
Lo scricchiolio del calesse si fa sempre più lontano.
Un fruscio di fronde si alza e muore.
Il calesse non si ode più.
Siamo sole.
Il rettangolo di luce crepuscolare sul pavimento della kletkasi è già fatto più sottile da quando ci hanno buttato dentro. L’ingresso non ha una porta e lascia penetrare gli ultimi raggi del sole della giornata.
Quell’uscio perennemente spalancato mi fa sentire indifesa.
Qualcuno potrebbe entrare durante la notte indisturbato.
O qualcosa.
Stoffa che struscia sul legno: Tania, annegata nel buio dall’altra parte, si è girata su di un fianco oppure si è alzata.
Non ha detto una singola parola da quando la direttrice l’ha fatta rotolare con un calcio nel sedere nell’angolo tetro dov’è adesso.
I nostri polsi sono legati con corde di canapa quando, il formicolio alle dita e ai polsi va e viene.
Mi siedo.
Allungo la gamba sana per capire se ho qualche oggetto intorno nel mio angolo di kletka ma il piede brancola nel vuoto nero.
Altro strusciare: se Tania sta provando a sconfinare per aggredirmi, sarà costretta a superare il rettangolo di luce e la scoprirei sul momento. Dentro di me, in un angolo buio non dissimile a quello dove giaccio, spero davvero che lo faccia. Stringo i pugni.
Serpente ruba-fidanzati, se ti avvicini ti spaccherò anche gli altri denti, giuro! Forza, fatti avanti!
Spero davvero che sconfini, così posso anche tenerla d’occhio meglio.
Qualcosa scricchiola nella mia porzione di kletka.
Non può essere Tania, l’avrei vista!
Tarli in un mobile che non ho sfiorato prima?
I capelli alla base del collo si drizzano e la bocca dello stomaco si svuota.
“Sergej ha promesso che mi sposerà quando saremo adulti!”
Perché a me non lo ha promesso? Affondo i denti nel labbro inferiore.
Stronza lei e stronzo lui.
Vorrei che fosse accanto a me ma vorrei anche vederlo rotolare per le scale del suo collegio.
Avranno una specie di kletka pure da loro? Lo spero di cuore.
Cinguettii dall’esterno, l’ennesimo colpo di vento muove il fogliame della taiga.
“Sergej ha promesso che mi sposerà quando saremo adulti!”
Perché si è messo anche con Tania? Non era felice con me?
Avvicino le gambe al petto e le cingo in un abbraccio stretto, aiutata dalle corde ai polsi.
Io lo baciavo, lui mi baciava.
Chiudo gli occhi e riascolto i nostri fiati corti per la corsa dietro la fila di abeti per non farci beccare, rivedo la tenda porpora del confessionale, lo sgabello sui cui sediamo una sopra l’altro, la finestrella bucherellata che di norma separa il peccatore dal sacerdote.
.
Sergej mi sbaciucchia a stampo avvicinandosi e allontanandosi, io gli fermo la testa per trasformare quella raffica di bacetti frettolosi in un'unica comunione di labbra umide.
Armeggia coi suoi pantaloni e se li abbassa.
Qualcosa sbuca fuori oscillando, mi fa senso ma non riesco a distogliere lo sguardo.
Mi dai un bacio anche qui?
Io…io non lo so.
Poi lo faccio io a te, se vuoi.
Non so se possiamo…
Orianthi, dai!
Il suo abbraccio diventa più spigoloso, faccio resistenza e quel gioco di forze tra noi due fa sbattere la testa a entrambi sulle pareti ruvide del confessionale.
Di colpo ottengo la risposta a tutte le domande e non mi piace.
Apro gli occhi così in fretta che la palpebra pesta mi dà una scossa dolorosa.
Il rettangolo di luce sul pavimento ora è lunghissimo, tanto da toccare la parete opposta all'entrata e illuminare un secchio arrugginito abbandonato sul fianco.
Mi alzo.
«Glielo hai baciato, vero stronza?» urlo. L’eco delle mie parole mi fa sentire forte.
«Che cosa?» la voce di Tania raspa come uno strofinaccio sulle pentole.
«Gli hai baciato il coso, vero?»
Silenzio. Non sento più nemmeno gli uccelli fuori dalla kletka, anche loro vogliono sentire la risposta della stronza.
«Oh sì, e più di una volta.» miagola.
Il cuore accelera, scende e torna su, sembra voglia uscirmi dalle costole.
Tania lo ha fatto contento, io no.
Tania non ha avuto paura, io sì.
Sergej vuole spostare Tania, non me.
Scene mi scorrono davanti come carrozze per le vie di San Pietroburgo: Tania che salta dall’altalena in movimento e che mi sfida a fare altrettanto davanti le altre compagne, io che scappo via dal giardino del collegio.
Tania che recita una poesia di Aleksandr Pushkin dalla prima all’ultima parola e sorride all’insegnante di lettere, io che mi blocco alla terza strofa e che piango dietro il libro di letteratura.
«E non solo» le punte delle sue scarpe nere invadono il rettangolo di luce infuocata «lui mi ha anche baciato tra le gambe e io in cambio gliel’ho stretto tra le mani e strofinato come una spugna. Gli piace da matti, sai?»
Potrei raggiungerla con un salto e crollarle addosso, sbattergli i miei pugni uniti dalla corda su tutto il corpo fino a farla svenire…
Le gambe mi tremano e finisco di nuovo col sedere sul duro pavimento.
Tania si fa una gran risata.
«Perché, tu non glielo hai mai fatto? Sei la solita fifona.»
Incasso la testa tra le gambe e mi turo con forza le orecchie con le ginocchia.
Un fischio acuto nella testa e gli insulti che le grido contro uno dopo l’altro sotterrano gli sghignazzi della stronza.
La odierò fino al giorno del giudizio.
.
Spalanco gli occhi ma il buio rimane.
Dormivo? O sto dormendo adesso?
C’è solo una forza dura che mi preme il fianco e la gamba sinistra. Sono distesa.
Arrivano dei dolori diffusi che mi ricordano anche una testa e un torace.
La palpebra dell’occhio pesto si apre un poco e una puntura di dolore sotto la fronte mi avverte di non esagerare.
Usare di nuovo entrambi gli occhi cambia poco; tutt'attorno c’è un'unica parete bruna e insondabile.
Faccio leva coi comiti e mi tiro su a sedere.
Il nero assoluto ha una ferita bluastra alla mia sinistra, di forma rettangolare.
L’entrata senza porta?
Più la fisso e più quella si distingue.
La notte fuori è un pelo più luminosa di quello dentro la kletka e tanto basta per distinguere la sagoma.
Inspiro più aria che posso e l’odore di piante e terra mi raggiunge con foga, il dolore al naso è mutato in un indolenzimento sopportabile.
La prima notte alla kletka. Soltanto la prima. Ne mancano ancora tre.
Lo stomaco protesta gorgogliando, la lingua è pesante e pastosa.
Colpi sul terreno, all’esterno.
Saltello col sedere all'indietro e la parete mi sfiora i capelli.
Colpi brevi, sordi, leggeri.
Passi.
Tania è uscita dalla kletka e ora sta rientrando? Ma le scarpe di pezza che abbiamo non rintoccano così forte nel selciato!
I colpi si avvicinano.
La porta si fa buia per un attimo.
Toc. Toc. Toc.
I passi da ovattati diventano duri e battono sul legno del tavolato.
Io e Tania non siamo più sole.
I colpi sul pavimento terminano, cominciano i respiri.
Un odore acre e penetrante mi sferza il naso.
Un chiarore verde si diffonde per la stanza e appare una cerva.
È lei a emettere quel chiarore, come se al suo interno custodisse delle lampade.
Ora noto un tavolino tarlato all’angolo in fondo, un camino sporco e inutilizzato contenente la paletta e il morsetto per la legna, gli avanzi di una sedia a pochi passi da me.
Dietro le gambe solide dell’animale intravedo Tania stesa a terra, le braccia tese e le gambe avvolte dalla gonna alzate in aria, come a proteggersi lo stomaco da un calcio che può arrivare da un momento all’altro.
«Maria, ti prego proteggimi, perdonami, allontanalo da qui…» mormora lei.
Mi alzo e nemmeno so perché.
Allungo le mani legate verso il muso del cervo luminoso e quello china la testa, serafico, per toccarle col suo naso.
È morbido. Scivolano via la fame, la sete, l’odio e l’angoscia.
Batto la palpebra sinistra più e più volte ed è una cosa così naturale che mi viene da ridere.
La coscia scoperta dallo squarcio nella gonna è salda e sana.
Nessun dolore; a stento ricordo cosa sia e se l’abbia mai incontrato in vita mia.
La cerva mi punta i suoi occhi di smeraldo addosso.
«Grazie.» le dico.
Lei agita le orecchie. Si avvicina ancora e ormai siamo così vicini che potrei cingergli la groppa se solo…
Il muso si abbassa e affonda i denti sulla corda che mi lega i polsi.
«Ti mangerà le mani! Allontanati, scema! È un demonio che viene dall’inferno!» soffia Tania da dietro i suoi avambracci alzati.
Un demone? Che immensa sciocchezza.
Le corde si spezzano e cadono, giro le mani e fisso i palmi che riflettono un po’ la luce verde.
«Grazie…ancora.»
«È questa la baracca?» bercia un uomo fuori dalla kletka.
«да…Il collegio della Vergine delle Cerve le mandano qua in punizione da anni, di sicuro sono tutte e due dentro, già belle legate e ammansite.» risponde una seconda voce con un accento che ho già sentito.
La cerva si rizza per un istante su due gambe, si dà slancio con le zampe posteriori ed esce portandosi via la luce verde.
Il buio torna a dominare fino a quando una lampada a olio accesa entra nella stanza e lo squarta.
L’uomo che la regge dal manico è un uomo col doppio mento e avvolto in una pelliccia nera.
Nell’altra mano regge un fucile dalla canna d’ebano.
Incrocio i polsi dietro la schiena, d’istinto.
«La direttrice ha lasciato fuori dalla dispensa un po’ di cibo anche stavolta, visto?» bercia il direttore Vorobyov
«Povera deficiente. Entra pure, Vladimir!».
Un uomo dai baffi all’insù e con la camicia lercia e arrotolata fino ai gomiti attraversa l’ingresso.
Non ha capelli e sopracciglia, ha la faccia di uno a cui hanno appena portato i regali di Natale.
Un sorriso con pochi denti si allarga sulle gengive.
«Bene bene…quale posso prendere, Vorobyov? A me piace questa col culo grande» l’uomo fa un cenno col mento verso una Tania rintanata in un angolo che continua a indietreggiare sebbene i muri la inchiodano sul posto.
«Ma si, io mi prendo la biondina tutta ossa. Prima di cominciare, dammi il tempo di spiegare le regole del gioco, però.»
La punta del fucile dondola tra me e la mia compagna di collegio.
«Se una di voi prova a ribellarsi, vedrà l’altra morire scannata. Se insiste, farà la stessa fine e la vostra direttrice penserà che qualche animale sia entrato qua dentro e vi abbia sbranato. Se provate a raccontare qualcosa una volta tornate nella vostra pidocchiosa scuola per puttanelle, sareste prese per invasate isteriche e finireste di nuovo qui. E in quel caso tornerei qua e salterei subito alla parte dolorosa, senza passare per quella piacevole. Sono stato chiaro?»
Tania scoppia in lacrime.
«Lo prendo per un sì, oh si si si» il pelato coi baffi si cala le braghe di tela e si china verso Tania che comincia a strillare appena lui le infila le mani sotto la gonna.
Vorobyov posa fucile e lanterna a terra. Due passi e mi è già vicino.
«Vedrai che sarò molto più bravo del tuo Sergej»
Mi lancio verso il camino.
«Questa stronza non è legata!» urla il grassone.
«Cos..» un gemito spezza la voce di pelato coi baffi.
Afferro il morsetto gelato e meno un affondo verso la faccia di Vorobyov. Lui tenta di fermarlo con le manone spalancate ma il pezzo di metallo biforcuto passa tra le dita e termina la sua corsa nell’orbita dell’occhio destro.
Uno zampillio di sangue vola a imbrattare la trave portante del soffitto.
Torno al camino, afferro la paletta e mi giro verso Tania e il suo aggressore.
Fermo il colpo a mezz’aria quando vedo pelato coi baffi tremare sulle ginocchia a sorreggersi la paccottiglia nuda con le mani tremanti.
Tania, distesa a terra, ha il fucile di Vorobyov stretto tra le gambe nude e puntato verso pelato coi baffi.
Uno scoppio sovrasta il guaire dei due criminali e pelato coi baffi ma senza più il coso cade di schiena, le braccia spalancate e l'inguine bucato.
Do una palettata con tutte le mie forze alla fronte del direttore che urla e stringe il morsetto incassato nell'occhio e quello sviene sopra il cadavere del suo amico.
La fiamma della lampada danza nella sua prigione di vetro, indifferente.
Prendo la doppietta che le è sfuggita dalle mani per colpa del rinculo traditore.
Un sottile pensiero mi salta alla testa, ragionevole come soltanto le offerte che vengono dall’Inferno possono essere.
“Sergej ha promesso che mi sposerà quando saremo adulti!”
Si, ma ti sposerebbe anche da morta?
“Gliel’ho stretto tra le mani e strofinato come una spugna. Gli piace da matti, sai?”
Si, ma riusciresti a menarglielo anche se ti facessi saltare le dita?
Ora le coperture bugiarde di Vorobyov mi suonano seducenti e non atroci: un animale è entrato e ha mangiato le dita di Tania, direttrice Sonja!
Guardo la ragazza che si è appartata con il mio Sergej chissà quante volte a mia insaputa.
Se c’è ancora un colpo dentro quest’arma, potrei farlo passare come un incidente…
Un gorgoglio, simile all'assolo di un trombone, echeggia nella taiga.
Volto la testa verso l’ingresso senza porta.
Lo spicchio di mondo fuori della kletka balugina di una luce smeraldina.
Una donna bellissima ammantata di verde è seduta in groppa alla cerva luminosa, le gambe piegate e appoggiate sullo stesso lato.
Donna e animale stanno guardando dentro l’edificio. Guardano me.
Abbasso il fucile e tengo la punta lontana il più possibile da Tania, che ansima ie trema delirando parole incomprensibili.
La direttrice aveva torto: una sola notte nella klekta alla fine ci è bastata per perdonarci ed essere perdonate.
«Mi aspetto che quelle due vengano punite severamente, direttrice.» conclude il ciccione infilando le braccia tozze nelle maniche della pelliccia nera
«Ho sempre considerato il collegio femminile della Vergine delle Cerve prestigioso almeno quanto il mio.
Il ragazzo passerà dei brutti momenti, garantisco.»
Sergej, in piedi accanto a Vorobyov al centro dell’ufficio, chiude gli occhi; i baffetti acerbi che mi facevano il solletico mentre lo baciavo sussultano per un istante.
Stronzo traditore! Spero che il tuo direttore te li strappi con una pinza!
«Stia tranquillo, Vorobyov.» Sonja trafigge me e Tania con uno sguardo obliquo «non avrò pietà.»
Serro l’occhio destro per non vedere più il volto butterato della direttrice, illuminato dalla luce diafana del finestrone centrale.
L’occhio sinistro mi fa male al solo pensiero di muovere la palpebra; Tania è una troia che picchia duro ma i suoi incisivi spezzati le ricorderanno che neppure io ci vado piano.
Vorobyov apre la porta dell’ufficio, da una spinta a Sergej che esce incespicando sui propri piedi.
«Dasvidaniya, collega direttrice. Che Gesù e Maria perdonino i nostri ragazzi.»
«Dasvidaniya, collega direttore. Che li aiutino sempre.»
Vorobyov si chiude la porta alle spalle con uno schiocco talmente forte da far vibrare la parete.
La direttrice afferra la verza, si alza dalla poltrona e aggira la scrivania.
Le rughe in fronte sono solchi sulla terra arida, le sopracciglia grigie inarcate come gatti furiosi.
«E così non solo siete sgattaiolate via durante il coprifuoco…» la prima nerbata squarcia la manica della divisa di Tania;
la puttana urla di dolore e le intravedo lo spazio tra i denti scheggiati, nero quanto la sua coda di cavallo.
«Non solo vi siete sporcate l’anima fornicando con un ragazzo prima del matrimonio…»
Mentre mi chiedo cosa significhi fornicare, la seconda nerbata mi lacera la gonna.
Il taglio sulla coscia brucia e punge allo stesso tempo, butto il peso sull’altra gamba e mi appoggio alla scrivania mentre mosche luminose danzano per la stanza.
«Ma vi siete addirittura picchiate come cagne rabbiose quando avete scoperto di essere due cornute!»
La direttrice disegna un arco a mezz’aria con la sferza ed entrambe strilliamo insieme; nemmeno durante i canti in chiesa io e Tania siamo così a tempo.
Aghi arroventati mi trafiggono il naso e l’ufficio diventa un guazzabuglio di forme acquose e confuse.
Un tonfo sul pavimento. Tania dev’essere finita col culo per terra.
«Sergej ha promesso che mi sposerà quando saremo adulti!» biascica lei dal pavimento.
Cosa?
«Si condivide un letto con un uomo soltanto dopo aver giurato sull’altare, non prima!» la direttrice urla indemoniata «non hai imparato proprio nulla?»
Un sibilo d’aria, uno schiocco e Tania geme ancora.
Tra i due tormenti pulsanti del naso e della coscia, germoglia una terza fitta al petto sorda e amara:
Sergej non ha mai promesso nulla del genere a me!
«Mi avete molto deluso, Tania e Orianthi. Molto. Il vostro comportamento non solo vi ha degradato al livello di animali lussuriosi, ma avete offeso la Vergine che vi protegge con infinito amore.
E avete offeso me, rinnegando tutti gli insegnamenti che io, in Suo nome, vi ho dato perché voi viviate una vita retta.»
La sagoma confusa della direttrice si allontana e torna alla scrivania.
«Ma forse sono in tempo per correggere certe brutte pieghe, di cacciare il maligno dai vostri corpi.
Chiederete perdono alla santa Madre con quattro giorni di kletka, a partire da domani sera.»
«No!» grido.
Spalanco l’occhio buono e questo si libera delle lacrime che scivolano leste sulla guancia.
L’ufficio torna nitido e opprimente.
«La kletka no, la scongiuro direttrice!» protesto.
Nella mente si rincorrono i volti di Katia, di Mirna, di Natasha e di tante altre compagne tornate da quel posto infame: corpi sfregiati, visi sbiancati e sguardi assenti piegati dalla fame e dalla sete.
«Il vostro peccato è grande, Orianthi. Troppo grande per essere perdonato con delle semplici frustate o con pomeriggi sui libri di preghiere.» la voce della direttrice si riduce a un soffio, come se stesse parlando da sola «Quattro giorni di kletka, ribadisco.»
Giro la testa. Tania è distesa con la testa tra le pieghe della gonna lunga, singhiozza tra la stoffa macchiata di sangue.
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Lo scricchiolio del calesse si fa sempre più lontano.
Un fruscio di fronde si alza e muore.
Il calesse non si ode più.
Siamo sole.
Il rettangolo di luce crepuscolare sul pavimento della kletkasi è già fatto più sottile da quando ci hanno buttato dentro. L’ingresso non ha una porta e lascia penetrare gli ultimi raggi del sole della giornata.
Quell’uscio perennemente spalancato mi fa sentire indifesa.
Qualcuno potrebbe entrare durante la notte indisturbato.
O qualcosa.
Stoffa che struscia sul legno: Tania, annegata nel buio dall’altra parte, si è girata su di un fianco oppure si è alzata.
Non ha detto una singola parola da quando la direttrice l’ha fatta rotolare con un calcio nel sedere nell’angolo tetro dov’è adesso.
I nostri polsi sono legati con corde di canapa quando, il formicolio alle dita e ai polsi va e viene.
Mi siedo.
Allungo la gamba sana per capire se ho qualche oggetto intorno nel mio angolo di kletka ma il piede brancola nel vuoto nero.
Altro strusciare: se Tania sta provando a sconfinare per aggredirmi, sarà costretta a superare il rettangolo di luce e la scoprirei sul momento. Dentro di me, in un angolo buio non dissimile a quello dove giaccio, spero davvero che lo faccia. Stringo i pugni.
Serpente ruba-fidanzati, se ti avvicini ti spaccherò anche gli altri denti, giuro! Forza, fatti avanti!
Spero davvero che sconfini, così posso anche tenerla d’occhio meglio.
Qualcosa scricchiola nella mia porzione di kletka.
Non può essere Tania, l’avrei vista!
Tarli in un mobile che non ho sfiorato prima?
I capelli alla base del collo si drizzano e la bocca dello stomaco si svuota.
“Sergej ha promesso che mi sposerà quando saremo adulti!”
Perché a me non lo ha promesso? Affondo i denti nel labbro inferiore.
Stronza lei e stronzo lui.
Vorrei che fosse accanto a me ma vorrei anche vederlo rotolare per le scale del suo collegio.
Avranno una specie di kletka pure da loro? Lo spero di cuore.
Cinguettii dall’esterno, l’ennesimo colpo di vento muove il fogliame della taiga.
“Sergej ha promesso che mi sposerà quando saremo adulti!”
Perché si è messo anche con Tania? Non era felice con me?
Avvicino le gambe al petto e le cingo in un abbraccio stretto, aiutata dalle corde ai polsi.
Io lo baciavo, lui mi baciava.
Chiudo gli occhi e riascolto i nostri fiati corti per la corsa dietro la fila di abeti per non farci beccare, rivedo la tenda porpora del confessionale, lo sgabello sui cui sediamo una sopra l’altro, la finestrella bucherellata che di norma separa il peccatore dal sacerdote.
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Sergej mi sbaciucchia a stampo avvicinandosi e allontanandosi, io gli fermo la testa per trasformare quella raffica di bacetti frettolosi in un'unica comunione di labbra umide.
Armeggia coi suoi pantaloni e se li abbassa.
Qualcosa sbuca fuori oscillando, mi fa senso ma non riesco a distogliere lo sguardo.
Mi dai un bacio anche qui?
Io…io non lo so.
Poi lo faccio io a te, se vuoi.
Non so se possiamo…
Orianthi, dai!
Il suo abbraccio diventa più spigoloso, faccio resistenza e quel gioco di forze tra noi due fa sbattere la testa a entrambi sulle pareti ruvide del confessionale.
Di colpo ottengo la risposta a tutte le domande e non mi piace.
Apro gli occhi così in fretta che la palpebra pesta mi dà una scossa dolorosa.
Il rettangolo di luce sul pavimento ora è lunghissimo, tanto da toccare la parete opposta all'entrata e illuminare un secchio arrugginito abbandonato sul fianco.
Mi alzo.
«Glielo hai baciato, vero stronza?» urlo. L’eco delle mie parole mi fa sentire forte.
«Che cosa?» la voce di Tania raspa come uno strofinaccio sulle pentole.
«Gli hai baciato il coso, vero?»
Silenzio. Non sento più nemmeno gli uccelli fuori dalla kletka, anche loro vogliono sentire la risposta della stronza.
«Oh sì, e più di una volta.» miagola.
Il cuore accelera, scende e torna su, sembra voglia uscirmi dalle costole.
Tania lo ha fatto contento, io no.
Tania non ha avuto paura, io sì.
Sergej vuole spostare Tania, non me.
Scene mi scorrono davanti come carrozze per le vie di San Pietroburgo: Tania che salta dall’altalena in movimento e che mi sfida a fare altrettanto davanti le altre compagne, io che scappo via dal giardino del collegio.
Tania che recita una poesia di Aleksandr Pushkin dalla prima all’ultima parola e sorride all’insegnante di lettere, io che mi blocco alla terza strofa e che piango dietro il libro di letteratura.
«E non solo» le punte delle sue scarpe nere invadono il rettangolo di luce infuocata «lui mi ha anche baciato tra le gambe e io in cambio gliel’ho stretto tra le mani e strofinato come una spugna. Gli piace da matti, sai?»
Potrei raggiungerla con un salto e crollarle addosso, sbattergli i miei pugni uniti dalla corda su tutto il corpo fino a farla svenire…
Le gambe mi tremano e finisco di nuovo col sedere sul duro pavimento.
Tania si fa una gran risata.
«Perché, tu non glielo hai mai fatto? Sei la solita fifona.»
Incasso la testa tra le gambe e mi turo con forza le orecchie con le ginocchia.
Un fischio acuto nella testa e gli insulti che le grido contro uno dopo l’altro sotterrano gli sghignazzi della stronza.
La odierò fino al giorno del giudizio.
.
Spalanco gli occhi ma il buio rimane.
Dormivo? O sto dormendo adesso?
C’è solo una forza dura che mi preme il fianco e la gamba sinistra. Sono distesa.
Arrivano dei dolori diffusi che mi ricordano anche una testa e un torace.
La palpebra dell’occhio pesto si apre un poco e una puntura di dolore sotto la fronte mi avverte di non esagerare.
Usare di nuovo entrambi gli occhi cambia poco; tutt'attorno c’è un'unica parete bruna e insondabile.
Faccio leva coi comiti e mi tiro su a sedere.
Il nero assoluto ha una ferita bluastra alla mia sinistra, di forma rettangolare.
L’entrata senza porta?
Più la fisso e più quella si distingue.
La notte fuori è un pelo più luminosa di quello dentro la kletka e tanto basta per distinguere la sagoma.
Inspiro più aria che posso e l’odore di piante e terra mi raggiunge con foga, il dolore al naso è mutato in un indolenzimento sopportabile.
La prima notte alla kletka. Soltanto la prima. Ne mancano ancora tre.
Lo stomaco protesta gorgogliando, la lingua è pesante e pastosa.
Colpi sul terreno, all’esterno.
Saltello col sedere all'indietro e la parete mi sfiora i capelli.
Colpi brevi, sordi, leggeri.
Passi.
Tania è uscita dalla kletka e ora sta rientrando? Ma le scarpe di pezza che abbiamo non rintoccano così forte nel selciato!
I colpi si avvicinano.
La porta si fa buia per un attimo.
Toc. Toc. Toc.
I passi da ovattati diventano duri e battono sul legno del tavolato.
Io e Tania non siamo più sole.
I colpi sul pavimento terminano, cominciano i respiri.
Un odore acre e penetrante mi sferza il naso.
Un chiarore verde si diffonde per la stanza e appare una cerva.
È lei a emettere quel chiarore, come se al suo interno custodisse delle lampade.
Ora noto un tavolino tarlato all’angolo in fondo, un camino sporco e inutilizzato contenente la paletta e il morsetto per la legna, gli avanzi di una sedia a pochi passi da me.
Dietro le gambe solide dell’animale intravedo Tania stesa a terra, le braccia tese e le gambe avvolte dalla gonna alzate in aria, come a proteggersi lo stomaco da un calcio che può arrivare da un momento all’altro.
«Maria, ti prego proteggimi, perdonami, allontanalo da qui…» mormora lei.
Mi alzo e nemmeno so perché.
Allungo le mani legate verso il muso del cervo luminoso e quello china la testa, serafico, per toccarle col suo naso.
È morbido. Scivolano via la fame, la sete, l’odio e l’angoscia.
Batto la palpebra sinistra più e più volte ed è una cosa così naturale che mi viene da ridere.
La coscia scoperta dallo squarcio nella gonna è salda e sana.
Nessun dolore; a stento ricordo cosa sia e se l’abbia mai incontrato in vita mia.
La cerva mi punta i suoi occhi di smeraldo addosso.
«Grazie.» le dico.
Lei agita le orecchie. Si avvicina ancora e ormai siamo così vicini che potrei cingergli la groppa se solo…
Il muso si abbassa e affonda i denti sulla corda che mi lega i polsi.
«Ti mangerà le mani! Allontanati, scema! È un demonio che viene dall’inferno!» soffia Tania da dietro i suoi avambracci alzati.
Un demone? Che immensa sciocchezza.
Le corde si spezzano e cadono, giro le mani e fisso i palmi che riflettono un po’ la luce verde.
«Grazie…ancora.»
«È questa la baracca?» bercia un uomo fuori dalla kletka.
«да…Il collegio della Vergine delle Cerve le mandano qua in punizione da anni, di sicuro sono tutte e due dentro, già belle legate e ammansite.» risponde una seconda voce con un accento che ho già sentito.
La cerva si rizza per un istante su due gambe, si dà slancio con le zampe posteriori ed esce portandosi via la luce verde.
Il buio torna a dominare fino a quando una lampada a olio accesa entra nella stanza e lo squarta.
L’uomo che la regge dal manico è un uomo col doppio mento e avvolto in una pelliccia nera.
Nell’altra mano regge un fucile dalla canna d’ebano.
Incrocio i polsi dietro la schiena, d’istinto.
«La direttrice ha lasciato fuori dalla dispensa un po’ di cibo anche stavolta, visto?» bercia il direttore Vorobyov
«Povera deficiente. Entra pure, Vladimir!».
Un uomo dai baffi all’insù e con la camicia lercia e arrotolata fino ai gomiti attraversa l’ingresso.
Non ha capelli e sopracciglia, ha la faccia di uno a cui hanno appena portato i regali di Natale.
Un sorriso con pochi denti si allarga sulle gengive.
«Bene bene…quale posso prendere, Vorobyov? A me piace questa col culo grande» l’uomo fa un cenno col mento verso una Tania rintanata in un angolo che continua a indietreggiare sebbene i muri la inchiodano sul posto.
«Ma si, io mi prendo la biondina tutta ossa. Prima di cominciare, dammi il tempo di spiegare le regole del gioco, però.»
La punta del fucile dondola tra me e la mia compagna di collegio.
«Se una di voi prova a ribellarsi, vedrà l’altra morire scannata. Se insiste, farà la stessa fine e la vostra direttrice penserà che qualche animale sia entrato qua dentro e vi abbia sbranato. Se provate a raccontare qualcosa una volta tornate nella vostra pidocchiosa scuola per puttanelle, sareste prese per invasate isteriche e finireste di nuovo qui. E in quel caso tornerei qua e salterei subito alla parte dolorosa, senza passare per quella piacevole. Sono stato chiaro?»
Tania scoppia in lacrime.
«Lo prendo per un sì, oh si si si» il pelato coi baffi si cala le braghe di tela e si china verso Tania che comincia a strillare appena lui le infila le mani sotto la gonna.
Vorobyov posa fucile e lanterna a terra. Due passi e mi è già vicino.
«Vedrai che sarò molto più bravo del tuo Sergej»
Mi lancio verso il camino.
«Questa stronza non è legata!» urla il grassone.
«Cos..» un gemito spezza la voce di pelato coi baffi.
Afferro il morsetto gelato e meno un affondo verso la faccia di Vorobyov. Lui tenta di fermarlo con le manone spalancate ma il pezzo di metallo biforcuto passa tra le dita e termina la sua corsa nell’orbita dell’occhio destro.
Uno zampillio di sangue vola a imbrattare la trave portante del soffitto.
Torno al camino, afferro la paletta e mi giro verso Tania e il suo aggressore.
Fermo il colpo a mezz’aria quando vedo pelato coi baffi tremare sulle ginocchia a sorreggersi la paccottiglia nuda con le mani tremanti.
Tania, distesa a terra, ha il fucile di Vorobyov stretto tra le gambe nude e puntato verso pelato coi baffi.
Uno scoppio sovrasta il guaire dei due criminali e pelato coi baffi ma senza più il coso cade di schiena, le braccia spalancate e l'inguine bucato.
Do una palettata con tutte le mie forze alla fronte del direttore che urla e stringe il morsetto incassato nell'occhio e quello sviene sopra il cadavere del suo amico.
La fiamma della lampada danza nella sua prigione di vetro, indifferente.
Prendo la doppietta che le è sfuggita dalle mani per colpa del rinculo traditore.
Un sottile pensiero mi salta alla testa, ragionevole come soltanto le offerte che vengono dall’Inferno possono essere.
“Sergej ha promesso che mi sposerà quando saremo adulti!”
Si, ma ti sposerebbe anche da morta?
“Gliel’ho stretto tra le mani e strofinato come una spugna. Gli piace da matti, sai?”
Si, ma riusciresti a menarglielo anche se ti facessi saltare le dita?
Ora le coperture bugiarde di Vorobyov mi suonano seducenti e non atroci: un animale è entrato e ha mangiato le dita di Tania, direttrice Sonja!
Guardo la ragazza che si è appartata con il mio Sergej chissà quante volte a mia insaputa.
Se c’è ancora un colpo dentro quest’arma, potrei farlo passare come un incidente…
Un gorgoglio, simile all'assolo di un trombone, echeggia nella taiga.
Volto la testa verso l’ingresso senza porta.
Lo spicchio di mondo fuori della kletka balugina di una luce smeraldina.
Una donna bellissima ammantata di verde è seduta in groppa alla cerva luminosa, le gambe piegate e appoggiate sullo stesso lato.
Donna e animale stanno guardando dentro l’edificio. Guardano me.
Abbasso il fucile e tengo la punta lontana il più possibile da Tania, che ansima ie trema delirando parole incomprensibili.
La direttrice aveva torto: una sola notte nella klekta alla fine ci è bastata per perdonarci ed essere perdonate.