Neve di Calce

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il primo agosto sveleremo il tema deciso da Francesco Nucera. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Il BOSS assegnerà la vittoria.
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MatteoMantoani
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Neve di Calce

Messaggio#1 » lunedì 16 agosto 2021, 12:32

Orcolat. Letteralmente orcaccio in lingua friulana. Con questo termine viene indicato il sisma che alle ore 21:00:12 del 6 maggio 1976 colpì il Friuli e causò 990 morti, 3000 feriti e più di 100mila sfollati, interessando l'area di 137 comuni di cui 45 completamente rasi al suolo. Con i suoi 6.5 gradi della scala Richter, l'Orcolat fu il quinto peggior evento sismico registrato in Italia nel XX secolo.


Carnia, maggio 1976.
La polvere copriva tutto: le strade, gli aghi dei pini e dei larici, le bare raccolte sul piazzale di fronte alla chiesa crollata. Pareva scendere dal cielo, come una neve fatta di calce, sottile e inesorabile. Franco starnutì, indietreggiò d'un passo e poggiò la mano sul brandello di muro. L’interno della casa era ricoperto di macerie. Si sedette su un grosso ciottolo e si concesse un momento di riposo.
I muri di tutte le case di quel paesino di montagna erano fatti di pietre colte dal letto del fiume Tagliamento, e poi attaccate tra loro con la sputacchia. I tetti erano paglia su incroci di assi di legno mangiate dai tarli. Non era una sorpresa se il terremoto aveva raso al suolo tutto il paese. Che gente strana. Chi mai poteva vivere isolato e in quelle condizioni di miseria? Solo vecchi testardi e duri come le pietre con cui avevano costruito le loro inutili casette.
Franco sospirò e si rimboccò le maniche. Raccolse un pesante sasso e lo buttò da parte, sbatté le mani guantate e produsse un fiotto di polvere che lo investì in faccia. Tossì e sputò calcina impastata di catarro. Stava certamente scavando nel posto sbagliato. No, doveva cercare in corrispondenza della camera da letto. Cercò attorno, ma a parte cumuli di pietre non riuscì a trovare nulla che gli indicasse la presenza di un letto o di un armadio.
Una goccia fredda gli bagnò il labbro. Alzò lo sguardo e fissò le nuvole visibili oltre le travi scheletriche del tetto crollato. Sbuffò. Ci mancava solo la pioggia. Si rimboccò le maniche e raggiunse il centro della casa, dove un grosso cumulo di assi spezzate e pietre creava una piccola montagnola di resti. Cavi elettrici scoperti serpeggiavano tra i massi come vene nere nella pelle grinzosa di un vecchio. Franco salì su un cumulo di legna e paglia, e scavò usando la zappa per arare che aveva trovato in strada. Un colpo sordo gli fece intendere che c’era un mobile di legno, sotto le macerie. Sorrise e si diede da fare per eliminare le pietre. Una cosa positiva, di quel metodo di costruzione, era che i sassi, cadendo, erano rimasti intatti, tanto che per rimuoverli spesso bastava farli rotolare via senza far troppa fatica.
Si fermò e rimase ad ascoltare. Le voci di altre persone venivano dai ruderi tutt’intorno. C’erano gli alpini, i vigili del fuoco e gli altri volontari provenienti da Perugia. Per il momento nessuno aveva avuto l’idea di ispezionare quella casa. Doveva fare in fretta, approfittare di essere solo poiché presto si sarebbero accorti di lui e avrebbero iniziato a invadere il suo spazio come mosche fastidiose. Aiutandosi con la zappa, tolse l’ultimo ciottolo e scoprì il mobile. Era un armadio di legno molto resistente tanto che, sebbene lungo i lati serpeggiassero alcune crepe, era ancora tutto d’un pezzo. Le ante erano immobilizzate da cumuli di macerie che Franco non aveva la voglia di ripulire: per fare quello che voleva bastava scavare un buco di lato. Diede un paio di colpi con la zappa in corrispondenza di una spaccatura e il legno cedette a liberare un ampio spazio interno. Mise dentro il braccio ed estrasse un paio di panni. Li buttò da parte e cercò ancora. Le dita toccarono un cassetto. Sorrise. Spinse il braccio all’interno, fino a penetrare il mobile con tutta la spalla.
Fu in quel momento che si accorse del piede che spuntava tra le travi spezzate. Ritrasse il braccio dal mobile e si avvicinò. Scavò con la zappa e fece affidamento alle sue forze per togliere l’asse di legno dalla montagnola di macerie. Portò così alla luce una gamba, poi un cadavere insanguinato e infine un altro corpo esanime.
Il letto era sprofondato in mezzo alle pietre, i due vecchi giacevano raggomitolati uno accanto all’altro, mano nella mano. Franco si avvicinò, una vampata di odore di carne in decomposizione gli fece salire un conato di vomito. I due anziani erano ancora a letto, gli occhi chiusi e i visi ridotti a grumi di sangue rappreso. In alcuni punti la pelle impolverata era bucata a scoprire l’osso. Il naso dell’uomo era rientrato nel teschio e la mascella della donna si era staccata, strappata dal peso dei ciottoli. Franco fissò a lungo quella scena, il cuore gli batteva forte. Impresse nella memoria le tonalità del rosso tendenti al nero e i contorni distorti di quei visi. Da quando era arrivato, due giorni prima, quelli erano i primi cadaveri che vedeva. Poveracci, erano andati a dormire ignari di ciò che li aspettava. Scosse la testa: doveva tenere i nervi saldi. Quella polvere che imbiancava tutto doveva anche foderargli il cuore con una camicia di malta, oppure non avrebbe resistito un giorno in più in mezzo a tutta quella morte. Fissò i cadaveri e si sforzò di vedere solo due vecchi testardi, di quelli che non avevano potuto rinunciare alla loro casa fatta di sassi, in quel paese in mezzo al nulla. Sospirò e fece un passo indietro. Senza indugiare oltre, rimise il braccio nel buco dell’armadio. Cercò con le dita all’interno del cassetto e riuscì a estrarre qualche gioiello d’oro, tra cui una catenella da cui penzolava un medaglione con una foto in bianco e nero che mostrava un viso di donna con zigomi pronunciati. Franco la osservò con un certo interesse, poi la staccò e la gettò via. Cercò ancora nell’armadio, fino a trovare una borsetta di cuoio con un portafogli. C’erano solo ottantamila lire. Fece spallucce e mise tutto in tasca. Vecchi poveri in canna, la sua solita scalogna.
Mise le mani a coppa attorno alla bocca e chiamò aiuto.

Sulla superficie del vino galleggiavano delle grosse gocce untuose. Franco portò il bicchiere alla bocca, prese un sorso e strofinò la lingua sul palato. Forte, minerale, un vino che andava subito alla testa. Alzò gli occhi e contemplò lo squallido bar ricavato tra le mura di lamiera del prefabbricato. Il lungo bancone era costituito da un’unica tavola di legno sostenuta da quattro gambe di ferro. Soffiò sulla gavetta colma di brodo delle razioni alimentari dell’esercito. Vino e minestra, consumati sotto un tetto di lamiera sferzato da una pioggia gelata. Squallore totale.
Un paio di persone entrarono scostando la tenda. Parlavano nella lingua del posto, un’accozzaglia di suoni dalle vocali dure e strascicate. Franco fissò la minestra e il filo di vapore che si levava serpeggiando dalla gavetta, mise la mano in tasca e accarezzò i gioielli e i soldi rubati.
«Ehi.» Franco si girò di scatto, un alpino era in piedi accanto a lui. «Posso sedermi in parte a te?» Sorrideva. Non aveva più di una quarantina d’anni, la bocca dalle labbra tornite, bei baffi folti, occhi azzurri. Franco sentì una fitta allo stomaco. Chiuse le dita nella tasca a proteggere le catenelle d’oro e annuì.
Mentre l’uomo si accomodava sulla panca, Franco si morse un labbro e cercò di concentrarsi sulla sua gavetta fumante. L’alpino non smetteva di fissarlo. «Sei stato tu a trovare i Palombit, vero?»
Franco deglutì. «I due anziani? Sì.»
L’alpino piegò la testa di lato e sorrise. A quel gesto un po’ effeminato, Franco capì che l’altro era come lui. Gli tese la mano libera. «Sono Franco Baccone, un volontario di Perugia.»
L’alpino l’afferrò con forza e la rovesciò a palmo in su. «Mario Mion. Piacere di conoscerti. E grazie» gli lasciò la mano «per essere venuto fin qui da così lontano.»
«Spero di essere utile.»
«Lo sei. L’orco ha fatto molti danni e c’è lavoro per tutti.»
«L’orco?»
Mario si tolse il berretto piumato a rivelare una folta chioma di capelli biondi. Lo stomaco di Franco mandò una fitta.
«Noi friulani» Mario sorrise «crediamo che sotto le montagne ci sia un enorme orco incatenato nelle grotte. Ogni cento anni si risveglia e si agita, e così fa tremare la terra.» Diventò di colpo serio. «Causa lui i terremoti.» I suoi occhi azzurri si inumidirono e le sue labbra si mossero in un leggero tremolio.
Franco soffocò un gemito. Anche lui ne sapeva qualcosa, di orchi. «Non sono storie per bambini?»
Mario mosse di nuovo la testa in modo femmineo. «Certo, certo.» Lo guardò con un’espressione severa. «’Scolta, che mestiere fai?»
Si morse un labbro. «Il pittore.»
«Cioè, l’imbianchino? Quello che pittura i muri?»
«No.» abbassò lo sguardo sul bicchiere di vino. «Sono un artista, dipingo quadri.»
Mario aprì la bocca per dire qualcosa, ma venne interrotto da un alpino che si affacciò nella baracca. Il suo viso paonazzo per la corsa era bagnato dalla pioggia. «Mion, al é colât cumò un clap intor di Meni. Niciti!1»
Mario si alzò e corse verso suo compagno, entrambi sparirono nella pioggia. Franco rimase a guardare la tenda di plastica dell’ingresso oscillare avanti e indietro. Il cuore gli batteva forte.

Aveva dovuto pagare una piccola mazzetta per farsi dare un container con letto singolo. Le baracche riservate ai volontari di solito avevano letti a castello, come nelle caserme. Più che una baracca, gli avevano dato uno sgabuzzino con un unico materasso poggiato a terra e lo spazio per riuscire a malapena a stare in piedi. Ma andava bene così. Seduto sul letto a gambe raccolte, Franco disegnava su un blocchetto di fogli appoggiato sulle ginocchia. I colori a pastello erano riposti a casaccio tra i suoi piedi, mentre la matita rossa e quella blu erano infilate tra le dita della mano chiusa.
Gli occhi di Mario.
Lo stomaco di Franco fece ribollire il brodo mescolato col vino. La testa gli doleva, ma capitava sempre quando la pioggia gli bagnava i capelli.
Quegli occhi azzurri, dal taglio perfetto, la zazzera bionda.
Premette la matita talmente forte che produsse un lungo solco sul foglio ricoperto di tratti colorati. Sospirò e poggiò di lato i pastelli, si stese sul materasso e fissò il soffitto di lamiera. Chiuse gli occhi.
Il viso di Mario si avvicinava al suo, i baffi dorati gli accarezzavano la pelle. Le loro labbra si sfioravano, poi lui si ritraeva di scatto e i suoi occhi si facevano furbi, cattivi. Con le sue mani forti, estraeva una lunga corda dallo zaino da alpino, e lo legava stretto. Franco cercava di liberarsi, ma non poteva, i legacci erano troppo resistenti. Dopo tutto, erano nodi fatti da un esperto di montagna. Mario lo frustava con l’estremità libera della corda e Franco, a ogni colpo, provava una fitta di piacere che gli correva dallo stomaco fino in mezzo alle gambe. L’altro rideva di lui, gli sputava addosso e lo picchiava. Franco fissava quegli occhi di ghiaccio, implorando pietà. Ma Mario non lo ascoltava, toltosi i vestiti si masturbava e continuava a frustarlo. Franco si prostrava ai suoi piedi e lo pregava di smettere, ma in cuor suo tutto ciò invece gli piaceva, gli piaceva da morire.
Riprese fiato e si mise seduto a letto. L’aveva fatto ancora, aveva fantasticato un quel modo sporco, che sapeva essere sbagliato. Chiuse le braccia a proteggere il petto, e provò infinita vergogna. Una lacrima scese lungo la guancia e bagnò il cuscino vicino al suo orecchio. Ricordi sepolti scavarono nella sua mente come vermi sotto la terra ghiacciata. Quando era giovane e suo padre metteva via il frustino, lo apostrofava dicendo che solo le donnette frignavano e che invece un vero uomo accettava le botte con onore. Franco, però, non poteva farne a meno e, anzi, lo faceva apposta, perché farlo arrabbiare purtroppo gli piaceva. Da impazzire.

Venne svegliato da qualcuno che bussava alla porta di plastica. Franco aprì gli occhi e accese la lampadina. «Chi è?»
«Mario Mion, posso entrare?»
Farfalle nello stomaco. Franco si diede una veloce occhiata allo specchio, si ravviò con la mano un ciuffo grigio sulla testa e aprì. Mario era di fronte a lui col cappello pennuto in mano. Il viso era illuminato dalla luce del sole, che stava tramontando tingendo di rosso le nuvole cariche di pioggia. «Scusa, volevo parlarti un momento.»
Franco si fece da parte per farlo entrare. L’altro fece qualche passo verso il letto e raccolse un foglio. I suoi occhi azzurri diventarono due fessure. «Cos’è ‘sta roba?» Fece oscillare il pezzo di carta tra pollice e indice.
Franco fissò il disegno che raffigurava un viso deforme, chiazzato di segni rossi e viola, con la bocca dalle labbra nere spalancata in un grido, il naso appiattito e incassato dentro la faccia. «La mia arte.»
Mario aggrottò la fronte e prese un altro foglio. Il disegno mostrava una testa ricoperta di scarabocchi rosa, gli occhi disposti in modo asimmetrico e la bocca aperta a scoprire file di denti irregolari disegnati con un tratto azzurro tremolante. «Fa... impressione!»
Franco allungò la mano e prese il blocco di fogli. «Questo è quello che provo stando qui. L’orrore del terremoto e delle vittime sotto i sassi.»
Mario inclinò la testa di lato. «Allora, è per questo che sei venuto qui, per cercare ispirazione per la tua arte. Per disegnare i cadaveri!»
Franco alzò le sopracciglia. «No, no, certo che no.»
Mario lo interruppe. «O per rubare.»
Franco ammutolì, il cuore gli saltò in testa. «Perché hai detto questo?»
«Ho visto una catenella d’oro uscirti dalla tasca, quando eravamo al ristorante. Poi, sono andato dai tuoi amici perugini e mi sono fatto raccontare un po’ di te. Diciamo che non godi di una buona reputazione.»
Franco strinse i denti. «Calunnie.»
«Ah sì? E se cercassi qui, nella tua baracca privata, siamo sicuri che non troverei niente?»
Franco prese un respiro profondo. Chiuse gli occhi, e si lanciò. I baffi ispidi gli pungevano il labbro, ma lui premette forte e gli circondò il collo con le braccia. Per un secondo Mario non reagì, ricambiando il bacio, poi si ritrasse di scatto e lo spinse da parte. «Ma guarda.»
Entrambi fissarono il pavimento. Franco si portò una mano alla nuca. «Scusa.»
«No, no. Mi sa che di me hai capito tutto. Come io avevo capito tutto di te.» Fece un respiro profondo, tese due dita e gli sollevò il mento. Franco socchiuse le labbra per ricevere un altro bacio, che però non arrivò. Mario si allontanò da lui e si sedette sul letto, il berretto da alpino abbandonato ai suoi piedi. «Ma che roba. E io che ero venuto per vedere se eri un ladro, e mi ritrovo a baciarti.»
Franco si sedette accanto a lui lo fissò negli occhi azzurri. «Andiamo via da qui, io e te. Vieni con me a Perugia.»
All’udire la sua risata, Franco strinse le spalle e inspirò a fatica.
Mario gli prese una spalla e sorrise. «Gli anni Sessanta sono finiti, adesso dobbiamo tornare alla realtà.» La mano strinse la spalla così forte che Franco gemette per il dolore. «Allora, pittore, perché sei venuto qui? Dimmi la verità.»
Lui non si ritrasse, raccolse tutto il dolore che arrivava dalla spalla. Il suo stomaco tremò per l’eccitazione, qualcosa si risvegliò in mezzo alle sue gambe. «Volevo provare a disegnare la morte, e trovare un posto che somiglia a quello che ho dentro.»
Mario smise di stringere e incrociò le braccia. «Anche poeta?»
«No, dico la verità. Non hai idea di quello che ho passato. L'arte mi aiuta ad andare avanti.»
«E cosa mi dici dei saccheggi?»
«Vivere solo di arte non è facile.» Sospirò. «Sai, ho pensato che di casa in casa, magari, se trovavo qualcosina...»
«Ho capito. Quanta roba hai rubato?»
Franco desiderò con tutto sé stesso di essere picchiato. Uno schiaffo in faccia sarebbe andato benissimo. Gli occhi di Mario erano duri come quelli di suo padre, era pronto a farsi punire per essere stato cattivo. «Tanta. Sono un ladro.» Ansimò. «Puniscimi, picchiami.»
Mario alzò le sopracciglia e scoppiò a ridere. «Santa Madonna, sei messo proprio male!»
Franco trattenne il respiro, appoggiò il mento alle ginocchia e si mise a piangere. Voleva dire qualcosa, ma le parole non volevano uscire dalla gola serrata. Si vergognava, sapeva di essere sbagliato.
Mario si alzò. «Senti, ne ho viste troppe in questi giorni per avere voglia di denunciarti. Mi fai solo pena.»
«Ti prego, non lasciarmi qui da solo.»
Mario sbuffò. Alzò la mano per aprire la porta, poi la lasciò cadere lungo il fianco. «Ma guarda te, non riesco a essere obiettivo perché, lo ammetto, un poco mi piaci. Però guarda che non la passi liscia.» Poggiò le sue manone sulle sue spalle e gli diede una forte scrollata. «’Scolta, sei venuto fin qui per aiutare con i soccorsi. Allora datti da fare! Quello che hai rubato portalo al prete e di' che l'hai trovato mentre scavavi, così non ti faranno niente.» Abbassò lo sguardo. «E se vuoi disegnare quelle robe...» sospirò «bon, fai quello che vuoi. Ma vedi di rigare dritto e forse andremo d’accordo, va bene?»
Franco alzò gli occhi umidi e fissò il viso angelico dell'alpino. «Vorrei tanto... se possibile, proviamo un po’ a volerci bene.»
Mario strinse le labbra. «Se cambierai, forse una possibilità te la darò.»

Franco camminava tra le pareti crollate di casa Palombit. I soccorritori avevano raccolto i corpi martoriati e lasciato il resto com'era. Con la punta degli scarponi, che finirono per coprirsi di fanghiglia, Franco ripulì una porzione di pavimento per portare alla luce la vecchia foto che il giorno prima aveva gettato via. A parte un paio di righe bianche, era ancora in buono stato, la pioggia l'aveva stropicciata, ma la carta era ancora integra. Prese dalla tasca il medaglione e sistemò la foto al suo interno, così, come l'aveva trovata. La donna dagli zigomi alti lo guardò con gli occhi incorniciati da reticoli di rughe. Franco carezzò la foto col pollice, conscio di meritare quello sguardo glaciale. Dopo qualche passo trovò anche il pesante portafogli di cuoio da cui aveva preso le ottantamila lire, lo ripulì e ci sistemò dentro le banconote.
Camminando per il paese verso la chiesa, Franco assaporò l’aria fresca del mattino, e si rimproverò per non aver mai prestato attenzione ai contorni dipinti d'oro delle montagne tutt'attorno. Si promise di considerarle per i suoi prossimi lavori: forse era arrivato il momento di ritrarre anche qualcosa di bello.
Arrivò a messa già iniziata, si unì alla folla in piedi attorno al palco e raddrizzò la sua postura.
Le otto bare erano sistemate in riga davanti al podio montato accanto alle macerie della chiesetta. Una bara era avvolta da una bandiera con un aquila su sfondo azzurro: doveva trattarsi del feretro dell’alpino morto il giorno prima, Domenico. I soldati con il cappello decorato con la penna nera erano in piedi sul palco, accanto al parroco.
In prima fila, Mario gli lanciò diverse occhiate, cui lui rispose con un timido sorriso.
Appena il coro degli alpini iniziò a cantare, tutte le persone raccolte al funerale intonarono la stessa canzone.

Santa Maria, Signora della neve,
copri col bianco, soffice mantello
il nostro amico, nostro fratello.


La vista di Franco si offuscò. Si accorse che anche Mario era commosso, le sue guance imbiancate dalla polvere si sciolsero al passaggio delle lacrime.

Ma ti preghiamo, ma ti preghiamo

Franco si asciugò il viso e si unì a sua volta al coro.

Su nel paradiso, su nel paradiso,
Lascialo andare, per le tue montagne.


Da tutta la vita il suo cuore era a pezzi, l'ira di un orco l'aveva ridotto a un cumulo di macerie insanguinate.
Era arrivato In Friuli, e aveva trovato una neve fatta di calce che cementava la terra dove i morti erano sepolti, e sigillava il passato di una terra di confine.
Strinse le labbra per darsi forza e alzò la mano in segno di saluto, Mario accennò un sorriso.
Eppure, in quella terra lontana, devastata da un altro orco, forse avrebbe potuto rendersi finalmente utile a qualcosa e ricevere in cambio l'amore che aveva cercato tutta la vita, un amore pulito, delicato, di cui non avrebbe dovuto vergognarsi e che l'avrebbe reso una persona per bene.
Un'altra lacrima gli scese lungo la guancia. Non era tardi per cambiare. Poteva ancora farcela a essere un uomo migliore. Dipendeva solo da lui.
Solo da lui.


1 Mion, è appena caduto un ciottolo addosso a Domenico. Sbrigati!
Ultima modifica di MatteoMantoani il lunedì 16 agosto 2021, 13:33, modificato 3 volte in totale.



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Re: Neve di Calce

Messaggio#2 » lunedì 16 agosto 2021, 12:36

Cari amici, ecco il mio umile contributo alla gara.
Ambisco a tutti i bonus, non dimenticatevi di leggere la traduzione della frase in friulano, contrassegnata alla fine del racconto con un 1.
Grazie, buona lettura!

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Re: Neve di Calce

Messaggio#3 » mercoledì 25 agosto 2021, 15:59

Ciao Matteo,
eccomi qua. Un pezzo tosto con molti pregi e qualche zona d'ombra in costruzione e, ahimé, anche gusto personale, ma cercherò di essere il più possibile oggettivo. Ti faccio un commento misto bonus:

Tema: preso, l'esigenza di redenzione del protagonista si sente tutta.

Ma ci mette tanto a rivelarsi. La prima sequenza è paesaggistica, quasi sognante: vediamo Franco all'opera (siamo immersi nel suo pov?) ma non sappiamo davvero nulla di lui. Ci mettiamo un bel po' a capire cosa sta facendo e perché, i suoi demoni sono insondabili, la passione per la pittura casca un po' a caso: secondo me basta qualche semina ben piazzata (le sue mani da artista non avvezze al lavoro, l'oro che gli serve per tirare a campare, il corpo del vecchio che potrebbe già ricordargli suo padre, e magari smuovergli un moto d'odio e ciottoli...) per mettere in chiaro anche il conflitto psicologico e rendere questa accoppiata di orchi più porosa e sinergica.
[p.s. avevo già letto qualcosa di tuo (Satanasso il rivoltoso) e mi era già capitato di faticare ad allinearmi con il filtro del pg. Lì il pezzo era breve e forse era un effetto voluto, qui il pezzo ha un respiro maggiore e un intento differente, credo. Serviti di questo feedback come preferisci.]

-1) Evento epocale: preso, ed è la cosa che mi ha convinto decisamente di più.

Descrizioni vivide e scenario dettagliato di macerie e polvere, sembra di essere lì! Scrittura pulita e sorvegliata, ti faccio giusto un paio di piccole segnalazioni:

si rimboccò le maniche --> ripetuto due volte
con la zappa --> torna spesso, puoi variare con zappò, zappettò, picconò, vangò... ne hai di possibilità!
si fermò e rimase ad ascoltare --> si fermò ad ascoltare (es. per la faccenda verbi e microazioni varie...)


Nelle sequenze successive lo stile si sporca un po' di più, ad esempio sul dialogato al bar sarei un po' più parco coi beat che spezzano di continuo il discorso. Secondo me puoi sfrondarne qualcuno.


-2) Passato tormentato: preso e saldato direttamente al tema.

Giocato sul pesante ma in fondo semplice, con argomenti traumatici come padre-padrone e omosessualità. Non discuto la tua volontà di affrontare a viso aperto certe tematiche, ma la sequenza con frustate e masturbazione è molto forte e può far storcere il naso. Occhio anche alla costruzione: dopo l'avvio lento da dipinto sembra di leggere un altro racconto. Una maggiore porosità tra i due blocchi credo possa essere d'aiuto.

-3) situazione imbarazzante: per ora non l'ho trovata.

Franco scoperto a rubare? Ma non è svergognato sul fatto, e con Mario ci sono attive ben altre dinamiche. Franco che si vergogna dei suoi stessi pensieri? Un po' forzato. Mario che arriva e vede il disegno, forse? Avrebbe senso ma da come è costruito il passo l'imbarazzo non arriva. Lì, tra l'altro, mi sarebbe piaciuto qualche scambio "artistico", non per forza pacifico, sul fatto che si tratti di astrattismo, cubismo, espressionismo... e che quello schifo sia o non sia arte. Con tutta la vergogna che può seguire quando qualcuno ti demolisce il lavoro. Se vuoi provare ad argomentare...

Al di là delle criticità, ci hai sicuramente dato dentro e si vede. Ne terrò conto perché la consapevolezza quando si scrive è importante.

Buona Sfida!
Francesco

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Re: Neve di Calce

Messaggio#4 » mercoledì 25 agosto 2021, 17:57

Ciao Francesco, grazie per il commento dettagliato! Mi prendo la libertà di espandere la discussione su un paio di cose, così per spiegare un po' le mie ragioni e per cogliere l'occasione di farti qualche domanda.

Proelium ha scritto:Ma ci mette tanto a rivelarsi. La prima sequenza è paesaggistica, quasi sognante: vediamo Franco all'opera (siamo immersi nel suo pov?) ma non sappiamo davvero nulla di lui. Ci mettiamo un bel po' a capire cosa sta facendo e perché, i suoi demoni sono insondabili, la passione per la pittura casca un po' a caso: secondo me basta qualche semina ben piazzata (le sue mani da artista non avvezze al lavoro, l'oro che gli serve per tirare a campare, il corpo del vecchio che potrebbe già ricordargli suo padre, e magari smuovergli un moto d'odio e ciottoli...) per mettere in chiaro anche il conflitto psicologico e rendere questa accoppiata di orchi più porosa e sinergica.
[p.s. avevo già letto qualcosa di tuo (Satanasso il rivoltoso) e mi era già capitato di faticare ad allinearmi con il filtro del pg. Lì il pezzo era breve e forse era un effetto voluto, qui il pezzo ha un respiro maggiore e un intento differente, credo. Serviti di questo feedback come preferisci.]

Era mia intenzione lasciare un po' fumosa l'identità di Franco fino alla scena della mensa. Volevo che il lettore inquadrasse il personaggio come un banale soccorritore, e non come uno sciacallo. Volevo anche introdurre il fatto che fosse un artista a tempo debito, ma avevo comunque dato qualche input quando specifico che Franco si sofferma a contemplare i colori dei cadaveri. Certamente, nulla mi vieta di inserire qualche altro elemento per far capire che è un artista, come suggerisci tu.

-1) Evento epocale: preso, ed è la cosa che mi ha convinto decisamente di più.

Descrizioni vivide e scenario dettagliato di macerie e polvere, sembra di essere lì! Scrittura pulita e sorvegliata, ti faccio giusto un paio di piccole segnalazioni:

si rimboccò le maniche --> ripetuto due volte
con la zappa --> torna spesso, puoi variare con zappò, zappettò, picconò, vangò... ne hai di possibilità!
si fermò e rimase ad ascoltare --> si fermò ad ascoltare (es. per la faccenda verbi e microazioni varie...)


Devo ammettere che sto lavorando per diversificare le espressioni che uso nel corso di un racconto, purtroppo quando sono un po' fuori allenamento mi scappa spesso una ripetizione anche nelle azioni, come hai segnalato giustamente tu.

Nelle sequenze successive lo stile si sporca un po' di più, ad esempio sul dialogato al bar sarei un po' più parco coi beat che spezzano di continuo il discorso. Secondo me puoi sfrondarne qualcuno.

Mi fa piacere che tu l'abbia notato. Mi sembra fosse stato il Duca, in uno dei suoi video, a specificare che una battuta di dialogo non può essere troppo lunga e deve essere spezzata da delle azioni per tenere sempre alta l'attenzione del lettore. Mi sa che ho un po' peccato di "eccesso di zelo" questa volta. Vedrò di livellare di più in futuro.

-2) Passato tormentato: preso e saldato direttamente al tema.

Giocato sul pesante ma in fondo semplice, con argomenti traumatici come padre-padrone e omosessualità. Non discuto la tua volontà di affrontare a viso aperto certe tematiche, ma la sequenza con frustate e masturbazione è molto forte e può far storcere il naso. Occhio anche alla costruzione: dopo l'avvio lento da dipinto sembra di leggere un altro racconto. Una maggiore porosità tra i due blocchi credo possa essere d'aiuto.

A me piacciono le storie forti :) questo racconto voleva essere un po' tendente al rosa, ma visto che odio i racconti del genere ho voluto dargli un tocco di violenza, per restare più in linea con ciò che mi piace più scrivere.

-3) situazione imbarazzante: per ora non l'ho trovata.

Franco scoperto a rubare? Ma non è svergognato sul fatto, e con Mario ci sono attive ben altre dinamiche. Franco che si vergogna dei suoi stessi pensieri? Un po' forzato. Mario che arriva e vede il disegno, forse? Avrebbe senso ma da come è costruito il passo l'imbarazzo non arriva.

La mia scena di situazione imbarazzante, è quando Franco si lancia a baciare Mario. I due si mettono a fissare le punte dei piedi per un bel po'..

Lì, tra l'altro, mi sarebbe piaciuto qualche scambio "artistico", non per forza pacifico, sul fatto che si tratti di astrattismo, cubismo, espressionismo... e che quello schifo sia o non sia arte. Con tutta la vergogna che può seguire quando qualcuno ti demolisce il lavoro. Se vuoi provare ad argomentare...

Certo, un elemento che si può inserire. Ho dato più peso al conflitto interiore di Franco piuttosto che all'accettazione del proprio lavoro. Non è detto che un artista abbia bisogno di sentirsi approvato dalla comunità.
Piccola nota: il personaggio di Franco è ispirato al pittore surrealista Francis Bacon. Mi sono imbattuto nella biografia di questo artista inglese qualche mese fa, e la sua figura mi ha colpito proprio per la sua violenza e per la sua natura masochista. Omosessuale fin dalla tenera età, amava farsi frustare da suo padre violento, e questo ha avuto ripercussioni sulla sua sessualità negli anni a venire. Le sue opere d'arte sono in gran parte ispirate ai cadaveri martoriati dalle macerie degli edifici bombardati dagli aerei tedeschi, durante la Seconda Guerra Mondiale. Bacon lavorava come soccorritore a Londra e l'esperienza lo segnò al punto da indirizzare la sua arte.

Al di là delle criticità, ci hai sicuramente dato dentro e si vede. Ne terrò conto perché la consapevolezza quando si scrive è importante.
Buona Sfida!
Francesco

Devi tener conto anche del tuo gusto personale, anche questo tipo di feedback è utile.
Se vuoi, quando hai tempo e voglia, mi piacerebbe avere un tuo feedback sulla parte finale. Diciamo che in tutto il racconto ho cercato di evitare un narratore onnisciente, per andare verso un narratore in terza persona interno. Nell'ultima parte, ho paura che le sensazioni di Franco siano esplicitate con un po' troppa invadenza. Mi piacerebbe sapere che ne pensi.

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Proelium
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Re: Neve di Calce

Messaggio#5 » giovedì 26 agosto 2021, 18:16

Mi fa piacere che tu l'abbia notato. Mi sembra fosse stato il Duca, in uno dei suoi video, a specificare che una battuta di dialogo non può essere troppo lunga e deve essere spezzata da delle azioni per tenere sempre alta l'attenzione del lettore.


Ed è un principio giustissimo, i beat danno dinamismo e scongiurano il pericolo dei monologhi tra i pg. Usali senza paura, occhio solo a non dirottare troppo l'attenzione dai dialoghi, più importanti, ai beat che li sostengono. Per la misura precisa, cerca di sentirla tu.

Entrambi fissarono il pavimento. Franco si portò una mano alla nuca. «Scusa.»


Se il passo galeotto è questo, può diventare decisamente più riconoscibile e le azioni più eloquenti. Concedo il bonus, ma se passi il turno ti impegni a potenziarlo con rossore, gioco di sguardi, risate nervose e/o altri effetti a tua scelta. Ora che ci penso: se entrambi abbassano lo sguardo non possono più vedersi, quindi occhio anche a coerenza di pov e mostrato.

Piccola nota: il personaggio di Franco è ispirato al pittore surrealista Francis Bacon. Mi sono imbattuto nella biografia di questo artista inglese qualche mese fa, e la sua figura mi ha colpito proprio per la sua violenza e per la sua natura masochista.


Questo sì che è un bel dettaglio! Quasi quasi rimpiango di non aver letto un racconto in cui il protagonista è proprio lui...

Devi tener conto anche del tuo gusto personale, anche questo tipo di feedback è utile.
Se vuoi, quando hai tempo e voglia, mi piacerebbe avere un tuo feedback sulla parte finale.


Farò la media di tutto, tranquillo! Il finale secondo me è buono. Calza bene su un pov che vive la sua catarsi e traccia il suo bilancio conclusivo. L'ho apprezzato più di altre sequenze ;)

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Milena
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Re: Neve di Calce

Messaggio#6 » venerdì 27 agosto 2021, 15:09

[mi scuso con tutti per la brevità dei commenti ma sono, come si dice, un po’ nelle curve…]

Ciao Matteo, ben trovato!
Un racconto devo dire particolare, che inizialmente credevo prendesse tutt’altra direzione. Ho notato però un calando nella storia. Mi spiego. Il racconto parte benissimo, con la descrizione delle macerie e di quest’uomo sconosciuto che vi rovista dentro; si capisce presto che le sue intenzioni non sono esattamente da buon Samaritano, ma l’alone di mistero resta; poi c’è l’incontro con Mario, che getta nuova luce sul nostro Franco e sul suo difficile passato (e qui ne approfitto per dire che il bonus c’è sicuramente). Poi, però, dall’arrivo di Mario nella sua baracca, è come se non fosse più la stessa storia; o meglio, è come se gli eventi vi fossero calati a forza per arrivare a tutti i costi a quel cambiamento a cui Franco anela. Il dialogo tra i due mi sembra forzato e un po’ artificioso. Non so se mi sono spiegata…
Toccante invece la parte del funerale e delle preghiere che si alternano alla prosa.
Come dicevo, un bonus sicuramente azzeccato; il tema, pure. Sul bonus “imbarazzo”, ho visto la risposta che hai dato in precedenza, in effetti ci sta anche se non mi sembra molto evidenziato; sull’evento epocale, caspita, ci siamo senza ombra di dubbio.
Nonostante l’appunto che ti ho fatto sopra, ho letto il racconto con piacere e, devo dire, anche un po’ di amarezza, povero Franco.
Grazie!

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MatteoMantoani
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Re: Neve di Calce

Messaggio#7 » venerdì 27 agosto 2021, 17:27

Milena ha scritto:[mi scuso con tutti per la brevità dei commenti ma sono, come si dice, un po’ nelle curve…]

Ciao Matteo, ben trovato!
Un racconto devo dire particolare, che inizialmente credevo prendesse tutt’altra direzione. Ho notato però un calando nella storia. Mi spiego. Il racconto parte benissimo, con la descrizione delle macerie e di quest’uomo sconosciuto che vi rovista dentro; si capisce presto che le sue intenzioni non sono esattamente da buon Samaritano, ma l’alone di mistero resta; poi c’è l’incontro con Mario, che getta nuova luce sul nostro Franco e sul suo difficile passato (e qui ne approfitto per dire che il bonus c’è sicuramente). Poi, però, dall’arrivo di Mario nella sua baracca, è come se non fosse più la stessa storia; o meglio, è come se gli eventi vi fossero calati a forza per arrivare a tutti i costi a quel cambiamento a cui Franco anela. Il dialogo tra i due mi sembra forzato e un po’ artificioso. Non so se mi sono spiegata…
Toccante invece la parte del funerale e delle preghiere che si alternano alla prosa.
Come dicevo, un bonus sicuramente azzeccato; il tema, pure. Sul bonus “imbarazzo”, ho visto la risposta che hai dato in precedenza, in effetti ci sta anche se non mi sembra molto evidenziato; sull’evento epocale, caspita, ci siamo senza ombra di dubbio.
Nonostante l’appunto che ti ho fatto sopra, ho letto il racconto con piacere e, devo dire, anche un po’ di amarezza, povero Franco.
Grazie!

Ciao Milena. Grazie per il tuo commento. Certamente la parte del dialogo è creata apposta per innescare la molla del cambiamento di Franco. O, per dirla in altri modi, mettergli il tarlo nell'orecchio. Il mio intento era di sviluppare un arco narrativo, e certamente in un racconto è difficile farlo mantenendo al massimo tutti gli altri parametri di controllo del racconto. Se tu dici che il dialogo sembra artificioso, allora c'è qualcosa che magari è da rivedere per renderlo più realistico. Sapresti per piacere indicarmi un punto in cui questo effetto si sente? Così per capire dove migliorare. Grazie mille ancora!

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Milena
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Re: Neve di Calce

Messaggio#8 » venerdì 27 agosto 2021, 19:02

Sapresti per piacere indicarmi un punto in cui questo effetto si sente? Così per capire dove migliorare

Ma certo, volentieri! Tieni comunque conto che tutto si basa su una mia impressione personale, che potrebbe tranquillamente essere errata. In ogni caso, trovo che un po' stoni tutto il dialogo nella baracca; il tono che usa Mario mi sembra molto diverso da quello della scena precedente. Leggendo mi ha dato quasi l'impressione che Mario non stesse parlando per sé, ma che fosse in qualche modo costretto da qualcuno a comportarsi così con Franco, anche perché da quello che dice alla fine mi sembra che gli piacesse. Non so, mi sembra più brutale del dovuto; d'accordo che sta accusando Franco di furto, e va bene, ma mi sembra stonare con l'idea che mi ero fatta del personaggio dalla scena precedente.
Spero di essermi spiegata... in caso contrario fai pure un fischio!
Ciaooooo

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Leonardo Pigneri
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Re: Neve di Calce

Messaggio#9 » sabato 28 agosto 2021, 11:21

Prime impressioni: Ciao Matteo! Il racconto è molto buono, vivido di immagini e personale. Come al solito ottimo lavoro, c'è giusto qualche cosetta qua e là che mi sento di segnalarti.
Tema: Preso. Bonus: ok a tutti e tre!
Positivo: Il protagonista è interessante e lo hai caratterizzato bene.
Sullo stile nulla da dire. Sai quel che fai e si vede. Prendo questa frase a esempio:
Fissò i cadaveri e si sforzò di vedere solo due vecchi testardi, di quelli che non avevano potuto rinunciare alla loro casa fatta di sassi, in quel paese in mezzo al nulla.

Molto bene davvero. Mi ha fatto venire i brividi questo passaggio+.
Negativo: Allora, i consigli che ti posso dare sono solo per migliorare ancora di più il testo, errori veri e propri non ce ne sono.
Trovo superflua la didascalia iniziale sull'Orcolat essendo il fenomeno anche spiegato più avanti. Non fa molto se non provare a convincere il lettore si tratti di una storia vera. Opera di convincimento che non svolge bene e che dovrebbe spettare al testo stesso.
L'attacco è ottimo, la scena è presentata bene, ma forse ti spendi per qualche riga di troppo nel protagonista che fruga e analizza ciò che vede. Prima di trovare i corpi c'è poco che focalizzi davvero l'attenzione del lettore. Avrei snellito un pochino.
I due anziani erano ancora a letto, gli occhi chiusi e i visi ridotti a grumi di sangue rappreso. In alcuni punti la pelle impolverata era bucata a scoprire l’osso. Il naso dell’uomo era rientrato nel teschio e la mascella della donna si era staccata, strappata dal peso dei ciottoli.

La descrizione è vivida e d'impatto, ma se avessi specificato meglio anche il dettaglio della mascella sarebbe stata una bomba. "la mascella della donna si era staccata" non ci dice molto, le pendeva da un lato? Non c'era proprio? In entrambi i casi puoi descrivere il mento che tocca il seno o l'arcata dei denti superiore aperta nel vuoto. Mi hai capito insomma.
Franco la osservò con un certo interesse,

Questa frase non mi piace. Fai vedere i suoi pensieri, perché la trova interessante, o semplicemente come la osserva, portandosela vicino agli occhi magari.
Venne svegliato da qualcuno che bussava alla porta di plastica. Franco aprì gli occhi e accese la lampadina.

Falla più semplice:
Qualcuno bussò alla porta di plastica. Franco aprì gli occhi e accese la lampadina.
Dai dettagli degli occhi chiusi e della luce spenta si capisce che stava dormendo.
«Se cambierai, forse una possibilità te la darò.»

Il dialogo fino a questo momento andava molto bene, questa frase però mi ha tirato fuori. Forse perché mi ha fatto venire in mente il tema in modo troppo ovvio. Non so.
Il finale lo vedo troppo concentrato sul cambiare in sé, e meno sui perché di questo cambiamento. Mi è sembrato più un tentativo di allacciarsi ancor di più al tema che la conclusione di un vero arco. Ma è una mia impressione probabilmente, forse legata proprio alla fine del dialogo tra Mario e Franco che, come ti ho detto, mi ha "tirato fuori".
Conclusioni: Comunque un ottimo lavoro, la prosa è ricca senza essere pesante e la storia si perde giusto un po' all'inizio e alla fine, senza però deviare troppo.
Alla prossima Matteo. Mandi!

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MatteoMantoani
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Re: Neve di Calce

Messaggio#10 » sabato 28 agosto 2021, 13:46

Leonardo Pigneri ha scritto:Prime impressioni: Ciao Matteo! Il racconto è molto buono, vivido di immagini e personale. Come al solito ottimo lavoro, c'è giusto qualche cosetta qua e là che mi sento di segnalarti.
Tema: Preso. Bonus: ok a tutti e tre!
Positivo: Il protagonista è interessante e lo hai caratterizzato bene.
Sullo stile nulla da dire. Sai quel che fai e si vede. Prendo questa frase a esempio:
Fissò i cadaveri e si sforzò di vedere solo due vecchi testardi, di quelli che non avevano potuto rinunciare alla loro casa fatta di sassi, in quel paese in mezzo al nulla.

Molto bene davvero. Mi ha fatto venire i brividi questo passaggio.

Nella valle di lacrime in cui vivono gli aspiranti scrittori, ogni complimento è un motivo per alzarsi dalla melma e continuare a camminare. Quindi, grazie per i complimenti, che fanno sempre bene.

Negativo: Allora, i consigli che ti posso dare sono solo per migliorare ancora di più il testo, errori veri e propri non ce ne sono.
Trovo superflua la didascalia iniziale sull'Orcolat essendo il fenomeno anche spiegato più avanti. Non fa molto se non provare a convincere il lettore si tratti di una storia vera. Opera di convincimento che non svolge bene e che dovrebbe spettare al testo stesso.

Chiaro che il testo è già sufficiente a inquadrare il periodo storico, tuttavia, ho voluto sottolineare l'esistenza di questo terremoto del '76. A noi lo insegnano a scuola, tanto che sapevo la data del terremoto prima di sapere la data dell'unità d'Italia, però non posso pretendere che tutti gli italiani conoscano la storia della mia regione. In più, sottolineare all'inizio di un racconto che le vicende narrate sono ispirate da una storia vera, aumenta l'attenzione del lettore (l'ho letto in qualche manuale, forse in quello del buon vecchio Palaniucco). Da qui la mia idea di inserire subito quella didascalia. Certo, non fa parte del racconto, però pensavo che lo incorniciasse bene.

L'attacco è ottimo, la scena è presentata bene, ma forse ti spendi per qualche riga di troppo nel protagonista che fruga e analizza ciò che vede. Prima di trovare i corpi c'è poco che focalizzi davvero l'attenzione del lettore. Avrei snellito un pochino.
I due anziani erano ancora a letto, gli occhi chiusi e i visi ridotti a grumi di sangue rappreso. In alcuni punti la pelle impolverata era bucata a scoprire l’osso. Il naso dell’uomo era rientrato nel teschio e la mascella della donna si era staccata, strappata dal peso dei ciottoli.

La descrizione è vivida e d'impatto, ma se avessi specificato meglio anche il dettaglio della mascella sarebbe stata una bomba. "la mascella della donna si era staccata" non ci dice molto, le pendeva da un lato? Non c'era proprio? In entrambi i casi puoi descrivere il mento che tocca il seno o l'arcata dei denti superiore aperta nel vuoto. Mi hai capito insomma.

Assolutamente d'accordo, anche per i miei gusti il dettaglio è troppo in sordina. Nella prima stesura ci ero andato giù abbastanza pesante, poi però ho asciugato un po' perché mi sono chiesto qual era lo scopo di questo racconto: tutto ruota attorno a Franco, non volevo che troppo gore desse un taglio diverso alla storia. Non è uno splatter, ma vuole essere una storia d'amore con uno sfondo forte, ma che non deve "rubare la scena". Comunque, certamente il tuo commento mi invita a rifletterci ancora.

Franco la osservò con un certo interesse,

Questa frase non mi piace. Fai vedere i suoi pensieri, perché la trova interessante, o semplicemente come la osserva, portandosela vicino agli occhi magari.

Sono d'accordo che sia tell puro. Fa parte della mia ricerca di un compromesso tra le due tecniche. Comunque, posso limare ancora il tell :)


Venne svegliato da qualcuno che bussava alla porta di plastica. Franco aprì gli occhi e accese la lampadina.

Falla più semplice:
Qualcuno bussò alla porta di plastica. Franco aprì gli occhi e accese la lampadina.
Dai dettagli degli occhi chiusi e della luce spenta si capisce che stava dormendo.

Eh.. le microazioni mi perseguitano! Ci sto lavorando :D

«Se cambierai, forse una possibilità te la darò.»

Il dialogo fino a questo momento andava molto bene, questa frase però mi ha tirato fuori. Forse perché mi ha fatto venire in mente il tema in modo troppo ovvio. Non so.

Anche il commento precedente ha sottolineato che il dialogo suona un po' artificioso. Questa frase è un po' troppo per il lettore, e poco per i personaggi. Se mai andrò in semifinale, certamente la cambierò.

Il finale lo vedo troppo concentrato sul cambiare in sé, e meno sui perché di questo cambiamento. Mi è sembrato più un tentativo di allacciarsi ancor di più al tema che la conclusione di un vero arco. Ma è una mia impressione probabilmente, forse legata proprio alla fine del dialogo tra Mario e Franco che, come ti ho detto, mi ha "tirato fuori".

Eh... può darsi. I finali non sono il mio forte :) Magari, come dici tu, se cambio quella battuta di dialogo potrò inserire il finale allacciandolo meglio alla trama. Ci lavorerò in caso passassi il turno!

Conclusioni: Comunque un ottimo lavoro, la prosa è ricca senza essere pesante e la storia si perde giusto un po' all'inizio e alla fine, senza però deviare troppo.
Alla prossima Matteo. Mandi!

Arricchire la prosa è parte del mio lavoro per uscire un po' dallo show don't tell puro (che secondo me, ha le sue limitazioni se uno vuole investire sulla ricchezza del linguaggio), quindi sono contentissimo di questo complimento! E in generale, grazie per gli ottimi consigli!
Mandi Leonardo! Si sintin pì vechios (lett. ci sentiamo più vecchi -> Ci sentiamo più avanti :)

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Michael Dag
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Re: Neve di Calce

Messaggio#11 » domenica 29 agosto 2021, 16:05

Ciao! Non sono in gara, ma ho deciso comunque di fare un giro di commenti.
la storia sicuramente è interessante e molto originale. la scelta dell'evento storico è molto particolare, (io nemmeno sapevo di questa cosa), e il protagonista non è di certo l'eroe senza macchia senza paura, anzi tutt'altro.
un pg che si presenta come negativo, ma per il quale sviluppiamo una forte empatia, quasi compassione.

secondo me, il grosso problema della storia, è il flusso di informazioni. Sono molte le cose importanti da sapere su Franco:
-è un ladro
-è gay
-suo padre lo picchiava (o peggio)
-è povero e ruba per campare
sono tutte info che dovrebbero essere date al lettore il prima possibile, perché sono i cardini intorno ai quali ruoto tutta la storia. Scaglionandole così, ho avuto difficoltà a capire di preciso cosa stava succedendo.
anche il parallelismo tra il terremoto e suo padre è molto bello davvero, ma arriva tardi, quindi ho letto tutta la storia perdendomi le interessanti metafore che avevi seminato.

secondo me, la scena in mensa dell'incontro con Mario è totalmente tagliabile.
potresti presentare il personaggio con un paio di righe alla fine del primo paragrafo, fare come se si fossero conosciuti qualche giorno prima, all'inizio delle operazioni di soccorso.
velocizzeresti molto la lettura.

sullo stile nulla da aggiungere agli appunti che ti hanno già fatto. Non sei uno scribacchino qualsiasi, hai consapevolezza di ciò che stai facendo, e col tempo migliorerai sempre di più.

piccolo appunto personale, ma capisco bene che le traduzioni vadano sempre prese con le pinze.
è caduto un CIOTTOLO addosso a Domenico.
mi ero immaginato un incidente di poco conto, poi scopro che è morto.
ma, ripeto, non è assolutamente un problema.

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MatteoMantoani
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Re: Neve di Calce

Messaggio#12 » domenica 29 agosto 2021, 18:34

Michael Dag ha scritto:Ciao! Non sono in gara, ma ho deciso comunque di fare un giro di commenti.

Ciao Michael. Dunque non sei in gara? Peccato, dato che siamo in pochi pensavo che, col malus, avessi comunque potuto gareggiare.

la storia sicuramente è interessante e molto originale. la scelta dell'evento storico è molto particolare, (io nemmeno sapevo di questa cosa), e il protagonista non è di certo l'eroe senza macchia senza paura, anzi tutt'altro.
un pg che si presenta come negativo, ma per il quale sviluppiamo una forte empatia, quasi compassione.

:D vedi? Ho fatto bene allora a mettere quella didascalia all'inizio. Sono contento che il personaggio susciti empatia. Ci speravo, dato quanto "particolare" è..

secondo me, il grosso problema della storia, è il flusso di informazioni. Sono molte le cose importanti da sapere su Franco:
-è un ladro
-è gay
-suo padre lo picchiava (o peggio)
-è povero e ruba per campare
sono tutte info che dovrebbero essere date al lettore il prima possibile, perché sono i cardini intorno ai quali ruoto tutta la storia. Scaglionandole così, ho avuto difficoltà a capire di preciso cosa stava succedendo.
anche il parallelismo tra il terremoto e suo padre è molto bello davvero, ma arriva tardi, quindi ho letto tutta la storia perdendomi le interessanti metafore che avevi seminato.

Questo si riallaccia con quello che a sua volta mi ha consigliato Francesco. Forse inquadrare questo personaggio fin da subito in effetti permette di dare il giusto contesto alle piccole metafore che semino qua e là. La gestione delle informazioni è ancora qualcosa su cui sto cercando di lavorare, e che mi ha penalizzato in diverse garette...

secondo me, la scena in mensa dell'incontro con Mario è totalmente tagliabile.
potresti presentare il personaggio con un paio di righe alla fine del primo paragrafo, fare come se si fossero conosciuti qualche giorno prima, all'inizio delle operazioni di soccorso.
velocizzeresti molto la lettura.

mmm.. ok. In realtà a me piaceva l'idea di mostrare in qualche modo il primo incontro tra Franco e Mario, per mostrare la (piccola) evoluzione del loro rapporto.. questo, è pur sempre un racconto rosa..

sullo stile nulla da aggiungere agli appunti che ti hanno già fatto. Non sei uno scribacchino qualsiasi, hai consapevolezza di ciò che stai facendo, e col tempo migliorerai sempre di più.

Sono tutto rosso :) grazie del complimento. Spero di arrivare presto a un livello tale da permettermi di fare il "salto" e finalmente esordire.

piccolo appunto personale, ma capisco bene che le traduzioni vadano sempre prese con le pinze.
è caduto un CIOTTOLO addosso a Domenico.
mi ero immaginato un incidente di poco conto, poi scopro che è morto.
ma, ripeto, non è assolutamente un problema.

Ah! Oddio, se ti cade un sasso di fiume in testa dall'altezza di un muro, poi sei più di là che di qua :) però capisco cosa intendi, posso calcare la mano, la prossima volta, per evitare i dubbi

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Re: Neve di Calce

Messaggio#13 » mercoledì 1 settembre 2021, 18:17

Ciao,

inizio subito con delle scuse perché i tuoi commenti sono sempre molto precisi e puntuali e io non mi sento altrettanto brava, quindi spero di condividere con te osservazioni ugualmente utili.
Il tema è centrato pienamente.

Bonus
L'unico bonus dubbio è quello del momento imbarazzante: avrei dato maggiore enfasi all'imbarazzo che si percepisce appena, ma immagino che i caratteri limitati abbiano pesato tanto.
Sul terremoto non ne sapevo nulla, è vera anche la storia dell'orco? In ogni caso come evento epocale mi ha colpita molto.

Giudizio
Il racconto in sé mi è piaciuto anche grazie all'inserimento di frasi che ho trovato molto evocative, complimenti. Credo tu faccia bene a cercare un compromesso tra narrato-immersivo: il modo in cui scrivi è particolare e credo forse sarebbe limitante per te affidarti allo show-dont-tell-puro (per favore non linciatemi per questo parere). Il segreto credo stia nel bilanciare bene le due parti in modo da non perdere il lettore di fronte ad un narrato troppo invadente o irrilevante.

L'inserimento della frase in dialetto ha reso il contesto ancora più vero, quindi complimenti per l'idea.
Passo alla nota dolente: ho trovato la relazione tra Franco e Mario molto "frettolosa". Mi piace come tu abbia seminato il nascere della relazione e l'attenzione ai dettagli, e forse proprio per questo speravo di viverla in modo più approfondita. Anche i dialoghi mi sono risultati un po' finti post-bacio. Forse mi sono persa io qualcosa, ma ho avuto l'impressione di "amore-a-prima-vista" un po' casuale, soprattutto perché è descritta bene l'attrazione fisica che c'è nei confronti di Mario senza sviluppare un'eventuale attrazione più completa. Questa leggerezza mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca e un senso di "incompiuto".
Per il resto di rinnovo i miei complimenti!

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Re: Neve di Calce

Messaggio#14 » mercoledì 1 settembre 2021, 19:27

read_only ha scritto:Ciao,

inizio subito con delle scuse perché i tuoi commenti sono sempre molto precisi e puntuali e io non mi sento altrettanto brava, quindi spero di condividere con te osservazioni ugualmente utili.

Ciao! Tranquilla, come approfondimento nei commenti sei comunque superiore alla media. Io mi sforzo a sviscerare il più possibile un racconto che leggo proprio per sviluppare il "muscolo" della lettura, che aiuta parecchio anche quando si vuole scrivere qualcosa. Quindi, dacci dentro sempre più che puoi! Vedrai che, affinando il tuo spirito critico, riuscirai a tua volta a essere anche più critica verso quello che scrivi tu stessa.

Sul terremoto non ne sapevo nulla, è vera anche la storia dell'orco? In ogni caso come evento epocale mi ha colpita molto.

Sì! In Friuli ai bambini le nonne raccontano di questo orco che, incatenato nelle grotte sotto alle montagne della Carnia, si agita e fa tremare la terra. La leggenda dell'Orcolat esiste da sempre, forse perché i terremoti in Friuli sono abbastanza frequenti (io stesso nella mia vita ho sperimentato diverse scosse, anche se, per fortuna, mai forti come quelle del '76).

Il racconto in sé mi è piaciuto anche grazie all'inserimento di frasi che ho trovato molto evocative, complimenti. Credo tu faccia bene a cercare un compromesso tra narrato-immersivo: il modo in cui scrivi è particolare e credo forse sarebbe limitante per te affidarti allo show-dont-tell-puro (per favore non linciatemi per questo parere). Il segreto credo stia nel bilanciare bene le due parti in modo da non perdere il lettore di fronte ad un narrato troppo invadente o irrilevante.

Sono molto contento di trovare qualcuno che mi dà man forte, in questa mia ricerca. Più volte (in questo forum) i miei racconti scritti in mostrato puro sono stati etichettati come "poco maturi" e "poco profondi" (mi sono mangiato una finale in questo modo, cosa che mi ha segnato un po' XD ). Sono d'accordo! Mi muovo meglio se posso prendermi "qualche libertà", e (spero nessuno linci nemmeno me) i racconti/romanzi in mostrato puro non mi piacciono granché :) (e.. checché ne dicano, li ho trovati pubblicati da una sola casa editrice XDXD)
Grazie per i complimenti, ogni feedback positivo mi aiuta a capire che sto andando verso la strada giusta.

L'inserimento della frase in dialetto ha reso il contesto ancora più vero, quindi complimenti per l'idea.
Passo alla nota dolente: ho trovato la relazione tra Franco e Mario molto "frettolosa". Mi piace come tu abbia seminato il nascere della relazione e l'attenzione ai dettagli, e forse proprio per questo speravo di viverla in modo più approfondita. Anche i dialoghi mi sono risultati un po' finti post-bacio. Forse mi sono persa io qualcosa, ma ho avuto l'impressione di "amore-a-prima-vista" un po' casuale, soprattutto perché è descritta bene l'attrazione fisica che c'è nei confronti di Mario senza sviluppare un'eventuale attrazione più completa. Questa leggerezza mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca e un senso di "incompiuto".
Per il resto di rinnovo i miei complimenti!

Certamente so a cosa ti riferisci. La fase di innamoramento è quella messa un po' più in termini semplicistici, vorrei dirti per mancanza di spazio (è comunque vero), ma forse proprio per una mia lacuna verso questo tipo di storie. Ci devo assolutamente lavorare e riflettere, e fare un nuovo tentativo più avanti, forse.
Grazie per il commento, certamente utile e per niente sbrigativo.

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Re: Neve di Calce

Messaggio#15 » giovedì 2 settembre 2021, 13:00

Ciao Matteo.
Da quanto tempo, eh?
(sì, lo so: ‘sta battuta ha smesso di essere divertente già 3 mesi fa, ma che ci vuoi fare? sono un uomo semplice che si diverte con poco)

Passiamo alle cose serie. Questo è uno di quei racconti che, temo, mi metteranno in crisi in fase di posizionamento visto l’equilibrio tra aspetti positivi e aspetti migliorabili. Innanzitutto, cosa mi è piaciuto. Senz’altro la costruzione dell’intreccio. Le scene da te ideate sono tutte funzionali e non ce n’è nessuna che gira a vuoto (anche se ritengo il flusso d’informazioni non ottimale, ma su questo aspetto ci ritorno). Ottimo anche il protagonista: complesso, sfaccettato e, almeno per quanto mi riguarda, interessante. In altre parole: credibile.

Se quindi da un lato la macrostruttura è buona, ciò che secondo me è migliorabile è il sopracitato flusso d’informazioni. Come già fatto notare da chi mi ha preceduto, i punti focali che caratterizzano la personalità del protagonista vengono resi noti poco per volta, quando invece, essendo essi il motore della storia, andrebbero integrati sin da subito nella narrazione.
A tal proposito, relativamente all’omosessualità del protagonista, ammetto di non essere del tutto convinto dal modo in cui questi rileva i movimenti “femminei” di Mario e ciò per due ragioni. Da un lato sembra di trovarci di fronte alla solita macchietta dell’omosessuale visto da un eterosessuale, dall’altra l’ho trovato un modo un po’ troppo sbrigativo e semplicistico per rappresentare l’omosessualità di ambo i personaggi. Anziché far capire sin da subito al lettore che Mario è omosessuale, mi sarei concentrato maggiormente sulle sensazioni "fisiche" del protagonista, causate ad esempio da un contatto all'apparenza causale ma che porta Franco a provare emozioni contrastanti. La reciproca attrazione è soltanto frutto della sua immaginazione o è reale? L'interesse di Mario è concreto o la sua curiosità nasconde altro? Insomma, non usare il portatore di PDV come alter ego di un narratore onniscente, ma come mezzo per aumentare la drammatizzazione della scena.

E a proposito di narratore...

La polvere copriva tutto: le strade, gli aghi dei pini e dei larici, le bare raccolte sul piazzale di fronte alla chiesa crollata. Pareva scendere dal cielo, come una neve fatta di calce, sottile e inesorabile. Franco starnutì, indietreggiò d'un passo e poggiò la mano sul brandello di muro. L’interno della casa era ricoperto di macerie. Si sedette su un grosso ciottolo e si concesse un momento di riposo.

Come credo tu sappia, non sono un nazista dello stile immersivo sempre e comunque. Nulla in contrario, quindi, se decidi di usare un narratore esterno. Attenzione però a gestire al meglio nel fornire al lettore le immagini descritte. Mi spiego: in questo estratto la tua “telecamera” parte dalla strada, ergo dal basso, per poi spostarsi in alto (gli alberi), quindi di nuovo in basso (le bare), per poi, infine, scoprire che il personaggio si trova DENTRO una casa e non all’esterno, senza alcun accenno al fatto che quell’immagine derivasse da un’osservazione alla finestra. Per quanto l’immagine in generale sia pregevole, ho trovato la sua costruzione confusionaria e di certo migliorabile.

sbatté le mani

Sbattere mi dà l’idea di qualcosa di accidentale. Credo invece che l’effetto che intendevi tu fosse quello di due mani che “battono” l’una contro l’altra.

Fu in quel momento che si accorse del piede che spuntava tra le travi spezzate.

Attenzione a tutte quelle formule che altro non sono che sinonimi di “improvvisamente”, in quanto 99 volte su 100 non fanno altro che avvertire il lettore che “ehi, amico, sta per succedere qualcosa d’inaspettato, ma tu fai pure finta che io non ti abbia avvisato, ok?”.


L’aveva fatto ancora, aveva fantasticato un quel modo sporco, che sapeva essere sbagliato.

Piccolo errore di battitura.

Per concludere, ribadisco il mio apprezzamento per trama e soprattutto personaggio, più che pregevoli. Con qualche limata alla forma, questo può diventare un racconto davvero ottimo.
Alla prossima.
lupus in fabula

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MatteoMantoani
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Re: Neve di Calce

Messaggio#16 » giovedì 2 settembre 2021, 18:49

John Doe ha scritto:Ciao Matteo.
Da quanto tempo, eh?
(sì, lo so: ‘sta battuta ha smesso di essere divertente già 3 mesi fa, ma che ci vuoi fare? sono un uomo semplice che si diverte con poco)

Eh :) aspettavo con ansia il tuo commento. Sul serio... ansia! XD

Se quindi da un lato la macrostruttura è buona, ciò che secondo me è migliorabile è il sopracitato flusso d’informazioni. Come già fatto notare da chi mi ha preceduto, i punti focali che caratterizzano la personalità del protagonista vengono resi noti poco per volta, quando invece, essendo essi il motore della storia, andrebbero integrati sin da subito nella narrazione.

Un appunto prezioso che è emerso anche da altri commenti. Ci devo seriamente riflettere.

A tal proposito, relativamente all’omosessualità del protagonista, ammetto di non essere del tutto convinto dal modo in cui questi rileva i movimenti “femminei” di Mario e ciò per due ragioni. Da un lato sembra di trovarci di fronte alla solita macchietta dell’omosessuale visto da un eterosessuale, dall’altra l’ho trovato un modo un po’ troppo sbrigativo e semplicistico per rappresentare l’omosessualità di ambo i personaggi. Anziché far capire sin da subito al lettore che Mario è omosessuale, mi sarei concentrato maggiormente sulle sensazioni "fisiche" del protagonista, causate ad esempio da un contatto all'apparenza causale ma che porta Franco a provare emozioni contrastanti. La reciproca attrazione è soltanto frutto della sua immaginazione o è reale? L'interesse di Mario è concreto o la sua curiosità nasconde altro? Insomma, non usare il portatore di PDV come alter ego di un narratore onniscente, ma come mezzo per aumentare la drammatizzazione della scena.

A costo di entrare in una valle di lacrime, ti confido che certe supposizioni su come i gay attaccano bottone, le ho inferite dalle mie discussioni con amici omosessuali. In soldoni, mi sembra di aver capito che è facile per loro "riconoscersi" e ancora più facile "rompere il ghiaccio". Non so se questo sia un caso particolare relativo solo ai miei amici, ma ho voluto comunque riportare questo aspetto nel racconto. Certamente generalizzare è sempre un errore, e leggendo il racconto si potrebbe avere, come hai avuto tu, l'impressione che abbia la tendenza a semplificare certi meccanismi... però, non era mia intenzione.
Tutto oro il resto, riguardo alla mancanza di dubbi sull'interessamento di Mario da parte di Franco: aggiungere un tale dettaglio darebbe ulteriore profondità al protagonista.

Ottime anche le note puntuali, cercherò di calarmi meglio nel pdv anche quando scrivo in terza persona. Sulla terza persona, devo allenarmi ancora. Sigh.

Per concludere, ribadisco il mio apprezzamento per trama e soprattutto personaggio, più che pregevoli. Con qualche limata alla forma, questo può diventare un racconto davvero ottimo.
Alla prossima.

Sempre un commento lucido e più che utile, grazie mille Alessandro!

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