Scherzi dell'ultimo minuto
Inviato: martedì 18 gennaio 2022, 0:48
Lo sportello del mio armadietto è chiuso da un grosso lucchetto di cui, guarda caso, non possiedo le chiavi.
Già sono in ritardo di mezz’ora, ora ci si mettono pure quegli stronzi dei colleghi con i loro scherzi idioti.
Non ne posso più!
Recupero due cacciaviti dalla cassetta degli attrezzi buttata in un angolo.
Armeggio con gli strumenti di fortuna tra l’arco e il corpo del marchingegno e faccio leva nel tentativo di scassinarlo.
Sudo, tutto quello che tocco diventa scivoloso, fatico a tenere salda la presa.
Con la coda dell’occhio sbircio l’orologio sulla porta d’ingresso, 08:19.
«Cazzo!»
La lancetta dei minuti scivola via veloce come se facesse a gara con quella dei secondi per mettermi fretta.
Non posso fare tardi anche a ‘sto giro.
«Dai apriti madonna santa… se becco chi è stato… giuro che me la paga!»
Impreco, imprimo con più forza…
«Allora, ti vuoi aprire o no puttana vigliacca!»
Impreco, imprimo con più forza…
«Daiiiiii…» Stock
La serratura si apre.
Ricontrollo l’ora, 08:24.
Ho sei minuti di tempo per timbrare il cartellino e volare in sala macchine.
Se anche oggi il capo mi vede arrivare tardi, posso dire addio al posto di lavoro.
Apro l’anta del guardaroba metallico, verifico che ci sia tutto e soprattutto che non ci sia qualcosa di strano. L’ultima volta ci avevano messo dentro una tarantola quei bastardi!
Tutto pulito, per così dire.
Indosso la tuta unta di grasso il più svelto che riesco.
Con un braccio e una gamba infilati dentro, saltello di qua e di là su un piede solo.
Inciampo.
Vedo pavimento, parete e soffitto in sequenza, prima di schiantarmi di schiena per terra.
Non emetto un solo rantolo di dolore, ho bestemmiato abbastanza contro il lucchetto.
Mi appoggio alla panca che mi ha fatto lo sgambetto e finisco di vestirmi.
Anche lei si diverte a prendersi gioco di me come tutti gli altri.
Forse sono io che glielo lascio fare? Forse essere buoni a ‘sto mondo vuol dire farsi prendere per il culo dalla mattina alla sera?
Sto iniziando a rompermi di questo giochino.
Corro, mi sistemo il colletto e le maniche della divisa mentre mi affretto tra un corridoio e l’altro.
Non perdo tempo a salutare quei voltafaccia, a scrutare nei loro ghigni maliziosi per capire chi possa aver chiuso il mio armadietto, non ne vale la pena.
Il mio intento è quello di timbrare e volare alla mia postazione, sperando che la giornata termini il prima possibile.
«Ehi là, guarda un po’ chi si vede!» Un braccio muscoloso mi serra il torace da dietro.
«Lasciami andare Lucas che sono già in ritardo per colpa vostra!» Provo a divincolarmi.
Quello che sembra essere un abbraccio affettuoso è in realtà una presa di lotta greco-romana, non riesco a scostarlo di un millimetro.
«Colpa nostra per cosa? Se io sono arrivato adesso» Non molla la morsa.
«Lo sai benissimo per cosa… comunque ti prego, lasciami andare…» Provo a fargli pena.
«Va bene ti lascio» La sua comunicazione verbale è in netto contrasto con quella non verbale.
Col cazzo che allenta la stretta.
«Dai per favore, ho solo due minuti. Se non timbro in tempo questo mese ho superato la soglia dei ritardi e mi licenziano!» Ultima chance.
«E a me che me ne importa!» Scoppia a ridere.
Come lui, sento altre risate alle mie spalle.
È probabile che dietro di me ci sia il corteo di coglioni pronti a divertirsi con il povero sfigato.
Di sicuro sono stati loro a mettere il lucchetto insieme a Lucas.
Sto iniziando a rompermi di questo giochino!
«A te che te ne importa? Che te ne importa?!» La testa mi esplode, sento una vena che si gonfia e martella sulla fronte, il sangue che pulsa.
«Che te ne importa dici!» Urlo a squarciagola!
Dalla tasca estraggo il cacciavite ancora imperlato di sudore e glielo conficco all’altezza della spalla.
Lo sento penetrare nella carne, aprirsi strada tra la carotide e la trachea.
Non contento ripeto il gesto una, due, tre volte finché alla fine, non molla la presa.
Mi volto.
I miei colleghi sono impietriti.
Guardo il corpo di Lucas che giace ai miei piedi.
Guardo l’orologio, 08:37.
Vaffanculo ho fatto tardi anche ‘sta volta!
Già sono in ritardo di mezz’ora, ora ci si mettono pure quegli stronzi dei colleghi con i loro scherzi idioti.
Non ne posso più!
Recupero due cacciaviti dalla cassetta degli attrezzi buttata in un angolo.
Armeggio con gli strumenti di fortuna tra l’arco e il corpo del marchingegno e faccio leva nel tentativo di scassinarlo.
Sudo, tutto quello che tocco diventa scivoloso, fatico a tenere salda la presa.
Con la coda dell’occhio sbircio l’orologio sulla porta d’ingresso, 08:19.
«Cazzo!»
La lancetta dei minuti scivola via veloce come se facesse a gara con quella dei secondi per mettermi fretta.
Non posso fare tardi anche a ‘sto giro.
«Dai apriti madonna santa… se becco chi è stato… giuro che me la paga!»
Impreco, imprimo con più forza…
«Allora, ti vuoi aprire o no puttana vigliacca!»
Impreco, imprimo con più forza…
«Daiiiiii…» Stock
La serratura si apre.
Ricontrollo l’ora, 08:24.
Ho sei minuti di tempo per timbrare il cartellino e volare in sala macchine.
Se anche oggi il capo mi vede arrivare tardi, posso dire addio al posto di lavoro.
Apro l’anta del guardaroba metallico, verifico che ci sia tutto e soprattutto che non ci sia qualcosa di strano. L’ultima volta ci avevano messo dentro una tarantola quei bastardi!
Tutto pulito, per così dire.
Indosso la tuta unta di grasso il più svelto che riesco.
Con un braccio e una gamba infilati dentro, saltello di qua e di là su un piede solo.
Inciampo.
Vedo pavimento, parete e soffitto in sequenza, prima di schiantarmi di schiena per terra.
Non emetto un solo rantolo di dolore, ho bestemmiato abbastanza contro il lucchetto.
Mi appoggio alla panca che mi ha fatto lo sgambetto e finisco di vestirmi.
Anche lei si diverte a prendersi gioco di me come tutti gli altri.
Forse sono io che glielo lascio fare? Forse essere buoni a ‘sto mondo vuol dire farsi prendere per il culo dalla mattina alla sera?
Sto iniziando a rompermi di questo giochino.
Corro, mi sistemo il colletto e le maniche della divisa mentre mi affretto tra un corridoio e l’altro.
Non perdo tempo a salutare quei voltafaccia, a scrutare nei loro ghigni maliziosi per capire chi possa aver chiuso il mio armadietto, non ne vale la pena.
Il mio intento è quello di timbrare e volare alla mia postazione, sperando che la giornata termini il prima possibile.
«Ehi là, guarda un po’ chi si vede!» Un braccio muscoloso mi serra il torace da dietro.
«Lasciami andare Lucas che sono già in ritardo per colpa vostra!» Provo a divincolarmi.
Quello che sembra essere un abbraccio affettuoso è in realtà una presa di lotta greco-romana, non riesco a scostarlo di un millimetro.
«Colpa nostra per cosa? Se io sono arrivato adesso» Non molla la morsa.
«Lo sai benissimo per cosa… comunque ti prego, lasciami andare…» Provo a fargli pena.
«Va bene ti lascio» La sua comunicazione verbale è in netto contrasto con quella non verbale.
Col cazzo che allenta la stretta.
«Dai per favore, ho solo due minuti. Se non timbro in tempo questo mese ho superato la soglia dei ritardi e mi licenziano!» Ultima chance.
«E a me che me ne importa!» Scoppia a ridere.
Come lui, sento altre risate alle mie spalle.
È probabile che dietro di me ci sia il corteo di coglioni pronti a divertirsi con il povero sfigato.
Di sicuro sono stati loro a mettere il lucchetto insieme a Lucas.
Sto iniziando a rompermi di questo giochino!
«A te che te ne importa? Che te ne importa?!» La testa mi esplode, sento una vena che si gonfia e martella sulla fronte, il sangue che pulsa.
«Che te ne importa dici!» Urlo a squarciagola!
Dalla tasca estraggo il cacciavite ancora imperlato di sudore e glielo conficco all’altezza della spalla.
Lo sento penetrare nella carne, aprirsi strada tra la carotide e la trachea.
Non contento ripeto il gesto una, due, tre volte finché alla fine, non molla la presa.
Mi volto.
I miei colleghi sono impietriti.
Guardo il corpo di Lucas che giace ai miei piedi.
Guardo l’orologio, 08:37.
Vaffanculo ho fatto tardi anche ‘sta volta!