Ricominciare da capo
Inviato: lunedì 21 febbraio 2022, 23:00
«Cocca, questo è il mio banco.»
Livia alzò la testa. Una moretta la stava fissando a braccia incrociate. La mascherina sul viso si muoveva a ritmo del masticamento della gomma.
«Io... scusa.» Livia si alzò di scatto, rovesciando in terra la sedia. Gli altri compagni risero. Che disastro.
«Tu sei quella nuova?» La moretta poggiò le mani sul banco e si sporse verso di lei.
«Sì. Non so dove mettermi.»
«Quello è il tuo posto.» Indicò l'angolino in fondo all'aula. «Accanto alla Bertini.»
Risero tutti di nuovo. Non prometteva affatto bene.
Livia si trascinò verso la nuova postazione. La Bertini stava chinata in avanti, occhi chiusi e airpods nelle orecchie. Stava dormendo?
«Scusa.» Livia si avvicinò di un passo.
La Bertini sollevò la testa e si stropicciò gli occhi. Era davvero troppo alta per avere dodici anni. Si levò una cuffietta dall'orecchio. «E tu chi cazzo sei?»
Livia rimase a bocca aperta. «Sono... quella nuova. Mi hanno detto di mettermi qui.»
L'altra la scrutò per un paio di secondi, afferrò lo zaino e lo mise sopra al banco libero. «Se vuoi la sedia, prendila. Ma sul tuo banco ci stanno le mie cose. E non provare a toccarle.»
Livia rimase in piedi, tremante, mentre la Bertini si accoccolava di nuovo ad ascoltare la musica. O a dormire.
Dove diavolo era finita?
*
Scavalcò uno scatolone e raggiunse la porta della cucina. A giudicare dallo sfrigolio e dall'odore, mamma stava facendo il soffritto.
«Ehi, piccola mia!» Mamma si voltò verso di lei e abbozzò un sorriso. «Com'è andato il primo giorno?»
Livia si guardò attorno. La cucina era ancora un disastro, scatoloni ovunque, anche sul tavolo. Dove si sarebbero messe a mangiare?
«La scuola nuova fa schifo.» Se ne tornò in sala. Avrebbe voluto chiudersi in camera sua ma ancora non aveva nemmeno un letto su cui disperarsi in santa pace. Scansò una pila di vestiti dal divano e si mise a sedere. «E anche la casa. Qui fa tutto schifo.»
«Piccola.» Mamma la seguì in salotto e si inginocchiò davanti a lei. «Che è successo?»
Gli occhi si fecero umidi. «Ridono tutti di me.» Si asciugò le prime lacrime col dorso della mano. «E la mia compagna di banco è...» Come definirla? «...una stronza.»
«Livia!» Mamma sgranò gli occhi.
«Mamma, ti prego.» Le buttò le braccia al collo. «Voglio tornare a casa mia.»
Lei la strinse forte. «Piccola, casa nostra è questa adesso. E anche la scuola...»
«Ma non mi piace!»
«Guarda il lato positivo.» La mamma la scansò di poco per fissarla negli occhi. «Casa nuova, scuola nuova, vita nuova. Qui possiamo ricominciare da capo. Essere cosa ci pare.»
Essere cosa ci pare? Cosa voleva dire?
«Mamma, questo odore...»
«Oh cazzo!» La mamma saltò in piedi e schizzò verso la cucina, da cui stava già provenendo un filo di fumo grigio.
*
Il Giannetti stava scrivendo operazioni alla lavagna da quasi venti minuti. Tra i banchi alcuni spulciavano i telefoni, altri chiacchieravano. Una si stava truccando.
Livia era rigida sulla sedia col quaderno degli appunti sulle ginocchia. Non era riuscita a scrivere un solo rigo, lo sguardo continuava a cadere sullo zaino nero della Bertini che occupava il suo banco. Che poi chissà che lo portava a fare lo zaino.
Un rutto risuonò per la classe. Un momento di gelo. Tutti risero.
Livia si voltò verso la sua compagna che si massaggiava il petto soddisfatta.
«Chi è stato?» Il Giannetti si voltò inferocito, picchiò una mano sulla cattedra. «Voglio sapere chi è stato!»
Livia si morse il labbro. Poteva essere l'occasione per farla pagare a quell'arpia?
Non ebbe il tempo di pensarci, una decina di mani indicarono nella loro direzione. Nemmeno a fare la spia era abbastanza lesta.
«Bertini, sei stata tu?» Il Giannetti si avvicinò ad ampie falcate facendo slalom tra i banchi. Si piazzò di fronte a Livia. «Dimmi, è stata lei?»
Livia sussultò, si voltò di lato. La sua compagna di banco incrociò il suo sguardo e sollevò le spalle. Davvero non le importava? Forse l'avrebbero sospesa. E lei avrebbe avuto un po' di tregua. Forse...
Livia ingoiò mezzo litro di saliva. «Mi scusi, prof, sono stata io.» Non riusciva a credere di averlo detto. Il Giannetti la fissava, incredulo. Doveva fare di meglio. Strinse la pancia con tutta la sua forza, sforzò la gola e si lasciò andare. Il verso di un ranocchio, più che un rutto vero e proprio.
Due secondi di silenzio, e la classe esplose in un boato. Il Giannetti era paonazzo. «Basta! Smettete di ridere! E tu...» Puntò l'indice verso di lei. «Per questa volta te la cavi con una nota sul registro. Ma la prossima volta...»
Si voltò e tornò alla cattedra, mentre gli schiamazzi non accennavano a placarsi.
La Bertini si sporse verso di lei. «Sei strana tu. Forse ti ho giudicata male.»
Afferrò lo zaino nero e liberò il suo banco. Poi si chinò in avanti e chiuse gli occhi.
Livia si fissò le mani, che non volevano smettere di tremare. Era la cosa più coraggiosa che avesse mai fatto. E non era andata male.
Forse mamma aveva ragione. Poteva essere cosa le pareva. Anche una che ruttava in faccia ai prof.
Chissà se intendeva quello, quando glielo aveva detto.
Livia alzò la testa. Una moretta la stava fissando a braccia incrociate. La mascherina sul viso si muoveva a ritmo del masticamento della gomma.
«Io... scusa.» Livia si alzò di scatto, rovesciando in terra la sedia. Gli altri compagni risero. Che disastro.
«Tu sei quella nuova?» La moretta poggiò le mani sul banco e si sporse verso di lei.
«Sì. Non so dove mettermi.»
«Quello è il tuo posto.» Indicò l'angolino in fondo all'aula. «Accanto alla Bertini.»
Risero tutti di nuovo. Non prometteva affatto bene.
Livia si trascinò verso la nuova postazione. La Bertini stava chinata in avanti, occhi chiusi e airpods nelle orecchie. Stava dormendo?
«Scusa.» Livia si avvicinò di un passo.
La Bertini sollevò la testa e si stropicciò gli occhi. Era davvero troppo alta per avere dodici anni. Si levò una cuffietta dall'orecchio. «E tu chi cazzo sei?»
Livia rimase a bocca aperta. «Sono... quella nuova. Mi hanno detto di mettermi qui.»
L'altra la scrutò per un paio di secondi, afferrò lo zaino e lo mise sopra al banco libero. «Se vuoi la sedia, prendila. Ma sul tuo banco ci stanno le mie cose. E non provare a toccarle.»
Livia rimase in piedi, tremante, mentre la Bertini si accoccolava di nuovo ad ascoltare la musica. O a dormire.
Dove diavolo era finita?
*
Scavalcò uno scatolone e raggiunse la porta della cucina. A giudicare dallo sfrigolio e dall'odore, mamma stava facendo il soffritto.
«Ehi, piccola mia!» Mamma si voltò verso di lei e abbozzò un sorriso. «Com'è andato il primo giorno?»
Livia si guardò attorno. La cucina era ancora un disastro, scatoloni ovunque, anche sul tavolo. Dove si sarebbero messe a mangiare?
«La scuola nuova fa schifo.» Se ne tornò in sala. Avrebbe voluto chiudersi in camera sua ma ancora non aveva nemmeno un letto su cui disperarsi in santa pace. Scansò una pila di vestiti dal divano e si mise a sedere. «E anche la casa. Qui fa tutto schifo.»
«Piccola.» Mamma la seguì in salotto e si inginocchiò davanti a lei. «Che è successo?»
Gli occhi si fecero umidi. «Ridono tutti di me.» Si asciugò le prime lacrime col dorso della mano. «E la mia compagna di banco è...» Come definirla? «...una stronza.»
«Livia!» Mamma sgranò gli occhi.
«Mamma, ti prego.» Le buttò le braccia al collo. «Voglio tornare a casa mia.»
Lei la strinse forte. «Piccola, casa nostra è questa adesso. E anche la scuola...»
«Ma non mi piace!»
«Guarda il lato positivo.» La mamma la scansò di poco per fissarla negli occhi. «Casa nuova, scuola nuova, vita nuova. Qui possiamo ricominciare da capo. Essere cosa ci pare.»
Essere cosa ci pare? Cosa voleva dire?
«Mamma, questo odore...»
«Oh cazzo!» La mamma saltò in piedi e schizzò verso la cucina, da cui stava già provenendo un filo di fumo grigio.
*
Il Giannetti stava scrivendo operazioni alla lavagna da quasi venti minuti. Tra i banchi alcuni spulciavano i telefoni, altri chiacchieravano. Una si stava truccando.
Livia era rigida sulla sedia col quaderno degli appunti sulle ginocchia. Non era riuscita a scrivere un solo rigo, lo sguardo continuava a cadere sullo zaino nero della Bertini che occupava il suo banco. Che poi chissà che lo portava a fare lo zaino.
Un rutto risuonò per la classe. Un momento di gelo. Tutti risero.
Livia si voltò verso la sua compagna che si massaggiava il petto soddisfatta.
«Chi è stato?» Il Giannetti si voltò inferocito, picchiò una mano sulla cattedra. «Voglio sapere chi è stato!»
Livia si morse il labbro. Poteva essere l'occasione per farla pagare a quell'arpia?
Non ebbe il tempo di pensarci, una decina di mani indicarono nella loro direzione. Nemmeno a fare la spia era abbastanza lesta.
«Bertini, sei stata tu?» Il Giannetti si avvicinò ad ampie falcate facendo slalom tra i banchi. Si piazzò di fronte a Livia. «Dimmi, è stata lei?»
Livia sussultò, si voltò di lato. La sua compagna di banco incrociò il suo sguardo e sollevò le spalle. Davvero non le importava? Forse l'avrebbero sospesa. E lei avrebbe avuto un po' di tregua. Forse...
Livia ingoiò mezzo litro di saliva. «Mi scusi, prof, sono stata io.» Non riusciva a credere di averlo detto. Il Giannetti la fissava, incredulo. Doveva fare di meglio. Strinse la pancia con tutta la sua forza, sforzò la gola e si lasciò andare. Il verso di un ranocchio, più che un rutto vero e proprio.
Due secondi di silenzio, e la classe esplose in un boato. Il Giannetti era paonazzo. «Basta! Smettete di ridere! E tu...» Puntò l'indice verso di lei. «Per questa volta te la cavi con una nota sul registro. Ma la prossima volta...»
Si voltò e tornò alla cattedra, mentre gli schiamazzi non accennavano a placarsi.
La Bertini si sporse verso di lei. «Sei strana tu. Forse ti ho giudicata male.»
Afferrò lo zaino nero e liberò il suo banco. Poi si chinò in avanti e chiuse gli occhi.
Livia si fissò le mani, che non volevano smettere di tremare. Era la cosa più coraggiosa che avesse mai fatto. E non era andata male.
Forse mamma aveva ragione. Poteva essere cosa le pareva. Anche una che ruttava in faccia ai prof.
Chissà se intendeva quello, quando glielo aveva detto.