La Medicina - Giulio Marchese
Inviato: martedì 22 febbraio 2022, 1:17
Paolo guardò il letto in cui giaceva sua madre, le coperte logore si gonfiavano e si sgonfiavano lente e con ritmo irregolare.
C’era odore di polvere e di muffa, il fischio del respiro della donna si piantava nel cervello come un chiodo.
Continuando così non sarebbe sopravvissuta alla notte, aveva bisogno della sua medicina.
Per Paolo c’era solo una cosa da fare: doveva uscire.
Era stata sempre sua madre a pensare alle provviste, all’acqua potabile e a tutto quello che poteva servire in quel mondo malato. Era giunto il momento di ricambiare almeno in parte quanto aveva fatto per lui. Non era più un bambino ormai.
Chiuse la porta della camera da letto, non c’era bisogno che lei se ne accorgesse. Sarebbero bastati pochi minuti: percorri il corridoio del condominio, una rampa di scale e sei fuori, attraversa la piazza entra nel centro commerciale e raggiungi la farmacia.
Sua madre ripeteva quell’itinerario come un mantra.
Indossò la giacca di pelle nera, oltre che pantaloni e scarponi dello stesso colore. L’oscurità era la sua migliore amica.
Mise anche le gomitiere e i parastinchi, non che sarebbero serviti se avesse incontrato un velocitor, ma potevano essere utili con le creature più piccole.
Si avviò alla porta, afferrò la maniglia gelida e si volto verso la sua casa. Anche da lì si sentivano gli affannosi gemiti della madre. Chiuse gli occhi, era di momento di andare, espirò fino a svuotare i polmoni e girò la maniglia.
Il corridoio buio gli dava copertura, alcune creature potevano vederlo ma le più pericolose erano quasi cieche. Doveva fare meno rumore possibile.
I neon intermittenti gli permettevano a stento di orientarsi. E pensare che in quei corridoi aveva trascorso gran parte della sua vita, i giochi con i figli dei vicini, le corse a scuola sua madre che gli urlava di rientrare per cena. Ma quello era prima.
La malattia che aveva colpito sua madre era stato l’ultimo atto di quei cinque anni di inferno, era stato costretto a crescere in fretta.
La tromba delle scale sembrava un mare di inchiostro nero, ci si immerse.
Nel buio più totale sentiva qualcosa muoversi intorno a lui. Dei gracidii, il raschiare di unghie e un forte odore di candeggina.
Qualcosa gli morse la gamba, cerco di calciarla via ma la creatura aveva conficcato i denti nel parastinchi. Paolo perse l’equilibrio e rotolo giù.
Un altro morso, stavolta al braccio. Ancora al fianco e alla mano.
Si dimenava ma era inutile: sarebbe morto lì, divorato da delle insulse creaturine, chiuse gli occhi.
Fu investito da un forte calore e da una puzza nauseate, aprì gli occhi e vede una sfera di fuoco agitarsi sopra di lui. Le creaturine avevano mollato la presa e stavano fuggendo in tutte le direzioni.
Era la prima volta che le vedeva illuminate. Erano simili a lucertole con indosso un armatura di cartilagine e sei zampe. Al termine della coda avevano un pungiglione grande come un ago da sarta.
«Ringrazia che ti abbiano solo preso a morsi, se ti pungevano non avrei potuto aiutarti.»
Paolo si mise a sedere, una ragazza con capelli miele roteava una mazza la cui estremità era in fiamme.
Elisa. La bambina del piano di sopra con cui giocava prima che tutto andasse in pezzi. Era lei ne era certo.
La ragazza gli protese la mano e lo aiutò ad alzarsi, lo guardò con gli occhi sgranati.
«Ma tu… sei Paolo?»
Paolo annui «grazie, mi hai salvato. Ma che ci fai qua fuori?»
La ragazza si spostò una ciocca dietro l’orecchio e si voltò in direzione del centro commerciale. «Devo prendere le medicine per mio fratello. Ha il morbo…»
Paolo sospirò. «Anche mia madre, stavo anc—»
«Zitto!» Elisa si agitò la mazza più velocemente. «Stanno arrivando.»
Un velocitor saltò con la mascella aperta centoottanta gradi verso Elisa che lo colpì al volo con la mazza.
La creatura ruggì con voce acuta, somigliava a un lupo ma al posto del pelo avevo un ammasso di pustole pruriginose. L’odore di candeggina aumentò sempre di più.
Elisa afferrò Paolo per la mano fronteggiando il velocitor. «Corri!»
Paolo scatto in direzione del centro commerciale, senti dietro di sé la creatura gemere di nuovo e i passi di Elisa dietro di sé.
Dalla sua destra i tre fila di denti comparvero dal buio. Paolo si abbassò e con un colpo di spalla lanciò la bestia dal lato opposto.
Entrarono nel centro commerciale, Elisa sprango la porta con la sua mazza. I velocitor all’esterno presero a testate l’ingresso un paio di volte. Poi scomparvero nel buio.
Paolo aveva il fiatone, la spalla gli doleva, ci appoggiò la mano e la vide sporca di sangue.
Elisa indico la strada e si incamminò.
Paolo la segui zoppicando.
Entrarono nella farmacia. Scavalcarono il bancone e si diressero sul retro.
Elisa accese una torcia elettrica e illuminò gli scaffali semivuoti. «Dovrebbe essere qui.»
La medicina era proprio lì, a portata di mano c’era l’ultimo flacone.
Elisa lo guardò e indietreggiò con gli occhi spalancati.
Uccidi Elisa, esci dal centro commerciale, attraversa la piazza, una rampa di scale, corridoio, casa.
C’era odore di polvere e di muffa, il fischio del respiro della donna si piantava nel cervello come un chiodo.
Continuando così non sarebbe sopravvissuta alla notte, aveva bisogno della sua medicina.
Per Paolo c’era solo una cosa da fare: doveva uscire.
Era stata sempre sua madre a pensare alle provviste, all’acqua potabile e a tutto quello che poteva servire in quel mondo malato. Era giunto il momento di ricambiare almeno in parte quanto aveva fatto per lui. Non era più un bambino ormai.
Chiuse la porta della camera da letto, non c’era bisogno che lei se ne accorgesse. Sarebbero bastati pochi minuti: percorri il corridoio del condominio, una rampa di scale e sei fuori, attraversa la piazza entra nel centro commerciale e raggiungi la farmacia.
Sua madre ripeteva quell’itinerario come un mantra.
Indossò la giacca di pelle nera, oltre che pantaloni e scarponi dello stesso colore. L’oscurità era la sua migliore amica.
Mise anche le gomitiere e i parastinchi, non che sarebbero serviti se avesse incontrato un velocitor, ma potevano essere utili con le creature più piccole.
Si avviò alla porta, afferrò la maniglia gelida e si volto verso la sua casa. Anche da lì si sentivano gli affannosi gemiti della madre. Chiuse gli occhi, era di momento di andare, espirò fino a svuotare i polmoni e girò la maniglia.
Il corridoio buio gli dava copertura, alcune creature potevano vederlo ma le più pericolose erano quasi cieche. Doveva fare meno rumore possibile.
I neon intermittenti gli permettevano a stento di orientarsi. E pensare che in quei corridoi aveva trascorso gran parte della sua vita, i giochi con i figli dei vicini, le corse a scuola sua madre che gli urlava di rientrare per cena. Ma quello era prima.
La malattia che aveva colpito sua madre era stato l’ultimo atto di quei cinque anni di inferno, era stato costretto a crescere in fretta.
La tromba delle scale sembrava un mare di inchiostro nero, ci si immerse.
Nel buio più totale sentiva qualcosa muoversi intorno a lui. Dei gracidii, il raschiare di unghie e un forte odore di candeggina.
Qualcosa gli morse la gamba, cerco di calciarla via ma la creatura aveva conficcato i denti nel parastinchi. Paolo perse l’equilibrio e rotolo giù.
Un altro morso, stavolta al braccio. Ancora al fianco e alla mano.
Si dimenava ma era inutile: sarebbe morto lì, divorato da delle insulse creaturine, chiuse gli occhi.
Fu investito da un forte calore e da una puzza nauseate, aprì gli occhi e vede una sfera di fuoco agitarsi sopra di lui. Le creaturine avevano mollato la presa e stavano fuggendo in tutte le direzioni.
Era la prima volta che le vedeva illuminate. Erano simili a lucertole con indosso un armatura di cartilagine e sei zampe. Al termine della coda avevano un pungiglione grande come un ago da sarta.
«Ringrazia che ti abbiano solo preso a morsi, se ti pungevano non avrei potuto aiutarti.»
Paolo si mise a sedere, una ragazza con capelli miele roteava una mazza la cui estremità era in fiamme.
Elisa. La bambina del piano di sopra con cui giocava prima che tutto andasse in pezzi. Era lei ne era certo.
La ragazza gli protese la mano e lo aiutò ad alzarsi, lo guardò con gli occhi sgranati.
«Ma tu… sei Paolo?»
Paolo annui «grazie, mi hai salvato. Ma che ci fai qua fuori?»
La ragazza si spostò una ciocca dietro l’orecchio e si voltò in direzione del centro commerciale. «Devo prendere le medicine per mio fratello. Ha il morbo…»
Paolo sospirò. «Anche mia madre, stavo anc—»
«Zitto!» Elisa si agitò la mazza più velocemente. «Stanno arrivando.»
Un velocitor saltò con la mascella aperta centoottanta gradi verso Elisa che lo colpì al volo con la mazza.
La creatura ruggì con voce acuta, somigliava a un lupo ma al posto del pelo avevo un ammasso di pustole pruriginose. L’odore di candeggina aumentò sempre di più.
Elisa afferrò Paolo per la mano fronteggiando il velocitor. «Corri!»
Paolo scatto in direzione del centro commerciale, senti dietro di sé la creatura gemere di nuovo e i passi di Elisa dietro di sé.
Dalla sua destra i tre fila di denti comparvero dal buio. Paolo si abbassò e con un colpo di spalla lanciò la bestia dal lato opposto.
Entrarono nel centro commerciale, Elisa sprango la porta con la sua mazza. I velocitor all’esterno presero a testate l’ingresso un paio di volte. Poi scomparvero nel buio.
Paolo aveva il fiatone, la spalla gli doleva, ci appoggiò la mano e la vide sporca di sangue.
Elisa indico la strada e si incamminò.
Paolo la segui zoppicando.
Entrarono nella farmacia. Scavalcarono il bancone e si diressero sul retro.
Elisa accese una torcia elettrica e illuminò gli scaffali semivuoti. «Dovrebbe essere qui.»
La medicina era proprio lì, a portata di mano c’era l’ultimo flacone.
Elisa lo guardò e indietreggiò con gli occhi spalancati.
Uccidi Elisa, esci dal centro commerciale, attraversa la piazza, una rampa di scale, corridoio, casa.