In bocca al...
Inviato: martedì 17 maggio 2022, 0:52
Afferro l’elsa con entrambe le mani, poggio un piede contro il tronco e tiro con tutta la forza. La lama resta bloccata nel legno, infissa in quel legno centenario.
«Eppure il vecchio deve averti avvisato. La driade ritorna alla sua forma una volta uccisa!»
Una voce nota, metto mano al pugnale. La spada invece resta dov'è, stretta in una morsa dal peso stesso dell’albero, inamovibile.
«Poco male, messer Umberto. Avevo comunque bisogno di legna da ardere per il prossimo inverno.»
Il sarcasmo funzionerebbe meglio, se solo riuscissi a nascondere il tremito che ho in gola.
Anche il mio cavallo, a pochi passi dall’uomo, dà segni di nervosismo, tira le briglie come provando a spezzare il ramo a cui sono legate.
Messer Umberto allunga il braccio, gli dà delle pacche, lo calma. Si interrompe per fissarmi, indica verso l’alto. L’altra mano regge una scure, il manico raddoppia la portata del suo braccio, ma non la punta contro di me, la usa come bastone.
«Li senti? Non devo neanche preoccuparmi di te. Non ci arrivi, all’inverno.»
Trattengo il respiro per zittire l’affanno e concentrarmi anch’io.
Un ululato, in lontananza. Neanche tanto lontano, portato dal vento insieme alle foglie. Il sudore mi si ghiaccia in fronte.
Il guerriero slega le briglie, le afferra e indietreggia, sorride.
Il pugnale, se solo volasse a cavargli un occhio, quanto sarebbe bello spegnere la sua boria in modo definitivo. Ma non posso rischiare di ‘regalargli’ anche la mia ultima arma.
Sale sul mio baio, dalla sella tira fuori un rotolo di pergamena, lo agita verso di me.
«Non preoccuparti per il premio, non andrà sprecato neanche quello.»
Un colpo di talloni e parte al galoppo.
Merda! Come scappo senza cavallo? I lupi mi faranno a pezzi.
Gli zoccoli al galoppo raggiungono la strada, il suono si fa più ritmico e veloce sul selciato. Ha girato verso il ponte.
Gli ululati! Sono più vicini.
Afferro ancora l’elsa, altri strattoni, poggio entrambi i piedi contro il tronco. Nemmeno una mossa. Mi abbasso i calzoni, piscio sulla lama a ridosso della corteccia, che muoia pure la dignità. Riprovo di nuovo a tirare con tutta la forza. Cede di schianto, la spada scivola via, incrostata dell’icore della driade e bagnata da quel che ci ho messo io.
Sia lodato il Signore, sono spacciato comunque, ma almeno qualche lupo lo affetto prima.
Corro verso il ponte, solo là potrei riuscire a non farmi circondare subito dal branco.
Gli ululati si fanno più vicini.
Oltre l’arcata di pietra che supera il fiume c’è il mio baio. Accasciato al suolo.
Deve aver lasciato qui il suo cavallo, ma perché non portarli via entrambi?
Tutta questa carne distrarrà i lupi, potrebbero perfino smettere di darmi la caccia.
Una mano, una gigantesca mano di pietra, mi solleva.
«Tu vuole mia seconda cena? Cavallo mia terza cena ora. Tu mia seconda cena!»
Un Troll di pietra!
La bocca fetida ha un’ascia col manico spezzato incastrata fra i denti.
«Fermo! Io non buono, io marcio. Perfino la mia spada sa di piscio! Annusa!»
La lancio a terra, che il Signore abbia pietà di me.
L’essere l’afferra, con la grazia con cui un nobile dalle dita grassocce e unte prenderebbe uno spillo. La porta al naso, la guarda, la ingoia lo stesso.
«Tu seconda cena! Io troppa fame, anche se di piscio. Prima cena dava di cacca. Tu meglio!»
Come dubitarne, sempre saputo che uomo fosse messer Umberto.
«Ascolta ascolta, posso darti altra seconda cena. Lupo. Basta letame! Senti?»
Il vento mi dà una mano, il branco è sempre più vicino.
«È il piatto forte, una squisitezza! E stanno arrivando! Con due mani non li prendi tutti, ti aiuto io! Io amico di Troll, no seconda cena.»
«Tu no scappa? Tu scappa io te seconda cena, no amico. Tu resta, seconda cena lupo, Troll e amico divide.»
«Così sia, ma mi serve un’arma. E ti sei mangiato la mia spada.»
Gli faccio cenno di avvicinare la bocca, mi farò bastare l’ascia, anche con la portata monca.
Il fetore è micidiale, in mezzo ai denti ci sono anche pezzi dello stronzo. Trattengo il respiro finché l'arma non si sgancia.
Se sopravvivo, sarà da raccontare.
Che è meglio finire in bocca a un lupo, che in quella di un Troll.
«Eppure il vecchio deve averti avvisato. La driade ritorna alla sua forma una volta uccisa!»
Una voce nota, metto mano al pugnale. La spada invece resta dov'è, stretta in una morsa dal peso stesso dell’albero, inamovibile.
«Poco male, messer Umberto. Avevo comunque bisogno di legna da ardere per il prossimo inverno.»
Il sarcasmo funzionerebbe meglio, se solo riuscissi a nascondere il tremito che ho in gola.
Anche il mio cavallo, a pochi passi dall’uomo, dà segni di nervosismo, tira le briglie come provando a spezzare il ramo a cui sono legate.
Messer Umberto allunga il braccio, gli dà delle pacche, lo calma. Si interrompe per fissarmi, indica verso l’alto. L’altra mano regge una scure, il manico raddoppia la portata del suo braccio, ma non la punta contro di me, la usa come bastone.
«Li senti? Non devo neanche preoccuparmi di te. Non ci arrivi, all’inverno.»
Trattengo il respiro per zittire l’affanno e concentrarmi anch’io.
Un ululato, in lontananza. Neanche tanto lontano, portato dal vento insieme alle foglie. Il sudore mi si ghiaccia in fronte.
Il guerriero slega le briglie, le afferra e indietreggia, sorride.
Il pugnale, se solo volasse a cavargli un occhio, quanto sarebbe bello spegnere la sua boria in modo definitivo. Ma non posso rischiare di ‘regalargli’ anche la mia ultima arma.
Sale sul mio baio, dalla sella tira fuori un rotolo di pergamena, lo agita verso di me.
«Non preoccuparti per il premio, non andrà sprecato neanche quello.»
Un colpo di talloni e parte al galoppo.
Merda! Come scappo senza cavallo? I lupi mi faranno a pezzi.
Gli zoccoli al galoppo raggiungono la strada, il suono si fa più ritmico e veloce sul selciato. Ha girato verso il ponte.
Gli ululati! Sono più vicini.
Afferro ancora l’elsa, altri strattoni, poggio entrambi i piedi contro il tronco. Nemmeno una mossa. Mi abbasso i calzoni, piscio sulla lama a ridosso della corteccia, che muoia pure la dignità. Riprovo di nuovo a tirare con tutta la forza. Cede di schianto, la spada scivola via, incrostata dell’icore della driade e bagnata da quel che ci ho messo io.
Sia lodato il Signore, sono spacciato comunque, ma almeno qualche lupo lo affetto prima.
Corro verso il ponte, solo là potrei riuscire a non farmi circondare subito dal branco.
Gli ululati si fanno più vicini.
Oltre l’arcata di pietra che supera il fiume c’è il mio baio. Accasciato al suolo.
Deve aver lasciato qui il suo cavallo, ma perché non portarli via entrambi?
Tutta questa carne distrarrà i lupi, potrebbero perfino smettere di darmi la caccia.
Una mano, una gigantesca mano di pietra, mi solleva.
«Tu vuole mia seconda cena? Cavallo mia terza cena ora. Tu mia seconda cena!»
Un Troll di pietra!
La bocca fetida ha un’ascia col manico spezzato incastrata fra i denti.
«Fermo! Io non buono, io marcio. Perfino la mia spada sa di piscio! Annusa!»
La lancio a terra, che il Signore abbia pietà di me.
L’essere l’afferra, con la grazia con cui un nobile dalle dita grassocce e unte prenderebbe uno spillo. La porta al naso, la guarda, la ingoia lo stesso.
«Tu seconda cena! Io troppa fame, anche se di piscio. Prima cena dava di cacca. Tu meglio!»
Come dubitarne, sempre saputo che uomo fosse messer Umberto.
«Ascolta ascolta, posso darti altra seconda cena. Lupo. Basta letame! Senti?»
Il vento mi dà una mano, il branco è sempre più vicino.
«È il piatto forte, una squisitezza! E stanno arrivando! Con due mani non li prendi tutti, ti aiuto io! Io amico di Troll, no seconda cena.»
«Tu no scappa? Tu scappa io te seconda cena, no amico. Tu resta, seconda cena lupo, Troll e amico divide.»
«Così sia, ma mi serve un’arma. E ti sei mangiato la mia spada.»
Gli faccio cenno di avvicinare la bocca, mi farò bastare l’ascia, anche con la portata monca.
Il fetore è micidiale, in mezzo ai denti ci sono anche pezzi dello stronzo. Trattengo il respiro finché l'arma non si sgancia.
Se sopravvivo, sarà da raccontare.
Che è meglio finire in bocca a un lupo, che in quella di un Troll.