L'ottava meraviglia
Inviato: martedì 20 settembre 2022, 0:07
Uno.
Quando arriviamo alla falesia è come andare a scuola: scherziamo, indossiamo le imbragature, prepariamo ridendo. Ci sentiamo vivi, in una splendida giornata di sole che filtra fra le foglie, ombre che giocano allegre sul calcare. Una piccola targa di metallo indica il nome della via: Ottava Meraviglia – 9a.
Con Matteo ci conosciamo dal primo corso, quando eravamo come bambini: la studiamo, mimando i passaggi più difficili.
Come al solito inizia lui, mentre faccio sicura. Un paio di persone passano, due ragazze sono su una via vicina: chiacchiero distratto. Cade tre volte, poi finisce.
«Blocca!» Mi urla a un certo punto.
Due.
É sceso senza commentare. Sa che mi piacciono le salite ignoranti, dove rischi, senza sapere cosa troverai. Meglio provarle e sbagliare, come quando eravamo adolescenti.
Mi perdo a guardare la bionda salire, fisso le sue curve disegnate dai pantaloni aderenti. Si sono spostate più vicino. Forse non è un caso.
Parto con la corda dall’alto, sembra quasi troppo facile. Poi però lo strapiombo a metà è impegnativo. Devo fermarmi un paio di volte, le braccia di ghisa come agli inizi. Sopra, la roccia è liscia, piccoli appigli sporchi, dove ci stanno a malapena una scarpa o la punta delle dita. Volo una volta, poi un’altra.
Mi scappa una bestemmia.
Arrivo in cima col fiatone.
Tre.
Fumiamo con calma. Matteo si è messo a parlare con qualcuno che ci ha riconosciuto.
In breve, si è formato un capannello di curiosi. Le due ragazze si sono avvicinate. La bionda beve da un termos e mi sorride.
«Alex e Matteo. Ho letto un articolo su “Pareti”, sono loro!»
«Hanno fatto l’Ottava.»
«Non l’aveva più provata nessuno da tre anni.»
I commenti hanno un tono fra l’incredulo e l’invidioso. Fama e aspettative, imprese portate a termine che ci precedono.
Parto aprendo la via da primo. Arrivo al tetto, provando una piccola variante.
Risparmio energie, ma l’ultimo tratto è duro.
Attaccato a un sasso minuscolo, prendo la magnesite, scuoto il braccio libero per riposare. Mi allungo, manco.
Il volo è lungo, inaspettato. Sporgo dal tetto sbattendo contro la roccia.
Male.
Quattro.
Mi sono medicato il ginocchio in un silenzio irreale. Chiedo a Matteo di fissare la corda sulla via, di lato.
Non la userò.
Medito con calma a torso nudo, le gambe incrociate. Controllo il respiro, il battito del cuore. Rumori e distrazioni non ci sono più.
L’ultima salita è la maturità.
Parto, più veloce sullo strapiombo, ma sbaglio. Con una piccola frana, rimango appeso solo per le braccia, la sinistra su una presa precaria.
Guardo giù fra le loro urla, si sbracciano preoccupati.
Cerco un punto d’appoggio per il piede destro, ritrovo una posizione comoda.
«Forza Alex!» Incita qualcuno.
Senza corda, gli appigli sembrano ancora più piccoli. Il ginocchio ferito fa male, lascia un baffo di sangue sulla roccia. Sono stanco, fiato grosso, braccia dure.
Ma questa volta ho capito. Passo di tecnica e istinto.
Altri tre metri di sofferenza e afferro la catena, mi assicuro.
Un grido di trionfo mi accoglie dal basso.
Quando arriviamo alla falesia è come andare a scuola: scherziamo, indossiamo le imbragature, prepariamo ridendo. Ci sentiamo vivi, in una splendida giornata di sole che filtra fra le foglie, ombre che giocano allegre sul calcare. Una piccola targa di metallo indica il nome della via: Ottava Meraviglia – 9a.
Con Matteo ci conosciamo dal primo corso, quando eravamo come bambini: la studiamo, mimando i passaggi più difficili.
Come al solito inizia lui, mentre faccio sicura. Un paio di persone passano, due ragazze sono su una via vicina: chiacchiero distratto. Cade tre volte, poi finisce.
«Blocca!» Mi urla a un certo punto.
Due.
É sceso senza commentare. Sa che mi piacciono le salite ignoranti, dove rischi, senza sapere cosa troverai. Meglio provarle e sbagliare, come quando eravamo adolescenti.
Mi perdo a guardare la bionda salire, fisso le sue curve disegnate dai pantaloni aderenti. Si sono spostate più vicino. Forse non è un caso.
Parto con la corda dall’alto, sembra quasi troppo facile. Poi però lo strapiombo a metà è impegnativo. Devo fermarmi un paio di volte, le braccia di ghisa come agli inizi. Sopra, la roccia è liscia, piccoli appigli sporchi, dove ci stanno a malapena una scarpa o la punta delle dita. Volo una volta, poi un’altra.
Mi scappa una bestemmia.
Arrivo in cima col fiatone.
Tre.
Fumiamo con calma. Matteo si è messo a parlare con qualcuno che ci ha riconosciuto.
In breve, si è formato un capannello di curiosi. Le due ragazze si sono avvicinate. La bionda beve da un termos e mi sorride.
«Alex e Matteo. Ho letto un articolo su “Pareti”, sono loro!»
«Hanno fatto l’Ottava.»
«Non l’aveva più provata nessuno da tre anni.»
I commenti hanno un tono fra l’incredulo e l’invidioso. Fama e aspettative, imprese portate a termine che ci precedono.
Parto aprendo la via da primo. Arrivo al tetto, provando una piccola variante.
Risparmio energie, ma l’ultimo tratto è duro.
Attaccato a un sasso minuscolo, prendo la magnesite, scuoto il braccio libero per riposare. Mi allungo, manco.
Il volo è lungo, inaspettato. Sporgo dal tetto sbattendo contro la roccia.
Male.
Quattro.
Mi sono medicato il ginocchio in un silenzio irreale. Chiedo a Matteo di fissare la corda sulla via, di lato.
Non la userò.
Medito con calma a torso nudo, le gambe incrociate. Controllo il respiro, il battito del cuore. Rumori e distrazioni non ci sono più.
L’ultima salita è la maturità.
Parto, più veloce sullo strapiombo, ma sbaglio. Con una piccola frana, rimango appeso solo per le braccia, la sinistra su una presa precaria.
Guardo giù fra le loro urla, si sbracciano preoccupati.
Cerco un punto d’appoggio per il piede destro, ritrovo una posizione comoda.
«Forza Alex!» Incita qualcuno.
Senza corda, gli appigli sembrano ancora più piccoli. Il ginocchio ferito fa male, lascia un baffo di sangue sulla roccia. Sono stanco, fiato grosso, braccia dure.
Ma questa volta ho capito. Passo di tecnica e istinto.
Altri tre metri di sofferenza e afferro la catena, mi assicuro.
Un grido di trionfo mi accoglie dal basso.