Fotosintesi neurale
Inviato: martedì 22 novembre 2022, 0:32
«Ora basta. È tutto inutile»
Niente. Fallimenti a ripetizione. Ore, giorni, sprecati in laboratorio per nulla.
«Professore, non può arrendersi così. Troveremo una soluzione, ne sono certo. I miei studi dimostrano che dobbiamo lavorare sul fungo simbionte: renderà l’accumulo di zuccheri più stabile.»
Scuoto la testa. «Quella è una vecchia linea di ricerca, Matteo. L’abbiamo abbandonata da tempo. Ora devo riposare, scusami. Tu continua pure se vuoi.»
Abbiamo fatto portare i letti per poter lavorare più a lungo, anche alla notte. Mi sdraio, rivedo la scena di stamattina.
Stavo per entrare nell’edificio: c’erano una donna e un bambino sul marciapiede, chiedevano l’elemosina senza farsi notare dalle guardie. Come la maggior parte della popolazione erano magri, scheletrici. Chi lavora per il Governo per trovare la soluzione alla Carestia, come noi, ha tutte le calorie di cui ha bisogno. Per gli altri non c’è scampo.
Per un attimo mi sono sembrati loro: la donna era bionda come Anna, il piccolo assomigliava a Giacomo, quando sono morti di fame. Ho sentito un groppo in gola, bruciare gli occhi: lei mi ha guardato con speranza. Con un gesto veloce, le ho passato crediti calorici sufficienti per un pasto.
Fisso la foto appesa al muro: come sempre Anna e Giacomo mi guardano sorridenti. Eravamo al mare in vacanza, al tramonto. Ci siamo fotografati, felici, senza sapere che poco dopo tutto sarebbe finito.
«Proviamo questo, Professore. Le assicuro che è promettente.»
Un’altra notte inutile è passata. Sono in piedi vicino alla finestra, fisso la palla arancione del sole apparire in mezzo alla bruma. Almeno lui ha ancora l’incoscienza della gioventù.
«Fai come vuoi, Matteo.»
Inietta le spore del nuovo fungo nel pannello.
«Ecco fatto, ora può collegarsi.»
Collego il terminale neurale, stabilendo la connessione con il pannello fotosintetico.
Mi permette di controllare i parametri della reazione, scambiando sensazioni che stimolano i miei sensi. Come ogni giorno preferisco farlo all’alba, quando i primi raggi di luce attivano la fotosintesi.
Vengo invaso da un senso di aspettativa positivo, pieno di promesse. Mi sento bene, come se mi fossi infilato sotto le coperte in una sera gelida. Aggiusto l’inclinazione del pannello, la disposizione dei cloroplasti, l’apertura degli stomi. Tutto funziona bene per qualche minuto: mi sento sazio, quasi felice, mentre le batterie dell’amido si riempiono. Forse Matteo aveva ragione: il nuovo fungo accumulatore sembra funzionare meglio degli altri. I grafici del contatore di calorie aumentano, toccando valori mai raggiunti prima.
Poi tutto si ferma. Mi prende una sensazione di vuoto, come se avessi perso qualcosa. La stessa di quando ho visto la luce spegnersi negli occhi di Anna. Gli indicatori parlano chiaro: gli zuccheri non si formano più, il flusso della linfa artificiale rallenta, fino a bloccarsi. Energia luminosa e sforzi sprecati.
Un altro tentativo andato a vuoto, e intanto laggiù la gente continua a morire di fame.
Matteo sta fissando lo schermo come me, un’espressione delusa. «È partito, veloce. Ma poi si è fermato subito, accidenti.»
Mi scollego, lavoriamo insieme: un’altra dose di spore, poi aggiustiamo parametri, rifacciamo calcoli. Passano le ore.
«Professore, venga a vedere.» Il suo tono è strano, concitato.
Lo raggiungo al pannello, che non è più del solito colore vivo, simile a una giovane foglia: è diventato un verde grigio mai visto prima. Controllo il microscopio del pannello sul mio schermo: fra i cloroplasti si sono formati dei fasci di filamenti marroni, orientati verso i tubi che collegano il pannello alla batteria d’amido.
«Sembrano ife, Matteo, un micelio fitto. Ha colonizzato l’intero pannello. È la prima volta che succede.»
Mentre sto ancora controllando il microscopio, getto uno sguardo agli indicatori: le batterie d’amido stanno caricando a un ritmo mai visto. Calorie su calorie che si accumulano veloci.
«Funziona Professore! Corro ad avvertire gli altri.»
Annuisco distratto mentre corre fuori. Collego il terminale.
Mi gira la testa, sento un’erezione inaspettata esplodere nel basso ventre. Ondate di piacere mi sconvolgono, assalendomi all’improvviso. Non provavo queste sensazioni da lunghissimo tempo. Mi ricordano le prime volta con Anna, da ragazzi. Quando esisteva solo il suo corpo.
Nello stesso tempo avverto la nausea, come uno straccio che mi avvolge lo stomaco in una morsa. Una sensazione sporca, corrotta, viscida, che mi lascia senza fiato.
Un vortice di emozioni contrastanti che si attorciglia, dilaniandomi fra estasi e immonda putredine. Sudo. Ho caldo, poi freddo. Mi sento sazio da morire, affamato come se non avessi mangiato da giorni. Mi rendo conto di tremare, ma come se succedesse a qualcun altro.
Cerco di scollegarmi, ma i comandi non funzionano. Il terminale è in avaria, rimane connesso.
«Professore, noi… Tutto bene?» Vedo a malapena Matteo e due assistenti.
Piacere e schifo.
Mi perdo, rispondo a stento.
«No. Sì. Funziona. È terribile. Bellissimo. Continua. Registra. Tutto.»
Niente. Fallimenti a ripetizione. Ore, giorni, sprecati in laboratorio per nulla.
«Professore, non può arrendersi così. Troveremo una soluzione, ne sono certo. I miei studi dimostrano che dobbiamo lavorare sul fungo simbionte: renderà l’accumulo di zuccheri più stabile.»
Scuoto la testa. «Quella è una vecchia linea di ricerca, Matteo. L’abbiamo abbandonata da tempo. Ora devo riposare, scusami. Tu continua pure se vuoi.»
Abbiamo fatto portare i letti per poter lavorare più a lungo, anche alla notte. Mi sdraio, rivedo la scena di stamattina.
Stavo per entrare nell’edificio: c’erano una donna e un bambino sul marciapiede, chiedevano l’elemosina senza farsi notare dalle guardie. Come la maggior parte della popolazione erano magri, scheletrici. Chi lavora per il Governo per trovare la soluzione alla Carestia, come noi, ha tutte le calorie di cui ha bisogno. Per gli altri non c’è scampo.
Per un attimo mi sono sembrati loro: la donna era bionda come Anna, il piccolo assomigliava a Giacomo, quando sono morti di fame. Ho sentito un groppo in gola, bruciare gli occhi: lei mi ha guardato con speranza. Con un gesto veloce, le ho passato crediti calorici sufficienti per un pasto.
Fisso la foto appesa al muro: come sempre Anna e Giacomo mi guardano sorridenti. Eravamo al mare in vacanza, al tramonto. Ci siamo fotografati, felici, senza sapere che poco dopo tutto sarebbe finito.
«Proviamo questo, Professore. Le assicuro che è promettente.»
Un’altra notte inutile è passata. Sono in piedi vicino alla finestra, fisso la palla arancione del sole apparire in mezzo alla bruma. Almeno lui ha ancora l’incoscienza della gioventù.
«Fai come vuoi, Matteo.»
Inietta le spore del nuovo fungo nel pannello.
«Ecco fatto, ora può collegarsi.»
Collego il terminale neurale, stabilendo la connessione con il pannello fotosintetico.
Mi permette di controllare i parametri della reazione, scambiando sensazioni che stimolano i miei sensi. Come ogni giorno preferisco farlo all’alba, quando i primi raggi di luce attivano la fotosintesi.
Vengo invaso da un senso di aspettativa positivo, pieno di promesse. Mi sento bene, come se mi fossi infilato sotto le coperte in una sera gelida. Aggiusto l’inclinazione del pannello, la disposizione dei cloroplasti, l’apertura degli stomi. Tutto funziona bene per qualche minuto: mi sento sazio, quasi felice, mentre le batterie dell’amido si riempiono. Forse Matteo aveva ragione: il nuovo fungo accumulatore sembra funzionare meglio degli altri. I grafici del contatore di calorie aumentano, toccando valori mai raggiunti prima.
Poi tutto si ferma. Mi prende una sensazione di vuoto, come se avessi perso qualcosa. La stessa di quando ho visto la luce spegnersi negli occhi di Anna. Gli indicatori parlano chiaro: gli zuccheri non si formano più, il flusso della linfa artificiale rallenta, fino a bloccarsi. Energia luminosa e sforzi sprecati.
Un altro tentativo andato a vuoto, e intanto laggiù la gente continua a morire di fame.
Matteo sta fissando lo schermo come me, un’espressione delusa. «È partito, veloce. Ma poi si è fermato subito, accidenti.»
Mi scollego, lavoriamo insieme: un’altra dose di spore, poi aggiustiamo parametri, rifacciamo calcoli. Passano le ore.
«Professore, venga a vedere.» Il suo tono è strano, concitato.
Lo raggiungo al pannello, che non è più del solito colore vivo, simile a una giovane foglia: è diventato un verde grigio mai visto prima. Controllo il microscopio del pannello sul mio schermo: fra i cloroplasti si sono formati dei fasci di filamenti marroni, orientati verso i tubi che collegano il pannello alla batteria d’amido.
«Sembrano ife, Matteo, un micelio fitto. Ha colonizzato l’intero pannello. È la prima volta che succede.»
Mentre sto ancora controllando il microscopio, getto uno sguardo agli indicatori: le batterie d’amido stanno caricando a un ritmo mai visto. Calorie su calorie che si accumulano veloci.
«Funziona Professore! Corro ad avvertire gli altri.»
Annuisco distratto mentre corre fuori. Collego il terminale.
Mi gira la testa, sento un’erezione inaspettata esplodere nel basso ventre. Ondate di piacere mi sconvolgono, assalendomi all’improvviso. Non provavo queste sensazioni da lunghissimo tempo. Mi ricordano le prime volta con Anna, da ragazzi. Quando esisteva solo il suo corpo.
Nello stesso tempo avverto la nausea, come uno straccio che mi avvolge lo stomaco in una morsa. Una sensazione sporca, corrotta, viscida, che mi lascia senza fiato.
Un vortice di emozioni contrastanti che si attorciglia, dilaniandomi fra estasi e immonda putredine. Sudo. Ho caldo, poi freddo. Mi sento sazio da morire, affamato come se non avessi mangiato da giorni. Mi rendo conto di tremare, ma come se succedesse a qualcun altro.
Cerco di scollegarmi, ma i comandi non funzionano. Il terminale è in avaria, rimane connesso.
«Professore, noi… Tutto bene?» Vedo a malapena Matteo e due assistenti.
Piacere e schifo.
Mi perdo, rispondo a stento.
«No. Sì. Funziona. È terribile. Bellissimo. Continua. Registra. Tutto.»