A tavola
Inviato: lunedì 15 maggio 2023, 21:58
A tavola
Di Alexandra Fischer
− Mi passi il sale? – chiese Marco a Luisa.
Lei glielo diede con un gesto che fece tintinnare i bicchieri: − Ecco. Non sei capace di prendertelo da solo?
Marco alzò gli occhi al soffitto, ma Luisa era infervorata. – Ti ho preparato il timballo di maccheroni. Almeno quello saprai apprezzarlo.
Marco ne assaggiò una porzione abbondante: − Ottimo, il ragù è cotto al punto giusto, come la pasta, e che dire della besciamella?
− Però mi hai chiesto il sale. Così non va bene. Ti fai sempre servire−. Luisa aveva la fronte corrugata. Si mise a giocherellare con il ciondolo di ossidiana.
− Mangia, che si raffredda – la esortò Marco.
Luisa assaggiò qualche boccone: − Direi che è ancora caldo, ma a te è sempre piaciuto farmi di questi scherzi, eh? – Depose la forchetta e intercettò lo sguardo di Marco. – Cosa stai guardando? Le tende le ho lavate e stirate la settimana scorsa.
Marco agitò la mano nell’aria: − Ho solo dato un’occhiata così, tanto per fare.
Luisa gli disse: − Certo, come se non sapessi che intanto pensavi a come criticarmi−. Si rimise a mangiare e con calma finì il piatto. Sorvegliò quello di Marco. – Hai di nuovo messo le posate sulla tovaglia. Quante volte dovrò lavarla.
Marco sbuffò: − Ma se è una tovaglietta all’americana. Capirai, un po’ di detergente e va via tutto.
Luisa annuì, furiosa: − Intanto l’onore di farlo sarà il mio. Come se non avessi già da fare con il bucato e le pulizie.
Marco posò il tovagliolo. – Senti, se vuoi litigare sappi che ho avuto una giornataccia in ufficio.
Luisa prese i piatti e le posate: − Anch’io, se è per questo.
Marco le disse: − Sì, ma tu devi sorbirti il tutto per mezza giornata, io per dieci ore.
Luisa portò in tavola un vassoio di baci di dama: − Ecco, questi sono del panettiere di fronte, spero che ti piacciano.
Marco le sorrise e ne assaggiò uno. – Ottimo, hai avuto una bella idea.
− Questo dopo che hai trovato da ridire sulla mia meringata− gli rinfacciò Luisa con un’espressione acida.
Marco la vide prendere un bacio di dama, mangiarlo e poi sorridere.
− Abbiamo finito il litigio? – le chiese speranzoso. – La tua meringata era buonissima, solo che non digerisco la panna.
Luisa allargò le braccia: − Quella di tua madre la mangi, però. Non inventare scuse con me.
Marco sbuffò: − E io che avevo in mente una gita fuori porta per dopo pranzo.
Luisa inclinò la testa di lato: − Di nuovo lungo quell’orribile colle con quella torre diroccata?
Marco le ricordò: − È lì che ci siamo conosciuti.
Luisa annuì: − Ma certo, come dimenticare quel giorno. Fu quando mi chiedesti l’ombrello in prestito per ridarmelo mezzo sfasciato.
Marco si portò la mano alla tempia: − C’era un nubifragio e il tuo era un ombrellino. Mi pare di avertene comperato un altro.
Luisa annuì: − Bello, con tutti quei pois multicolori su sfondo bianco. Ce l’ho ancora, sai.
Marco le disse: − Ah, sì? come mai non lo usi?
Luisa si alzò dalla sedia e gli si avvicinò: − Vedi, mi aiuta a sopportare tutto questo.
Marco sbiancò: − Vuoi dire che per te il nostro matrimonio è un tormento?
Luisa gli spiegò, mentre gli cingeva le braccia al collo: − No, ma lo sono le faccende domestiche. Vedi, se anche venissi in gita con te, dovrei prima lavare i piatti, sistemare la cucina.
Marco le accarezzò le mani: − Lo so. Fai davvero molto. Te ne sono grato, ma io non sono stato educato a tenere una casa.
Luisa provò un senso di tenerezza nel sentire quelle parole. – Sì, da scapolo non ti accorgevi della polvere sui mobili, dimenticavi i piatti da lavare, per non parlare degli abiti. Piuttosto che lavarli li portavi in tintoria o usavi la lavatrice a gettone.
Marco ribatté: − Colpa della mia educazione, scusa se mi ripeto. Però tu sai cambiare la gomma a un’auto? Sapresti sturare un lavandino? Dare il bianco ai muri?
Luisa, sconfitta, fece di no con la testa: − Hai tutte le ragioni da quel punto di vista. Scusami, vado a lavare i piatti e andremo in gita dove vorrai.
Marco ridacchiò: − L’orribile colle va bene?
Luisa staccò le mani dal collo di Marco: − A pensarci bene, non è così orribile. Vado a lavare i piatti.
Marco si alzò da tavola: − E io a leggere il giornale.
Luisa uscì dalla cucina, prese il vassoio con i baci di dama e le tovagliette: − Ho quasi finito.
Marco annuì, da dietro il giornale.
Luisa gli chiese: − Hai capito quello che ti ho detto?
Marco abbassò il giornale: − Scusa, stavo leggendo la cronaca sportiva.
Luisa pestò un piede sul pavimento: − Ho detto che ho quasi finito con la cucina, ma già, quando leggi ti estranei dal mondo.
Marco le disse: − Non lo fanno forse tutti? Pensa ai tuoi romanzi rosa, spesso fai tardi alla sera per vedere come vanno a finire.
Luisa tornò in cucina e Marco la sentì trafficare. Dopo un po’ la vide tornare. Gli si parò di fronte. – E la gita?
Fuori tuonò.
Marco diede un’occhiata distratta alla finestra. − Rimandata.
Luisa allargò le braccia: − Tanto peggio.
Marco le chiese: − Ci tenevi?
− No, era per te. Ora prenderò uno dei miei romanzi −. Luisa si avviò verso la stanza da letto.
Marco fece un sospiro di sollievo.
Di Alexandra Fischer
− Mi passi il sale? – chiese Marco a Luisa.
Lei glielo diede con un gesto che fece tintinnare i bicchieri: − Ecco. Non sei capace di prendertelo da solo?
Marco alzò gli occhi al soffitto, ma Luisa era infervorata. – Ti ho preparato il timballo di maccheroni. Almeno quello saprai apprezzarlo.
Marco ne assaggiò una porzione abbondante: − Ottimo, il ragù è cotto al punto giusto, come la pasta, e che dire della besciamella?
− Però mi hai chiesto il sale. Così non va bene. Ti fai sempre servire−. Luisa aveva la fronte corrugata. Si mise a giocherellare con il ciondolo di ossidiana.
− Mangia, che si raffredda – la esortò Marco.
Luisa assaggiò qualche boccone: − Direi che è ancora caldo, ma a te è sempre piaciuto farmi di questi scherzi, eh? – Depose la forchetta e intercettò lo sguardo di Marco. – Cosa stai guardando? Le tende le ho lavate e stirate la settimana scorsa.
Marco agitò la mano nell’aria: − Ho solo dato un’occhiata così, tanto per fare.
Luisa gli disse: − Certo, come se non sapessi che intanto pensavi a come criticarmi−. Si rimise a mangiare e con calma finì il piatto. Sorvegliò quello di Marco. – Hai di nuovo messo le posate sulla tovaglia. Quante volte dovrò lavarla.
Marco sbuffò: − Ma se è una tovaglietta all’americana. Capirai, un po’ di detergente e va via tutto.
Luisa annuì, furiosa: − Intanto l’onore di farlo sarà il mio. Come se non avessi già da fare con il bucato e le pulizie.
Marco posò il tovagliolo. – Senti, se vuoi litigare sappi che ho avuto una giornataccia in ufficio.
Luisa prese i piatti e le posate: − Anch’io, se è per questo.
Marco le disse: − Sì, ma tu devi sorbirti il tutto per mezza giornata, io per dieci ore.
Luisa portò in tavola un vassoio di baci di dama: − Ecco, questi sono del panettiere di fronte, spero che ti piacciano.
Marco le sorrise e ne assaggiò uno. – Ottimo, hai avuto una bella idea.
− Questo dopo che hai trovato da ridire sulla mia meringata− gli rinfacciò Luisa con un’espressione acida.
Marco la vide prendere un bacio di dama, mangiarlo e poi sorridere.
− Abbiamo finito il litigio? – le chiese speranzoso. – La tua meringata era buonissima, solo che non digerisco la panna.
Luisa allargò le braccia: − Quella di tua madre la mangi, però. Non inventare scuse con me.
Marco sbuffò: − E io che avevo in mente una gita fuori porta per dopo pranzo.
Luisa inclinò la testa di lato: − Di nuovo lungo quell’orribile colle con quella torre diroccata?
Marco le ricordò: − È lì che ci siamo conosciuti.
Luisa annuì: − Ma certo, come dimenticare quel giorno. Fu quando mi chiedesti l’ombrello in prestito per ridarmelo mezzo sfasciato.
Marco si portò la mano alla tempia: − C’era un nubifragio e il tuo era un ombrellino. Mi pare di avertene comperato un altro.
Luisa annuì: − Bello, con tutti quei pois multicolori su sfondo bianco. Ce l’ho ancora, sai.
Marco le disse: − Ah, sì? come mai non lo usi?
Luisa si alzò dalla sedia e gli si avvicinò: − Vedi, mi aiuta a sopportare tutto questo.
Marco sbiancò: − Vuoi dire che per te il nostro matrimonio è un tormento?
Luisa gli spiegò, mentre gli cingeva le braccia al collo: − No, ma lo sono le faccende domestiche. Vedi, se anche venissi in gita con te, dovrei prima lavare i piatti, sistemare la cucina.
Marco le accarezzò le mani: − Lo so. Fai davvero molto. Te ne sono grato, ma io non sono stato educato a tenere una casa.
Luisa provò un senso di tenerezza nel sentire quelle parole. – Sì, da scapolo non ti accorgevi della polvere sui mobili, dimenticavi i piatti da lavare, per non parlare degli abiti. Piuttosto che lavarli li portavi in tintoria o usavi la lavatrice a gettone.
Marco ribatté: − Colpa della mia educazione, scusa se mi ripeto. Però tu sai cambiare la gomma a un’auto? Sapresti sturare un lavandino? Dare il bianco ai muri?
Luisa, sconfitta, fece di no con la testa: − Hai tutte le ragioni da quel punto di vista. Scusami, vado a lavare i piatti e andremo in gita dove vorrai.
Marco ridacchiò: − L’orribile colle va bene?
Luisa staccò le mani dal collo di Marco: − A pensarci bene, non è così orribile. Vado a lavare i piatti.
Marco si alzò da tavola: − E io a leggere il giornale.
Luisa uscì dalla cucina, prese il vassoio con i baci di dama e le tovagliette: − Ho quasi finito.
Marco annuì, da dietro il giornale.
Luisa gli chiese: − Hai capito quello che ti ho detto?
Marco abbassò il giornale: − Scusa, stavo leggendo la cronaca sportiva.
Luisa pestò un piede sul pavimento: − Ho detto che ho quasi finito con la cucina, ma già, quando leggi ti estranei dal mondo.
Marco le disse: − Non lo fanno forse tutti? Pensa ai tuoi romanzi rosa, spesso fai tardi alla sera per vedere come vanno a finire.
Luisa tornò in cucina e Marco la sentì trafficare. Dopo un po’ la vide tornare. Gli si parò di fronte. – E la gita?
Fuori tuonò.
Marco diede un’occhiata distratta alla finestra. − Rimandata.
Luisa allargò le braccia: − Tanto peggio.
Marco le chiese: − Ci tenevi?
− No, era per te. Ora prenderò uno dei miei romanzi −. Luisa si avviò verso la stanza da letto.
Marco fece un sospiro di sollievo.