Ritorno a casa Livio Gambarini edition

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Richieste di Grazia

Sondaggio concluso il lunedì 30 novembre 2015, 8:56

Merita la Grazia
1
50%
Il racconto andrebbe revisionato
1
50%
 
Voti totali: 2

alexandra.fischer
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Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#1 » martedì 10 novembre 2015, 20:40

RITORNO A CASA

Di Alexandra Fischer

Devan Myrsen prese l’ultimo convoglio della notte perché desiderava ritornare nella propria città d’origine nella piana di Heisenland famosa per il calore da fornace.
Proprio quello che ci voleva, per lui; le sue membra erano irrigidite dalla permanenza durata anni nella città di Ewigreignen e non ne poteva più di quell’eterna stagione di piogge.
Laggiù, l’unico cambiamento delle precipitazioni, era nella temperatura delle gocce che cadevano ininterrotte per ore: dalla morsa del gelo invernale, si passava ai bollori della calura estiva.
Sempre pioggia.
E non importava dove si abitasse. Ci aveva provato, lui a cambiare casa.
Nel corso dei suoi anni a Ewigreignen era stato in basso e in alto.
Nel quartiere basso, dalle case ornate da grondaie con musi di Cane Acquatico, era stato male per via delle strade lastricate di pietra multicolore.
Sì, c’era una manutenzione, ma si cadeva.
Colpa degli Spiriti delle Acque, demonietti invisibili che nascondevano i punti di appoggio e facevano cadere soprattutto gli stranieri da poco arrivati in città.
Come era successo a lui con Verme d’Acqua, così lo aveva chiamato, prima di calpestarlo, senza vederlo.
Poveretto.
E dire che avevano una cosa in comune: l’invisibilità.
Lui, la sua l’aveva scoperta crescendo a Heisenland e ne aveva incolpato i quattro soli multicolori.
I loro raggi gli avevano cancellato i lineamenti e sbiadito l’ombra anno dopo anno.
La considerava una brutta malattia.
Per contrastarne gli effetti, cercava clienti per i piatti di metallo azzurro che incideva, riempiendoli di paesaggi assolati e quadrupedi dal lungo collo ornati di campanelli della sua città natale.
Macché. Sarebbe stato più facile tirare giù i quattro soli e usarli per farsi luce nel laboratorio.

A Ewigreinen, poco a poco, il suo talento era piaciuto ai ricchi commercianti della città e lui aveva cambiato quartiere.
Finalmente sulle colline, in alto.
Ma quanti spiriti invisibili aveva cancellato fra uno scivolone e l’altro.
E per ogni creatura spiaccicata, era sempre più solo, malgrado potesse ancora contare sulla ricchezza.
Un colpo di piede dato male e anni di fatica per mostrare a tutti che si esisteva se ne andavano in frantumi un pezzo alla volta.
Prima era toccato a conoscenti intravisti appena alle feste in suo onore, per poi arrivare ai colleghi e alle amicizie potenti.
Fino a quando ce ne fu uno di troppo, che gli tolse anche la visibilità come maestro.
I suoi allievi, dopo aver imitato in un primo tempo il suo stile, si erano messi a ornare i loro piatti di metallo verde e amaranto di creature acquatiche del genere di quelle brulicanti nei quartieri degli Evocatori degli Spiriti delle Acque.
Nessuno le aveva mai viste, Evocatori a parte, però davano prosperità, non solo pioggia.
Per lui erano dicerie.
Lo aveva detto anche a Lysveeta la sua allieva prediletta, riuscita a fargli accettare un sacchetto con un piccolo dono, che sbatacchiò con un suono metallico nel passaggio di mano, breve ma intenso, come era stato il loro periodo insieme.
Era l’unica presentatasi a salutarlo; grazie agli insegnamenti di Devan Myrsen, era riuscita a sottrarsi al manto acquoso dell’invisibilità.
Il convoglio, dall’aspetto di gigantesco pesce siluro ornato sulle fiancate con incisioni di musi tondeggianti di creature palustri, entrò nella lunga galleria che collegava Ewigreignen con Heiseland.
Fu lì che Devan Myrsen guardò il regalo d’addio di Lysveeta, l’unica ad aver conservato parecchio dello stile del maestro.
Lo si capiva dalla levigatura della superficie del piattino e dalla lavorazione a piccoli raggi della cornice.
Il metallo era lavorato a specchio e lui vide corpi straziati: molti vermi, un cane.
Fino a quando venne l’ora di vedere la sua, di faccia.
Olivastra, costellata di rughe e con grandi occhi neri mobilissimi.
Devan si lasciò scappare di mano il piattino e vi guardò di nuovo attraverso, ma il suo riflesso non c’era più.
- PERDONO – sussurrò, ma nessuno gli badò, perché era invisibile.



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Angela
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#2 » martedì 10 novembre 2015, 21:27

Mi ricordo molto bene questo racconto, Ambra e ricordo anche che mi era piaciuto molto. Un fantasy particolare con alcune pennellate poetiche; belle le descrizioni dei piattini e del treno che lo porta via da Ewigreinen. Molto interessante anche la trama di questi esseri che perdono la propria identità diventando invisibili e rischiando di essere uccisi perché non visti. Finale triste, ma forse l'unico possibile per dare al testo uno scossone coerente con il resto della narrazione.
Secondo me questo è uno dei racconti migliori che ho letto su Minuti Contati, perché è uno di quelli che restano impressi. Ho poche cose da segnalarti, più che altro qualche cosa da sistemare, ma trovo che la trama e la stesura siano già perfette così, pertanto...

CHIEDO LA GRAZIA.

Mi dimenticavo degli appunti... :P

quell’eterna stagione di piogge.
Laggiù, l’unico cambiamento delle precipitazioni, era nella temperatura delle gocce

Modificherei tagliando “precipitazioni”. La frase ne guadagnerebbe: “Laggiù, l’unico cambiamento era nella temperatura delle gocce…”


Ma quanti spiriti invisibili aveva cancellato fra uno scivolone e l’altro.
Questa è un’esclamazione, ci vedrei un punto esclamativo.

Un colpo di piede dato male e anni di fatica per mostrare a tutti che si esisteva se ne andavano in frantumi un pezzo alla volta.
Non mi piace moltissimo “che si esisteva”. Ti propongo: “per mostrare a tutti la propria esistenza…”
Uno scrittore è un mondo intrappolato in una persona (Victor Hugo)

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Jacopo Berti
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#3 » mercoledì 11 novembre 2015, 11:31

Mi dispiace, non mi ha preso per nulla: a metà ho continuato a leggerlo più per finirlo che per interesse. Poi l'ho riletto due volte per capire come mai non mi piacesse e se mi fossi perso qualcosa. Mi pare di aver capito ciò che si poteva capire, eppure non sono soddisfatto.
Lo stile, il modo in cui dai le informazioni, senza mai uscire dall'allusione, senza quasi che si possa "afferrare" realmente qualcosa, mi infastidisce. Ma probabilmente è un mio limite. Perché mi rendo conto che la forma è adatta al contenuto: gli unici oggetti che chi legge può avere davvero "davanti agli occhi" sono i piattini incisi, fonte di visibilità. Sarebbe bello se potessi commentare così: "le persone, i rapporti sociali, le città, sono tratteggiate soltanto attraverso gli effetti che la luce ha su di loro come in un quadro impressionista". Ma se è questo l'effetto che volevi ottenere - e secondo me è un'idea geniale - dovresti ancora lavorare di fino, ricercando con attenzione il tipo di vaghezza che vuoi e chiarendo dove è "genericamente vago".

Ti segnalo due piccole cose:
- "Ci aveva provato, lui a cambiare casa", secondo me, non si conforma a nessuna intonazione possibile. O togli la virgola prima di 'lui' o ce la metti anche dopo.
- Prima de "Il convoglio, dall’aspetto di gigantesco..." cambierei paragrafo, perché il sostantivo riprende quello dell'incipit e cambiare paragrafo aiuterebbe a capire che si è conclusa la digressione/flashback.
«Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare» (Novalis, Frammenti)

alexandra.fischer
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#4 » mercoledì 11 novembre 2015, 20:17

Ciao Angela,
sono contenta che il racconto ti sia piaciuto così tanto. Farò tesoro dei tuoi consigli per migliorarlo.

alexandra.fischer
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#5 » mercoledì 11 novembre 2015, 20:22

Ciao Timetrapoler,
grazie per il commento. Metterò in pratica i tuoi suggerimenti per migliorare il racconto e fare sì che possa avere più presa. La mia idea era di rendere l'atmosfera per come la sentivo (trasmettere la sensazione di meraviglia che si prova nell'immergersi in un mondo staccato da quello reale). Penso c'entri anche la formazione letteraria (leggendo gente come Lord Dunsany e Leiber si rischia anche di ereditarne i difetti. Erano autori che scrivevano molto in fretta per vendere alle rivistine pulp. Oggi è cambiato il modo di rendere le storie, tipo più spessore nei personaggi. Io sono rimasta all'atmosfera e agli oggetti, ma sono qui per imparare a rendere le mie storie più vicine alla sensibilità odierna).

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Spartaco
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#6 » giovedì 12 novembre 2015, 9:07

In cima al primo post è stato inserito un sondaggio.
Continuate a richiedere la grazia come sempre, ma fatelo anche da lì.Vale lo stesso se credete che il racconto andrebbe revisionato.
Per qualsiasi dubbio evocatemi.

alexandra.fischer
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#7 » mercoledì 18 novembre 2015, 19:54

RITORNO A CASA

Di Alexandra Fischer

Devan Myrsen prese l’ultimo convoglio della notte perché desiderava ritornare nella propria città d’origine nella piana di Heisenland famosa per il calore da fornace.
Proprio quello che ci voleva, per lui; le sue membra erano irrigidite dalla permanenza durata anni nella città di Ewigreignen e non ne poteva più di quell’eterna stagione di piogge.
Laggiù, l’unico cambiamento, era nella temperatura delle gocce che cadevano ininterrotte per ore: dalla morsa del gelo invernale, si passava ai bollori della calura estiva.
Sempre pioggia.
E non importava dove si abitasse. Ci aveva provato, lui, a cambiare casa.
Nel corso dei suoi anni a Ewigreignen era stato in basso e in alto.
Nel quartiere basso, dalle case ornate da grondaie con musi di Cane Acquatico, era stato male per via delle strade lastricate di pietra multicolore.
Sì, c’era una manutenzione, ma si cadeva.
Colpa degli Spiriti delle Acque, demonietti invisibili che nascondevano i punti di appoggio e facevano cadere soprattutto gli stranieri da poco arrivati in città.
Come era successo a lui con Verme d’Acqua, così lo aveva chiamato, prima di calpestarlo, senza vederlo.
Poveretto.
E dire che avevano una cosa in comune: l’invisibilità.
Lui, la sua l’aveva scoperta crescendo a Heisenland e ne aveva incolpato i quattro soli multicolori.
I loro raggi gli avevano cancellato i lineamenti e sbiadito l’ombra anno dopo anno.
La considerava una brutta malattia.
Per contrastarne gli effetti, cercava clienti per i piatti di metallo azzurro che incideva, riempiendoli di paesaggi assolati e quadrupedi dal lungo collo ornati di campanelli della sua città natale.
Macché. Sarebbe stato più facile tirare giù i quattro soli e usarli per farsi luce nel laboratorio.

A Ewigreinen, poco a poco, il suo talento era piaciuto ai ricchi commercianti della città e lui aveva cambiato quartiere.
Finalmente sulle colline, in alto.
Ma quanti spiriti invisibili aveva cancellato fra uno scivolone e l’altro!
E per ogni creatura spiaccicata, era sempre più solo, malgrado potesse ancora contare sulla ricchezza.
Un colpo di piede dato male e anni di fatica per mostrare a tutti la propria esistenza se ne andavano in frantumi un pezzo alla volta.
Prima era toccato a conoscenti intravisti appena alle feste in suo onore, per poi arrivare ai colleghi e alle amicizie potenti.
Fino a quando ce ne fu uno di troppo, che gli tolse anche la visibilità come maestro.
I suoi allievi, dopo aver imitato in un primo tempo il suo stile, si erano messi a ornare i loro piatti di metallo verde e amaranto di creature acquatiche del genere di quelle brulicanti nei quartieri degli Evocatori degli Spiriti delle Acque.
Nessuno le aveva mai viste, Evocatori a parte, però davano prosperità, non solo pioggia.
Per lui erano dicerie.
Lo aveva detto anche a Lysveeta la sua allieva prediletta, riuscita a fargli accettare un sacchetto con un piccolo dono, che sbatacchiò con un suono metallico nel passaggio di mano, breve ma intenso, come era stato il loro periodo insieme.
Era l’unica presentatasi a salutarlo; grazie agli insegnamenti di Devan Myrsen, era riuscita a sottrarsi al manto acquoso dell’invisibilità.

Il convoglio, dall’aspetto di gigantesco pesce siluro ornato sulle fiancate con incisioni di musi tondeggianti di creature palustri, entrò nella lunga galleria che collegava Ewigreignen con Heiseland.
Fu lì che Devan Myrsen guardò il regalo d’addio di Lysveeta, l’unica ad aver conservato parecchio dello stile del maestro.
Lo si capiva dalla levigatura della superficie del piattino e dalla lavorazione a piccoli raggi della cornice.
Il metallo era lavorato a specchio e lui vide corpi straziati: molti vermi, un cane.
Fino a quando venne l’ora di vedere la sua, di faccia.
Olivastra, costellata di rughe e con grandi occhi neri mobilissimi.
Devan si lasciò scappare di mano il piattino e vi guardò di nuovo attraverso, ma il suo riflesso non c’era più.
- PERDONO – sussurrò, ma nessuno gli badò, perché era invisibile.

alexandra.fischer
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#8 » mercoledì 18 novembre 2015, 19:56

Nel dubbio, ho cominciato a revisionare il racconto tenendo conto dei suggerimenti ricevuti finora. Ovviamente, lo revisionerò ulteriormente se ce ne saranno altri.

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Jacopo Berti
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#9 » domenica 22 novembre 2015, 13:03

A parte i suggerimenti precisi, che ho visto che hai seguito, non saprei dire se hai anche cambiato altre cose. Sta di fatto che il racconto mi risulta ancora faticoso. Non è una questione di caratterizzazione dei personaggi (come mi sembra che tu abbia supposto), ma di sintassi e dettato spezzati. Certo non mi ci ritrovo, e questo mi impedisce di capire se mi manca qualcosa da capire.
Le prime due letture (a cui aveva fatto seguito il mio primo commento) mi avevano lasciato con qualche difficoltà di comprensione: non della trama, ma dell'ambientazione. Ora in effetti, dopo ulteriori due letture, questo mondo comincia "ad esistere". Ma che fatica! Ad esempio, non riesco a capire se e come la visibilità fisica e quella sociale (che sono evidentemente correlate a livello simbolico, e questo è un tema che mi è piaciuto tantissimo del tuo racconto) lo siano anche dal punto di vista fattuale, per qualche particolare legge intrinseca al mondo che descrivi. Quando qualcuno "malato" di invisibilità fisica si fa notare - ad esempio con la sua opera d'arte - può guarire da questa malattia e diventare visibile? O la visibilità sociale è un surrogato di quella fisica: qualcosa che si cerca di ottenere per compensare. E i piattini sono uno strumento effettivo di visibilità (le cose invisibili si vedono comunque negli specchi? o magari solo in quegli specchi di quei piattini?), oppure vanno letti soltanto nel senso di fama artistica e quindi visibilità sociale? (e questo va intersecato con quanto sopra, per cui siamo ad un totale di almeno 4 possibili biforcazioni). È la considerazione di qualcuno, anche solo di uno, a renderti visibile? Per questo, lasciata l'allieva, il protagonista torna invisibile? O è il proprio "sentirsi" invisibile che fa diventare invisibili fisicamente?
Ecco, questo intendo quando dico che rimani vaga in troppi punti. Mi piacerebbe sapere di più. È vero che un racconto è bello anche perché apre a diverse realtà possibili, ma qui ci sono troppe variabili.
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alexandra.fischer
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#10 » lunedì 23 novembre 2015, 20:12

Ciao Timetrapoler,
mi dispiace che tu non ti ritrovi nel racconto. Pensavo fosse una questione di personaggi o atmosfera troppo evanescente (per via del tema da seguire, credo mi sia venuta fuori per questo). Invece, mi accorgo che sono le variabili della storia: passo alle spiegazioni. L'invisibilità è psicologica (tutti vedono Devan, ma non si accorgono di lui). L'arte gli regala fama (visibilità) nella nuova città, ma le creature d'Acqua (spiriti invisibili) gliela tolgono (lui li calpesta non credendo alla loro esistenza). Il piattino regalatogli da Lysveeta gli mostra il suo errore (non aver rispettato le credenze della sua città d'adozione) e di lì, avviene la sua scomparsa fisica vera e propria (quando è in viaggio per tornare a casa sua, ormai, un luogo dove morire).

alexandra.fischer
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#11 » lunedì 23 novembre 2015, 21:28

RITORNO A CASA

Di Alexandra Fischer

Devan Myrsen prese l’ultimo convoglio della notte perché desiderava ritornare nella propria città d’origine nella piana di Heisenland famosa per il calore da fornace.
Proprio quello che ci voleva, per lui; le sue membra erano irrigidite dalla permanenza durata anni nella città di Ewigreignen e non ne poteva più di quell’eterna stagione di piogge.
Laggiù, l’unico cambiamento, era nella temperatura delle gocce che cadevano ininterrotte per ore: dalla morsa del gelo invernale, si passava ai bollori della calura estiva.
Sempre pioggia.
E non importava dove si abitasse. Ci aveva provato, lui, a cambiare casa.
Nel corso dei suoi anni a Ewigreignen era stato in basso e in alto.
Nel quartiere basso, dalle case ornate da grondaie con musi di Cane Acquatico, era stato male per via delle strade lastricate di pietra multicolore.
Sì, c’era una manutenzione, ma si cadeva.
Colpa degli Spiriti delle Acque, demonietti invisibili che nascondevano i punti di appoggio e facevano cadere soprattutto gli stranieri da poco arrivati in città.
Come era successo a lui con Verme d’Acqua, così lo aveva chiamato, prima di calpestarlo, senza vederlo.
Poveretto.
E dire che avevano una cosa in comune: l’invisibilità.
Lui, la sua l’aveva scoperta crescendo a Heisenland e ne aveva incolpato i quattro soli multicolori.
I loro raggi gli avevano cancellato i lineamenti e sbiadito l’ombra anno dopo anno.
La considerava una brutta malattia, che lo estraniava dai suoi simili.
Passava inosservato con tutti, compresi i vicini di casa.
Per contrastarne gli effetti, cercava clienti per i piatti di metallo azzurro che incideva, riempiendoli di paesaggi assolati e quadrupedi dal lungo collo ornati di campanelli della sua città natale.
Macché. Sarebbe stato più facile tirare giù i quattro soli e usarli per farsi luce nel laboratorio.

A Ewigreinen, poco a poco, il suo talento era piaciuto ai ricchi commercianti della città e lui aveva cambiato quartiere.
Finalmente sulle colline, in alto.
Ma quanti spiriti invisibili aveva cancellato fra uno scivolone e l’altro!
E per ogni creatura spiaccicata, era sempre più solo, malgrado potesse ancora contare sulla ricchezza.
Un colpo di piede dato male e anni di fatica per mostrare a tutti la propria esistenza se ne andavano in frantumi un pezzo alla volta.
Prima era toccato a conoscenti intravisti appena alle feste in suo onore, per poi arrivare ai colleghi e alle amicizie potenti.
Fino a quando ce ne fu uno di troppo, che gli tolse anche la visibilità come maestro.
I suoi allievi, dopo aver imitato in un primo tempo il suo stile, si erano messi a ornare i loro piatti di metallo verde e amaranto di creature acquatiche del genere di quelle brulicanti nei quartieri degli Evocatori degli Spiriti delle Acque.
Nessuno le aveva mai viste, Evocatori a parte, però davano prosperità, non solo pioggia.
Per lui erano dicerie.
Lo aveva detto anche a Lysveeta la sua allieva prediletta, riuscita a fargli accettare un sacchetto con un piccolo dono, che sbatacchiò con un suono metallico nel passaggio di mano, breve ma intenso, come era stato il loro periodo insieme.
Era l’unica presentatasi a salutarlo; grazie agli insegnamenti di Devan Myrsen, era riuscita a sottrarsi al manto acquoso dell’invisibilità e si rammaricava di non aver potuto fare lo stesso con lui, che pure avrebbe rivisto per sempre nella sua mente.

Il convoglio, dall’aspetto di gigantesco pesce siluro ornato sulle fiancate con incisioni di musi tondeggianti di creature palustri, entrò nella lunga galleria che collegava Ewigreignen con Heiseland.
Fu lì che Devan Myrsen guardò il regalo d’addio di Lysveeta, l’unica ad aver conservato parecchio dello stile del maestro.
Lo si capiva dalla levigatura della superficie del piattino e dalla lavorazione a piccoli raggi della cornice.
Ma c’era dell’altro; roba da Evocatori, più che da incisori di piatti.
Infatti, il metallo era lavorato a specchio e lui vide corpi straziati: molti vermi, un cane.
Finendo poi per riconoscere la sua scarpa.
Fino a quando venne l’ora di vedere la sua, di faccia.
Olivastra, costellata di rughe e con grandi occhi neri mobilissimi.
Devan si lasciò scappare di mano il piattino e vi guardò di nuovo attraverso, ma il suo riflesso non c’era più.
- PERDONO – sussurrò, ma nessuno gli badò, perché era invisibile.

alexandra.fischer
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#12 » lunedì 23 novembre 2015, 21:28

Ecco la nuova versione del mio racconto, postata tenendo conto dei suggerimenti ricevuti finora.

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Jacopo Berti
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#13 » martedì 24 novembre 2015, 0:45

Alexandra, tutto preso dalla questione "tecnica" dell'invisibilità (da cui il post precedente) e dalla lettura dei piattini come "oggetto magico", probabilmente non sarei mai arrivato a capire senza una tua spiegazione quanto importante sia nel racconto l'elemento dell'identità culturale.
Certo una determinata forma mentis porta ad un'interpretazione entro un certo schema del tutto personale, quindi sarei propenso a prendermi tutta la responsabilità dell'incomprensione ;)
D'altra parte sono curioso di sapere quante, tra le altre persone che hanno letto e commentato il racconto, ne hanno effettivamente capito il centro.
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maria rosaria
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#14 » martedì 24 novembre 2015, 14:30

Ciao Alexandra.
Complimenti, hai fatto un bel lavoro su questo racconto da quando l'ho letto la prima volta.
Ti faccio qualche ultimissimo appunto:


le sue membra erano irrigidite dalla lunga permanenza durata anni nella città di Ewigreignen e non ne poteva più di quell’eterna stagione di piogge.
toglierei durata anni e metterei lunga;
Sì, c’era una manutenzione, ma si cadeva.
toglierei una;

La considerava una brutta malattia, che lo estraniava dai suoi simili.
toglierei la virgola dopo malattia;


Ad ogni modo CHIEDO LA GRAZIA per Alexandra.
Maria Rosaria

alexandra.fischer
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#15 » giovedì 26 novembre 2015, 18:30

Ciao Timetrapoler,
immaginando un mondo parallelo l'ho dotato di una cultura staccata da quella del mondo in cui viviamo (e ho cercato di renderla il più possibile nel mio racconto adattando la storia dal punto di vista del tema proposto nel concorso). Questo, con i relativi pregi e difetti del racconto. Sono d'accordo con te per quel che riguarda le parti oscure da aggiustare (se il lettore fatica, la colpa è dello scrittore, mai del lettore) e ora sto vedendo l'approccio al fantasy da quel punto di vista (compiti di riparazione? Scrittura a parte, sto leggendo "Eresia Pura" di Adriano Petta, La Lepre Edizioni, lo trovo notevole nella resa di un tema molto difficile, l'eresia dei catari, vista sia dal punto di vista storico e fantastorico e anche da quello dei personaggi, reali e fittizi. Lo trovo una buona scuola per migliorare nella scrittura).

Ciao Maria Rosaria, farò mie le tue correzioni e sono contenta che la storia nel complesso ti sia apparsa migliorata.

alexandra.fischer
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#16 » giovedì 26 novembre 2015, 18:32

RITORNO A CASA

Di Alexandra Fischer

Devan Myrsen prese l’ultimo convoglio della notte perché desiderava ritornare nella propria città d’origine nella piana di Heisenland famosa per il calore da fornace.
Proprio quello che ci voleva, per lui; le sue membra erano irrigidite dalla lunga permanenza nella città di Ewigreignen e non ne poteva più di quell’eterna stagione di piogge.
Laggiù, l’unico cambiamento, era nella temperatura delle gocce che cadevano ininterrotte per ore: dalla morsa del gelo invernale, si passava ai bollori della calura estiva.
Sempre pioggia.
E non importava dove si abitasse. Ci aveva provato, lui, a cambiare casa.
Nel corso dei suoi anni a Ewigreignen era stato in basso e in alto.
Nel quartiere basso, dalle case ornate da grondaie con musi di Cane Acquatico, era stato male per via delle strade lastricate di pietra multicolore.
Sì, c’era manutenzione, ma si cadeva.
Colpa degli Spiriti delle Acque, demonietti invisibili che nascondevano i punti di appoggio e facevano cadere soprattutto gli stranieri da poco arrivati in città.
Come era successo a lui con Verme d’Acqua, così lo aveva chiamato, prima di calpestarlo, senza vederlo.
Poveretto.
E dire che avevano una cosa in comune: l’invisibilità.
Lui, la sua l’aveva scoperta crescendo a Heisenland e ne aveva incolpato i quattro soli multicolori.
I loro raggi gli avevano cancellato i lineamenti e sbiadito l’ombra anno dopo anno.
La considerava una brutta malattia che lo estraniava dai suoi simili.
Passava inosservato con tutti, compresi i vicini di casa.
Per contrastarne gli effetti, cercava clienti per i piatti di metallo azzurro che incideva, riempiendoli di paesaggi assolati e quadrupedi dal lungo collo ornati di campanelli della sua città natale.
Macché. Sarebbe stato più facile tirare giù i quattro soli e usarli per farsi luce nel laboratorio.

A Ewigreinen, poco a poco, il suo talento era piaciuto ai ricchi commercianti della città e lui aveva cambiato quartiere.
Finalmente sulle colline, in alto.
Ma quanti spiriti invisibili aveva cancellato fra uno scivolone e l’altro!
E per ogni creatura spiaccicata, era sempre più solo, malgrado potesse ancora contare sulla ricchezza.
Un colpo di piede dato male e anni di fatica per mostrare a tutti la propria esistenza se ne andavano in frantumi un pezzo alla volta.
Prima era toccato a conoscenti intravisti appena alle feste in suo onore, per poi arrivare ai colleghi e alle amicizie potenti.
Fino a quando ce ne fu uno di troppo, che gli tolse anche la visibilità come maestro.
I suoi allievi, dopo aver imitato in un primo tempo il suo stile, si erano messi a ornare i loro piatti di metallo verde e amaranto di creature acquatiche del genere di quelle brulicanti nei quartieri degli Evocatori degli Spiriti delle Acque.
Nessuno le aveva mai viste, Evocatori a parte, però davano prosperità, non solo pioggia.
Per lui erano dicerie.
Lo aveva detto anche a Lysveeta la sua allieva prediletta, riuscita a fargli accettare un sacchetto con un piccolo dono, che sbatacchiò con un suono metallico nel passaggio di mano, breve ma intenso, come era stato il loro periodo insieme.
Era l’unica presentatasi a salutarlo; grazie agli insegnamenti di Devan Myrsen, era riuscita a sottrarsi al manto acquoso dell’invisibilità e si rammaricava di non aver potuto fare lo stesso con lui, che pure avrebbe rivisto per sempre nella sua mente.

Il convoglio, dall’aspetto di gigantesco pesce siluro ornato sulle fiancate con incisioni di musi tondeggianti di creature palustri, entrò nella lunga galleria che collegava Ewigreignen con Heiseland.
Fu lì che Devan Myrsen guardò il regalo d’addio di Lysveeta, l’unica ad aver conservato parecchio dello stile del maestro.
Lo si capiva dalla levigatura della superficie del piattino e dalla lavorazione a piccoli raggi della cornice.
Ma c’era dell’altro; roba da Evocatori, più che da incisori di piatti.
Infatti, il metallo era lavorato a specchio e lui vide corpi straziati: molti vermi, un cane.
Finendo poi per riconoscere la sua scarpa.
Fino a quando venne l’ora di vedere la sua, di faccia.
Olivastra, costellata di rughe e con grandi occhi neri mobilissimi.
Devan si lasciò scappare di mano il piattino e vi guardò di nuovo attraverso, ma il suo riflesso non c’era più.
- PERDONO – sussurrò, ma nessuno gli badò, perché era invisibile.

alexandra.fischer
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Re: Ritorno a casa Livio Gambarini edition

Messaggio#17 » giovedì 26 novembre 2015, 18:33

Ciao Maria Rosaria,
ho seguito con piacere i tuoi consigli. Ecco la nuova versione del racconto. Sei stata gentilissima nell'aver richiesto la grazia per me.

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