Una persona perbene
Inviato: martedì 20 febbraio 2024, 1:20
Bilan uscì di casa come ogni mattina alle otto e venti. Salì sul treno, scorrendo le notizie.
Nessuna novità di rilievo: ribelli dei livelli inferiori erano stati neutralizzati dai Meka della Polizia, modello G-349. Sorrise: uno dei migliori per quel tipo di operazione.
Arrivò al palazzo della Peacemek alle nove meno cinque, in perfetto orario. I soliti controlli, poi salì al suo ufficio dell’undicesimo piano, parlando con un paio di colleghi in ascensore.
Aveva già indossato il casco straniante e stava per collegarsi, quando sentì lo scoppio. Fece appena in tempo a girarsi: un gruppo di uomini armati, vestiti di tute nere, era entrato dalla porta principale.
Con orrore li vide sparare ai suoi colleghi. Si rese conto a malapena che uno di loro staccava il cavo di un casco, collegandolo a una macchina che non aveva mai visto.
Poi venne risucchiato all’interno dell’Ambiente. La solita sensazione di cadere.
Sei in una stanza buia, fredda, maleodorante.
Qualcosa non va: l’Ambiente è sempre ben illuminato, a una temperatura costante e piacevole, asettico.
Accendi le luci frontali, impaurito. Muri pieni di graffiti, cumuli di spazzatura. Davanti, una ringhiera metallica: guardando verso il basso scopri un abisso nero. Sopra di te, la luce dei livelli più alti.
Fai un passo indietro. Devi riflettere.
Sei accoppiato a un Meka della Polizia. Riconosci il modello G-360 dalla consolle colorata. Tre metri di altezza, arti in titanio, intelligenza artificiale evolutiva, armi con proiettili potenziati. Una delle produzioni Peacemek più avanzate.
Sollievo. Sai che puoi controllarlo come bere un bicchier d’acqua. Hai lavorato ai suoi dispositivi per mesi. Qualsiasi cosa sia successa, saprai gestire la situazione.
Una luce lontana attira la tua attenzione: una scala che sale. Indichi al pilota automatico di trovare una via d’uscita per i piani alti, vuoi andartene da quel posto orribile.
Mentre sali, intravedi una porta socchiusa, ti avvicini.
Ti ritrovi in una grande stanza, se possibile ancora più puzzolente. Dentro ci saranno almeno venti persone, uomini, donne e bambini sdraiati a terra, indifesi. Una guardia si accorge di te troppo tardi.
«Allarme! Svegliatevi, presto!»
«Cittadini, rimanete fermi per la vostra sicurezza.» Il Meka scandisce l’avvertimento standard, alza il suo fucile con la mano destra. C’è qualcosa che non va: non sei stato tu a parlare, e neanche a compiere quel gesto minaccioso.
La guardia getta la sua arma, un’espressione di terrore sul volto. Gli altri, addormentati, fanno appena in tempo a sollevarsi a sedere.
Il cyborg spara il primo colpo, colpisce una donna che difende una bambina col proprio corpo. Sconvolto dall’orrore, comandi di cessare il fuoco, ma non serve a nulla.
Il fucile colpisce ancora, questa volta un ragazzo che cade con un grido agghiacciante.
Poi scatena una pioggia di fuoco sulle persone indifese.
Uno schiaffo. Un altro.
Il casco straniante cadde a terra.
Bilan tornò alla realtà, l’odore di carne bruciata ancora nelle narici.
L’uomo lo stava bloccando contro la sua poltrona con un braccio meccanico potenziato, togliendogli ogni possibilità di reagire. Gli parlò a pochi centimetri dalla faccia.
«Li hai visti vero, coglione? Sono tutti morti, non è così? Non era una esercitazione: quella gente è stata massacrata davvero. Che diavolo fai qui dentro?»
«Ingegneria, dispo… ehm. Dispositivi di puntamento.» Riuscì a dirlo a fatica, sconvolto.
L’uomo in nero indicò i suoi compagni. Avevano preso possesso dell’intero piano.
«Abbiamo usato un virus: vi permette di collegarvi ai vostri amati poliziotti robot, vedere quello che fanno, ma senza interferire. Irruzioni, massacri di innocenti ordinati dal Governo per mantenere il cosiddetto ordine. Persone indifese che hanno avuto l’unica sfortuna di nascere nei livelli inferiori.»
«Orribile. È stato orribile.» Non riconobbe la sua stessa voce, di solito tranquilla, controllata.
«È così ogni giorno, Ingegnere. Ma vi stiamo dando la possibilità di cambiare le cose. Potete riprogrammare i Meka, mettere fine a questo inutile massacro.» Solo in quel momento si accorse degli occhi scavati, della sua magrezza. Sarà stato anche lui uno dei livelli bassi.
Bilan tacque. Visse di nuovo la realtà aumentata attraverso i sensi del cyborg. Quanti delitti come quello succedevano mentre si impegnava a migliorare di un micron la loro mira automatica?
Prese la decisione, smise di lottare.
«Sono una persona perbene. Vi aiuterò.»
Sei tornato.
L’Ambiente è sempre il solito, rassicurante. Cominci i controlli di routine, appena distratto dal ricordo degli occhi azzurri del terrorista, dei bambini falciati dalle raffiche.
Di molti Meka della sicurezza Peacemek che fanno irruzione nel tuo ufficio, annientando gli uomini in nero.
Sono passate solo poche ore, ma quella mattina orribile sbiadisce mentre riprendi il tuo lavoro.
Modifichi appena l’algoritmo e alzi il braccio armato del cyborg. Due spari in rapida successione, centri perfetti.
Ora è tornato tutto a posto.
Sorridi. Ami troppo il tuo lavoro.
Nessuna novità di rilievo: ribelli dei livelli inferiori erano stati neutralizzati dai Meka della Polizia, modello G-349. Sorrise: uno dei migliori per quel tipo di operazione.
Arrivò al palazzo della Peacemek alle nove meno cinque, in perfetto orario. I soliti controlli, poi salì al suo ufficio dell’undicesimo piano, parlando con un paio di colleghi in ascensore.
Aveva già indossato il casco straniante e stava per collegarsi, quando sentì lo scoppio. Fece appena in tempo a girarsi: un gruppo di uomini armati, vestiti di tute nere, era entrato dalla porta principale.
Con orrore li vide sparare ai suoi colleghi. Si rese conto a malapena che uno di loro staccava il cavo di un casco, collegandolo a una macchina che non aveva mai visto.
Poi venne risucchiato all’interno dell’Ambiente. La solita sensazione di cadere.
Sei in una stanza buia, fredda, maleodorante.
Qualcosa non va: l’Ambiente è sempre ben illuminato, a una temperatura costante e piacevole, asettico.
Accendi le luci frontali, impaurito. Muri pieni di graffiti, cumuli di spazzatura. Davanti, una ringhiera metallica: guardando verso il basso scopri un abisso nero. Sopra di te, la luce dei livelli più alti.
Fai un passo indietro. Devi riflettere.
Sei accoppiato a un Meka della Polizia. Riconosci il modello G-360 dalla consolle colorata. Tre metri di altezza, arti in titanio, intelligenza artificiale evolutiva, armi con proiettili potenziati. Una delle produzioni Peacemek più avanzate.
Sollievo. Sai che puoi controllarlo come bere un bicchier d’acqua. Hai lavorato ai suoi dispositivi per mesi. Qualsiasi cosa sia successa, saprai gestire la situazione.
Una luce lontana attira la tua attenzione: una scala che sale. Indichi al pilota automatico di trovare una via d’uscita per i piani alti, vuoi andartene da quel posto orribile.
Mentre sali, intravedi una porta socchiusa, ti avvicini.
Ti ritrovi in una grande stanza, se possibile ancora più puzzolente. Dentro ci saranno almeno venti persone, uomini, donne e bambini sdraiati a terra, indifesi. Una guardia si accorge di te troppo tardi.
«Allarme! Svegliatevi, presto!»
«Cittadini, rimanete fermi per la vostra sicurezza.» Il Meka scandisce l’avvertimento standard, alza il suo fucile con la mano destra. C’è qualcosa che non va: non sei stato tu a parlare, e neanche a compiere quel gesto minaccioso.
La guardia getta la sua arma, un’espressione di terrore sul volto. Gli altri, addormentati, fanno appena in tempo a sollevarsi a sedere.
Il cyborg spara il primo colpo, colpisce una donna che difende una bambina col proprio corpo. Sconvolto dall’orrore, comandi di cessare il fuoco, ma non serve a nulla.
Il fucile colpisce ancora, questa volta un ragazzo che cade con un grido agghiacciante.
Poi scatena una pioggia di fuoco sulle persone indifese.
Uno schiaffo. Un altro.
Il casco straniante cadde a terra.
Bilan tornò alla realtà, l’odore di carne bruciata ancora nelle narici.
L’uomo lo stava bloccando contro la sua poltrona con un braccio meccanico potenziato, togliendogli ogni possibilità di reagire. Gli parlò a pochi centimetri dalla faccia.
«Li hai visti vero, coglione? Sono tutti morti, non è così? Non era una esercitazione: quella gente è stata massacrata davvero. Che diavolo fai qui dentro?»
«Ingegneria, dispo… ehm. Dispositivi di puntamento.» Riuscì a dirlo a fatica, sconvolto.
L’uomo in nero indicò i suoi compagni. Avevano preso possesso dell’intero piano.
«Abbiamo usato un virus: vi permette di collegarvi ai vostri amati poliziotti robot, vedere quello che fanno, ma senza interferire. Irruzioni, massacri di innocenti ordinati dal Governo per mantenere il cosiddetto ordine. Persone indifese che hanno avuto l’unica sfortuna di nascere nei livelli inferiori.»
«Orribile. È stato orribile.» Non riconobbe la sua stessa voce, di solito tranquilla, controllata.
«È così ogni giorno, Ingegnere. Ma vi stiamo dando la possibilità di cambiare le cose. Potete riprogrammare i Meka, mettere fine a questo inutile massacro.» Solo in quel momento si accorse degli occhi scavati, della sua magrezza. Sarà stato anche lui uno dei livelli bassi.
Bilan tacque. Visse di nuovo la realtà aumentata attraverso i sensi del cyborg. Quanti delitti come quello succedevano mentre si impegnava a migliorare di un micron la loro mira automatica?
Prese la decisione, smise di lottare.
«Sono una persona perbene. Vi aiuterò.»
Sei tornato.
L’Ambiente è sempre il solito, rassicurante. Cominci i controlli di routine, appena distratto dal ricordo degli occhi azzurri del terrorista, dei bambini falciati dalle raffiche.
Di molti Meka della sicurezza Peacemek che fanno irruzione nel tuo ufficio, annientando gli uomini in nero.
Sono passate solo poche ore, ma quella mattina orribile sbiadisce mentre riprendi il tuo lavoro.
Modifichi appena l’algoritmo e alzi il braccio armato del cyborg. Due spari in rapida successione, centri perfetti.
Ora è tornato tutto a posto.
Sorridi. Ami troppo il tuo lavoro.