E comunque non di sabato
Inviato: lunedì 15 aprile 2024, 22:43
«Toc toc. Vorrei conferire con l’ispettore Fulghesu. È libero?»
«No, è uscito» risponde Fulghesu, senza girare lo sguardo verso l’ingresso. «Trova un posto per sederti.»
Serena Campisi annusa l’odore di chiuso e arriccia il naso. Vede una sedia nascosta dietro tre pile di faldoni. In una mano tiene una borsa di pelle.
«Sempre ordinatissimo, vedo.»
«Non sono cambiato in questi anni. A cosa devo questa rimpatriata, Serena?»
«Credo possa immaginartelo.»
«Veramente no.»
«I due omicidi. Le donne della stazione.»
«Sì. E quindi?»
«So che stai indagando per i cavoli tuoi.»
«Ho un regolare contratto, firmato dal marito di una delle vittime. Vuoi vederlo?»
Lei sorride, scuote appena la testa e poi incrocia le braccia. «Perché non me ne hai parlato?»
«Avrei dovuto?»
«Luca, non fare lo stronzo con me.»
A Fulghesu scappa una risata. Di gusto, dal cuore. «Stronzo? Io?»
«Sai benissimo che puoi aiutarci a prendere quella belva.»
«Ma io non lavoro più per la polizia. E non stiamo più insieme. Ricordi?»
«Quindi non vuoi unire le forze perché ti sto ancora sul cazzo?»
«No. Io lavoro per chi mi paga. Ma se pensi che possa esservi d’aiuto… Il fatto è che sei troppo orgogliosa per chiedermelo.»
«Se fosse come dici, allora perché sarei qui?»
«Magari per provare a tornare insieme.»
Il pugno arriva alla bocca dello stomaco. Fulghesu geme e si piega in avanti, tenendosi l’addome con le mani.
«Da poco ho ripreso con la kick-boxing» spiega.
«Ah… mi fa… molto piacere… Brava, ahi… Ottimi risultati» ansima, mettendosi in ginocchio.
Campisi si abbassa alla sua altezza, gli solleva il mento e gli dà un bacio sulla guancia. L’umido delle sue labbra lo eccita ancora come ai vecchi tempi.
«Possiamo riprendere a frequentarci, se vuoi. Ma prima dimmi se mi dai una mano.»
«Certo… certo che sì, Sere. Voglio dire, ti do una mano, ma non c’è bisogno che mi meni» dice, rizzandosi in piedi e massaggiandosi la pancia. «Riprendere a frequentarci? Ma… Vabbè, senti. Parliamo dell’assassino?»
«Del maniaco» precisa Campisi.
«Del maniaco.»
Campisi recupera la borsa, la apre, estrae un fascicolo e si avvia alla scrivania. Passa un dito sul legno del tavolo e mostra il polpastrello ingrigito a Fulghesu.
«Ma non ti vergogni?»
«Di cosa, di avere come amico qualche miliardo di acari?»
Lei apre una cartella di cartoncino e mostra due foto che ritraggono i cadaveri delle donne. In alto, due scritte rosse che sbavano sulla parete grigia della sala d’attesa: VIII e ΛIII.
«Ha usato il loro sangue» spiega Campisi.
«Che bestia. Impronte?»
«Ce ne sono troppe.»
«Va bene. Allora dimmi ciò che sai.»
«Arianna Contu e Marcella Deligia sono state uccise il 13 e il 20 febbraio, di martedì. Può essere una coincidenza oppure no. Il referto del medico legale indica un’orario del decesso compatibile fra le due e le tre di notte, in ambedue i casi.»
«E le telecamere di sorveglianza?»
«Fuori uso da un mese. Come vedi le coincidenze sono diverse.»
Fulghesu si stuzzica mento e pizzetto col pollice. «Qualche ipotesi sulle scritte?»
«Nessuna. Sembrano numeri romani, ma uno dei caratteri è una lambda: non c’entra nulla.»
«Aspetta… Sere, non è che hai con te copie delle foto?»
«Sì certo, le faccio sempre. Sono nel fascicolo»
Fulghesu si avvicina alla cartella aperta: individua le copie in bianco e nero, le studia e le sovrappone. Prende un righello e fa combaciare le foto.
«Guarda.»
Campisi allunga lo sguardo sulle foto sovrapposte: ora le due scritte compongono XIII.
«Vedi che dobbiamo tornare a frequentarci?» e gli assesta un leggero scappellotto sulla nuca.
«Se non mi meni. E comunque non sabato sera.»
«Perché?»
«Perché gioca il Cagliari.»
«Poi non ho ragione che sei uno stronzo!»
«Okay, torniamo al maniaco. Ora abbiamo un numero romano. Ma ne sappiamo quanto prima. O no?»
«Be’, no. Abbiamo qualcosa su cui fare ipotesi.»
«Qualcosa su cui fare ipotesi. Un modo elegante per dire non sappiamo un cazzo, ma ci proviamo.»
«Sei con me in questo caso, Luca?»
Lui la guarda e la accarezza. Lei chiude gli occhi e assapora quel piacere tutto suo.
«Tu che dici?»
«No, è uscito» risponde Fulghesu, senza girare lo sguardo verso l’ingresso. «Trova un posto per sederti.»
Serena Campisi annusa l’odore di chiuso e arriccia il naso. Vede una sedia nascosta dietro tre pile di faldoni. In una mano tiene una borsa di pelle.
«Sempre ordinatissimo, vedo.»
«Non sono cambiato in questi anni. A cosa devo questa rimpatriata, Serena?»
«Credo possa immaginartelo.»
«Veramente no.»
«I due omicidi. Le donne della stazione.»
«Sì. E quindi?»
«So che stai indagando per i cavoli tuoi.»
«Ho un regolare contratto, firmato dal marito di una delle vittime. Vuoi vederlo?»
Lei sorride, scuote appena la testa e poi incrocia le braccia. «Perché non me ne hai parlato?»
«Avrei dovuto?»
«Luca, non fare lo stronzo con me.»
A Fulghesu scappa una risata. Di gusto, dal cuore. «Stronzo? Io?»
«Sai benissimo che puoi aiutarci a prendere quella belva.»
«Ma io non lavoro più per la polizia. E non stiamo più insieme. Ricordi?»
«Quindi non vuoi unire le forze perché ti sto ancora sul cazzo?»
«No. Io lavoro per chi mi paga. Ma se pensi che possa esservi d’aiuto… Il fatto è che sei troppo orgogliosa per chiedermelo.»
«Se fosse come dici, allora perché sarei qui?»
«Magari per provare a tornare insieme.»
Il pugno arriva alla bocca dello stomaco. Fulghesu geme e si piega in avanti, tenendosi l’addome con le mani.
«Da poco ho ripreso con la kick-boxing» spiega.
«Ah… mi fa… molto piacere… Brava, ahi… Ottimi risultati» ansima, mettendosi in ginocchio.
Campisi si abbassa alla sua altezza, gli solleva il mento e gli dà un bacio sulla guancia. L’umido delle sue labbra lo eccita ancora come ai vecchi tempi.
«Possiamo riprendere a frequentarci, se vuoi. Ma prima dimmi se mi dai una mano.»
«Certo… certo che sì, Sere. Voglio dire, ti do una mano, ma non c’è bisogno che mi meni» dice, rizzandosi in piedi e massaggiandosi la pancia. «Riprendere a frequentarci? Ma… Vabbè, senti. Parliamo dell’assassino?»
«Del maniaco» precisa Campisi.
«Del maniaco.»
Campisi recupera la borsa, la apre, estrae un fascicolo e si avvia alla scrivania. Passa un dito sul legno del tavolo e mostra il polpastrello ingrigito a Fulghesu.
«Ma non ti vergogni?»
«Di cosa, di avere come amico qualche miliardo di acari?»
Lei apre una cartella di cartoncino e mostra due foto che ritraggono i cadaveri delle donne. In alto, due scritte rosse che sbavano sulla parete grigia della sala d’attesa: VIII e ΛIII.
«Ha usato il loro sangue» spiega Campisi.
«Che bestia. Impronte?»
«Ce ne sono troppe.»
«Va bene. Allora dimmi ciò che sai.»
«Arianna Contu e Marcella Deligia sono state uccise il 13 e il 20 febbraio, di martedì. Può essere una coincidenza oppure no. Il referto del medico legale indica un’orario del decesso compatibile fra le due e le tre di notte, in ambedue i casi.»
«E le telecamere di sorveglianza?»
«Fuori uso da un mese. Come vedi le coincidenze sono diverse.»
Fulghesu si stuzzica mento e pizzetto col pollice. «Qualche ipotesi sulle scritte?»
«Nessuna. Sembrano numeri romani, ma uno dei caratteri è una lambda: non c’entra nulla.»
«Aspetta… Sere, non è che hai con te copie delle foto?»
«Sì certo, le faccio sempre. Sono nel fascicolo»
Fulghesu si avvicina alla cartella aperta: individua le copie in bianco e nero, le studia e le sovrappone. Prende un righello e fa combaciare le foto.
«Guarda.»
Campisi allunga lo sguardo sulle foto sovrapposte: ora le due scritte compongono XIII.
«Vedi che dobbiamo tornare a frequentarci?» e gli assesta un leggero scappellotto sulla nuca.
«Se non mi meni. E comunque non sabato sera.»
«Perché?»
«Perché gioca il Cagliari.»
«Poi non ho ragione che sei uno stronzo!»
«Okay, torniamo al maniaco. Ora abbiamo un numero romano. Ma ne sappiamo quanto prima. O no?»
«Be’, no. Abbiamo qualcosa su cui fare ipotesi.»
«Qualcosa su cui fare ipotesi. Un modo elegante per dire non sappiamo un cazzo, ma ci proviamo.»
«Sei con me in questo caso, Luca?»
Lui la guarda e la accarezza. Lei chiude gli occhi e assapora quel piacere tutto suo.
«Tu che dici?»