Occhi gialli
Inviato: martedì 16 aprile 2024, 0:57
Rosa aveva visto il lupo per la prima volta quando aveva quattro anni. Era seduta in cortile in mezzo all’erba e aveva notato questi grandi occhi gialli dietro alla staccionata. Aveva sorriso con tutta la sua ingenuità di bambina ed era tornata a osservare gli insetti.
L’aveva rivisto regolarmente da quel giorno. Non usciva dai cespugli, non si avvicinava.
Un giorno Rosa si era allontanata per raccogliere dei fiori. Voleva intrecciare una coroncina di fiori per la nonna. Era uscita dal cortile saltando di colore in colore come un’ape legnaiola. Si era avvicinata ai margini del bosco, dove nascono le campanule azzurre e un grosso cinghiale le si era parato di fronte. Nascondeva tre maialetti curiosi ed era infuriato.
Gli occhi si rivelarono sotto forma di un gruppo lupo, saltato in mezzo alla scena gonfiando il pelo, inarcandosi e ringhiando al cinghiale con una vibrazione cupa, facendolo scomparire a gran velocità nella macchia. Poi, ricomponendosi istantaneamente, si era voltato verso Rosa e dopo un lento ammiccare e un balzo fluido era tornato a nascondersi.
Passarono gli anni, e la bambina, ormai diventata ragazza, sapeva di poter sempre contare sul suo protettore. Rosa non amava il paese, dove era circondata dalle persone e dalle loro chiacchiere. Quando era nella natura invece, sapeva che nulla poteva farle del male. Non accadeva spesso, ma qualsiasi minaccia evocava il suo protettore dal folto manto nero. Il tempo l’aveva reso più grande, scuro e minaccioso e non c’era esitazione nella loro intesa.
La ragazza aveva provato a fingersi in pericolo per avvicinare la bestia, per capirla e per mostrarle la sua gratitudine, ma il lupo sapeva esattamente quali pericoli erano reali e quali un pretesto per attirarlo.
Rosa e la madre andarono a vivere a qualche paese di distanza, più in basso nella valle, dove le persone non giudicano con troppa intensità. La nonna non era stata buona con loro, le aveva scacciate e la ragazza non sapeva perché. Sospettava di essere lei l’oggetto del diverbio, ma nessuno le spiegava. La mamma era arrabbiata, poi spaventata. L’aveva presa durante la notte ed erano fuggite insieme.
Nella loro nuova casa gli occhi non erano ricomparsi. Rosa pensò che il lupo non le avesse viste partire, che avesse perso le tracce. Camminò nei boschi lasciando nastri intrisi del suo profumo sperando di ricondurlo a lei, ma non tornò.
La ragazza si fece donna, e il ricordo del lupo andava svanendo in mezzo a quei ricordi d’infanzia che stanno in bilico tra la memoria, la fantasia e il mito.
La nonna era malata, non le restava molto. Aveva contattato la figlia e Rosa in un tentativo di riavvicinarsi, ma anche quello era degenerato in odio e male parole. La madre proibiva a Rosa di andare a trovare la vecchia. Era malvagia, diceva, senza motivare questa accusa. Rosa non sapeva accettare questa imposizione. Era adulta ora, ed era suo diritto rivedere la nonna, curarla.
Partì, preceduta da una lettera in cui annunciava la sua visita. Aveva dimenticato la strada, ma presto iniziò a riconoscere alberi, edifici, campi, la sua casa d’infanzia, poco discosta dalla strada.
Rosa corse verso l’ingresso. Bussò forte, pensando alla nonna che si affrettava verso per accoglierla. Bussò di nuovo, poi prese la chiave nascosta nella terra di un vaso di gerani ed entrò annunciandosi a gran voce.
La nonna era nel suo letto, squartata dalle fauci di una grande bestia. Il petto era aperto come un fiore rosso e bianco, il cuore masticato e sputato per terra in un grumo scuro. L’odore metallico e pungente del sangue e delle viscere le mozzò il respiro. La finestra della stanza era aperta e Rosa vi si affacciò d’istinto, forse per cercare aria fresca, forse per distogliere lo sguardo, forse per cercare un colpevole in fuga.
Vide due occhi gialli nei cespugli. La guardavano con insolita intensità.
Rosa guardò di nuovo la nonna, poi gli occhi gialli. Gli occhi si chiusero ammiccanti e rassicuranti.
Rosa annuì e uscì da quella casa senza più rimpianti.
L’aveva rivisto regolarmente da quel giorno. Non usciva dai cespugli, non si avvicinava.
Un giorno Rosa si era allontanata per raccogliere dei fiori. Voleva intrecciare una coroncina di fiori per la nonna. Era uscita dal cortile saltando di colore in colore come un’ape legnaiola. Si era avvicinata ai margini del bosco, dove nascono le campanule azzurre e un grosso cinghiale le si era parato di fronte. Nascondeva tre maialetti curiosi ed era infuriato.
Gli occhi si rivelarono sotto forma di un gruppo lupo, saltato in mezzo alla scena gonfiando il pelo, inarcandosi e ringhiando al cinghiale con una vibrazione cupa, facendolo scomparire a gran velocità nella macchia. Poi, ricomponendosi istantaneamente, si era voltato verso Rosa e dopo un lento ammiccare e un balzo fluido era tornato a nascondersi.
Passarono gli anni, e la bambina, ormai diventata ragazza, sapeva di poter sempre contare sul suo protettore. Rosa non amava il paese, dove era circondata dalle persone e dalle loro chiacchiere. Quando era nella natura invece, sapeva che nulla poteva farle del male. Non accadeva spesso, ma qualsiasi minaccia evocava il suo protettore dal folto manto nero. Il tempo l’aveva reso più grande, scuro e minaccioso e non c’era esitazione nella loro intesa.
La ragazza aveva provato a fingersi in pericolo per avvicinare la bestia, per capirla e per mostrarle la sua gratitudine, ma il lupo sapeva esattamente quali pericoli erano reali e quali un pretesto per attirarlo.
Rosa e la madre andarono a vivere a qualche paese di distanza, più in basso nella valle, dove le persone non giudicano con troppa intensità. La nonna non era stata buona con loro, le aveva scacciate e la ragazza non sapeva perché. Sospettava di essere lei l’oggetto del diverbio, ma nessuno le spiegava. La mamma era arrabbiata, poi spaventata. L’aveva presa durante la notte ed erano fuggite insieme.
Nella loro nuova casa gli occhi non erano ricomparsi. Rosa pensò che il lupo non le avesse viste partire, che avesse perso le tracce. Camminò nei boschi lasciando nastri intrisi del suo profumo sperando di ricondurlo a lei, ma non tornò.
La ragazza si fece donna, e il ricordo del lupo andava svanendo in mezzo a quei ricordi d’infanzia che stanno in bilico tra la memoria, la fantasia e il mito.
La nonna era malata, non le restava molto. Aveva contattato la figlia e Rosa in un tentativo di riavvicinarsi, ma anche quello era degenerato in odio e male parole. La madre proibiva a Rosa di andare a trovare la vecchia. Era malvagia, diceva, senza motivare questa accusa. Rosa non sapeva accettare questa imposizione. Era adulta ora, ed era suo diritto rivedere la nonna, curarla.
Partì, preceduta da una lettera in cui annunciava la sua visita. Aveva dimenticato la strada, ma presto iniziò a riconoscere alberi, edifici, campi, la sua casa d’infanzia, poco discosta dalla strada.
Rosa corse verso l’ingresso. Bussò forte, pensando alla nonna che si affrettava verso per accoglierla. Bussò di nuovo, poi prese la chiave nascosta nella terra di un vaso di gerani ed entrò annunciandosi a gran voce.
La nonna era nel suo letto, squartata dalle fauci di una grande bestia. Il petto era aperto come un fiore rosso e bianco, il cuore masticato e sputato per terra in un grumo scuro. L’odore metallico e pungente del sangue e delle viscere le mozzò il respiro. La finestra della stanza era aperta e Rosa vi si affacciò d’istinto, forse per cercare aria fresca, forse per distogliere lo sguardo, forse per cercare un colpevole in fuga.
Vide due occhi gialli nei cespugli. La guardavano con insolita intensità.
Rosa guardò di nuovo la nonna, poi gli occhi gialli. Gli occhi si chiusero ammiccanti e rassicuranti.
Rosa annuì e uscì da quella casa senza più rimpianti.