Luigi allo specchio di Emiliano Maramonte
Inviato: martedì 22 ottobre 2024, 0:56
Mi sento uno schifo. Quanto ho dormito?
Luigi lanciò un’occhiata alla sveglia: mancava un quarto alle undici.
La testa gli girava come una trottola; l’emicrania batteva regolare come il batacchio di una campana. Si accorse d’essersi addormentato con i vestiti sudati appiccicati addosso. Si trascinò in bagno e svuotò la vescica sofferente. Aprì il rubinetto dell’acqua fredda, lo scroscio del getto sembrava il frastuono di una cascata. Si lavò le mani e si schiaffeggiò il viso, tanti piccoli aghi gli trafissero la pelle. Serrò denti e palpebre finché non arrivò una botta di lucidità. Poi fissò lo specchio. Dedicò al suo riflesso un sorriso esagerato. Però, cazzo, che festa! Gente figa, drink a fiumi, fumo e il miglior dj in circolazione. Nessuno avrebbe scordato il suo quarantesimo compleanno.
«Sono fortunato» disse a voce alta. Assunse un’espressione solenne. «Ehi, tu mi piaci. Sei un vincente, un imprenditore con le palle!» Si strofinò i palmi umidi sui pantaloni e scoprì di avere un oggetto in tasca. Lo tirò fuori, era una carta da gioco.
Da dove sbucava, quella?
Ah, certo, Arianna. Adesso ricordava.
Era la fidanzata di Romeo, una donna bellissima ma strana forte. Leggeva i tarocchi agli invitati. Un po’ tutti avevano alzato il gomito e ridevano come scemi, ma lei no.
«Aspetta un momento» disse allo specchio. «Lo sai? Quella matta blaterava cose senza senso. Mi ha detto che sono incompleto. Mi ha detto che non sarei quello che sono se…» Si interruppe stupito.
Come cazzo lo sapeva? «… se non avessi dato ascolto a mia madre.»
Alzò la carta e la scrutò angosciato: l’Appeso. «Presto vedrai, mi ha detto.»
Posò lo sguardo sul suo gemello speculare.
C’era qualcosa, oltre la superficie. Sovrapposta alla sua immagine comparve una scena fosca e angosciante. C’era un uomo che gli somigliava molto, ma appariva emaciato, triste. Aveva la barba incolta, i capelli in disordine. Luigi si stropicciò gli occhi, ma la visione non si dissolse. Notò una stanza squallida arredata con pochi mobili. L’ambiente era immerso in un’atmosfera fosca, quasi funebre.
Luigi non capiva. Erano forse gli effetti residui della sbornia? Un senso di pietà lo colse, e sussultò quando comprese che…
«…quello sono io!» Aveva un aspetto migliore. Era elegante, bello… forse anche ricco!
Una risata nervosa gli sfuggì dalla gola. «Ma com’è possibile?» Si avvicinò allo specchio. «Sei proprio tu?» Corse alla libreria e frugò in una pila di schizzi a matita. Estrasse il foglio ingiallito di un autoritratto. Era uguale al riflesso che era comparso nello specchio.
Aveva spesso fantasticato su una vita diversa.
Che cosa sarebbe successo se ti avessi dato ascolto, mamma? Non lo sapeva, ma la visione apparsa dal nulla in una mattina come tante altre forse era la risposta.
Luigi fissò Luigi più di quanto non volesse. Poi la superficie dello specchio tornò normale. Spostò lo sguardo sul dipinto che stava ultimando, raffigurava la figura stilizzata di un giovane appeso per una caviglia. Perché lo aveva disegnato?
Luigi recuperò la bottiglia di birra e la maledisse. Quel liquido infame ingigantiva i rimpianti.
«Buon compleanno» si augurò, con un sorriso amaro.
Luigi lanciò un’occhiata alla sveglia: mancava un quarto alle undici.
La testa gli girava come una trottola; l’emicrania batteva regolare come il batacchio di una campana. Si accorse d’essersi addormentato con i vestiti sudati appiccicati addosso. Si trascinò in bagno e svuotò la vescica sofferente. Aprì il rubinetto dell’acqua fredda, lo scroscio del getto sembrava il frastuono di una cascata. Si lavò le mani e si schiaffeggiò il viso, tanti piccoli aghi gli trafissero la pelle. Serrò denti e palpebre finché non arrivò una botta di lucidità. Poi fissò lo specchio. Dedicò al suo riflesso un sorriso esagerato. Però, cazzo, che festa! Gente figa, drink a fiumi, fumo e il miglior dj in circolazione. Nessuno avrebbe scordato il suo quarantesimo compleanno.
«Sono fortunato» disse a voce alta. Assunse un’espressione solenne. «Ehi, tu mi piaci. Sei un vincente, un imprenditore con le palle!» Si strofinò i palmi umidi sui pantaloni e scoprì di avere un oggetto in tasca. Lo tirò fuori, era una carta da gioco.
Da dove sbucava, quella?
Ah, certo, Arianna. Adesso ricordava.
Era la fidanzata di Romeo, una donna bellissima ma strana forte. Leggeva i tarocchi agli invitati. Un po’ tutti avevano alzato il gomito e ridevano come scemi, ma lei no.
«Aspetta un momento» disse allo specchio. «Lo sai? Quella matta blaterava cose senza senso. Mi ha detto che sono incompleto. Mi ha detto che non sarei quello che sono se…» Si interruppe stupito.
Come cazzo lo sapeva? «… se non avessi dato ascolto a mia madre.»
Alzò la carta e la scrutò angosciato: l’Appeso. «Presto vedrai, mi ha detto.»
Posò lo sguardo sul suo gemello speculare.
C’era qualcosa, oltre la superficie. Sovrapposta alla sua immagine comparve una scena fosca e angosciante. C’era un uomo che gli somigliava molto, ma appariva emaciato, triste. Aveva la barba incolta, i capelli in disordine. Luigi si stropicciò gli occhi, ma la visione non si dissolse. Notò una stanza squallida arredata con pochi mobili. L’ambiente era immerso in un’atmosfera fosca, quasi funebre.
Luigi non capiva. Erano forse gli effetti residui della sbornia? Un senso di pietà lo colse, e sussultò quando comprese che…
«…quello sono io!» Aveva un aspetto migliore. Era elegante, bello… forse anche ricco!
Una risata nervosa gli sfuggì dalla gola. «Ma com’è possibile?» Si avvicinò allo specchio. «Sei proprio tu?» Corse alla libreria e frugò in una pila di schizzi a matita. Estrasse il foglio ingiallito di un autoritratto. Era uguale al riflesso che era comparso nello specchio.
Aveva spesso fantasticato su una vita diversa.
Che cosa sarebbe successo se ti avessi dato ascolto, mamma? Non lo sapeva, ma la visione apparsa dal nulla in una mattina come tante altre forse era la risposta.
Luigi fissò Luigi più di quanto non volesse. Poi la superficie dello specchio tornò normale. Spostò lo sguardo sul dipinto che stava ultimando, raffigurava la figura stilizzata di un giovane appeso per una caviglia. Perché lo aveva disegnato?
Luigi recuperò la bottiglia di birra e la maledisse. Quel liquido infame ingigantiva i rimpianti.
«Buon compleanno» si augurò, con un sorriso amaro.