Pirati
Inviato: martedì 22 ottobre 2024, 1:33
La notte placida avvolgeva la nave in un'atmosfera ovattata.
Una stella cadente cadde.
Qualcuno espresse un desiderio, mentre il mozzo della nave, il quattrocchi Tobias, si affacciò al parapetto muovendo la testa a scatti in tutte le direzioni come per cercare dove fosse finita. Voleva a tutti i costi essere il più stupido dell'equipaggio, e anche in quell'occasione dimostrò le sue infinite potenzialità: il suo primato non era in discussione.
Nella parte centrale dell'imbarcazione, accanto al pennone, il capitano Gilmur iniziò a raschiare con il suo uncino contro un pezzo di ferro, facendo un rumore così stridulo e fastidioso che tutto l'equipaggio si voltò verso di lui a guardarlo.
«Signorine», con la mano buona portò la bottiglia di rum alla bocca e tracannò un lungo sorso di rum. «Statemi bene a sentire. Io ora vado a dormire, vedete di non fare casino e soprattutto di non fare casini.» Si passò la lingua sui pochi denti che gli erano rimasti. «Di iceberg in giro non ce ne sono nemmeno a pagarne, e l'acqua è liscia come l'olio, per cui credo che anche dei buoni a nulla come voi possano riuscire a passare indenni la notte.»
I suoi uomini annuirono, più per toglierselo dalle palle il prima possibile che per altro.
La benda nera sull'occhio e l'uncino al posto della mano lo rendevano più una barzelletta che un temibile pirata.
Ma lui era Gilmur, il terrore degli oceani, e nessuno poteva controbattere.
E quindi il nostro Gilmur, per l'appunto, incastrò il suo uncino in un gancio sul pavimento e sollevò una botola al cui interno c'era una scalinata che portava sul fondo dello scafo. «Io vado, signorine, ci vediamo domani mattina.» E si lanciò giù nel fondo buio della nave.
L'equipaggio tornò al lavoro, mentre Tobias iniziò ad arrampicarsi sul pennone come una scimmia zoppa. Arrivato in cima recuperò il fiato e poi prese il cannocchiale che aveva in tasca. Lo portò agli occhi e si guardò attorno. «Terra!» urlò d'improvviso.
Gli uomini sul ponte alzarono lo sguardo ma quando videro che era lui non gli diedero retta perchè sapevano che era il più stupido della nave. E anche perchè era un quattrocchi e quindi era impossibile che avesse visto qualcosa di così lontano.
Sulla nave poi, c'era un marinaio che fino a quel momento se n'era stato tranquillo per i fatti suoi. Era rimasto seduto a poppa, dove nessuno gli dava importanza. Quel marinaio si guardava continuamente intorno, come se aspettasse il momento giusto, il momento in cui proprio nessuno lo avrebbe visto. Così, quando la nave prese ritmo e velocità nella notte, quel marinaio si tuffò giù e iniziò a nuotare dall'altra parte, controcorrente.
Nuotava, nuotava e nuotava. Fino a quando una piccola barchetta passò da quelle parti e lo tirò su a bordo. Era salvo.
«Jhon!» La voce di mamma dall'altra parte della casa mi arriva forte e chiara. «Vieni giù che è pronto a tavola.»
«Un attimo, mamma. Sto finendo di fare una cosa molto importante.» urlo.
«Non farmi salire su, Jhon. Ho detto che è pronto!»
«Mam—»
«Mamma un cazzo! Smettila di giocare con quella cagata di nave dei pirati e vieni giù. Hai sedici anni, per la miseria!»
Che palle. Non vedo l'ora di diventare maggiorenne e andarmene da qui per fare quello che voglio. Scendo le scale e arrivo in cucina: al tavolo manco solo io.
«Ma perchè non prendi esempio da tuo fratello?» Mamma indica Tobias con il mento. «Guardalo, è qui già da dieci minuti, mica come te!»
Ma per fortuna, direi.
Suonano al campanello.
Mamma mi fissa e fa cenno con la testa. «Almeno vai ad aprire, no? Fai qualcosa, no? Sicuramente sarà Gilmur.»
«Agli ordini, capo...» Mi incammino verso la porta e la apro: sì, è lui, e come sempre puzza d'alcol da far schifo. Non capirò mai cosa ci ha trovato mamma in un troglodita del genere a tal punto da farci pure un figlio insieme.
Comunque... non vedo l'ora di scendere da questa nave.
Una stella cadente cadde.
Qualcuno espresse un desiderio, mentre il mozzo della nave, il quattrocchi Tobias, si affacciò al parapetto muovendo la testa a scatti in tutte le direzioni come per cercare dove fosse finita. Voleva a tutti i costi essere il più stupido dell'equipaggio, e anche in quell'occasione dimostrò le sue infinite potenzialità: il suo primato non era in discussione.
Nella parte centrale dell'imbarcazione, accanto al pennone, il capitano Gilmur iniziò a raschiare con il suo uncino contro un pezzo di ferro, facendo un rumore così stridulo e fastidioso che tutto l'equipaggio si voltò verso di lui a guardarlo.
«Signorine», con la mano buona portò la bottiglia di rum alla bocca e tracannò un lungo sorso di rum. «Statemi bene a sentire. Io ora vado a dormire, vedete di non fare casino e soprattutto di non fare casini.» Si passò la lingua sui pochi denti che gli erano rimasti. «Di iceberg in giro non ce ne sono nemmeno a pagarne, e l'acqua è liscia come l'olio, per cui credo che anche dei buoni a nulla come voi possano riuscire a passare indenni la notte.»
I suoi uomini annuirono, più per toglierselo dalle palle il prima possibile che per altro.
La benda nera sull'occhio e l'uncino al posto della mano lo rendevano più una barzelletta che un temibile pirata.
Ma lui era Gilmur, il terrore degli oceani, e nessuno poteva controbattere.
E quindi il nostro Gilmur, per l'appunto, incastrò il suo uncino in un gancio sul pavimento e sollevò una botola al cui interno c'era una scalinata che portava sul fondo dello scafo. «Io vado, signorine, ci vediamo domani mattina.» E si lanciò giù nel fondo buio della nave.
L'equipaggio tornò al lavoro, mentre Tobias iniziò ad arrampicarsi sul pennone come una scimmia zoppa. Arrivato in cima recuperò il fiato e poi prese il cannocchiale che aveva in tasca. Lo portò agli occhi e si guardò attorno. «Terra!» urlò d'improvviso.
Gli uomini sul ponte alzarono lo sguardo ma quando videro che era lui non gli diedero retta perchè sapevano che era il più stupido della nave. E anche perchè era un quattrocchi e quindi era impossibile che avesse visto qualcosa di così lontano.
Sulla nave poi, c'era un marinaio che fino a quel momento se n'era stato tranquillo per i fatti suoi. Era rimasto seduto a poppa, dove nessuno gli dava importanza. Quel marinaio si guardava continuamente intorno, come se aspettasse il momento giusto, il momento in cui proprio nessuno lo avrebbe visto. Così, quando la nave prese ritmo e velocità nella notte, quel marinaio si tuffò giù e iniziò a nuotare dall'altra parte, controcorrente.
Nuotava, nuotava e nuotava. Fino a quando una piccola barchetta passò da quelle parti e lo tirò su a bordo. Era salvo.
«Jhon!» La voce di mamma dall'altra parte della casa mi arriva forte e chiara. «Vieni giù che è pronto a tavola.»
«Un attimo, mamma. Sto finendo di fare una cosa molto importante.» urlo.
«Non farmi salire su, Jhon. Ho detto che è pronto!»
«Mam—»
«Mamma un cazzo! Smettila di giocare con quella cagata di nave dei pirati e vieni giù. Hai sedici anni, per la miseria!»
Che palle. Non vedo l'ora di diventare maggiorenne e andarmene da qui per fare quello che voglio. Scendo le scale e arrivo in cucina: al tavolo manco solo io.
«Ma perchè non prendi esempio da tuo fratello?» Mamma indica Tobias con il mento. «Guardalo, è qui già da dieci minuti, mica come te!»
Ma per fortuna, direi.
Suonano al campanello.
Mamma mi fissa e fa cenno con la testa. «Almeno vai ad aprire, no? Fai qualcosa, no? Sicuramente sarà Gilmur.»
«Agli ordini, capo...» Mi incammino verso la porta e la apro: sì, è lui, e come sempre puzza d'alcol da far schifo. Non capirò mai cosa ci ha trovato mamma in un troglodita del genere a tal punto da farci pure un figlio insieme.
Comunque... non vedo l'ora di scendere da questa nave.