Una candela alla vaniglia
Inviato: martedì 28 gennaio 2025, 20:21
Merda, mi sono tagliato! Stupido pelapatate in ceramica Ikea.
Forse avrei dovuto comprarne uno meno zelante. A ripensarci, mi mancano quelle domeniche in cui rischiavi la vita tra i passeggini killer di caviglie all'angolo delle occasioni e le vecchiette armate di gomiti affilati. Un po' come oggi, ma con meno zombie e più profumatori per armadi al mango.
Sono passati diversi mesi dall’ultima volta che sono andato all'Ikea, ma da quando devono importare i mobili con elicotteri direttamente sul tetto del negozio, non c’è più la convenienza di vent’anni fa. È ironico come in un mondo apocalittico, le multinazionali si siano riorganizzate prima dei governi.
Ero con Michael.
È morto all'angolo occasioni, azzannato da una vecchia, roba che quando lo racconti non ci credono.
Lei aveva avuto un infarto sollevando una maxi candela alla vaniglia da cinque chili e Michael, col suo maledetto spirito da volontario, si era lanciato in una rianimazione da manuale. Lei si è girata, gli ha staccato un pezzo di spalla, e fine della storia.
Un paio di minuti dopo è arrivata l'ambulanza con due colpi ben piazzati: uno per la vecchia e uno per Michael. Ironia della sorte a sparare fu Corrado, che ancora non gli aveva perdonato il trattamento che aveva riservato a sua moglie.
Comunque la candela l'ho presa io, sta ancora lì in salotto ma non la accendo quasi mai.
Forse per nostalgia, forse perché il profumo di vaniglia mi ricorda troppo Michael, o forse perché con questo caldo una candela accesa mi sembra un insulto alla logica.
Oggi faccio pomeriggio e non sono proprio dell'umore, soprattutto perché mi tocca lavorare con Corrado, che da quando comanda è diventato il re dei rompicoglioni. Un ritardo di trenta secondi e sei condannato a due ore di monologhi sull'importanza della puntualità.
Non che la puntualità serva a molto in un mondo in cui tutto va a rotoli, ma chi sono io per discutere? Finisco la mia frittata di patate, salgo sulla mia gloriosa Ford Kuga del 2029, che con questo caldo sa di plastica bruciata e vecchie scorze di mandarino, e in meno di dieci minuti arrivo in sede.
Appena entro l'aria condizionata mi dà un abbraccio gelido, e lo stesso si può dire di Corrado che mi aspetta come un avvoltoio, ma oggi non è solo. Accanto a lui c'è un ragazzo, un novellino.
Si vede subito: alto, magro, nervoso come uno che si è appena accorto di aver perso il preservativo dentro la sua ragazza.
«Mario, ti presento Luca. È il suo primo giorno, gli insegnerai tutto quello che serve sapere.»
«Certo, capo,» dico con un sorriso che sa di sarcasmo, ma che lui ignora abilmente.
Luca sorride timidamente e io lo squadro. È carne fresca e mi chiedo quanto durerà, gli ultimi tre novellini non hanno superato nemmeno il primo turno.
È sempre divertente quando iniziano, credono di poter cambiare il mondo. Spoiler: non possono.
Abbandono il gelo dell’aria condizionata e porto Luca fuori nel parcheggio delle ambulanze per caricare la nostra: farmaci, munizioni, machete, un paio di bottiglie d'acqua e uno snack che sembra una suola di scarpa ma che chiamano "barretta proteica".
Oggi è uno di quei giorni afosi che ti fanno venire voglia di buttarti tra gli zombie, se non fosse che la loro puzza è peggio del caldo. Il sole brucia, l’aria sa di carne marcia e l’odore degli zombie ammassati fuori dalle mura ti si appiccica addosso come un maglione di lana in agosto. Ci vuole qualcosa per tirare su il morale.
Prendo il cellulare e mando un messaggio nella chat di gruppo, poi salgo sull’ambulanza, guido io.
«Quanti anni hai?»
«Ne ho compiuti sedici il mese scorso» mi risponde Luca titubante. Vuol dire che è nato nella zona sicura, non ha mai conosciuto il mondo esterno, non ha mai provato una bistecca.
«Qui dentro mangiamo solo verdure. Zucchine, insalata, pomodori… niente carne. Sai perché?»
«Per gli animali zombie?» chiede, incerto.
«Esatto. L’ultima cosa che vuoi è una gallina zombie che ti rincorre per staccarti i polpacci. O un gatto. Quei bastardi erano pericolosi già da vivi.»
Ripenso alla frittata di prima , agli eroi che rischiano la vita ogni giorno per quelle uova, e ringrazio che le galline continuano a farle, anche se zombificate.
Mentre guido la testa vola, ripensando a quando si mangiava ancora carne. Dio quanto mi manca.
Luca dopo un bel po di tempo rompe il silenzio.
«Mario, ma… tu da quanto sei qui?»
Un classico. I novellini sono sempre curiosi.
«Dal 2032» rispondo senza staccare gli occhi dalla strada.
«Quindi sei arrivato quando c’era ancora lo…» la voce quasi un sussurro «Zombiebus, giusto?»
Sospiro. Lo Zombiebus. Solo il nome mi fa tornare in mente cose che preferirei dimenticare, ma ormai Luca mi guarda con quegli occhioni pieni di interesse, e capisco che tanto non mollerà.
«Sì, avevo 15 anni e vivevo non lontano da qui, sono arrivato un anno dopo che tutto è iniziato» racconto. «All’epoca chiamavamo così quei bus verdi che passavano a raccattare i sopravvissuti.»
Luca mi fissa stupefatto, ha fame di sapere, probabilmente perché noi primi sopravvissuti ormai siamo pochi, e i racconti sulla vita di prima sono tabù. Nessuno vuole raccontare com’è sopravvissuto quando il mondo è finito, ma dovevamo pur mangiare no?
«E perché hanno smesso di usarli?»
«Troppi attacchi. Gli zombie non sono scemi, sai? Col tempo hanno capito che quei bus erano pieni di prede facili. Li seguivano, e quando hanno visto che erano l’equivalente dei furgoni della spesa a domicilio Essellunga che tanto amavano in vita, hanno iniziato ad assaltarli in massa. I conducenti erano eroi, ma anche gli eroi muoiono. Quando hanno chiuso il servizio qui dentro nessuno ha pianto, eravamo già troppi e poi ormai fuori non c’era più nessuno da salvare»
«L’Esselunga consegnava cibo!?» Mi guarda stupefatto, e i suoi occhi si soffermano sulla pistola Esselunga C17 appoggiata sul cruscotto.
Sorrido ripensando a come sono cambiate le cose negli ultimi vent’anni.
Luca probabilmente intuisce cosa stavo pensando e prosegue senza aspettare una risposta «Com’era prima?»
«Uno schifo. Semplice.» Mi gratto il mento, cercando di mettere ordine nei ricordi. «Quando il mondo è andato a puttane, io ero ancora nella mia vecchia casa a Corsico. Avevo un cane, Spazzola. Un bastardino nero con una macchia bianca sul muso. Un rompicoglioni, una di quelle bestiole che abbaiano a qualsiasi cosa si muova, solo che un giorno ha smesso di muoversi, per poi riprendere.»
Luca mi guarda, incuriosito.
«Aspetta, Spazzola… era…?»
Annuisco. «Zombie. Non so come sia successo, ma è successo. Non ho avuto il coraggio di abbatterlo. Sai, era il mio cane, dannazione. Così l’ho rinchiuso in casa. Gli lasciavo cibo davanti alla porta, anche se sapevo che non mangiava più, forse era una scusa per non ammettere che avevo perso anche lui.»
Luca deglutisce. «E poi?»
«Poi sono arrivati gli zombie, quelli veri, e hanno invaso il quartiere. Stavo per rassegnarmi, quando ho sentito un clacson e ho visto un bus verde. Non si fermava mai e raccattava ogni pochi metri chiunque riuscisse a correre. Non potevo portare Spazzola, così gli ho aperto la porta e sono corso via. Chissà, magari è ancora in giro a mordere caviglie di qualche poveraccio.»
«E sei salito di corsa?»
«Certo! diventi velocissimo quando un cane zombi ti corre dietro per morderti.» rido amareggiato.
«Dev’essere stato difficile.»
«Sì,» rispondo, scrollando le spalle. «Ma almeno sono vivo. Lo Zombiebus mi ha portato qui nella zona sicura di Rozzano. Era un inferno su ruote, stipati come sardine, gente che urlava, piangeva. E poi c’era quell’odore… non di zombie, ma di paura. Non lo dimenticherò mai.»
Mentre parlo, vedo nei suoi occhi un misto di orrore e ammirazione. Gli piace l’idea che io sia uno dei “pionieri” della zona sicura e forse pensa che questo mi renda un eroe. Ma la verità è un’altra. Qui dentro non ci sono eroi, solo sopravvissuti che fanno quello che devono per tirare avanti.
E, a volte, per divertirsi un po’.
Il suono di una selettiva radio interrompe i nostri discorsi facendo trasalire Luca sul sedile.
Corrado ci passa l’intervento, lo stronzo è rimasto in sede al fresco oggi.
Una vecchia è morta in casa e la famiglia ha chiamato per la “purificazione”, normale routine.
Mentre andiamo vedo che Luca fissa dritto davanti a sé, chissà se sarà pronto.
Arriviamo e i figli della donna ci aspettano fuori dalla porta di casa.
Scarello la mia Esselunga ed entro nella stanza con Luca che mi segue come un’ombra.
Hanno avuto il buon gusto di legarla alla poltrona prima che spirasse, e io che pensavo che quelle cagate di depliant che distribuiamo fossero solo spazzatura. Qualcuno che li legge c'è a quanto pare.
«Guarda e impara» gli dico.
Un colpo alla testa e il gioco è fatto. La parete si tinge di rosso mentre lui sbianca, ma regge. Bene, almeno non è svenuto.
Condoglianze alla famiglia, gli allungo un bigliettino delle pompe funebri Enel.
Nemmeno il tempo di bere un po d’acqua che Corrado richiama via radio per un’altro servizio.
Un uomo è andato a fare jogging fuori dalle mura, ma è stato morso e ha provato a rientrare senza dire nulla, ma le guardie all’ingresso l’hanno fermato insospettite dalla scia di sangue che si lasciava dietro. L'ho sempre detto che quelli che vanno a correre sono i più stupidi.
Guardo la ferita sul polpaccio, è piuttosto brutta e perde molto sangue. Qualche anno fa l’avremmo potuto salvare con una trasfusione, ma oggigiorno nessuno va più a donare il sangue.
Gli lego braccia e gambe e lui inizia a piangere, mentre Luca si siede vicino a lui per confortarlo.
Non ci vuole molto prima che che muoia. In meno di dieci secondi inizia a strisciare verso di noi, con lo sguardo vuoto. Passo la pistola a Luca. Mi guarda, esita, trema, ma alla fine ce la fa. Bravo ragazzo.
«Non dovremmo aiutarle le persone?» mi chiede con la voce tremante.
«Beh, in un certo senso le aiutiamo.. non ti sei mai chiesto con cosa viene alimentato il termovalorizzatore? La corrente serve, specie con questo caldo.»
Come per magia appare un carro funebre Enel, dal quale scendono due uomini.
Uno dei due mi fa un cenno del capo quasi impercettibile, caricano il fu Forrest Gump ancora legato e lo scaraventano nel carro sopra la vecchietta di prima.
Luca balbetta, troppe informazioni tutte insieme oggi, troppe verità che nessuno vuole vedere, ma che sono davanti al naso di tutti. Mi fa pena, Quasi mi dispiace per quello che sta per accadere.
Il telefono vibra in tasca per tre volte, i preparativi sono terminati.
La voce di Corrado rimbomba dalla radio, ci siamo.
Il terzo intervento è in un magazzino abbandonato lontano dalla zona abitata, qualcuno ha segnalato uno zombie solitario. In teoria.
«Vai avanti tu,» gli dico con un sorriso malizioso.
«Da solo?»
«Sì. È un test, una tradizione per i nuovi arrivati.»
Mi guarda terrorizzato, poi entra senza dire nulla, si vede che ci tiene a fare bella figura il suo primo giorno.
Luca è talmente terrorizzato da non esserci nemmeno accorto della dozzina di veicoli parcheggiati vicino al magazzino, compreso il carro funebre di prima.
Avanza nel magazzino polveroso e io resto indietro, ma non sono solo. Dietro una porta laterale ci sono i miei clienti.
Benvenuti nel mio mondo, il centro scommesse ereditato dal mio collega Giuseppe, detto Peppe “Quota Fissa”. Quando è andato in pensione mi ha passato il testimone, e devo dire che mi sono adattato molto bene al ruolo.
Salgo una rampa di scale che da una visuale su tutto il magazzino, e li trovo già Fabrizio in compagnia di altre persone. Fabrizio ormai ha quasi ottant’anni e si guadagna da vivere gestendo un bordello con ragazze zombie sexy. Dice che se non hanno i denti non possono morderti, ma nonostante i suoi inviti non ho mai voluto provare. Dice anche che sta cercando “redenzione” dalla sua vecchia vita, e nel frattempo scommette sui novellini come se fosse il SuperEnalotto.
«Non durerà 5 minuti» dice Corona, infilando una mazzetta nel barattolo delle scommesse.
«Io dico che ce la può fare» rispondo con sicurezza.
Attraverso una finestra vediamo Luca avanzare nel magazzino. È buio, con scaffali rotti e ombre inquietanti. Lo zombie è legato in fondo al corridoio, ma la corda è abbastanza lunga da permettegli di muoversi in libertà.
Mi ricordo quando al suo posto c'ero io… oggi sono nostalgico.
«Questa è arte» commenta Corona.
Luca sente un rumore e si blocca. Punta la pistola, ma le mani gli tremano.
Errore pivello. Una nutria esce fuori da sotto uno scaffale, Luca trasalendo spara un colpo, mandando in frantumi un vetro di un ufficio di fronte a lui e nel casino non si accorge dello zombie alle sue spalle: un ragazzo giovane e piuttosto alto con la pelle a brandelli e gli occhi iniettati di sangue, mentre in mano stringe un braccio che sgranocchia felice. Lo riconosco quello, è dell’ultimo novellino che ha fallito la prova, c’è ancora un brandello di divisa attaccato. Perfetto.
«Ora si fa interessante» dice Peppe, che più che le scommesse è qua perché vuole controllare come gestisco l’eredità.
Luca spara, ma manca il bersaglio. Lo zombie avanza, lui spara di nuovo e colpisce il braccio che aveva in mano distruggendolo. Ora lo zombie si è incazzato.
Luca indietreggia ma inciampa e cade.
«Ci siamo» mormoro, trattenendo il fiato.
Lo zombie gli salta addosso. Luca cerca di resistere, ma è inutile.
Scendo le scale che portano al magazzino, mentre Gianmaria lega lo zombie ad una porta, felice con il suo nuovo trofeo.
Luca guarda il moncherino dove prima c’era il suo braccio, lo zombie non l’ha presa bene. Ha gli occhi pieni di terrore e lacrime, mentre una pozza di sangue cresce velocemente ai suoi piedi.
«Mario… ti prego…»
Lo guardo. È stato bravo oggi, ma non abbastanza.
«Mi dispiace, Luca. Regole della casa.»
Premo il grilletto.
Torno nella stanza scommesse e distribuisco le vincite. Corona è euforico.
«Ragazzi tutti da me, oggi sconto del cinquanta percento su quelle con ancora tutti gli arti!»
Sorrido e incasso la mia percentuale declinando l’offerta di Fabrizio, sarò all’antica, ma in una donna il detto “basta che respiri” ha ancora valore per me.
Torno in sede e prendo il modulo “incidenti sul lavoro” dal cassetto. Corrado mi lancia uno sguardo carico di sospetto.
«Un altro?»
«Una tragedia, un incidente inevitabile» rispondo con un’alzata di spalle.
Lui borbotta qualcosa sul fatto che “i novellini costano”, ma non lo ascolto più e torno a casa.
Oggi c'è davvero puzza, accendo la candela alla vaniglia e penso al prossimo turno. E, magari, al prossimo novellino.
Forse avrei dovuto comprarne uno meno zelante. A ripensarci, mi mancano quelle domeniche in cui rischiavi la vita tra i passeggini killer di caviglie all'angolo delle occasioni e le vecchiette armate di gomiti affilati. Un po' come oggi, ma con meno zombie e più profumatori per armadi al mango.
Sono passati diversi mesi dall’ultima volta che sono andato all'Ikea, ma da quando devono importare i mobili con elicotteri direttamente sul tetto del negozio, non c’è più la convenienza di vent’anni fa. È ironico come in un mondo apocalittico, le multinazionali si siano riorganizzate prima dei governi.
Ero con Michael.
È morto all'angolo occasioni, azzannato da una vecchia, roba che quando lo racconti non ci credono.
Lei aveva avuto un infarto sollevando una maxi candela alla vaniglia da cinque chili e Michael, col suo maledetto spirito da volontario, si era lanciato in una rianimazione da manuale. Lei si è girata, gli ha staccato un pezzo di spalla, e fine della storia.
Un paio di minuti dopo è arrivata l'ambulanza con due colpi ben piazzati: uno per la vecchia e uno per Michael. Ironia della sorte a sparare fu Corrado, che ancora non gli aveva perdonato il trattamento che aveva riservato a sua moglie.
Comunque la candela l'ho presa io, sta ancora lì in salotto ma non la accendo quasi mai.
Forse per nostalgia, forse perché il profumo di vaniglia mi ricorda troppo Michael, o forse perché con questo caldo una candela accesa mi sembra un insulto alla logica.
Oggi faccio pomeriggio e non sono proprio dell'umore, soprattutto perché mi tocca lavorare con Corrado, che da quando comanda è diventato il re dei rompicoglioni. Un ritardo di trenta secondi e sei condannato a due ore di monologhi sull'importanza della puntualità.
Non che la puntualità serva a molto in un mondo in cui tutto va a rotoli, ma chi sono io per discutere? Finisco la mia frittata di patate, salgo sulla mia gloriosa Ford Kuga del 2029, che con questo caldo sa di plastica bruciata e vecchie scorze di mandarino, e in meno di dieci minuti arrivo in sede.
Appena entro l'aria condizionata mi dà un abbraccio gelido, e lo stesso si può dire di Corrado che mi aspetta come un avvoltoio, ma oggi non è solo. Accanto a lui c'è un ragazzo, un novellino.
Si vede subito: alto, magro, nervoso come uno che si è appena accorto di aver perso il preservativo dentro la sua ragazza.
«Mario, ti presento Luca. È il suo primo giorno, gli insegnerai tutto quello che serve sapere.»
«Certo, capo,» dico con un sorriso che sa di sarcasmo, ma che lui ignora abilmente.
Luca sorride timidamente e io lo squadro. È carne fresca e mi chiedo quanto durerà, gli ultimi tre novellini non hanno superato nemmeno il primo turno.
È sempre divertente quando iniziano, credono di poter cambiare il mondo. Spoiler: non possono.
Abbandono il gelo dell’aria condizionata e porto Luca fuori nel parcheggio delle ambulanze per caricare la nostra: farmaci, munizioni, machete, un paio di bottiglie d'acqua e uno snack che sembra una suola di scarpa ma che chiamano "barretta proteica".
Oggi è uno di quei giorni afosi che ti fanno venire voglia di buttarti tra gli zombie, se non fosse che la loro puzza è peggio del caldo. Il sole brucia, l’aria sa di carne marcia e l’odore degli zombie ammassati fuori dalle mura ti si appiccica addosso come un maglione di lana in agosto. Ci vuole qualcosa per tirare su il morale.
Prendo il cellulare e mando un messaggio nella chat di gruppo, poi salgo sull’ambulanza, guido io.
«Quanti anni hai?»
«Ne ho compiuti sedici il mese scorso» mi risponde Luca titubante. Vuol dire che è nato nella zona sicura, non ha mai conosciuto il mondo esterno, non ha mai provato una bistecca.
«Qui dentro mangiamo solo verdure. Zucchine, insalata, pomodori… niente carne. Sai perché?»
«Per gli animali zombie?» chiede, incerto.
«Esatto. L’ultima cosa che vuoi è una gallina zombie che ti rincorre per staccarti i polpacci. O un gatto. Quei bastardi erano pericolosi già da vivi.»
Ripenso alla frittata di prima , agli eroi che rischiano la vita ogni giorno per quelle uova, e ringrazio che le galline continuano a farle, anche se zombificate.
Mentre guido la testa vola, ripensando a quando si mangiava ancora carne. Dio quanto mi manca.
Luca dopo un bel po di tempo rompe il silenzio.
«Mario, ma… tu da quanto sei qui?»
Un classico. I novellini sono sempre curiosi.
«Dal 2032» rispondo senza staccare gli occhi dalla strada.
«Quindi sei arrivato quando c’era ancora lo…» la voce quasi un sussurro «Zombiebus, giusto?»
Sospiro. Lo Zombiebus. Solo il nome mi fa tornare in mente cose che preferirei dimenticare, ma ormai Luca mi guarda con quegli occhioni pieni di interesse, e capisco che tanto non mollerà.
«Sì, avevo 15 anni e vivevo non lontano da qui, sono arrivato un anno dopo che tutto è iniziato» racconto. «All’epoca chiamavamo così quei bus verdi che passavano a raccattare i sopravvissuti.»
Luca mi fissa stupefatto, ha fame di sapere, probabilmente perché noi primi sopravvissuti ormai siamo pochi, e i racconti sulla vita di prima sono tabù. Nessuno vuole raccontare com’è sopravvissuto quando il mondo è finito, ma dovevamo pur mangiare no?
«E perché hanno smesso di usarli?»
«Troppi attacchi. Gli zombie non sono scemi, sai? Col tempo hanno capito che quei bus erano pieni di prede facili. Li seguivano, e quando hanno visto che erano l’equivalente dei furgoni della spesa a domicilio Essellunga che tanto amavano in vita, hanno iniziato ad assaltarli in massa. I conducenti erano eroi, ma anche gli eroi muoiono. Quando hanno chiuso il servizio qui dentro nessuno ha pianto, eravamo già troppi e poi ormai fuori non c’era più nessuno da salvare»
«L’Esselunga consegnava cibo!?» Mi guarda stupefatto, e i suoi occhi si soffermano sulla pistola Esselunga C17 appoggiata sul cruscotto.
Sorrido ripensando a come sono cambiate le cose negli ultimi vent’anni.
Luca probabilmente intuisce cosa stavo pensando e prosegue senza aspettare una risposta «Com’era prima?»
«Uno schifo. Semplice.» Mi gratto il mento, cercando di mettere ordine nei ricordi. «Quando il mondo è andato a puttane, io ero ancora nella mia vecchia casa a Corsico. Avevo un cane, Spazzola. Un bastardino nero con una macchia bianca sul muso. Un rompicoglioni, una di quelle bestiole che abbaiano a qualsiasi cosa si muova, solo che un giorno ha smesso di muoversi, per poi riprendere.»
Luca mi guarda, incuriosito.
«Aspetta, Spazzola… era…?»
Annuisco. «Zombie. Non so come sia successo, ma è successo. Non ho avuto il coraggio di abbatterlo. Sai, era il mio cane, dannazione. Così l’ho rinchiuso in casa. Gli lasciavo cibo davanti alla porta, anche se sapevo che non mangiava più, forse era una scusa per non ammettere che avevo perso anche lui.»
Luca deglutisce. «E poi?»
«Poi sono arrivati gli zombie, quelli veri, e hanno invaso il quartiere. Stavo per rassegnarmi, quando ho sentito un clacson e ho visto un bus verde. Non si fermava mai e raccattava ogni pochi metri chiunque riuscisse a correre. Non potevo portare Spazzola, così gli ho aperto la porta e sono corso via. Chissà, magari è ancora in giro a mordere caviglie di qualche poveraccio.»
«E sei salito di corsa?»
«Certo! diventi velocissimo quando un cane zombi ti corre dietro per morderti.» rido amareggiato.
«Dev’essere stato difficile.»
«Sì,» rispondo, scrollando le spalle. «Ma almeno sono vivo. Lo Zombiebus mi ha portato qui nella zona sicura di Rozzano. Era un inferno su ruote, stipati come sardine, gente che urlava, piangeva. E poi c’era quell’odore… non di zombie, ma di paura. Non lo dimenticherò mai.»
Mentre parlo, vedo nei suoi occhi un misto di orrore e ammirazione. Gli piace l’idea che io sia uno dei “pionieri” della zona sicura e forse pensa che questo mi renda un eroe. Ma la verità è un’altra. Qui dentro non ci sono eroi, solo sopravvissuti che fanno quello che devono per tirare avanti.
E, a volte, per divertirsi un po’.
Il suono di una selettiva radio interrompe i nostri discorsi facendo trasalire Luca sul sedile.
Corrado ci passa l’intervento, lo stronzo è rimasto in sede al fresco oggi.
Una vecchia è morta in casa e la famiglia ha chiamato per la “purificazione”, normale routine.
Mentre andiamo vedo che Luca fissa dritto davanti a sé, chissà se sarà pronto.
Arriviamo e i figli della donna ci aspettano fuori dalla porta di casa.
Scarello la mia Esselunga ed entro nella stanza con Luca che mi segue come un’ombra.
Hanno avuto il buon gusto di legarla alla poltrona prima che spirasse, e io che pensavo che quelle cagate di depliant che distribuiamo fossero solo spazzatura. Qualcuno che li legge c'è a quanto pare.
«Guarda e impara» gli dico.
Un colpo alla testa e il gioco è fatto. La parete si tinge di rosso mentre lui sbianca, ma regge. Bene, almeno non è svenuto.
Condoglianze alla famiglia, gli allungo un bigliettino delle pompe funebri Enel.
Nemmeno il tempo di bere un po d’acqua che Corrado richiama via radio per un’altro servizio.
Un uomo è andato a fare jogging fuori dalle mura, ma è stato morso e ha provato a rientrare senza dire nulla, ma le guardie all’ingresso l’hanno fermato insospettite dalla scia di sangue che si lasciava dietro. L'ho sempre detto che quelli che vanno a correre sono i più stupidi.
Guardo la ferita sul polpaccio, è piuttosto brutta e perde molto sangue. Qualche anno fa l’avremmo potuto salvare con una trasfusione, ma oggigiorno nessuno va più a donare il sangue.
Gli lego braccia e gambe e lui inizia a piangere, mentre Luca si siede vicino a lui per confortarlo.
Non ci vuole molto prima che che muoia. In meno di dieci secondi inizia a strisciare verso di noi, con lo sguardo vuoto. Passo la pistola a Luca. Mi guarda, esita, trema, ma alla fine ce la fa. Bravo ragazzo.
«Non dovremmo aiutarle le persone?» mi chiede con la voce tremante.
«Beh, in un certo senso le aiutiamo.. non ti sei mai chiesto con cosa viene alimentato il termovalorizzatore? La corrente serve, specie con questo caldo.»
Come per magia appare un carro funebre Enel, dal quale scendono due uomini.
Uno dei due mi fa un cenno del capo quasi impercettibile, caricano il fu Forrest Gump ancora legato e lo scaraventano nel carro sopra la vecchietta di prima.
Luca balbetta, troppe informazioni tutte insieme oggi, troppe verità che nessuno vuole vedere, ma che sono davanti al naso di tutti. Mi fa pena, Quasi mi dispiace per quello che sta per accadere.
Il telefono vibra in tasca per tre volte, i preparativi sono terminati.
La voce di Corrado rimbomba dalla radio, ci siamo.
Il terzo intervento è in un magazzino abbandonato lontano dalla zona abitata, qualcuno ha segnalato uno zombie solitario. In teoria.
«Vai avanti tu,» gli dico con un sorriso malizioso.
«Da solo?»
«Sì. È un test, una tradizione per i nuovi arrivati.»
Mi guarda terrorizzato, poi entra senza dire nulla, si vede che ci tiene a fare bella figura il suo primo giorno.
Luca è talmente terrorizzato da non esserci nemmeno accorto della dozzina di veicoli parcheggiati vicino al magazzino, compreso il carro funebre di prima.
Avanza nel magazzino polveroso e io resto indietro, ma non sono solo. Dietro una porta laterale ci sono i miei clienti.
Benvenuti nel mio mondo, il centro scommesse ereditato dal mio collega Giuseppe, detto Peppe “Quota Fissa”. Quando è andato in pensione mi ha passato il testimone, e devo dire che mi sono adattato molto bene al ruolo.
Salgo una rampa di scale che da una visuale su tutto il magazzino, e li trovo già Fabrizio in compagnia di altre persone. Fabrizio ormai ha quasi ottant’anni e si guadagna da vivere gestendo un bordello con ragazze zombie sexy. Dice che se non hanno i denti non possono morderti, ma nonostante i suoi inviti non ho mai voluto provare. Dice anche che sta cercando “redenzione” dalla sua vecchia vita, e nel frattempo scommette sui novellini come se fosse il SuperEnalotto.
«Non durerà 5 minuti» dice Corona, infilando una mazzetta nel barattolo delle scommesse.
«Io dico che ce la può fare» rispondo con sicurezza.
Attraverso una finestra vediamo Luca avanzare nel magazzino. È buio, con scaffali rotti e ombre inquietanti. Lo zombie è legato in fondo al corridoio, ma la corda è abbastanza lunga da permettegli di muoversi in libertà.
Mi ricordo quando al suo posto c'ero io… oggi sono nostalgico.
«Questa è arte» commenta Corona.
Luca sente un rumore e si blocca. Punta la pistola, ma le mani gli tremano.
Errore pivello. Una nutria esce fuori da sotto uno scaffale, Luca trasalendo spara un colpo, mandando in frantumi un vetro di un ufficio di fronte a lui e nel casino non si accorge dello zombie alle sue spalle: un ragazzo giovane e piuttosto alto con la pelle a brandelli e gli occhi iniettati di sangue, mentre in mano stringe un braccio che sgranocchia felice. Lo riconosco quello, è dell’ultimo novellino che ha fallito la prova, c’è ancora un brandello di divisa attaccato. Perfetto.
«Ora si fa interessante» dice Peppe, che più che le scommesse è qua perché vuole controllare come gestisco l’eredità.
Luca spara, ma manca il bersaglio. Lo zombie avanza, lui spara di nuovo e colpisce il braccio che aveva in mano distruggendolo. Ora lo zombie si è incazzato.
Luca indietreggia ma inciampa e cade.
«Ci siamo» mormoro, trattenendo il fiato.
Lo zombie gli salta addosso. Luca cerca di resistere, ma è inutile.
Scendo le scale che portano al magazzino, mentre Gianmaria lega lo zombie ad una porta, felice con il suo nuovo trofeo.
Luca guarda il moncherino dove prima c’era il suo braccio, lo zombie non l’ha presa bene. Ha gli occhi pieni di terrore e lacrime, mentre una pozza di sangue cresce velocemente ai suoi piedi.
«Mario… ti prego…»
Lo guardo. È stato bravo oggi, ma non abbastanza.
«Mi dispiace, Luca. Regole della casa.»
Premo il grilletto.
Torno nella stanza scommesse e distribuisco le vincite. Corona è euforico.
«Ragazzi tutti da me, oggi sconto del cinquanta percento su quelle con ancora tutti gli arti!»
Sorrido e incasso la mia percentuale declinando l’offerta di Fabrizio, sarò all’antica, ma in una donna il detto “basta che respiri” ha ancora valore per me.
Torno in sede e prendo il modulo “incidenti sul lavoro” dal cassetto. Corrado mi lancia uno sguardo carico di sospetto.
«Un altro?»
«Una tragedia, un incidente inevitabile» rispondo con un’alzata di spalle.
Lui borbotta qualcosa sul fatto che “i novellini costano”, ma non lo ascolto più e torno a casa.
Oggi c'è davvero puzza, accendo la candela alla vaniglia e penso al prossimo turno. E, magari, al prossimo novellino.