L'ultima domanda di Emiliano Maramonte
Inviato: martedì 20 maggio 2025, 0:58
1 - Il dubbio
Il Sommo Karel lo attendeva nel chiostro del Santuario del Silenzio. I piedi scalzi sul marmo, le mani giunte dietro la schiena.
Egon restò immobile, all’ingresso, nella penombra dell’alba, il mantello ancora umido di rugiada notturna.
«Mi hanno riferito che sei sofferente» disse Karel. «Dormi male? Fai strani sogni?»
Silenzio. Un passo avanti. Egon inspirò. Gli tremavano le mani.
«Non credere alle parole che ti illudi di udire» lo ammonì il Sommo. «Ciò che chiami libertà è solo fame, disordine, annientamento. Al Monolito non importa il dubbio, esige l’obbedienza.»
Egon si fece più vicino. Parlò per la prima volta.
«E se volesse qualcosa di diverso?»
Karel gli rivolse una smorfia d’insofferenza. Il suo volto era un’antica mappa di rughe e certezze. «Il Monolito non vuole. Risponde. E noi siamo la sua eco.»
Egon tornò al silenzio. E scomparve nel buio.
2 - La domanda
Il Monolito è lì, immobile, più nero del buio. I raggi del sole si spezzano sulla superficie senza riflessi. Nessuna ombra. Nessun suono.
Egon oltrepassa il confine, conta dieci passi e si ferma. Il mantello si gonfia nel vento. La sabbia gli raschia le gambe, le labbra, gli occhi. Non si muove.
Dietro di lui migliaia di persone, sedute, inginocchiate, in piedi. Immobili anche loro. un popolo intero, inchiodato nell’attesa. Non parlano… non devono. Nessuno parla al Portavoce.
LA DOMANDA è incisa al centro dei suoi pensieri.
“Dobbiamo conservare il nostro ordine?”
È sempre così: una domanda, una risposta, un suono…
Acuto: sì.
Grave: no.
E tutto cambia, per cento anni.
Egon tira un profondo respiro. Le mani tremano, ma non per il freddo, è qualcosa che brucia dentro. Sogni. Sogni strani, per notti intere. Non immagini, sensazioni, un calore che preme sotto la pelle, un sussurro senza lingua.
“Chiedi per scelta, non per obbedienza.”
La sabbia si alza in rapidi mulinelli. Il vento fischia. Egon chiude gli occhi, poi arrivano le parole, le sue, per la prima volta dopo diciannove anni.
3 - Il battito
Era sgattaiolato al tramonto fuori dal Santuario. Desiderava vedere il Monolito, anche se era vietato.
Si fermò davanti al muro orientale. Spiò attraverso una delle fenditure. La sagoma rettangolare vegliava da lontano, al centro del deserto.
Egon chiuse gli occhi.
“Mi senti?”
Non lo disse ad alta voce. Fu un pensiero intimo, eppure intenso come un grido.
E qualcosa rispose. Non un suono, ma una pressione nel petto. Un battito che non era il suo. Un calore, poi il vuoto. E paura.
Spalancò le palpebre. Il Custode Luar lo fissava contrariato.
«Che cosa credevi di fare?» La voce era una lama di ghiaccio.
«L’ho sentito» sussurrò Egon.
Luar si avvicinò. Gli afferrò il polso. «Che cosa hai sentito?»
«Il Monolito. Mi ha…»
Uno schiaffo. Forte, preciso.
«Ricorda: lui non parla. Mai.»
Lo ricondussero al Santuario. Gli tolsero la voce per tre giorni, con l’amaro di piombo sulla lingua. Gli dissero che era necessario, che era per il suo bene, ma Egon non dimenticava. Il battito non era un sogno. Non lo raccontò mai più, neppure a se stesso.
4 – Il Rito
Ora il vento è forte. La sabbia taglia la pelle come schegge di vetro. Egon si stringe nel mantello. La domanda gli arde nella bocca, ma qualcosa dentro si è spezzato. Non può più farla. Nei sogni, sempre la stessa voce. Una brusio costante.
Il popolo attende. Il cielo è gravido e protesta.
Egon alza la testa. Sospira. Ha deciso. «Non chiederò nulla.»
Calma fragorosa, poi un rumore mai udito prima, né acuto, né grave.
Un battito.
Un cuore.
Il Monolito vibra, si screpola. Dalle fessure cola luce, un bagliore antico. Primordiale. Si dissolve in fiocchi neri, leggeri come cenere.
Egon indietreggia, lo sguardo vuoto, disorientato.
Il popolo è un oceano di pietra, muto, immoto.
5 – Pioggia
La pioggia scende impetuosa.
Karel ha una luce feroce in fondo agli occhi. «Cosa ti aspetti adesso?»
Egon non risponde.
«Sei pronto a pagarne il prezzo?»
«Non io.»
Un lampo squarcia il cielo. Egon si incammina nel deserto, mentre Karel urla il suo nome.
Il Sommo Karel lo attendeva nel chiostro del Santuario del Silenzio. I piedi scalzi sul marmo, le mani giunte dietro la schiena.
Egon restò immobile, all’ingresso, nella penombra dell’alba, il mantello ancora umido di rugiada notturna.
«Mi hanno riferito che sei sofferente» disse Karel. «Dormi male? Fai strani sogni?»
Silenzio. Un passo avanti. Egon inspirò. Gli tremavano le mani.
«Non credere alle parole che ti illudi di udire» lo ammonì il Sommo. «Ciò che chiami libertà è solo fame, disordine, annientamento. Al Monolito non importa il dubbio, esige l’obbedienza.»
Egon si fece più vicino. Parlò per la prima volta.
«E se volesse qualcosa di diverso?»
Karel gli rivolse una smorfia d’insofferenza. Il suo volto era un’antica mappa di rughe e certezze. «Il Monolito non vuole. Risponde. E noi siamo la sua eco.»
Egon tornò al silenzio. E scomparve nel buio.
2 - La domanda
Il Monolito è lì, immobile, più nero del buio. I raggi del sole si spezzano sulla superficie senza riflessi. Nessuna ombra. Nessun suono.
Egon oltrepassa il confine, conta dieci passi e si ferma. Il mantello si gonfia nel vento. La sabbia gli raschia le gambe, le labbra, gli occhi. Non si muove.
Dietro di lui migliaia di persone, sedute, inginocchiate, in piedi. Immobili anche loro. un popolo intero, inchiodato nell’attesa. Non parlano… non devono. Nessuno parla al Portavoce.
LA DOMANDA è incisa al centro dei suoi pensieri.
“Dobbiamo conservare il nostro ordine?”
È sempre così: una domanda, una risposta, un suono…
Acuto: sì.
Grave: no.
E tutto cambia, per cento anni.
Egon tira un profondo respiro. Le mani tremano, ma non per il freddo, è qualcosa che brucia dentro. Sogni. Sogni strani, per notti intere. Non immagini, sensazioni, un calore che preme sotto la pelle, un sussurro senza lingua.
“Chiedi per scelta, non per obbedienza.”
La sabbia si alza in rapidi mulinelli. Il vento fischia. Egon chiude gli occhi, poi arrivano le parole, le sue, per la prima volta dopo diciannove anni.
3 - Il battito
Era sgattaiolato al tramonto fuori dal Santuario. Desiderava vedere il Monolito, anche se era vietato.
Si fermò davanti al muro orientale. Spiò attraverso una delle fenditure. La sagoma rettangolare vegliava da lontano, al centro del deserto.
Egon chiuse gli occhi.
“Mi senti?”
Non lo disse ad alta voce. Fu un pensiero intimo, eppure intenso come un grido.
E qualcosa rispose. Non un suono, ma una pressione nel petto. Un battito che non era il suo. Un calore, poi il vuoto. E paura.
Spalancò le palpebre. Il Custode Luar lo fissava contrariato.
«Che cosa credevi di fare?» La voce era una lama di ghiaccio.
«L’ho sentito» sussurrò Egon.
Luar si avvicinò. Gli afferrò il polso. «Che cosa hai sentito?»
«Il Monolito. Mi ha…»
Uno schiaffo. Forte, preciso.
«Ricorda: lui non parla. Mai.»
Lo ricondussero al Santuario. Gli tolsero la voce per tre giorni, con l’amaro di piombo sulla lingua. Gli dissero che era necessario, che era per il suo bene, ma Egon non dimenticava. Il battito non era un sogno. Non lo raccontò mai più, neppure a se stesso.
4 – Il Rito
Ora il vento è forte. La sabbia taglia la pelle come schegge di vetro. Egon si stringe nel mantello. La domanda gli arde nella bocca, ma qualcosa dentro si è spezzato. Non può più farla. Nei sogni, sempre la stessa voce. Una brusio costante.
Il popolo attende. Il cielo è gravido e protesta.
Egon alza la testa. Sospira. Ha deciso. «Non chiederò nulla.»
Calma fragorosa, poi un rumore mai udito prima, né acuto, né grave.
Un battito.
Un cuore.
Il Monolito vibra, si screpola. Dalle fessure cola luce, un bagliore antico. Primordiale. Si dissolve in fiocchi neri, leggeri come cenere.
Egon indietreggia, lo sguardo vuoto, disorientato.
Il popolo è un oceano di pietra, muto, immoto.
5 – Pioggia
La pioggia scende impetuosa.
Karel ha una luce feroce in fondo agli occhi. «Cosa ti aspetti adesso?»
Egon non risponde.
«Sei pronto a pagarne il prezzo?»
«Non io.»
Un lampo squarcia il cielo. Egon si incammina nel deserto, mentre Karel urla il suo nome.