Gioco perverso
Inviato: martedì 20 maggio 2025, 1:00
Aldo salì sul treno per Venezia, in ritardo di più di dieci minuti. Come sempre.
In ritardo e anche vecchio modello.
Tirò il maniglione con la vernice grigia scrostata. L'unico vantaggio era il vagone di prima classe. Ed era deserto.
Si tolse il fedora e la sciarpa di cashmere. Per fortuna il riscaldamento funzionava quella sera.
Superò i primi posti a sedere, slacciò il cappotto e si sedette a metà vagone.
Tra poco più di mezz'ora avrebbe trovato Giselle ad aspettarlo in stazione. Che femmina.
Gli costava un occhio in cene, regali e serate al casinò ma ne valeva la pena.
Il portellone si spalancò con il solito botto, seguito dal rumore dello sferragliare del treno sulle rotaie.
Speriamo che sia solo il controllore.
Un ragazzo con un giubbotto da quattro soldi, i jeans strappati e il fisico da rugbista avanzò a lunghi passi e si stravaccò sul sedile di fronte.
Aldo aprì la bocca per fargli notare che quella era la prima classe.
«Tranquillo, Lombardi. Tra pochi minuti me ne vado.»
Il tempo si fermò per un attimo assieme ai battiti del cuore. Chi è questo energumeno, e come fa a sapere chi sono?
«Chiudi quella bocca da baccalà.»
Il timore iniziale lasciò il posto a un moto di rabbia. «Come ti permetti? Chi sei?» Aldo tentò di alzarsi ma l'altro gli tirò un pugno sul ginocchio. Un dolore mai provato gli saettò lungo la gamba, su, fino al cervello. Si accasciò sul sedile.
Il pazzo abbassò la zip del giubbotto, estrasse una pistola dalla fondina e gliela puntò contro.
Aldo trattenne a stento la vescica dallo svuotarsi nelle mutande.
«Urla, e sei morto. Muovi un muscolo, e sei morto.» Portò l'arma in fianco alla coscia e fece un sorrisetto. «Ascolta buono buono e non fare niente di stupido. Annuisci se hai capito.»
Aldo aveva i muscoli paralizzati, ma si sforzò di annuire.
Che cazzo succede. Chi minchia è questo?
Fuori dal finestrino sfrecciò l'insegna della stazione di Preganziol.
«Nessuno viene mai in prima classe, ma se qualcuno di quelli che sale prova a mettere piede qui dentro, tu chiudi gli occhi e fai finta di dormire, altrimenti...»
«Sono morto.»
«Bravo, vedo che cominci a capire.»
Devo capire come faccio a salvare la pellaccia. Probabilmente non riesco nemmeno più a camminare. Cazzo che male.
«Ho organizzato un gioco per te. Se scendi con me alla penultima fermata, ti salvi ma il treno salta in aria. Se scendi al capolinea, gli altri si salvano e tu vieni ucciso. Se non decidi, salti in aria con gli altri.»
«Sei impazz—» Il dolore e il sollevarsi della pistola gli bloccarono la protesta sul nascere.
«Stiamo arrivando a Mogliano. Ci sono altre tre fermate prima del capolinea. Hai pochi minuti per decidere.»
Non sembra pazzo. E il pugno non fa parte di uno scherzo.
Come faccio a decidere tra morire io o tutte le persone sul treno?
Sono tutti sconosciuti, che me ne importa. E se fosse vuoto?
Il treno rallentò e si fermò. Alcune persone scesero e altre salirono.
No, non è vuoto.
L'energumento fece l'occhiolino. «A Mestre salgono molte più persone.»
Il treno ripartì.
Se moriranno sarà colpa sua. Mica mia. Non sono mica io il pazzo omicida. Sarà lui che li avrà sulla coscienza.
Il ritmico sobbalzare sui binari sembrava il ticchettio di una bomba a orologeria.
Cosa stracazzo faccio? Io non voglio morire. Ma posso vivere con centinaia di morti sulla coscienza?
«Manca poco a Mestre...»
«Ti posso dare soldi. Tanti soldi.»
«So chi sei. Hai fatto bancarotta un anno fa.»
«Posso darti cinque milioni di euro.»
«Non mi freghi.»
«Te lo dimostro. Lasciami prendere il telefono.» Aldo portò una mano alla tasca. L'altro fece un cenno di assenso.
Aprì l'app della banca in Svizzera e usò l'impronta digitale per sbloccarla. «Ecco.»
Il sorrisetto del ragazzo si allargò e gli strappò di mano il telefono. «Sapevo che ti eri imboscato tutti i soldi ma non avevo le prove, figlio di vacca.» Sollevò la pistola e premette il grilletto.
La vescica e non solo, cedettero.
Nessuno sparo.
«È finta, pezzo di idiota. Devi marcire in galera.»
In ritardo e anche vecchio modello.
Tirò il maniglione con la vernice grigia scrostata. L'unico vantaggio era il vagone di prima classe. Ed era deserto.
Si tolse il fedora e la sciarpa di cashmere. Per fortuna il riscaldamento funzionava quella sera.
Superò i primi posti a sedere, slacciò il cappotto e si sedette a metà vagone.
Tra poco più di mezz'ora avrebbe trovato Giselle ad aspettarlo in stazione. Che femmina.
Gli costava un occhio in cene, regali e serate al casinò ma ne valeva la pena.
Il portellone si spalancò con il solito botto, seguito dal rumore dello sferragliare del treno sulle rotaie.
Speriamo che sia solo il controllore.
Un ragazzo con un giubbotto da quattro soldi, i jeans strappati e il fisico da rugbista avanzò a lunghi passi e si stravaccò sul sedile di fronte.
Aldo aprì la bocca per fargli notare che quella era la prima classe.
«Tranquillo, Lombardi. Tra pochi minuti me ne vado.»
Il tempo si fermò per un attimo assieme ai battiti del cuore. Chi è questo energumeno, e come fa a sapere chi sono?
«Chiudi quella bocca da baccalà.»
Il timore iniziale lasciò il posto a un moto di rabbia. «Come ti permetti? Chi sei?» Aldo tentò di alzarsi ma l'altro gli tirò un pugno sul ginocchio. Un dolore mai provato gli saettò lungo la gamba, su, fino al cervello. Si accasciò sul sedile.
Il pazzo abbassò la zip del giubbotto, estrasse una pistola dalla fondina e gliela puntò contro.
Aldo trattenne a stento la vescica dallo svuotarsi nelle mutande.
«Urla, e sei morto. Muovi un muscolo, e sei morto.» Portò l'arma in fianco alla coscia e fece un sorrisetto. «Ascolta buono buono e non fare niente di stupido. Annuisci se hai capito.»
Aldo aveva i muscoli paralizzati, ma si sforzò di annuire.
Che cazzo succede. Chi minchia è questo?
Fuori dal finestrino sfrecciò l'insegna della stazione di Preganziol.
«Nessuno viene mai in prima classe, ma se qualcuno di quelli che sale prova a mettere piede qui dentro, tu chiudi gli occhi e fai finta di dormire, altrimenti...»
«Sono morto.»
«Bravo, vedo che cominci a capire.»
Devo capire come faccio a salvare la pellaccia. Probabilmente non riesco nemmeno più a camminare. Cazzo che male.
«Ho organizzato un gioco per te. Se scendi con me alla penultima fermata, ti salvi ma il treno salta in aria. Se scendi al capolinea, gli altri si salvano e tu vieni ucciso. Se non decidi, salti in aria con gli altri.»
«Sei impazz—» Il dolore e il sollevarsi della pistola gli bloccarono la protesta sul nascere.
«Stiamo arrivando a Mogliano. Ci sono altre tre fermate prima del capolinea. Hai pochi minuti per decidere.»
Non sembra pazzo. E il pugno non fa parte di uno scherzo.
Come faccio a decidere tra morire io o tutte le persone sul treno?
Sono tutti sconosciuti, che me ne importa. E se fosse vuoto?
Il treno rallentò e si fermò. Alcune persone scesero e altre salirono.
No, non è vuoto.
L'energumento fece l'occhiolino. «A Mestre salgono molte più persone.»
Il treno ripartì.
Se moriranno sarà colpa sua. Mica mia. Non sono mica io il pazzo omicida. Sarà lui che li avrà sulla coscienza.
Il ritmico sobbalzare sui binari sembrava il ticchettio di una bomba a orologeria.
Cosa stracazzo faccio? Io non voglio morire. Ma posso vivere con centinaia di morti sulla coscienza?
«Manca poco a Mestre...»
«Ti posso dare soldi. Tanti soldi.»
«So chi sei. Hai fatto bancarotta un anno fa.»
«Posso darti cinque milioni di euro.»
«Non mi freghi.»
«Te lo dimostro. Lasciami prendere il telefono.» Aldo portò una mano alla tasca. L'altro fece un cenno di assenso.
Aprì l'app della banca in Svizzera e usò l'impronta digitale per sbloccarla. «Ecco.»
Il sorrisetto del ragazzo si allargò e gli strappò di mano il telefono. «Sapevo che ti eri imboscato tutti i soldi ma non avevo le prove, figlio di vacca.» Sollevò la pistola e premette il grilletto.
La vescica e non solo, cedettero.
Nessuno sparo.
«È finta, pezzo di idiota. Devi marcire in galera.»