Proporzioni
Inviato: giovedì 24 settembre 2015, 0:22
Acqua.
Improvvisa, devastante. Acra era riuscita a prendere solo uno dei piccoli, prima che la nursery
venisse travolta dalla furia delle onde. Una boccata d'aria, solo una, e le sarebbe dovuta bastare.
Strinse il piccolo al torace e chiuse gli occhi, mentre la corrente la sbalzava contro l'argine destro.
Detriti, fogliame e buio. Per qualche istante fu solo buio.
Un tronco le sfiorò il fianco e riuscì ad arpionarlo.
Emerse e respirò ancora. Avvolta dalla schiuma grigia. Sollevò il piccolo ponendolo al di sopra della morte liquida che li avviluppava.
«Sami!» Sbuffò fuori quel nome, quasi fosse l'ultimo respiro, ma sua sorella non poteva sentirla. Il fragore della valanga d'acqua copriva ogni cosa, anche i pensieri. Eppure era lì, a pochi metri. Impossibile da raggiungere.
Poté solo guardarla arrancare. Cercare di afferrare un grosso detrito in plastica rossa e vederla perdere la presa.
«Resisti Sami, ti prego resisti...» sussurrò.
La montagna che sovrastava le loro case, quella che li proteggeva dai venti più freddi, che aveva scoraggiato i briganti delle valli a nord. Quella che assicurava acqua fresca e cibo, li aveva traditi.
E ora piangeva grosse lacrime di fango, urlava. La terra squassata dai capricci di un dio volubile.
Guardò il piccolo, era vivo anche se sembrava dormire, quasi che la fine del mondo non lo riguardasse. «Andrà tutto bene.» Piagnucolò, più per se stessa.
Il ramo reggeva, per quanto la corrente cercasse di strapparla alla vita, reggeva. «Ce la faremo, noi ce la faremo.» Strinse il legno madido con più forza e si erse, fino alla radice.
Quando si voltò di nuovo, sua sorella non c'era più.
Avrebbe pianto se ne avesse avuto la possibilità. Dai miasmi color miele i corpi emergevano e si inabissavano, rincorrendosi in una danza surreale. Riconobbe almeno altre tre operaie, e perse il conto dei cadaveri a cui non sapeva dare un nome. Abbracciata al suo ramo, secondo cordone ombelicale che la ancorava alla vita.
Il mondo era programmato, era nata, era cresciuta. Lavorava alla nursery, le piacevano i piccoli. Le piaceva la tranquillità che le infondevano, anche solo ridendo.
Non aveva programmi per il futuro, era giovane, non ne aveva bisogno. Arroccata dietro alla quotidianità che le dava tanta sicurezza. Aveva una casa, non una reggia, ma era sufficiente.
Aveva sua sorella Sami e le gran risate che le faceva fare quando si nascondeva dietro le paratie del dormitorio e le saltava addosso. Sempre allo stesso modo.
La furia stava cessando e lei era ancora viva.
Il mondo le era crollato intorno e il cielo era rimasto dello stesso, prepotente celeste. Immoto. Non una nuvola a giustificare la catastrofe.
Forse si era anche addormentata, qualche istante. Le mani le facevano male. «Te l'avevo detto, piccolo.» Doveva aver gridato, perché il solo pronunciare quelle parole le lacerò la gola. Sentì i polmoni bruciare e dovette misurare il respiro successivo.
L'acqua aveva lasciato il posto a una fanghiglia maleodorante. Allungò un braccio, era meno densa di quanto avrebbe creduto. Comunque la sosteneva.
A pochi passi da lei le rovine della dispensa svettavano dal nulla melmoso. Canini bianchi tra i brandelli putrescenti della sua vita.
Scivolò sulla superficie lattiginosa fino a un piccolo rialzo in malta e vi adagiò il piccolo, poi si levò.
«Aiuto!» gridò al nulla, senza nemmeno l'effimero conforto dell'eco. Continuò a gridare, percorrendo con lo sguardo la desolazione che era la sua città. «Vi prego...» Singhiozzò quando la voce l'abbandonò del tutto.
«Acra! Acra siamo qui.» Dal fondo della valle, un'eternità più tardi, Mila la stava chiamando. Altre due operaie insieme a lei, o almeno così le era parso. Anche loro erano riuscite a salvare dei piccoli, riusciva a distinguere dei fagotti chiari tra le braccia nere.
Alzò una mano incapace di parlare. Sorrise di una felicità priva di senso e la terra tremò ancora.
Acra stava ancora sorridendo quando il cielo divenne liquido e le crollò addosso in gocce più grandi di lei.
«Marco! È ora di merenda, ti decidi a rientrare?»
Il bambino poggiò a terra il piccolo annaffiatoio, e con un movimento maldestro si bagnò le scarpe.
«Ancora un momento, mamma. C'e un formicaio grandissimo, qui.»
Improvvisa, devastante. Acra era riuscita a prendere solo uno dei piccoli, prima che la nursery
venisse travolta dalla furia delle onde. Una boccata d'aria, solo una, e le sarebbe dovuta bastare.
Strinse il piccolo al torace e chiuse gli occhi, mentre la corrente la sbalzava contro l'argine destro.
Detriti, fogliame e buio. Per qualche istante fu solo buio.
Un tronco le sfiorò il fianco e riuscì ad arpionarlo.
Emerse e respirò ancora. Avvolta dalla schiuma grigia. Sollevò il piccolo ponendolo al di sopra della morte liquida che li avviluppava.
«Sami!» Sbuffò fuori quel nome, quasi fosse l'ultimo respiro, ma sua sorella non poteva sentirla. Il fragore della valanga d'acqua copriva ogni cosa, anche i pensieri. Eppure era lì, a pochi metri. Impossibile da raggiungere.
Poté solo guardarla arrancare. Cercare di afferrare un grosso detrito in plastica rossa e vederla perdere la presa.
«Resisti Sami, ti prego resisti...» sussurrò.
La montagna che sovrastava le loro case, quella che li proteggeva dai venti più freddi, che aveva scoraggiato i briganti delle valli a nord. Quella che assicurava acqua fresca e cibo, li aveva traditi.
E ora piangeva grosse lacrime di fango, urlava. La terra squassata dai capricci di un dio volubile.
Guardò il piccolo, era vivo anche se sembrava dormire, quasi che la fine del mondo non lo riguardasse. «Andrà tutto bene.» Piagnucolò, più per se stessa.
Il ramo reggeva, per quanto la corrente cercasse di strapparla alla vita, reggeva. «Ce la faremo, noi ce la faremo.» Strinse il legno madido con più forza e si erse, fino alla radice.
Quando si voltò di nuovo, sua sorella non c'era più.
Avrebbe pianto se ne avesse avuto la possibilità. Dai miasmi color miele i corpi emergevano e si inabissavano, rincorrendosi in una danza surreale. Riconobbe almeno altre tre operaie, e perse il conto dei cadaveri a cui non sapeva dare un nome. Abbracciata al suo ramo, secondo cordone ombelicale che la ancorava alla vita.
Il mondo era programmato, era nata, era cresciuta. Lavorava alla nursery, le piacevano i piccoli. Le piaceva la tranquillità che le infondevano, anche solo ridendo.
Non aveva programmi per il futuro, era giovane, non ne aveva bisogno. Arroccata dietro alla quotidianità che le dava tanta sicurezza. Aveva una casa, non una reggia, ma era sufficiente.
Aveva sua sorella Sami e le gran risate che le faceva fare quando si nascondeva dietro le paratie del dormitorio e le saltava addosso. Sempre allo stesso modo.
La furia stava cessando e lei era ancora viva.
Il mondo le era crollato intorno e il cielo era rimasto dello stesso, prepotente celeste. Immoto. Non una nuvola a giustificare la catastrofe.
Forse si era anche addormentata, qualche istante. Le mani le facevano male. «Te l'avevo detto, piccolo.» Doveva aver gridato, perché il solo pronunciare quelle parole le lacerò la gola. Sentì i polmoni bruciare e dovette misurare il respiro successivo.
L'acqua aveva lasciato il posto a una fanghiglia maleodorante. Allungò un braccio, era meno densa di quanto avrebbe creduto. Comunque la sosteneva.
A pochi passi da lei le rovine della dispensa svettavano dal nulla melmoso. Canini bianchi tra i brandelli putrescenti della sua vita.
Scivolò sulla superficie lattiginosa fino a un piccolo rialzo in malta e vi adagiò il piccolo, poi si levò.
«Aiuto!» gridò al nulla, senza nemmeno l'effimero conforto dell'eco. Continuò a gridare, percorrendo con lo sguardo la desolazione che era la sua città. «Vi prego...» Singhiozzò quando la voce l'abbandonò del tutto.
«Acra! Acra siamo qui.» Dal fondo della valle, un'eternità più tardi, Mila la stava chiamando. Altre due operaie insieme a lei, o almeno così le era parso. Anche loro erano riuscite a salvare dei piccoli, riusciva a distinguere dei fagotti chiari tra le braccia nere.
Alzò una mano incapace di parlare. Sorrise di una felicità priva di senso e la terra tremò ancora.
Acra stava ancora sorridendo quando il cielo divenne liquido e le crollò addosso in gocce più grandi di lei.
«Marco! È ora di merenda, ti decidi a rientrare?»
Il bambino poggiò a terra il piccolo annaffiatoio, e con un movimento maldestro si bagnò le scarpe.
«Ancora un momento, mamma. C'e un formicaio grandissimo, qui.»