Benvenuta felicità
Inviato: lunedì 16 novembre 2015, 23:53
Felice stringeva per una gamba la bambola di Bebi Mia grondante di sangue.
Sotto di lui c’era Gianni. Sotto Gianni, si allargava una pozza rossa. Felice non sapeva bene da quale orifizio sgorgasse quella roba vischiosa. In cuor suo sperava da un orecchio, possibilmente insieme a qualche frammento gelatinoso di cervello. In effetti, se si avvicinava per guardare meglio il capolavoro che aveva prodotto in così poco tempo, gli sembrava di vederlo.
I denti della vittima, una volta bianchi come un filo di perle dei Mari del Sud, erano ormai un treno deragliato. I due centrali superiori adesso riposavano sul tappeto persiano di Anna.
Anna teneva le mani davanti alla bocca producendo una litania che suonava più o meno così: “L’hai ammazzato. Oddio l’hai ammazzato.”
Felice era un uomo buono. Era così buono che quando perse il lavoro al chiosco dei giornali, i vicini si proposero di aiutarlo. C’era chi gli chiedeva di tinteggiare i muri dell’appartamento, chi di occuparsi del giardino. La signora Bianchi, quella vecchia tirchia con la dentiera che, dondolando, produceva sputi a raggiera, lo mandava al mercato all'ora di chiusura, per prendere le verdure avanzate. Gli diceva che il resto era mancia. Felice con il resto non si comprava nemmeno il filo per rammendare i calzini.
E poi c’era Anna.
Anna era l’amministratrice delegata di un'importante ditta di scarpe antinfortunistiche.
Aveva morbidi capelli color del miele. Felice amava Anna da quando all’asilo gli aveva regalato un sasso coperto di fango trovato in cortile. Gli aveva detto: “Tieni Felice, questo è il mio cuore per te.”
Da allora il cuore di Felice non fu altro che per lei.
Ma era timido e si vergognava dell’alopecia che con il tempo aveva dilapidato i suoi riccioli neri.
L’aveva vista sposarsi e avere una bambina, Federica. Poi l’aveva vista separarsi.
Fu allora, grazie a quelle che riconobbe come una serie di fortunate coincidenze, che Felice perse il lavoro e Anna gli chiese di farle da babysitter. Felice ebbe finalmente accesso alla sua casa, della quale amava anche il deodorante per ambiente all’arancio nascosto dietro il vaso cinese. Federica poi era adorabile. Lo chiamava “Il Pelatone” e lo portava in giro per la cameretta fingendo fosse ogni volta un animale diverso: un ippopotamo, un cane o un orso ammaestrato. Felice per fare bene il suo lavoro aveva imparato il verso di tutti gli animali guardando i documentari su Discovery Channel.
Vide entrare e uscire dalla vita di Anna molti uomini, ma nessuno era perfetto per lei. Finché non arrivò Gianni.
Gianni una sera la riaccompagnò a casa e si inginocchiò davanti a lei.
Felice era in camera a vegliare il sonno della bambina.
“Anna, vuoi sposarmi?” disse Gianni.
Tirò fuori un brillocco da otto carati e glielo porse.
“Oh…” disse lei “certo che voglio sposarti.”
Fu allora che Felice afferrò la bambola.
Qualcuno lo chiamerebbe raptus omicida, altri follia, altri ancora disperazione.
Felice roteando Bebi Mia sopra la testa disse solo: “Benvenuta felicità.”
Sotto di lui c’era Gianni. Sotto Gianni, si allargava una pozza rossa. Felice non sapeva bene da quale orifizio sgorgasse quella roba vischiosa. In cuor suo sperava da un orecchio, possibilmente insieme a qualche frammento gelatinoso di cervello. In effetti, se si avvicinava per guardare meglio il capolavoro che aveva prodotto in così poco tempo, gli sembrava di vederlo.
I denti della vittima, una volta bianchi come un filo di perle dei Mari del Sud, erano ormai un treno deragliato. I due centrali superiori adesso riposavano sul tappeto persiano di Anna.
Anna teneva le mani davanti alla bocca producendo una litania che suonava più o meno così: “L’hai ammazzato. Oddio l’hai ammazzato.”
Felice era un uomo buono. Era così buono che quando perse il lavoro al chiosco dei giornali, i vicini si proposero di aiutarlo. C’era chi gli chiedeva di tinteggiare i muri dell’appartamento, chi di occuparsi del giardino. La signora Bianchi, quella vecchia tirchia con la dentiera che, dondolando, produceva sputi a raggiera, lo mandava al mercato all'ora di chiusura, per prendere le verdure avanzate. Gli diceva che il resto era mancia. Felice con il resto non si comprava nemmeno il filo per rammendare i calzini.
E poi c’era Anna.
Anna era l’amministratrice delegata di un'importante ditta di scarpe antinfortunistiche.
Aveva morbidi capelli color del miele. Felice amava Anna da quando all’asilo gli aveva regalato un sasso coperto di fango trovato in cortile. Gli aveva detto: “Tieni Felice, questo è il mio cuore per te.”
Da allora il cuore di Felice non fu altro che per lei.
Ma era timido e si vergognava dell’alopecia che con il tempo aveva dilapidato i suoi riccioli neri.
L’aveva vista sposarsi e avere una bambina, Federica. Poi l’aveva vista separarsi.
Fu allora, grazie a quelle che riconobbe come una serie di fortunate coincidenze, che Felice perse il lavoro e Anna gli chiese di farle da babysitter. Felice ebbe finalmente accesso alla sua casa, della quale amava anche il deodorante per ambiente all’arancio nascosto dietro il vaso cinese. Federica poi era adorabile. Lo chiamava “Il Pelatone” e lo portava in giro per la cameretta fingendo fosse ogni volta un animale diverso: un ippopotamo, un cane o un orso ammaestrato. Felice per fare bene il suo lavoro aveva imparato il verso di tutti gli animali guardando i documentari su Discovery Channel.
Vide entrare e uscire dalla vita di Anna molti uomini, ma nessuno era perfetto per lei. Finché non arrivò Gianni.
Gianni una sera la riaccompagnò a casa e si inginocchiò davanti a lei.
Felice era in camera a vegliare il sonno della bambina.
“Anna, vuoi sposarmi?” disse Gianni.
Tirò fuori un brillocco da otto carati e glielo porse.
“Oh…” disse lei “certo che voglio sposarti.”
Fu allora che Felice afferrò la bambola.
Qualcuno lo chiamerebbe raptus omicida, altri follia, altri ancora disperazione.
Felice roteando Bebi Mia sopra la testa disse solo: “Benvenuta felicità.”