Christmas Edition: Noi Siamo Loro - di Marco Cardone
Inviato: giovedì 10 dicembre 2015, 2:40
Mi ha tanto intrippato il tema, che ho deciso di postare qui sotto, ovviamente fori concorso, un breve raccontino in forma di redazionale.
NOI SIAMO LORO
Corriere della Sera, 24 dicembre 2050.
Ahmed Bruzzone, dalle colonne del Minareto, mi accusa di voler sminuire quello che definisce “il più significativo cambio di paradigma della storia” e “la dimostrazione che il vecchio occidente era non solo nel torto, ma anche in malafede, quando attaccava i valori mussulmani e la sharia, ostentando una presunta superiorità culturale e mentiva sistematicamente ai suoi cittadini”.
Sia le sue parole, sia il fatto che io sia qui oggi a replicare, dalla redazione di un quotidiano libero, mi danno ragione. Sorvolando sul fatto che, nonostante tutto, l’italiano è ancora una delle due lingue ufficiali di questo califfato e sarebbe opportuno che Bruzzone s’impegnasse a non violentarlo, come invece sua abitudine, bisogna sia chiaro che siamo in una situazione già vista, in uno dei tanti corsi e ricorsi che, solo per la nostra troppa vicinanza ai fatti, stentiamo a percepire. Se però volgiamo lo sguardo indietro anche solo di un quarto di secolo, al primo Natale mussulmano in Italia, sarà come per un pilota di aerei che si alza abbastanza da terra e intuisce la curva della terra: la storia gira in un tondo, si ripete, e da qui comincia a intravedersene la curva.
Come avvenne per il cristianesimo quando soppiantò i culti pagani, le vecchie festività sono confluite nelle nuove. L’importante era tenere il punto, celebrare la nascita del califfato d’occidente e dichiarare la conversione totale della culla dei crociati all’Islam, la sostanza non contava più di tanto. Dopo i primi plateali spargimenti di sangue, ci siamo accorti di aver conquistato l’Italia, dove “un colpo al cerchio e uno alla botte” non è solo un modo di dire, ma uno stile di vita. E allora abbiamo dato il contentino, abbiamo cominciato col mantenere la datazione cristiana, per comodità, e siamo finiti a celebrare le loro feste, che oggi sono le nostre. Del resto, le feste piacciono a tutti, no? Più ce n’è, meglio è (anche per gli affari). Come il culto del sol invictus si è riversato nell’iconografia cristiana, così la “festa del profeta Gesù” ha incorporato il vecchio Natale, con tanto di luminarie e vetrine scintillanti di ogni cianfrusaglia da regalare alle mogli, in pratiche confezioni da quattro per non far torto a nessuna. I vincitori si mescolano con i vinti e, stemperati gli ardori di conquista, accade quel è sempre accaduto: crolla una vecchia società e ne sorge una nuova sulle ceneri, che non si accorge di essere in realtà il prodotto di una fusione silente e invisibile. Solo le rivoluzioni interne portano a cambiamenti radicali, intimi, dell’identità profonda di un popolo; l’assimilazione è sempre un processo in qualche misura reciproco. Durante l’occupazione tedesca, i francesi non sono diventati crucchi tutto d’un tratto.
Conquistare l’occidente, era prevedibile, avrebbe avuto conseguenze. Una volta che Via della Spiga e Piazza di Spagna sono tue, e ti rendi conto che non sono vecchie macerie da distruggere con i martelli pneumatici (ora qualcuno lo nega, ma è successo, ricordiamolo sempre, perché negarlo sarebbe negare le nostre origini, un atto anche più feroce di quelle distruzioni), cominci a domandarti cosa vuoi farci, con tutto quel lusso, tutto quel benessere. Tutta quella figa.
E allora cominci ad abbandonarti, un centimetro per volta, una Monica e una Barbara alla volta. Vuoi dimostrare che erano gli altri a sbagliare, che non eri davvero brutto e cattivo come ti avevano dipinto. Del resto, che puoi fare, continuare a svuotare caricatori di kalashnikov per le strade di uno stato stremato, che non oppone più resistenza? La guerra era vinta, il premio era lì, a portata di mano, una portata deliziosa su un vassoio d’argento. Ma era stata avvelenata. Una concessione dopo l’altra, un figlio dopo l’altro, il punto d’incontro fra le culture si avvicinava sempre più.
Gli Emirati Arabi, quando cent’anni fa scoprirono il petrolio, si trasformarono in una versione parossistica dell’occidente, appena mascherata da poche rigidezze quasi grottesche e un abbigliamento che, ammettiamolo, non piaceva neppure a loro.
Noi credevamo di essere meglio? O che i rivoluzionari, i martiri, avrebbero ereditato la terra? Diciamoci la verità: ai nostri nonni piaceva l’occidente, quel che detestavano era non essere ricambiati. Loro volevano assomigliare all’occidente. Di più: volevano essere l’occidente.
L’impronta del vecchio Stato Islamico è sempre meno marcata, oggi, la sharia è temperata da una tolleranza che nessuno di quelli che si sono immolati per la jihad avrebbe immaginato (e, se lo avesse fatto, avrebbe seriamente riconsiderato la propria scelta). Davvero crede Bruzzone che quei martiri ingenui si sarebbero fatti saltare in aria per minigonne e veli sulla testa, martini halal, Ramadan party dopo le 17 e Lamborghini? Questo siamo, oggi. Nel negarlo non c’è scopo, solo grande ipocrisia.
È arrivata Al Jazeera. È arrivato il buon senso opportunistico. Sono arrivati i moderati. Loro fanno sempre ottimi affari, si sa. E sotto ribollivano duemila anni di storia, come fuoco sotto le braci. In realtà, mi stupisco di come siamo durati tanto. Ci sono voluti tre anni buoni, in effetti, ma poi il periodo “vae victis” ha stufato tutti.
Oggi siamo il califfato d’Italia e, un giorno, qualcuno ci conquisterà. Allora crederà di aver cambiato la storia e di dominarci; e lo farà, ma se sarà stato più povero e affamato, più infelice, diventerà un nostro riflesso deformato.
Per citare un grande classico del passato, dimenticato e riportato di recente agli onori della critica revanchista filo islamica, “Le cose che possiedi, alla fine ti possiedono”.
E noi, di cose belle, ne abbiamo ricevute fin troppe tutte insieme.
Buona festa del Profeta Gesù a tutti. Anche a te, Ahmed Bruzzone, che credi di aver inventato la Storia.
Fadl Mastroianni
NOI SIAMO LORO
Corriere della Sera, 24 dicembre 2050.
Ahmed Bruzzone, dalle colonne del Minareto, mi accusa di voler sminuire quello che definisce “il più significativo cambio di paradigma della storia” e “la dimostrazione che il vecchio occidente era non solo nel torto, ma anche in malafede, quando attaccava i valori mussulmani e la sharia, ostentando una presunta superiorità culturale e mentiva sistematicamente ai suoi cittadini”.
Sia le sue parole, sia il fatto che io sia qui oggi a replicare, dalla redazione di un quotidiano libero, mi danno ragione. Sorvolando sul fatto che, nonostante tutto, l’italiano è ancora una delle due lingue ufficiali di questo califfato e sarebbe opportuno che Bruzzone s’impegnasse a non violentarlo, come invece sua abitudine, bisogna sia chiaro che siamo in una situazione già vista, in uno dei tanti corsi e ricorsi che, solo per la nostra troppa vicinanza ai fatti, stentiamo a percepire. Se però volgiamo lo sguardo indietro anche solo di un quarto di secolo, al primo Natale mussulmano in Italia, sarà come per un pilota di aerei che si alza abbastanza da terra e intuisce la curva della terra: la storia gira in un tondo, si ripete, e da qui comincia a intravedersene la curva.
Come avvenne per il cristianesimo quando soppiantò i culti pagani, le vecchie festività sono confluite nelle nuove. L’importante era tenere il punto, celebrare la nascita del califfato d’occidente e dichiarare la conversione totale della culla dei crociati all’Islam, la sostanza non contava più di tanto. Dopo i primi plateali spargimenti di sangue, ci siamo accorti di aver conquistato l’Italia, dove “un colpo al cerchio e uno alla botte” non è solo un modo di dire, ma uno stile di vita. E allora abbiamo dato il contentino, abbiamo cominciato col mantenere la datazione cristiana, per comodità, e siamo finiti a celebrare le loro feste, che oggi sono le nostre. Del resto, le feste piacciono a tutti, no? Più ce n’è, meglio è (anche per gli affari). Come il culto del sol invictus si è riversato nell’iconografia cristiana, così la “festa del profeta Gesù” ha incorporato il vecchio Natale, con tanto di luminarie e vetrine scintillanti di ogni cianfrusaglia da regalare alle mogli, in pratiche confezioni da quattro per non far torto a nessuna. I vincitori si mescolano con i vinti e, stemperati gli ardori di conquista, accade quel è sempre accaduto: crolla una vecchia società e ne sorge una nuova sulle ceneri, che non si accorge di essere in realtà il prodotto di una fusione silente e invisibile. Solo le rivoluzioni interne portano a cambiamenti radicali, intimi, dell’identità profonda di un popolo; l’assimilazione è sempre un processo in qualche misura reciproco. Durante l’occupazione tedesca, i francesi non sono diventati crucchi tutto d’un tratto.
Conquistare l’occidente, era prevedibile, avrebbe avuto conseguenze. Una volta che Via della Spiga e Piazza di Spagna sono tue, e ti rendi conto che non sono vecchie macerie da distruggere con i martelli pneumatici (ora qualcuno lo nega, ma è successo, ricordiamolo sempre, perché negarlo sarebbe negare le nostre origini, un atto anche più feroce di quelle distruzioni), cominci a domandarti cosa vuoi farci, con tutto quel lusso, tutto quel benessere. Tutta quella figa.
E allora cominci ad abbandonarti, un centimetro per volta, una Monica e una Barbara alla volta. Vuoi dimostrare che erano gli altri a sbagliare, che non eri davvero brutto e cattivo come ti avevano dipinto. Del resto, che puoi fare, continuare a svuotare caricatori di kalashnikov per le strade di uno stato stremato, che non oppone più resistenza? La guerra era vinta, il premio era lì, a portata di mano, una portata deliziosa su un vassoio d’argento. Ma era stata avvelenata. Una concessione dopo l’altra, un figlio dopo l’altro, il punto d’incontro fra le culture si avvicinava sempre più.
Gli Emirati Arabi, quando cent’anni fa scoprirono il petrolio, si trasformarono in una versione parossistica dell’occidente, appena mascherata da poche rigidezze quasi grottesche e un abbigliamento che, ammettiamolo, non piaceva neppure a loro.
Noi credevamo di essere meglio? O che i rivoluzionari, i martiri, avrebbero ereditato la terra? Diciamoci la verità: ai nostri nonni piaceva l’occidente, quel che detestavano era non essere ricambiati. Loro volevano assomigliare all’occidente. Di più: volevano essere l’occidente.
L’impronta del vecchio Stato Islamico è sempre meno marcata, oggi, la sharia è temperata da una tolleranza che nessuno di quelli che si sono immolati per la jihad avrebbe immaginato (e, se lo avesse fatto, avrebbe seriamente riconsiderato la propria scelta). Davvero crede Bruzzone che quei martiri ingenui si sarebbero fatti saltare in aria per minigonne e veli sulla testa, martini halal, Ramadan party dopo le 17 e Lamborghini? Questo siamo, oggi. Nel negarlo non c’è scopo, solo grande ipocrisia.
È arrivata Al Jazeera. È arrivato il buon senso opportunistico. Sono arrivati i moderati. Loro fanno sempre ottimi affari, si sa. E sotto ribollivano duemila anni di storia, come fuoco sotto le braci. In realtà, mi stupisco di come siamo durati tanto. Ci sono voluti tre anni buoni, in effetti, ma poi il periodo “vae victis” ha stufato tutti.
Oggi siamo il califfato d’Italia e, un giorno, qualcuno ci conquisterà. Allora crederà di aver cambiato la storia e di dominarci; e lo farà, ma se sarà stato più povero e affamato, più infelice, diventerà un nostro riflesso deformato.
Per citare un grande classico del passato, dimenticato e riportato di recente agli onori della critica revanchista filo islamica, “Le cose che possiedi, alla fine ti possiedono”.
E noi, di cose belle, ne abbiamo ricevute fin troppe tutte insieme.
Buona festa del Profeta Gesù a tutti. Anche a te, Ahmed Bruzzone, che credi di aver inventato la Storia.
Fadl Mastroianni