Aislinn Edition - Il velo di Maia

Moderatore: Laboratorio

Richieste di Grazia

Sondaggio concluso il mercoledì 30 dicembre 2015, 22:32

Merita la grazia
3
60%
Il racconto andrebbe revisionato
2
40%
 
Voti totali: 5

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Jacopo Berti
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Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#1 » mercoledì 9 dicembre 2015, 13:41

Il corridoio terminò bruscamente in una stanza tutta bianca, senza porte né finestre, eppure rischiarata da un'intensa, fredda luce di vetro.
Delle due creature rannicchiate in un angolo si sarebbero notati soltanto gli occhi, rossi e acquosi, e le bocche, strisce d'un rosa livido che si muovevano in un incessante sussurro. Un bambino e una bambina, albini e vestiti di tuniche candide, scrivevano con un gessetto bianco sulla parete. Vergavano parole destinate a rimanere inascoltate, come il grido muto in cui proruppero alla visita inattesa d'un anima bella. Disperati e queruli, senza produrre alcun suono, a voci alterne scandivano quel nome: Maia! Maia!
«Maia? Tutto bene?»
La donna si svegliò di soprassalto, con un singulto. Si accorse di guardare il compagno attraverso un velo di lacrime. Si era addormentata accanto a lui, sul divano.
«Un altro... brutto sogno?» chiese Roberto, carezzandole i capelli castani, scoprendole un orecchio.
Maia era sempre a disagio per quel reticente imbarazzo, quel "virgolettato" che la faceva sentire una pazza. Annuì, di nuovo in affanno, e strinse Roberto in un abbraccio e si accorse che stava tremando solo quando smise di farlo.
Roberto rimaneva silenzioso, in ascolto.
«Niente. Neanche stavolta. C'è qualcosa che mi blocca» diceva secca Maia, e si chiudeva nel suo silenzio, fissando un punto nel vuoto davanti al televisore acceso.
Andava avanti così da parecchi giorni: da quando aveva ricevuto quell'incarico e visto quelle foto.

Nemmeno il capitano Coslovich trascorreva notti tranquille ma, uomo tutto d'un pezzo, non raccontava a nessuno i suoi incubi, fossero ad occhi chiusi o aperti. Chino sul portatile, cercava di venire a capo di quella brutta storia. La psicologa infantile non gli era stata molto d'aiuto. Ma almeno lo è stata per i bambini – si ripeteva facendosi magnanimo. Non potrei mai avere a che fare con una dozzina di piccoli traumatizzati, intendeva.
Annuiva con gravità ma al contempo teneva il ritmo. Si tormentava un neo sul collo. Zittì Vivaldi – perché l'Inverno non l'aveva mai trovato un granché – e tornò ai video, tanto per scrupolo. Tra i tanti testimoni, una soltanto aveva visto almeno qualcosa.
«Ciao, Giulia. Io sono Maia». Era una donna sui trentacinque anni, dall'aspetto abbastanza comune; e faceva di tutto per mantenerlo. Aveva un ottimo curriculum, ma era stata scelta soprattutto perché due o tre anni fa il suo contributo era stato fondamentale per un'altra indagine con bambini di mezzo.
«Ciao». Giulia. Bambina precisina con vocina e treccine e dentino mancante.
«Ti va se parliamo mentre aspetti la mamma?»
Coslovich cliccò sulla traccia, trascinando il cursore fino al punto che ben conosceva. Minuto 4.12:
«Un uomo tutto nero. Ha preso Serena e Kevin per i capelli e li ha portati via»
«Dove li ha portati?»
«Nel boschetto. Io ero nascosta nel castello»

4.14 «[...]vin per i capelli e li ha portati via»
5.23 «Ma com'era quest'uomo nero? Com'era vestito?»
«Non lo so, basta, ti prego, ho tanta paura»
E un pianto a dirotto, abbracci, smancerie.
Chiuse la registrazione e tornò all'abbozzo di rapporto, alla questione dei vestiti mancanti: una sciarpa di Serena Zotti, un berretto di Kevin Magris. Secondo i genitori, sottratti dagli armadietti della scuola. Un dannato maniaco, pensava Coslovich, e questa era la sua unica certezza.
Sfogliò a schermo le foto della scena del crimine. Distrattamente, evitando di guardarle davvero, perché le conosceva già. Due corpicini scomposti, con graffi e contusioni. Ma con le gambe rotte. Spezzate contro gli alberi al limitare dell'area giochi. Sbattute con una violenza inumana. A poca distanza, i loro scalpi, staccati probabilmente con qualche rozzo strumento.

Distesa sul suo letto, Giulia faceva finta di dormire, ma in realtà ascoltava con attenzione fuori dalla porta, per capire se i genitori fossero ancora lì a vegliare preoccupati.
L'anta dell'armadio si aprì a malapena ed emanò un'ombra, un essere di pura oscurità. Una sua estremità si allungò fino a raggiungere i piedi di Giulia, divenne un naso come d'un segugio, e annusò le lenzuola. Poi assunse la foggia di una mano artigliata.
La bambina scalciò per scostare le coperte e si mise a sedere, tutta eccitata.
«Cinque in alto! Pugno! Cinque in basso!» - disse piano. La mano copiò a specchio i suoi movimenti e dall'armadio giunse un inquietante sussurro flautato.
Giulia ormai non si stupiva più di capire la lingua del suo strano amico. Gli rispose precisa e soddisfatta: «No, oggi nessuno mi ha tirato i capelli». Ci pensò su un istante, poi aggiunse: «Qualcuno però mi ha chiesto di te». Dall'armadio, un altro lieve sgrufolare.
«Sì, questo è suo».

È notte fonda, ormai. Giulia dorme come un angioletto. Maia si risveglia turbata da un altro sogno di bambini innocenti e purissimi. Demetrio Coslovich è di nuovo chino sui video. Quando la bambina, abbracciata alla psicologa, sfrega due dita sul maglione della donna per prelevarne qualche fibra di lana, l'attenzione del capitano è già altrove.


«Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare» (Novalis, Frammenti)

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Angela
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#2 » venerdì 11 dicembre 2015, 21:54

Ricordo di aver già letto questo racconto, il finale mi sembrava diverso, forse hai aggiunto dei paragrafi. Per quel che ricordo, era un finale secco, un bel colpo di scena. Dovrei fare i confronti tra i due pezzi, ma a lume di naso, mi piaceva più l'altro. Ti scrivo degli appunti che ho preso mentre leggevo, ci sono incertezze sulla forma che dovresti rivedere.

Delle due creature rannicchiate in un angolo si sarebbero notati soltanto gli occhi,
Perché usi il condizionale? La condizione qual è?

Vergavano parole destinate a rimanere inascoltate, come il grido muto in cui proruppero
“Proruppero”, era da secoli che non leggevo questa parola. Un pochino antiquata, non ti pare?

«Un altro... brutto sogno?» chiese Roberto,
Perché il corsivo?

Maia era sempre a disagio per quel reticente imbarazzo, quel "virgolettato"
Il discorso non torna. Il virgolettato lo vediamo noi perché hai usato il corsivo, ma nel dialogo, come fa il personaggio a parlare di virgolettato? Non è di certo il termine più adatto.

Annuì, di nuovo in affanno, e strinse Roberto in un abbraccio e si accorse che stava tremando solo quando smise di farlo.
Roberto rimaneva silenzioso, in ascolto.
«Niente. Neanche stavolta. C'è qualcosa che mi blocca» diceva secca Maia, e si chiudeva nel suo silenzio, fissando un punto nel vuoto davanti al televisore acceso.

Perché questo cambio verbale? Sei partito con “annuì” e poi “diceva secca”. Eppure si tratta dello stesso momento, l’azione si sta compiendo, ci vuole coerenza verbale.
Uno scrittore è un mondo intrappolato in una persona (Victor Hugo)

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angelo.frascella
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#3 » venerdì 11 dicembre 2015, 22:33

Ciao Jacopo.

Mi è piaciuto il tuo racconto: un pugno dello stomaco, come sempre quando si parla di bambini vittime (ma anche carnefici, in questo caso), scritto bene e ben ritmato.
Come regola generale, mi verrebbe da dire che troppi personaggi (tre, con tre punti di vista diversi) in un racconto così breve sarebbero da evitare. Ma nel tuo caso specifico l'alternanza risulta ben gestita e ben armonizzata (non crea confusione ed è funzionale alla trama) e anche questo va a tuo favore.

L'unica cosa che metterei un po' a posto è la gestione dei Punti di Vista: in generale utilizzi dei PdV legati ai personaggi, ma ogni tanto viene fuori il narratore onniscente e questo stona un po'. Tra l'altro è una cosa che si potrebbe cambiare con poco sforzo.
Ti segnalo i punti a cui mi riferisco:

Nemmeno il capitano Coslovich trascorreva notti tranquille ma, uomo tutto d'un pezzo, non raccontava a nessuno i suoi incubi, fossero ad occhi chiusi o aperti.


Nel paragrafo di prima sposavi il PdV di Maya (con forte coinvolgimento del lettore). Subito dopo sposi quello del capitano. Perciò questa intrusione del narratore suona un po' come quegli "Intanto Tex e i suoi pards..." nei riquadri dei fumetti vecchio stile. Si potrebbe addirittura eliminare la frase. In alternativa potresti girarla in modo che non risulti detta dall'esterno ma sentita dal capitano (innanzitutto eliminando il "nemmeno" iniziale).

Il secondo punto in cui il Narratore entra in campo è la frase finale. Qui però l'effetto globale non è così cattivo. Potresti anche pensare di lasciarla così, ma una prova a cambiarla la farei.

Un altro piccolo commento è sul mostro che viene fuori nell'armadio. Magari potresti sperimentare a metterci qualcosa di più inquietante e meno indefinito di un'ombra, per rendere quel passaggio più forte.

In ogni caso, quelli che ti ho indicati sono aspetti secondari e il racconto mi sembra un buon racconto, quindi CHIEDO LA GRAZIA

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Jacopo Berti
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#4 » domenica 13 dicembre 2015, 13:50

Grazie per i commenti!

angelo.frascella ha scritto:Mi è piaciuto il tuo racconto: un pugno dello stomaco, come sempre quando si parla di bambini vittime (ma anche carnefici, in questo caso), scritto bene e ben ritmato.
Come regola generale, mi verrebbe da dire che troppi personaggi (tre, con tre punti di vista diversi) in un racconto così breve sarebbero da evitare. Ma nel tuo caso specifico l'alternanza risulta ben gestita e ben armonizzata (non crea confusione ed è funzionale alla trama) e anche questo va a tuo favore.

Angelo, questo commento mi ha fatto molto piacere. Molte osservazioni dell'arena lamentavano il numero troppo elevato di personaggi. Non volevo ridurli, così ho ampiato dove serviva, ho fatto dei richiami all'uno nella parte dedicata all'altro, e se effettivamente sono riuscito a farli stare tutti assieme, come dici, ne sono contento.

Sulla questione dei punti di vista, non sono del tutto convinto. Nella frase che citi, il punto di vista voleva essere quello del capitano. Ovvero: lui sa di essere un uomo tutto d'un pezzo e che quindi non andrà a raccontare i suoi sogni a qualcuno (che non sappiamo nemmeno se c'è. Forse tutto d'un pezzo è un po' troppo marcato ironicamente, e una persona come Coslovich non lo direbbe di se stesso. Ci penso.

Sulla questione del mostro: l'ho già modificato rispetto all'Aislinn Edition, prima era il classico "uomo nero", ora ho voluto evidenziare qualche aspetto animale, selvatico. Forse posso renderlo più inquietante.


Angela, ho l'impressione che tu ti sia soffermata quasi del tutto sulla grammatica e sulla sintassi. Cosa che mi sarebbe molto più utile se la tua visione non fosse del tutto normativa e quindi sostanzialmente diversa dalla mia. A domande, dunque, rispondo.
Prendiamo ad esempio le tue osservazioni sui modi e tempi verbali: tu - se non interpreto male - li vedi solo come dei tratti morfologici che vanno ad occupare delle posizioni stabilite da delle norme. Il condizionale per te è solo quello che sta nell'apodosi di una frase ipotetica.
Delle due creature rannicchiate in un angolo si sarebbero notati soltanto gli occhi,
Perché usi il condizionale? La condizione qual è?

Io credo che la norma, nella misura in cui uno la conosce, possa essere elaborata per esigenze espressive. Tra l'altro, anche se volessimo attenerci alla norma, la mia frase non mi pare sbagliata: sono parecchi gli usi del condizionale diversi dalla frase ipotetica. Cito da una fonte che nessuno potrebbe ritenere inadeguata, la Grammatica italiana di Luca Serianni:
Se è vero che il condizionale implica di norma l'idea di un qualche condizionamento reale o virtuale, è anche vero che esso può semplicemente servire a connotare un'azione nel senso della soggettività e della relatività; potremmo dire - ricorrendo a una metafora - che il condizionale è il modo della penombra e delle luci smorzate, laddove l'indicativo, negli stessi contesti, diffonderebbe una piena luce solare

Riguardo al cambio da passato remoto a imperfetto: quest'ultimo descrive azioni continuate o ripetute (e spero di non dover citare Serianni per dare una fonte a questa evidenza). Dunque, passo all'imperfetto quando le azioni di Maia si rivelano essere uguali, in quella circostanza, alle azioni fatte in circostanze precedenti. Da cui la fine del paragrafo: "Andava avanti così da parecchi giorni".

Quanto alle parole non così comuni - vergavano e proruppero - le ho usate perché volevo dare un tono di distanza, di irrealtà, al sogno/visione. L'intento è quello che mi ha anche portato a usare il condizionale.

Veniamo ora a un punto su cui ho pure io qualche dubbio:
«Un altro... brutto sogno?» chiese Roberto,
Perché il corsivo?

Maia era sempre a disagio per quel reticente imbarazzo, quel "virgolettato"
Il discorso non torna. Il virgolettato lo vediamo noi perché hai usato il corsivo, ma nel dialogo, come fa il personaggio a parlare di virgolettato? Non è di certo il termine più adatto.


Il corsivo di 'un brutto sogno', unitamente ai puntini di sospensione dovrebbe servire a rendere l'esitazione di Roberto nel parlare di quelle cose e il conseguente utilizzo di 'sogno' come eufemismo. Ovvero, Roberto sa che i sogni di Maia possono essere qualcosa di più di sogni: visioni. Ma è restio a parlarne in modo chiaro. Però fa intendere a Maia di sapere da quale tipo di esperienza lei si è svegliata. Ho pensato di renderlo come hai visto e poi di chiarire immediatamente quel che intendevo. Forse 'virgolettato' non è la parola migliore, ma l'ho messo tra virgolette proprio perché a volte si mettono tra virgolette parole inappropriate di cui però non si trova un sostituto adeguato. Il risultato mi piaceva, ma capisco anche che a qualcuno possa far storcere il naso.
A questo proposito attendo anche altre opinioni.
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ceranu
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#5 » mercoledì 16 dicembre 2015, 23:15

Ciao Jacopo. Avevo già letto il tuo racconto durante l'edizione e lo trovo migliorato. Ho poco da dirti, ma posso consigliarti di considerare le critiche di Angela. In alcune parti le tue scelte rallentano la lettura. Ciò nonostante io: CHIEDO LA GRAZIA!

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Vastatio
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#6 » martedì 22 dicembre 2015, 15:27

Ciao,

personalmente lo trovo peggiorato rispetto alla versione del contest. Le relazioni/dinamiche sono leggermente, ma proprio di poco, più chiare. Il sogno dove le vittime anelano soccorso è inutilmente pesante. Capisco tu voglia rendere il senso di disagio, impotenza, ecc ma non credo che la soluzioni sia inanellare paroloni. Tanto più che non ho scorto alcun riferimento all'omicidio nella "visione" di Maia.
Il finale perde tutta la belllezza che aveva, secco come una pugnalata. Qui addirittura lo sbrodoli fino a includere Maia nelle prossime vittime e ricorri a mezzucci come gli indumenti (occhio che prima usi indumenti veri e propri e poi semplici "fibre di lana") e sei costretto a inserire anche quel dettaglio poco sopra parlando delle vittime (anche se ti serve per richiamarne il sesso per legarti al sogno). Hai un mostro d'ombra in perfetta sintonia con la bambina, può leggerne il cuore senza stare a disturbare pezze e sciarpine: non sminuirli così!

Io lavoreri sul sogno, infilando qualche riferimento agli eventi, è quella la parte ancora un po' difficile da incastrare nel contesto. La sezione del Colonnello (che continua a parlare dell'utilità di Maia per "i bambini", ma di bambini sopravvissuti continuo a vederne uno solo) andava già bene.

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Jacopo Berti
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#7 » mercoledì 23 dicembre 2015, 14:30

Grazie, Vastatio, per il commento.
Mi mette in difficoltà vedere che per qualcuno il racconto è migliorato e per qualcuno è peggiorato. Io ho tentato di elaborare le critiche ricevute all'arena e di rimediare o compensare.
In qualche caso la "compensazione" sta stretta anche a me, nel senso che il problema a volte è: quanto il lettore vuole capire il racconto? C'è chi vuole capire tutto e chi preferirebbe non capire niente. E magari quelli che preferirebbero non capire niente sono proprio quelli più attivi nel cogliere, mentre quelli che vorrebbero capire tutto vorrebbero anche essere imboccati.
Insomma, il solito problema: brachilogie
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Vastatio
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#8 » martedì 29 dicembre 2015, 15:35

Non credo che un autore, almeno finché siamo qui a migliorarci e non ci confrontiamo con un editore che pone dei vincoli per la pubblicazione, debba trovarsi a disagio in un suo scritto.
I commenti servono a portare alla luce i vari punti di vista, possono essere condivisi o meno, si può sperimentare in base ad essi, ma se "ti senti stretto", almeno per me, vuol dire che non è la strada giusta.

Poi concordo con te sul problema della "libertà di comprensione". Scrivi il racconto come ti piace. Nessuno ti pagherà per questi caratteri, accontenta la tua di libido.

marina_usai
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#9 » mercoledì 30 dicembre 2015, 15:31

Ciao,

avevo già letto il tuo racconto durante la Aislinn Edition. Anche per me il racconto è migliorato rispetto la prima versione. I passaggi sono più chiari, probabilmente avere avuto più caratteri a disposizione ti ha dato modo di dare più respiro a tutto ciò che avevi da dire, mentre nella prima versione sembrava tutto compresso. Adesso è più pulito e la lettura scorre meglio.
L'unica frase che mi "stona" un po' è questa: Bambina precisina con vocina e treccine e dentino mancante.
Immagino che l'effetto che volessi dare fosse quello di rappresentare una bambina indifesa e innocente e iniziare a insinuare il dubbio che in realtà così non fosse, ma secondo me sono comunque troppi. Proverei a dare un unico dettaglio che me la definisca in modo netto, oppure leverei comunque qualche -ino/a.

Comunque un ottimo lavoro di revisione.

CHIEDO LA GRAZIA.

Marina

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Jacopo Berti
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#10 » mercoledì 30 dicembre 2015, 15:55

Grazie Marina!
La frase che ti stona vorrebbe entrare - sì, in modo volutamente esagerato - nella mentalità del commissario. Volevo rappresentarlo mentre "classifica" tutti attraverso lo spettro dei suoi pregiudizi, insofferenze ecc.
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Spartaco
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#11 » mercoledì 30 dicembre 2015, 22:47

Ciao Jacopo, ormai siamo agli sgoccioli e dubito che per questo mese riuscirai a sfidarmi. Se credi in questo progetto riproponi il racconto nel Laboratorio di gennaio. Ciao

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Jacopo Berti
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#12 » mercoledì 30 dicembre 2015, 22:51

Spartaco, in realtà le mie tre richieste di grazia le ho; i miei quattro commenti li ho scritti; ma non so se sfidarti. Da un lato mi alletta l'eventualità, se il tuo giudizio sarà positivo, di avere già online il racconto tra poco, e poter quindi proporre un altro testo al laboratorio di gennaio.
D'altra parte confidavo di poter apportare modifiche dopo i suggerimenti e le considerazioni di Cattivotenente. Non sarebbe appropriato avere il suo commento dopo averti sfidato e quindi non poter più migliorare.
Che dici?
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Cattivotenente
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#13 » sabato 2 gennaio 2016, 11:14

Ciao. Il mio commento è contrastato. Mentre leggevo, ho storto il naso molte volte e, evidenziando le parti sulle quali sarei dovuto intervenire nel commento del testo, ho in pratica colorato tutto il racconto. D’altra parte, giunto alla fine, la conclusione mi ha soddisfatto. Insomma, l’idea è buona, così come lo sviluppo, inteso come mera successione degli eventi. Considerando invece la forma, la chiarezza espositiva e la gestione dei punti di vista, il testo è a mio avviso da rivedere. Tuttavia credo ne valga la pena, perché si tratta di un bel concept, crudele e con un finale per nulla scontato. Provo ad avventurarmi sul testo.

“Il corridoio terminò bruscamente in una stanza tutta bianca, senza porte né finestre, eppure rischiarata da un'intensa, fredda luce di vetro.”

Tre considerazioni: primo non è chiaro cosa tu intenda per “luce di vetro”, andrei più sul semplice; secondo, la congiunzione avversativa non è giustificata dal contesto, in quanto una stanza senza finestre può ben essere rischiarata dalla luce artificiale e nessun nativo del XX secolo se ne meraviglierebbe; ti faccio peraltro notare che la stanza, in effetti, ha almeno una porta, quella che la congiunge al corridoio dal quale fai partire l’azione; terzo, per comunicare l’idea di un sogno ricorrente, come emerge dalla successiva lettura, opterei per un tempo imperfetto, che è anche più onirico e legato tradizionalmente alle fiabe. Certo il lettore, in prima battuta, non apprezzerà consciamente la differenza, tuttavia credo che il pezzo risulterà più suggestivo e meglio armonizzato, a posteriori, con lo sviluppo del racconto.

“Delle due creature rannicchiate in un angolo si sarebbero notati soltanto gli occhi, rossi e acquosi, e le bocche, strisce d'un rosa livido che si muovevano in un incessante sussurro. Un bambino e una bambina, albini e vestiti di tuniche candide, scrivevano con un gessetto bianco sulla parete.”

Di questa parte si capisce poco. Cosa sono le creature di cui parli? Non ne fai più alcun accenno. Si tratta forse dei bambini? Se così fosse, ti assicuro, non è chiaro, anche perché la descrizione che ne fai, presentandolo le creature come “rannicchiate”, non s’incastra bene con l’idea di qualcuno che scriva su un muro (so che è meccanicamente possibile, ma le due immagini non sono ben amalgamate). È del tutto oscuro il senso dell’ipotetica “si sarebbero notati soltanto gli occhi”, in quanto manca la parte enunciativa della congettura. Si sarebbero notati soltanto gli occhi se…? Boh. Rileggendo il passaggio ho infine capito cosa intendevi, ma ce n’è voluta. La stanza è bianca, i bambini albini, i vestiti candidi e i gessetti bianchi anche loro. In pratica, i due sarebbero potuti risultare invisibili, metafora del segreto inascoltato e inosservato delle loro morti. Allora ti consiglio di rendere il tutto esplicito con una riformulazione che parta dai dettagli che vuoi evidenziare, tralasciando la storia degli “esseri” e descrivendo la scena in maniera più chiara, ordinata e asettica, in accordo con l’ambiente ospedalizio: “all’interno c’erano due bambini albini, che scrivevano sulle pareti bianche con gessetti dello stesso colore. Vestivano tuniche candide e, non fosse stato per gli occhi rossi e le labbra livide, sarebbero stati quasi invisibili in quel chiarore freddo e innaturale…” o qualcosa di questo tipo.

“… alla visita inattesa d'un anima bella. Disperati e queruli, senza produrre alcun suono, a voci alterne scandivano quel nome: Maia! Maia!”

Ci sono arcaismi e termini leziosi che taglierei senza esitazione: via “ d’un anima bella” e “queruli”. Inoltre, se non i bambini non riuscivano a emettere fiato, l’espressione “a voci alterne” non è calzante.

“«Un altro... brutto sogno?» chiese Roberto, carezzandole i capelli castani, scoprendole un orecchio.”

Due gerundi composti di fila intervallati da una virgola non sono un gran bel leggere. La frase è inutilmente ridondante e il mio consiglio è di tagliarne la seconda metà, che non contiene alcuna informazione utile, nemmeno collaterale. L’unica cosa di cui qui ci può relativamente fregare è che Roberto ha un gesto tenero nei confronti della protagonista: il fatto che le carezzi i capelli per consolarla rende l’idea, che nel farlo le scopra un orecchio è un dettaglio del tutto irrilevante.

Maia era sempre a disagio per quel reticente imbarazzo, quel "virgolettato" che la faceva sentire una pazza.

Quale “reticente imbarazzo”? Ci sono troppi elementi in sottotraccia, qui, è come se non riuscissi ad esprimere quel che vuoi. O meglio, si capisce ciò che intendi, ma il modo in cui lo esponi dà l’impressione di aver colto il senso per puro caso, se capisci ciò che intendo. Roberto, poco prima, non aveva mostrato imbarazzo, anzi, si era prodigato a consolarla. I puntini di sospensione che hai usato (Un altro… brutto sogno?) possono avere molti significati e non è per nulla scontato che trasmettano reticenza, soprattutto quando la frase viene letta per la prima volta e non si ha nessuna indicazione del tono con cui viene pronunciata. Il “virgolettato” che segue è a mio avviso pleonastico e suona gergale (a me fa pensare a quando si fa il segno delle virgolette con le dita), e il fatto che la parola virgolettato sia scritta fra virgolette sembra una specie di easter egg da facepalm. Il mio consiglio è di risolvere il tutto in maniera molto più semplice, con qualcosa del tipo:

«Un altro... brutto sogno?» chiese Roberto, carezzandole i capelli. Nella sua voce c’era una punta di malcelata condiscendenza che Maya aveva imparato a individuare e detestare. Le deva l’impressione di essere trattata come una pazza.

Oppure:

«Un altro... brutto sogno?» chiese Roberto, carezzandole i capelli.
“Brutto sogno”. Maya detestava quell’eufemismo, pronunciato con rigido e malcelato imbarazzo, con cui Roberto etichettava i suoi incubi. La faceva sentire una pazza.

Insomma, varianti ce ne sono mille, l’importante è esporre in modo chiaro, a mio avviso.


“Annuì, di nuovo in affanno, e strinse Roberto in un abbraccio e si accorse che stava tremando solo quando smise di farlo.”

“Di nuovo” rispetto a quando? Il rimando si perde all’indietro e non trova appigli. Ti riferisci al “singulto” di Maya al suo risveglio? A mio avviso, di nuovo, stai dando per scontata un’informazione che non è esplicita. Poi togli la congiunzione prima di “strinse”, ce n’è già una dopo “abbraccio”.

“Roberto rimaneva silenzioso, in ascolto.
«Niente. Neanche stavolta. C'è qualcosa che mi blocca» diceva secca Maia, e si chiudeva nel suo silenzio, fissando un punto nel vuoto davanti al televisore acceso.”

Da questo capoverso fine a fine paragrafo passi inesplicabilmente all’imperfetto. Stavi usando il passato remoto, e andava benissimo. Se non ho capito male (ma non ne sono per nulla certo), l’intento nel cambiare tempo verbale era raccontare quel che succedeva ogni volta che Maya aveva un incubo, però così non funziona, sia perché, come sopra ti facevo notare, non dici al lettore che quello è il tuo obiettivo, sia perché non sarebbe credibile che ogni volta che la protagonista ha un incubo si trovi proprio davanti al televisore. Insomma, se stai continuando a raccontare quella scena, prosegui coerentemente a dire che “Roberto rimase in silenzio” e che “Maya disse secca” che qualcosa la bloccava. Se, viceversa, vuoi raccontare quel che accadeva ogni volta nella stessa circostanza, fai precedere il cambio di tempo verbale da una precisazione, per esempio così:

“Maya si arrese stancamente al solito copione: dopo ogni incubo Roberto la stringeva, rimaneva silenzioso in ascolto e lei non riusciva a spiccicare parola. Riusciva giusto a mormorare: «Niente, c’è qualcosa che mi blocca» e si chiudeva nel suo silenzio, fissando un punto nel vuoto davanti a sé.

“Nemmeno il capitano Coslovich trascorreva notti tranquille ma, uomo tutto d'un pezzo, non raccontava a nessuno i suoi incubi, fossero ad occhi chiusi o aperti.”

Primo: “uomo tutto d’un pezzo è atroce da leggere”, a mio avviso. Oltre a essere una descrizione ingenua e semplicistica, che ottiene il discutibile scopo d’incasellare in uno stereotipo il tuo personaggio appena lo presenti, ha il difetto di essere un’espressione logora e di sostituirsi al lettore nella valutazione del personaggio. Se dici, subito dopo, che il capitano non raccontava i suoi incubi (e magari enfatizzi dicendo che “non avrebbe mai raccontato i suoi incubi”), sarà il lettore a trarre le sue conclusioni sul personaggio.
Peraltro il nome, come gli altri che seguono, mi confonde e mi lascia incapace di determinare dove sia ambientata la storia. Fra Giulia, Maya, Kevin e Roberto, non saprei dire. Ultima cosa: attenzione alla “d” eufonica superflua in “ad occhi chiusi”. Non ci va, si usa solo se alla vocale ne segue un’altra uguale (salvo alcune eccezioni di uso comune tipo: “ad esempio”).

“Ma almeno lo è stata per i bambini – si ripeteva facendosi magnanimo. Non potrei mai avere a che fare con una dozzina di piccoli traumatizzati, intendeva.”

Usi il corsivo per i pensieri, seguito da un trattino. Dopo troviamo un corsivo seguito da una virgola. Anche se nella seconda frase il concetto in corsivo non è esattamente un pensiero diretto del personaggio ma la sua interpretazione veritiera da parte del narratore, sarebbe meglio scegliere un unico segno grafico. A mio avviso, sarebbe ancora meglio mettere la frase “non potrei mai…” fra virgolette, visto che si tratta di una parafrasi dei pensieri del personaggio che, per qualche motivo, inganna sé stesso pur all’interno della sua mente. Come che sia, eliminerei senza dubbio la locuzione “facendosi magnanimo”, che fa tanto ottocento e, come sopra, svolge una funzione didascalica nei confronti del lettore di dubbia gradevolezza. Prova a leggere la frase senza quelle due parole e vedrai come scorra meglio e mantenga l’esatta sfumatura che intendevi, senza averla dovuta conficcare a forza nella testa del lettore, che a tratti dai l’impressione di considerare troppo stupido per ricavare un’impressione propria delle scene. Tu pensa a costruirle bene, il lettore farà il resto.

“Annuiva con gravità ma al contempo teneva il ritmo.”

Che ritmo? Quando leggi la frase, d’istinto corri a leggere indietro per vedere se non ti sei perso qualcosa. Che stesse ascoltando Vivaldi lo scopriremo solo dopo, quando ormai la lettura è stata spezzata. Una semplice inversione nell’ordine della presentazione dei fatti evita questo effetto fastidioso.


“«Ciao, Giulia. Io sono Maia». Era una donna sui trentacinque anni, dall'aspetto abbastanza comune; e faceva di tutto per mantenerlo. Aveva un ottimo curriculum, ma era stata scelta soprattutto perché due o tre anni fa il suo contributo era stato fondamentale per un'altra indagine con bambini di mezzo.”

“Due o tre anni prima”, non “fa”, devi ricordare che è la voce del narratore che parla al lettore, non il personaggio in prima persona, perciò, rispetto al momento che la narrazione descrive, c’è uno scarto temporale. “Fa” indica invece simultaneità di eventi e narrazione: potresti usarlo se stessi raccontando usando un presente storico. Spero di essermi spiegato. “Con i bambini di mezzo” è troppo colloquiale e stona, sostituisci con qualcosa tipo “che vedeva coinvolti bambini”. La descrizione di Maya è un po’ troppo puntigliosa per essere nella mente di un uomo che ha già visto decine di volte i video in questione. Ricorda che stai adottando il suo punto di vista, non fare strizzate d’occhio al lettore.

“Coslovich cliccò sulla traccia, trascinando il cursore fino al punto che ben conosceva. Minuto 4.12:
«Un uomo tutto nero. Ha preso Serena e Kevin per i capelli e li ha portati via»”

Non vedo perché usare i due punti (e poi andare a capo, peratro). Un punto fermo va benissimo. In tutte le frasi del dialogo manca la punteggiatura finale.

“4.14 «[...]vin per i capelli e li ha portati via»
5.23 «Ma com'era quest'uomo nero? Com'era vestito?»”

Non capisco perché ripeti la frase del minuto 4.12, credo potresti saltarla a piè pari.

“«Non lo so, basta, ti prego, ho tanta paura»
E un pianto a dirotto, abbracci, smancerie.”

Non cominciare un capoverso con una congiunzione, a maggior ragione se sei appena andato a capo. Un semplice “seguì un pianto dirotto…” servirebbe al tuo scopo; a limite un “poi”, non “e”. “Smancerie”, peraltro, lo eviterei. È con ogni evidenza una valutazione del personaggio, il capitano, il cui punto di vista, però è stato fin qui raccontato, non assunto direttamente. Per questo motivo mi terrei sul neutro o, se proprio vuoi usare il termine “smancerie”, specificherei che al capitano sembrarono tali.

“Un dannato maniaco, pensava Coslovich, e questa era la sua unica certezza.”

Di nuovo: si tratta di un pensiero puntuale, il tempo verbale giusto è il passato remoto, non l’imperfetto.

“Due corpicini scomposti, con graffi e contusioni. Ma con le gambe rotte. Spezzate contro gli alberi al limitare dell'area giochi. Sbattute con una violenza inumana. A poca distanza, i loro scalpi, staccati probabilmente con qualche rozzo strumento.”

Mi perdo il senso dell’avversativa introdotta da “ma”: il fatto che le gambe fossero contuse e graffate non suggerisce che non fossero rotte, quindi non capisco perché usare il “ma”. È come dire, che so: “un vagabondo lercio e cencioso, ma puzzolente”. Togli anche la virgola dopo “distanza”, superflua. Evita più possibile gli avverbi in – mente: qui potevi scrivere “forse”.

Distesa sul suo letto, Giulia faceva finta di dormire, ma in realtà ascoltava con attenzione fuori dalla porta, per capire se i genitori fossero ancora lì a vegliare preoccupati.

“In realtà” è un’incisiva: sposta la virgola dopo “ma” e aggiungine una dopo “realtà”.

“L'anta dell'armadio si aprì a malapena ed emanò un'ombra, un essere di pura oscurità. Una sua estremità si allungò fino a raggiungere i piedi di Giulia, divenne un naso come d'un segugio, e annusò le lenzuola. Poi assunse la foggia di una mano artigliata.

Consigli sparsi. Elimina “un essere di pura oscurità”: stai di nuovo suggerendo al lettore, è sufficiente dire che era un’ombra più nera dell’oscurità che la circondava”, o qualcosa di simile. Tu descrivi, il lettore si farà la sua idea. Oppure descrivi le considerazioni del personaggio ma non pareva questo il caso. Sostituisci il verbo in modo da rendere l’ombra il soggetto, non ce ne frega nulla dell’anta dell’armadio; sì, qui il soggetto è l’anta che si aprì a malapena ed emanò. Direi, meglio: “L’anta dell’armadio si aprì a malapena e, dall’interno, uscì un’ombra…”
“Divenne un naso come d’un segugio”: accrocchio ampolloso con una ripetizione nel mezzo. Propongo:
“Una sua estremità si allungò fino a raggiungere i piedi di Giulia e annusò le lenzuola simile al naso di un segugio.”
Già che ci sei, usa “forma”, invece di “foggia”. A mio avviso si tratta di un barocchismo che appesantisce senza bisogno.

“«No, oggi nessuno mi ha tirato i capelli». Ci pensò su un istante, poi aggiunse: «Qualcuno però mi ha chiesto di te». Dall'armadio, un altro lieve sgrufolare.
«Sì, questo è suo».”

“Sgrufolare” non è compatible con la descrizione della voce dell’essere di poco prima, definita come un “sussurro flautato”, Non è nemmeno relaistico siano diverse ariticolazioni della voce in questione, perché dici espressamente “Un altro lieve sgrufolare”. Inoltre non mi convince che la bambina si fermi a pensare se dire altro all’ombra, quando ha premeditato con grande anticipo ciò che avrebbe fatto, al punto di rubare qualcosa di proprietà di Maya. La reazione che mi aspetterei, qui, è che la bambina non stia nella pelle di dire al suo “amichetto” che gli ha procurato un nuovo bersaglio, non che nemmeno se lo ricordi, in un primo momento.

“È notte fonda, ormai. Giulia dorme come un angioletto. Maia si risveglia turbata da un altro sogno di bambini innocenti e purissimi. Demetrio Coslovich è di nuovo chino sui video. Quando la bambina, abbracciata alla psicologa, sfrega due dita sul maglione della donna per prelevarne qualche fibra di lana, l'attenzione del capitano è già altrove.”

Non hai usato il narratore onnisciente per l’intero racconto, cominciare ora è davvero poco elegante. Taglia tutta la parte prima di “Demetrio”, che non serve a nulla, rituffiamoci nel punto di vista del capitano e, coerentemente, facciamogli notare il dettaglio del furto delle fibre di lana. Poi chiudi con lui che ignora il dettaglio, ritenendolo irrilevante. Il lettore saprà che così non è e avrai ottenuto il risultato di fargli valutare la cosa autonomamente, chiarire il pdv del personaggio e usare un pdv inaffidabile, che narrativamente fa sempre fine e non impegna :D

Non ho più nulla da dire e sono un po’ stanco, lo ammetto. Il testo va rimaneggiato molto a mio avviso, ma come dicevo l’idea è valida. A prescindere da questo lavoro in particolare, ti consiglio di lavorare molto sul tuo lessico, sulla costruzione delle frasi e sull’analisi obiettiva delle informazioni che fornisci e del grado di comprensibilità e immediatezza di quanto scrivi in relazione a quelle.
A rileggerti.

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Jacopo Berti
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Re: Aislinn Edition - Il velo di Maia

Messaggio#14 » sabato 2 gennaio 2016, 13:17

Grazie per il commento, Marco. Mi hai aiutato in molti punti e certamente le tue osservazioni mi serviranno a sistemare il racconto per il laboratorio di gennaio
Alcune di esse però mi sembrano molto normative (l'avevo notato già in altri racconti che hai commentato) e io sono tra quelli che vedono nello scarto dalla norma la bellezza del leggere e dello scrivere. È ovvio che la comprensibilità del testo non ne deve risentire ma, secondo me, a volte, è bello trovare un termine desueto o una forma che contravviene alle regole che insegnano a scuola o nei manuali di scrittura. Se si percorre fino in fondo la via del "racconto da manuale" non si rischia che tutti gli scriventi (evito 'scrittori', almeno per parlare di me) si differenzino soprattutto per il contenuto – in cui però è difficile essere originali – e quasi per nulla per la forma?
Insomma, alcune delle tue critiche (a proposito degli arcaismi, della sequenza di congiunzioni o dell'inizio di paragrafo con 'E', o, ancora, del fatto che si sappia che Coslovich tiene il ritmo prima di sapere che ascolta Vivaldi) riguardano cose che ho scritto consapevolmente. In particolare, mi piace adottare un lessico un minimo più antiquato – perché se vuoi vedere esempi estremi guarda il mio racconto nella Strokul edition – quando descrivo gli elementi fantastici. Per dirti come ragiono: quando l'ombra diventa un muso di cane, avrei messo "tartufo" al posto di "naso", ma in effetti avevo paura di veri e propri fraintendimenti.
Quanto alle congiunzioni, so che "così non si fa", ma so anche che il "così non si fa" non è mai assoluto, e se sono consapevole che sto violando una norma, posso scegliere di farlo, per cui si passa da "è un errore" a "non mi piace il tuo stile".

Mi hai giustamente bacchettato sulla focalizzazione. Gli elementi che critichi nel secondo paragrafo sono quasi tutti tentativi di caratterizzare il punto di vista di Coslovich: 'uomo tutto d'un pezzo'; 'i bambini di mezzo'; 'fa'; la congiunzione a inizio paragrafo; 'smancerie'...
Chiedo sul serio, perché non lo so: dove ho sbagliato nel cercare di assumere nella mia narrazione alcuni tratti di Coslovich? Non è questo un tipo di focalizzazione possibile e accettabile?
Il ragionamento che faccio io è che se non sono pertinenti a me come narratore (e che non lo siano è evidente), devono essere inerenti a qualcun altro, quindi a Coslovich.

Sembra che voglia ribattere per principio a tutte le tue critiche ma non è così. Sulla focalizzazione sto dicendo che ho molto da imparare. Su tutto il resto che non ho citato (che è molto, visto che sei entrato in tutti i dettagli) lavorerò. Hai evidenziato errori di cui non mi ero accorto e fatto notare come alcune cose a cui non avevo dato molto peso ne hanno invece parecchio.

Grazie, infine, per aver apprezzato la struttura e l'idea.
«Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare» (Novalis, Frammenti)

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