Lo specchio di Isidoro
Inviato: giovedì 7 aprile 2016, 22:54
Commento: Mi sono iscritta a questa competizione senza conoscere l’autore. O meglio, con una conoscenza molto scarsa e lontana nel tempo. Potrei definire questa decisione come un errore fatto con troppa leggerezza, ma non è così.
Credo che lo scopo di questo contest non sia solo quello di scrivere e misurarsi con gli altri concorrenti, è piuttosto un occasione di conoscenza e di riflessione. L’autore è prima di tutto un lettore ed è grazie ai libri che il suo percorso si arricchisce. Leggere Calvino che sinceramente ricordavo appena, e soprattutto farlo ora che sono una persona matura e non più una scolaretta, ha dato un valore diverso alle sue opere.
Nelle “città invisibili” ho ritrovato la magia che negli anni avevo scovato ne “L’alchimista” di Coelho o nei racconti di Buzzati. Considerato a ragione il suo capolavoro, è un testo capace di generare profonde riflessioni sulla vita, sulla morte e sull’eterno divenire.
Le fiabe di Calvino invece, nella loro semplicità e chiarezza, hanno spalancato mondi immaginari e li hanno resi fruibili trasformandoli in sogni di carta.
Questo racconto nasce dalla lettura dei testi che ho citato. L’inesauribile fantasia di Italo Calvino è stato il seme che ha generato frutto. Non pretendo di scrivere come lui né di imitarlo, questo testo è frutto della lettura delle sue opere. Non è altro che questo.
Buona lettura.
LO SPECCHIO DI ISIDORO
C’era una volta un re che aveva sposato una sirena di nome Ondina. Il re era talmente felice di avere per moglie una creatura tanto bella e delicata, che si mise a conquistare tutte le terre intorno al suo regno e in breve tempo divenne il sovrano più ricco e più temuto.
Un giorno Ondina gli comunicò che presto gli avrebbe dato un erede e il re, pazzo di gioia, incaricò i soldati di scovare nuove terre da conquistare per festeggiare il lieto evento.
I soldati attraversarono fiumi e scalarono montagne fino a che non trovarono la città di cristallo che si ergeva su un piedistallo a forma di corolla. I tetti delle case e dei palazzi reali, si allungavano verso il cielo e culminavano con una punta di diamante purissimo. Al centro della città c’era una stella che brillava come un piccolo sole e un cavallo alato gli faceva la guardia. Il cavallo era il simbolo della città.
Il giorno successivo, i soldati attraversarono il deserto e arrivarono sino al mare dove c’era la città di lapislazzuli. Le mura, le scalinate, i templi e le strade erano rivestite di pietre dai mille colori. Nel giardino reale i fiori erano perle di luce e uccelli dalle piume variopinte, con lunghe zampe sottili, facevano la guardia. Il pavone era il simbolo della città.
Il terzo giorno i soldati arrivarono sulle rive di un lago su cui si specchiava un palazzo in rovina. Era il regno di Baltazar che dopo anni di splendore, si andava disfacendo perché il re era diventato povero e non aveva neppure di che sopravvivere.
I soldati tornarono dal re e gli raccontarono delle favolose città che avevano visitato e anche del regno di Baltazar, che era ben poca cosa.
Il re desiderava impossessarsi di quelle meraviglie e farne dono alla sua sposa, ma Ondina, quando seppe cosa aveva in mente, lo scongiurò di non farlo.
- Una guerra non sarebbe di buon auspicio per la nascita del bambino – disse la dolce sposa - se proprio vuoi farmi felice, invita i sovrani nel nostro palazzo e vedrai che si sottometteranno volentieri e senza spargimento di sangue.
Re Isidoro decise di accontentare Ondina e inviò dei messaggeri nella città di cristallo, in quella di lapislazzuli e nel regno in rovina di Baltazar. Poiché aveva fama di essere un tiranno sanguinario, i sovrani non si presentarono, inviarono piuttosto dei doni nella speranza di compiacerlo.
Il re della città di cristallo gli fece recapitare un usignolo fatato: ogni volta che perdeva una piuma e questa raggiungeva terra, diventava un cristallo purissimo.
Il re della città di lapislazzuli gli regalò un albero sacro, ogni volta che una foglia cadeva a terra, si trasformava in uno zaffiro.
L’unico che non aveva inviato nulla era Baltazar, perché era talmente povero che possedeva solo il trono su cui era seduto, perciò fu l’unico che si presentò al cospetto di re Isidoro.
Era un vecchio cisposo con la barba grigia e la pelle rinsecchita. Indossava una tunica bianca che si gonfiava con il vento e sembrava sempre sul punto di volare via.
Isidoro invece era giovane alto e possente con le mani grandi come le pale di un mulino e gli occhi neri ardenti come braci.
Si trovarono uno davanti all’altro, erano entrambi sovrani di un regno, ma non potevano essere più diversi.
Baltazar aveva preparato un discorso per tentare di convincere il re a lasciargli vivere i pochi anni che gli restavano nel suo regno, ma Isidoro, che aveva fretta di concludere e non voleva perdere del tempo prezioso con un vecchio, lo precedette.
- Dimmi qualcosa che non so - disse.
In verità, non v’era nulla che non conoscesse perché aveva conquistato interi regni, si era distinto in ogni campo per scaltrezza e ingegno, aveva avuto i migliori maestri d’armi e d’intelletto. Cosa avrebbe potuto dire Baltazar che già non sapesse?
Eppure il vecchio iniziò a parlare con una voce talmente incerta che sembrava provenire da lontano, flebile come una fiammella.
- Quando ero giovane e avevo pressappoco la tua età, avevo già conquistato tutte le terre che lo sguardo potesse abbracciare e anche quelle che si nascondevano alla vista, nascoste tra le pieghe delle montagne o fuori dalle rotte conosciute - disse Baltazar. - Un giorno, un vecchio si presentò al mio cospetto perché temeva che la mia smania di conquista avrebbe travolto anche il suo misero maniero. Non mi importava di quella roccia sterile su cui era edificato un palazzo cadente, ma avevo deciso di ampliare i miei possedimenti e non volevo rinunciare a nulla, neppure a una zolla di terra. Quel vecchio che si reggeva in piedi a malapena, aveva affrontato un lungo viaggio per venire al mio cospetto e dovetti riceverlo anche se non ne avevo voglia. Era lì tutto tremante nella tunica grigia dello stesso colore della pelle e dei capelli, pronto a sciorinare il discorso che aveva preparato per convincermi a soprassedere e risparmiare il suo fazzoletto di terra, ma io lo interruppi.
- E cosa gli dicesti? – chiese Isidoro.
E Baltazar: – Gli chiesi: “Dimmi qualcosa che non so”.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Baltazar continuò.
- Allora il vecchio mi disse: “Quando ero giovane e avevo pressappoco la tua età, avevo già conquistato tutte le terre che lo sguardo potesse abbracciare e anche quelle che si nascondevano alla vista, nascoste tra le pieghe delle montagne o fuori dalle rotte conosciute. Un giorno, un vecchio si presentò al mio cospetto perché temeva che la mia smania di conquista, avrebbe travolto anche il suo misero maniero. Non mi importava di quella roccia sterile su cui era edificato un palazzo cadente, ma avevo deciso di ampliare i miei possedimenti e non volevo rinunciare a nulla, neppure a una zolla di terra. Quel vecchio che si reggeva in piedi a malapena, aveva affrontato un lungo viaggio per venire al mio cospetto e dovetti riceverlo anche se non ne avevo voglia. Era lì tutto tremante nella tunica grigia dello stesso colore della pelle e dei capelli, pronto a sciorinare il discorso che aveva preparato per convincermi a soprassedere e risparmiare il suo fazzoletto di terra, ma io lo interruppi.
Baltazar non aggiunse altro perché la storia si ripete all’infinito e si attorciglia su se stessa come un cane che si morde la coda. I tiranni con il tempo finiscono per assomigliarsi tutti, così come i vecchi, che una volta erano stati tiranni. L’uno diventa lo specchio dell’altro tanto che, guardandosi, il vecchio ricorda com’era, e il giovane sa come diventerà.
Anche i regni con il passare del tempo mutano: le mura crollano, i palazzi vengono rasi al suolo e sostituiti da altri palazzi e da nuove mura. Un incessante divenire che vede scomparire ciò che oggi impera per lasciare il posto a ciò che domani ne prenderà il posto.
Isisoro comprese che il futuro era lì che lo aspettava e aveva le sembianze di quel vecchio con la tunica mangiata dalle tarme e la tosse a sconquassargli il petto.
Mentre Baltazar attendeva la decisione di Isidoro, sperando fosse più magnanimo di quanto lo era stato lui, Isidoro pensava al tiranno che un giorno lo avrebbe ricevuto e gli avrebbe posto la stessa domanda e per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare una risposta diversa.
Credo che lo scopo di questo contest non sia solo quello di scrivere e misurarsi con gli altri concorrenti, è piuttosto un occasione di conoscenza e di riflessione. L’autore è prima di tutto un lettore ed è grazie ai libri che il suo percorso si arricchisce. Leggere Calvino che sinceramente ricordavo appena, e soprattutto farlo ora che sono una persona matura e non più una scolaretta, ha dato un valore diverso alle sue opere.
Nelle “città invisibili” ho ritrovato la magia che negli anni avevo scovato ne “L’alchimista” di Coelho o nei racconti di Buzzati. Considerato a ragione il suo capolavoro, è un testo capace di generare profonde riflessioni sulla vita, sulla morte e sull’eterno divenire.
Le fiabe di Calvino invece, nella loro semplicità e chiarezza, hanno spalancato mondi immaginari e li hanno resi fruibili trasformandoli in sogni di carta.
Questo racconto nasce dalla lettura dei testi che ho citato. L’inesauribile fantasia di Italo Calvino è stato il seme che ha generato frutto. Non pretendo di scrivere come lui né di imitarlo, questo testo è frutto della lettura delle sue opere. Non è altro che questo.
Buona lettura.
LO SPECCHIO DI ISIDORO
C’era una volta un re che aveva sposato una sirena di nome Ondina. Il re era talmente felice di avere per moglie una creatura tanto bella e delicata, che si mise a conquistare tutte le terre intorno al suo regno e in breve tempo divenne il sovrano più ricco e più temuto.
Un giorno Ondina gli comunicò che presto gli avrebbe dato un erede e il re, pazzo di gioia, incaricò i soldati di scovare nuove terre da conquistare per festeggiare il lieto evento.
I soldati attraversarono fiumi e scalarono montagne fino a che non trovarono la città di cristallo che si ergeva su un piedistallo a forma di corolla. I tetti delle case e dei palazzi reali, si allungavano verso il cielo e culminavano con una punta di diamante purissimo. Al centro della città c’era una stella che brillava come un piccolo sole e un cavallo alato gli faceva la guardia. Il cavallo era il simbolo della città.
Il giorno successivo, i soldati attraversarono il deserto e arrivarono sino al mare dove c’era la città di lapislazzuli. Le mura, le scalinate, i templi e le strade erano rivestite di pietre dai mille colori. Nel giardino reale i fiori erano perle di luce e uccelli dalle piume variopinte, con lunghe zampe sottili, facevano la guardia. Il pavone era il simbolo della città.
Il terzo giorno i soldati arrivarono sulle rive di un lago su cui si specchiava un palazzo in rovina. Era il regno di Baltazar che dopo anni di splendore, si andava disfacendo perché il re era diventato povero e non aveva neppure di che sopravvivere.
I soldati tornarono dal re e gli raccontarono delle favolose città che avevano visitato e anche del regno di Baltazar, che era ben poca cosa.
Il re desiderava impossessarsi di quelle meraviglie e farne dono alla sua sposa, ma Ondina, quando seppe cosa aveva in mente, lo scongiurò di non farlo.
- Una guerra non sarebbe di buon auspicio per la nascita del bambino – disse la dolce sposa - se proprio vuoi farmi felice, invita i sovrani nel nostro palazzo e vedrai che si sottometteranno volentieri e senza spargimento di sangue.
Re Isidoro decise di accontentare Ondina e inviò dei messaggeri nella città di cristallo, in quella di lapislazzuli e nel regno in rovina di Baltazar. Poiché aveva fama di essere un tiranno sanguinario, i sovrani non si presentarono, inviarono piuttosto dei doni nella speranza di compiacerlo.
Il re della città di cristallo gli fece recapitare un usignolo fatato: ogni volta che perdeva una piuma e questa raggiungeva terra, diventava un cristallo purissimo.
Il re della città di lapislazzuli gli regalò un albero sacro, ogni volta che una foglia cadeva a terra, si trasformava in uno zaffiro.
L’unico che non aveva inviato nulla era Baltazar, perché era talmente povero che possedeva solo il trono su cui era seduto, perciò fu l’unico che si presentò al cospetto di re Isidoro.
Era un vecchio cisposo con la barba grigia e la pelle rinsecchita. Indossava una tunica bianca che si gonfiava con il vento e sembrava sempre sul punto di volare via.
Isidoro invece era giovane alto e possente con le mani grandi come le pale di un mulino e gli occhi neri ardenti come braci.
Si trovarono uno davanti all’altro, erano entrambi sovrani di un regno, ma non potevano essere più diversi.
Baltazar aveva preparato un discorso per tentare di convincere il re a lasciargli vivere i pochi anni che gli restavano nel suo regno, ma Isidoro, che aveva fretta di concludere e non voleva perdere del tempo prezioso con un vecchio, lo precedette.
- Dimmi qualcosa che non so - disse.
In verità, non v’era nulla che non conoscesse perché aveva conquistato interi regni, si era distinto in ogni campo per scaltrezza e ingegno, aveva avuto i migliori maestri d’armi e d’intelletto. Cosa avrebbe potuto dire Baltazar che già non sapesse?
Eppure il vecchio iniziò a parlare con una voce talmente incerta che sembrava provenire da lontano, flebile come una fiammella.
- Quando ero giovane e avevo pressappoco la tua età, avevo già conquistato tutte le terre che lo sguardo potesse abbracciare e anche quelle che si nascondevano alla vista, nascoste tra le pieghe delle montagne o fuori dalle rotte conosciute - disse Baltazar. - Un giorno, un vecchio si presentò al mio cospetto perché temeva che la mia smania di conquista avrebbe travolto anche il suo misero maniero. Non mi importava di quella roccia sterile su cui era edificato un palazzo cadente, ma avevo deciso di ampliare i miei possedimenti e non volevo rinunciare a nulla, neppure a una zolla di terra. Quel vecchio che si reggeva in piedi a malapena, aveva affrontato un lungo viaggio per venire al mio cospetto e dovetti riceverlo anche se non ne avevo voglia. Era lì tutto tremante nella tunica grigia dello stesso colore della pelle e dei capelli, pronto a sciorinare il discorso che aveva preparato per convincermi a soprassedere e risparmiare il suo fazzoletto di terra, ma io lo interruppi.
- E cosa gli dicesti? – chiese Isidoro.
E Baltazar: – Gli chiesi: “Dimmi qualcosa che non so”.
Ci fu un attimo di silenzio, poi Baltazar continuò.
- Allora il vecchio mi disse: “Quando ero giovane e avevo pressappoco la tua età, avevo già conquistato tutte le terre che lo sguardo potesse abbracciare e anche quelle che si nascondevano alla vista, nascoste tra le pieghe delle montagne o fuori dalle rotte conosciute. Un giorno, un vecchio si presentò al mio cospetto perché temeva che la mia smania di conquista, avrebbe travolto anche il suo misero maniero. Non mi importava di quella roccia sterile su cui era edificato un palazzo cadente, ma avevo deciso di ampliare i miei possedimenti e non volevo rinunciare a nulla, neppure a una zolla di terra. Quel vecchio che si reggeva in piedi a malapena, aveva affrontato un lungo viaggio per venire al mio cospetto e dovetti riceverlo anche se non ne avevo voglia. Era lì tutto tremante nella tunica grigia dello stesso colore della pelle e dei capelli, pronto a sciorinare il discorso che aveva preparato per convincermi a soprassedere e risparmiare il suo fazzoletto di terra, ma io lo interruppi.
Baltazar non aggiunse altro perché la storia si ripete all’infinito e si attorciglia su se stessa come un cane che si morde la coda. I tiranni con il tempo finiscono per assomigliarsi tutti, così come i vecchi, che una volta erano stati tiranni. L’uno diventa lo specchio dell’altro tanto che, guardandosi, il vecchio ricorda com’era, e il giovane sa come diventerà.
Anche i regni con il passare del tempo mutano: le mura crollano, i palazzi vengono rasi al suolo e sostituiti da altri palazzi e da nuove mura. Un incessante divenire che vede scomparire ciò che oggi impera per lasciare il posto a ciò che domani ne prenderà il posto.
Isisoro comprese che il futuro era lì che lo aspettava e aveva le sembianze di quel vecchio con la tunica mangiata dalle tarme e la tosse a sconquassargli il petto.
Mentre Baltazar attendeva la decisione di Isidoro, sperando fosse più magnanimo di quanto lo era stato lui, Isidoro pensava al tiranno che un giorno lo avrebbe ricevuto e gli avrebbe posto la stessa domanda e per quanto si sforzasse, non riusciva a trovare una risposta diversa.