Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

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Jacopo Berti
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Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#1 » mercoledì 27 aprile 2016, 11:20

Il marchese quantistico

Alle prime avvisaglie dell'aurora, Filippo Filentomo Finotti, marchese di Essembergo, spalancò le porte del suo maniero e gettò un guanto di sfida all'indirizzo di un aprile annebbiato e sonnolento. Inspirò a pieni polmoni, verificò con uno strattone la tenuta dello schioppo in spalla e proclamò a gran voce: – Si va a caccia!
Da nessun’altra parte un annuncio del genere avrebbe suscitato meno clamore: le fantesche trascinavano placide i pizzi delle camicie da notte, reggendo pitali da svuotare; i paggi, le palpebre socchiuse, accendevano candelabri e candelieri; le cuoche rintuzzavano il fuoco per la prima colazione. Tutti si preparavano a una tranquilla mattinata in giardino. Da sempre le battute di caccia del marchese si svolgevano nei ristretti limiti della sua tenuta. Provvisto di lente d’ingrandimento e di taccuino per gli appunti, Filippo Filentomo andava alla ricerca d’insetti, curvava la sua schiena ossuta su coccinelle e lombrichi, incoraggiava i cani quando si acquattavano mugugnando davanti a una blatta o un ragno: – Bravo, così si fa, Argo! – diceva, oppure – Che preda, Ariele!
Ma quella mattina, montato a cavallo, il marchese superò d’un balzo le inferriate del cancello, fece impennare Bucefalo, sparò tre colpi in aria.
– Filippo s’è destato! – disse l’anziano maggiordomo da dietro i suoi occhi acquorei. – La maledizione di Petruna! – fece, mentre il cuore si fermava. – Che Dio ci aiuti!
Ci fosse stato qualcuno ad ascoltare! Tutti quanti invece correvano allarmati di qua di là di su di giù, gridando alla fine del mondo o ad altre sventure.

Tutto ciò accadeva nel tempo in cui l'Italia era ancora solo lo stivale che si estendeva dalle Alpi verso sud oltre il Po e giù lungo gli Appennini, e colla punta della Trinacria palleggiava la Sardegna. Tra le pieghe delle mappe dei Savoia, degli Asburgo e del papa c'era spazio per baronie, contadi e altri domini che passavano inosservati ai più, e non sarebbero stati ricordati. Ma non sono forse le pieghe a tenere assieme le mappe? E in quel giorno d’aprile, di una di queste pieghe, del suo intero dominio, il marchese di Essembergo aveva fatto territorio di caccia.

Colla doppietta, il destriero e la muta di bracchi, Filippo Filentomo si scapicollava tra boschi e balze. Il suo seguito di famigli e familiari s’affannava tra forre e roveti ma non riusciva a stargli dietro. Non perché fossero accorsi tardi (dopo il primo trambusto s’erano subito affaccendati) ma perché era semplicemente impossibile tenere il passo, giacché il marchese sembrava non averne uno. Il suo cimiero compariva sulla sommità del monastero di santa Ildegarda, ma un istante dopo s'udiva il suo corno risuonare nel bosco di betulle di Nevebigia.
– Eccolo! – faceva il capocaccia, maledicendo i suoi giorni. – Come corre! – diceva un cugino cavaliere; – Ma se a malapena passeggia! – ribatteva un altro. – Dove avrà trovato tutta quell’energia? – si domandava un terzo. C’era poi chi giurava di aver visto la sua esile figura, avvolta nella cacciatora marrone, sbucare di tra le cime degli alberi e volar via come uno spaventapasseri rapito dal vento.
Ogni tanto doveva pur fermarsi, ma solo il cielo sapeva dove si fosse cacciato!
Poi a un certo punto ricompariva e con aria stizzita – Forza, forza! – diceva al codazzo esausto – qui o si procede a grandi passi o si resta a casa! – E tutti, in effetti, avrebbero preferito stare a casa.
La sera stessa, alla tavola del marchese vennero serviti cinghiale e cervo e orso, conditi con mirtilli e miele selvatico, tutto procurato dal nobiluomo. Scaraventati i piatti con le parche porzioni cui era uso, Filippo Filentomo si avventava sugli arrosti sguainando l’arma e con maestria tagliava tocchetti e della sciabola faceva spiedo. Smise di mangiare e di bere soltanto quando poté specchiarsi nei vassoi e fu vuoto il barile di cervogia di santa Ildegarda.
Quella notte il maniero riecheggiò di alte grida, né fu soltanto la marchesa a godere del nuovo vigore del consorte.

La mattina dopo fu tutto come prima, e placidi furono l’indomani e il dì successivo. Il quarto giorno il marchese si svegliò con l’umore sanguigno, andò a caccia, organizzò un ricevimento, ingaggiò musicisti e attori, vinse duelli, trovò marito a due figlie, e la terza la raccomandò badessa.
E così avanti. Non solo c’erano giorni così e giorni cosà, ma capitava anche che a metà giornata d’un tratto il marchese s’accendesse e senza vie di mezzo passasse dalla calma all’ira o all’entusiasmo, dall’ozio alla frenesia, dal silenzio alle urla. E i suoi domini assecondavano i suoi capricci e sperimentavano a giorni alterni la bonaccia e la burrasca, siccità e inondazioni, abbondanza e carestia.
L’abitudine, si sa, è tra le forze che reggono questo mondo, e anche agli eccessi del marchese tutti, o quasi, s’adeguarono o fecero il callo.

Posso scrivere ancora qualcosa? Ma sì, qualcosa sì. Non vorrei dilungarmi troppo, però: temo che improvvisamente questo resoconto si muti in un grosso tomo, fitto di caratteri, zeppo di descrizioni araldiche, trattati di erboristeria, componimenti encomiastici, liste senza fine. Perché così, ahimè, accade nelle marche di Essembergo.
Dirò dunque brevemente della guerra.
Dovete sapere che, da quando ventenne si era distinto al congresso di Vienna, il marchese era noto per essere un fine diplomatico. Ne so qualcosa di diplomazia e immagino che il portamento elegante, il naso aquilino e i ricciolini alla Metternich abbiano molto giovato alla nomea.
Di tanto in tanto giungevano al suo maniero nobiluomini d’ogni rango, che richiedevano i suoi servigi di paciere e i suoi saggi consigli. Nei giorni instabili, i suoi congiunti si guardavano bene dal consentire questo tipo di visite, ma il conte di Malcascina era un amico di vecchia data e lo lasciarono passare.
– Finotti! Caro Essembergo, non sei invecchiato di un giorno!
– Mi mantengo… attivo, Ristori.
– Ho saputo! Le voci girano, èvéro?
– E cosa dicono queste voci, Malcascina?
– Che vuoi diventare duca.
Il marchese camminava avanti e indietro, cercando d’indovinare le intenzioni dell’interlocutore. La mano e la mandibola di Filippo cominciarono a tremare come di trepidazione e gocce di sudore gli rigavano le tempie.
– In effetti, a volte, caro Malcascina, i miei domini mi stanno un po’ stretti. E non è certo con qualche piccola annessione che mi sentirei più a mio agio.
– Sì, sì, capisco. Ma, riflettevo, non è questo il momento, èvéro? Con tutti i rivolgimenti che ci abbiamo intorno… Suvvia, in fondo resti sempre un moderato.
–Signor conte, se c’è qualcosa che ho imparato in questi ultimi tempi è che la vita è fatta a scale. Non c’è posto tra un gradino e l’altro. E i gradini sono molto alti!
Afferrato Malcascina per il bavero e la cintura, prontamente lo defenestrò. Sì, presto sarebbe diventato duca!

La prima annessione del marchese fui io che scrivo, segretario del conte di Malcascina. – Tu! Vieni qui! – mi disse Essembergo, prima ancora che il mio precedente signore smettesse di ruzzolare giù per dirupi. – Ora sei al mio servizio. Scrivi e fai cinque copie, una per ciascun confinante…
Mi dettò delle dichiarazioni di guerra con tutti i crismi e i cavilli giuridici necessari, ma piene del suo spirito aggressivo e insaziabile. Sotto ciascuna di esse, Filippo Filentomo Finotti apponeva la sua sigla, sbrigativa, buttata lì, sprezzante. Quelle che avrebbero dovuto essere tre ‘effe’ si presentavano più o meno così: ≠ ≠ ≠.
I preparativi per la campagna di conquista iniziarono il giorno stesso: il marchese fece venire i migliori fabbri e commissionò loro delle enormi alabarde, che nessun uomo sarebbe stato in grado di brandire; mise al lavoro gli addetti al vettovagliamento e una squadra di cuochi; chiamò a sé i suoi armigeri più fidati, che avevano sedato le rivolte del Quarantotto. Fece approntare per loro un banchetto e comandò ai cuochi che servissero prelibatezze fino a contrordine. Gli armigeri inizialmente mangiavano di gusto, poi per obbedire al marchese, ma infine non ce la facevano davvero più: – Vi prego, signor marchese, basta! – diceva Gualtiero. – No, no, mangiate, dovete essere in forze! – rispondeva il marchese. – Di questo passo scoppieremo! – protestava Evaristo. – Oh, non andrà proprio così – obiettava Filippo, e infilava a forza un ultimo pasticcino alla crema nella bocca del milite.
Con un grido d’esultanza, il marchese veniva fiondato via dal ventre dell’alabardiere, che s’ingrossava tutto d’un tratto. Seguivano a ruota le gambe, le braccia e infine la testa, che s’espandeva con un «pop» fino a decuplicare il suo volume. Pop, faceva Evaristo, Pop! Gualtiero. Pop-sdeng Marcello (aveva infatti sbattuto contro una trave del soffitto) e in breve tempo il marchese ebbe al suo servizio un drappello di giganti. – Scrivi, Bertoldo: «La vita è fatta a scale!».

I giganti già sbaragliavano gli eserciti avversari spazzando con le loro alabarde, usavano i cannoni come archibugi, pestavano cavalli e cavalieri come fossero giocattoli per bambini, facevano questo e altro quando sul più bello arrivò una missiva dal re. Fu fatta l'Italia, e ogni contesa fu appianata con privilegi e compensi. Il marchese Filippo fu fatto senatore del regno, e subito decise d'invecchiare. In un sol giorno, s'ingobbì e s'incanutì, depose la sciabola in favore della penna, volle che il suo desco fosse ingombro di libri e la sua biblioteca preziosa e invidiata. Alle volte uno si crede appagato, ed è soltanto vecchio.
Tra i tomi ho scoperto antiche leggende sulla maledizione che grava su Essembergo. Ma non mi arrischio ad aggiungere altro.
Ora che il marchese ha deciso di passare, con la sua solita determinazione, a miglior vita, ecco che scrivo la sua storia. Odo notizie assurde: qualcuno sta pensando di applicare la filosofia del marchese alle leggi eterne che governano il mondo, di dire che tutto, in fin dei conti, funziona così.
Che mai potrà venirne di buono? Con che giganti, alabarde e cannoni verranno combattute le prossime guerre?
Ultima modifica di Jacopo Berti il giovedì 28 aprile 2016, 12:19, modificato 8 volte in totale.


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Jacopo Berti
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#2 » mercoledì 27 aprile 2016, 12:11

Si richiede un commento e mi atterrò alle regole, se non per il fatto che preferisco che il commento segua il racconto e sia in un altro post.
Italo Calvino è "il mio autore": sto concludendo il dottorato di ricerca in letteratura italiana contemporanea e Calvino è uno dei tre scrittori che prendo in esame. Ho letto praticamente tutto ciò che ha scritto (lettere e saggi compresi) e una certa parte di ciò che è stato scritto su di lui (ma è stato scritto tantissimo, e si potrebbe allestire una piccola biblioteca solo di studi calviniani).
Non voglio annoiarvi con disquisizioni accademiche, quindi vi dico le difficoltà alle quali sono andato incontro.

Prima di tutto: non ero sicuro di cosa volesse dire imitare lo stile d'un autore. A mio avviso, va interpretato come "scrivere alla maniera di", quindi forma e contenuto si presentano assieme. Poi sta a ciascuno scegliere su cosa mettere l'accento. Io ho cercato di restare sui titoli indicati, La trilogia degli antenati, e ho scelto appositamente un titolo che è un calco dei tre racconti lunghi che la compongono. Ho cercato di mantenerne anche lo spirito generale - i livelli di lettura, si diceva - ovvero la concretizzazione fantastica di una filosofia di vita, di un modo di stare al mondo. Penso, quanto ai contenuti, di aver fatto un buon lavoro.

Secondo problema: lo stile di Calvino è di ampio respiro. Specialmente nella trilogia degli antenati, vi sono elementi formali e strutturali (tipo le ripetizioni, le cornici, le riflessioni di carattere generale) che non possono facilmente essere replicate in diecimila caratteri, se si vuole produrre una narrazione e non un quadretto. Ho cercato di impiegarle in forma ridotta, laddove possibile.
Mi sono concentrato quindi sulle caratteristiche più marcatamente testuali dello stile: le liste, la variatio nelle forme di coordinazione, l'utilizzo creativo di coppie verbo+complemento oggetto, l'abbondanza di punti esclamativi, punti e virgola, interiezioni onomatopeiche o imitative del parlato, il dialogo spezzato e introdotto specialmente da "dire" e "fare", i segnali di comunicazione tra narratore interno (che appare e scompare) e lettore, l'utilizzo di termini desueti fatti passare come quotidiani, il citazionismo e qualche altra cosa.
Ciò che mi ha messo in difficoltà è la sintassi, la costruzione della frase. Non so se sono riuscito ad avvicinarmi alla sua leggerezza.

Ad ogni modo, è una cosa che non ho mai fatto prima e non avrei mai fatto senza MC. E' stato un grande sprone e ho imparato ancora qualcosa, grazie!
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Fernando Nappo
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#3 » sabato 7 maggio 2016, 16:31

Ciao Jacopo,
appena terminato di leggere il tuo racconto ho pensato: 'sti cazzi! Commento di grana finissima, lo so, e dal quale traspare la mia profonda capacità critica. Ma devo dire che il tuo racconto mi ha colpito dalla prima riga all'ultima. Sbaglierò, ma sono convinto che più di un esperto sarebbe tratto in inganno da questo tuo racconto e potrebbe benissimo credere si tratti di un originale di Calvino.
Mi sono piaciutio molto alcuni dialoghi - che io devinisco a scorrere - in pieno stile Calvino, come questi esempi:
...o un ragno: – Bravo, così si fa, Argo! – diceva, oppure – Che preda, Ariele!

– Eccolo! – faceva il capocaccia, maledicendo i suoi giorni. – Come corre! – diceva un cugino cavaliere; – Ma se a malapena passeggia! – ribatteva un altro.

Ottimi i solidi richiami storici, come tipico negli Antenati, che tra l'altro non sono semplicemente buttai per far volume, ma hanno una precisa funzione nel racconto.
Anche certi termini aiutano molto alla resa: colla (con la), scapicollava, sbaragliare, archibugi...,
Anche il narratore in terza persona che a un certo punto si palesa è tipico dei tre romanzi degli antenati, in particolare il tuo mi ha fatto venire in mente Bradamante ne Il cavaliere inesistente.
Anche l'uso dell'avverbio già in congiunzione con l'imperfetto, mi pare familiare:
I giganti già sbaragliavano...
e aiuta in mezza riga, cosa che invidio a Calvino, a far passare la sensazione del trascorrere del tempo.
L'unica cosa che non mi ha convinto è il titolo. E non tanto perché Calvino non avrebbe potuto usare l'aggettivo quantistico, ma perché nel racconto la fisica dei quanti non mi pare c'entri nulla. Ma forse il tuo riferimento sta in altro, e allora ho bisogno che me lo spieghi.
Mi fermo qui, che più in dettaglio non saprei scendere, ma, per quanto mi riguarda, il migliore di quelli letti finora.

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Jacopo Berti
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#4 » sabato 7 maggio 2016, 18:34

Ciao Fernando, grazie per il bellissimo commento. Anche la versione corta non mi dispiace ;)
Beh, ai complimenti non ho motivo di ribattere, dico solo (ma lo dicevo già nel commento) che sono cose che ho cercato una ad una. Sono molto contento che mi confermi che le ho trovate ;)

Non vorrei fare spoiler sul titolo, perché in realtà si riferisce a più cose di quante non sembri ;) Lascio che altri (tipo: una Zebra a caso) svelino gli arcani. Anticipo che non ho consultato un manuale di fisica quantistica, ma ho attinto alla vulgata così come disponibile alla mia curiosità di "letterato nerd", che rifugge i dettagli tecnici e ricorda le immagini.
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Angela
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#5 » domenica 8 maggio 2016, 11:42

Sapevo che avrei avuto difficoltà a commentare il tuo testo, prima di tutto perché Calvino è il tuo autore (mentre io lo conosco appena), inoltre non ho letto la "trilogia degli antenati", quindi non posso azzardare commenti critici sensati.
Posso solo dire che la prima parte del testo è scritta veramente bene, ci sono alcune scene che trasmettono un'immagine netta, in particolare l'incipit e la fantastica espressione "gettò un guanto di sfida all'indirizzo di un aprile annebbiato e sonnolento" e anche la cena riccamente bandita con il marchese che sguaina l'arma per fare le porzioni. Sulla qualità della scrittura e dello stile, non ho nulla da eccepire.
Forse l'unica cosa che non ho gradito, è stata l'introduzione del narratore verso la metà del racconto o poco più avanti. Mi è sembrata un'entrata a tradimento, tanto è vero che pensavo fosse il tuo commento al testo (anche perché inizi dicendo: "Posso scrivere ancora qualcosa?".
Leggendo i commenti, ho capito che hai fatto uno specifico riferimento al testo dei Calvino, però, come anche tu hai fatto notare, un lavoro come questo in pochi caratteri ne risente. Forse avresti potuto ovviare introducendo il narratore nell'incipit, ma avrebbe perso quell'immediatezza che ho molto apprezzato.

Qualche altro appunto sporadico:

– Filippo s’è destato! – disse l’anziano maggiordomo da dietro i suoi occhi acquorei. – La maledizione di Petruna! – fece, mentre il cuore si fermava. – Che Dio ci aiuti!
Ci fosse stato qualcuno ad ascoltare! Tutti quanti invece correvano allarmati…
“Ci fosse stato qualcuno ad ascoltare!” mi sembra superfluo, anche perché ci mostri subito dopo la gente che corre allarmata ed è chiaro che nessuno sta lì ad ascoltare. Periodo eliminabile.

E in quel giorno d’aprile, di una di queste pieghe, del suo intero dominio
troppe ripetioni (d’aprile/di una/di queste)

impossibile tenere il passo, giacché il marchese sembrava non averne uno.
(Anche l’ultima precisazione è superflua. Quando dici che non riuscivano a tenere il passo, non serve aggiungere che il marchese sembrava non averne uno).

In conclusione penso sia il miglior testo che hai scritto fino ad ora; lo stile è ricercato e raffinato, perfettamente calato nell'epoca con descrizioni calzanti e personaggi ben tratteggiati. Mi spiace non poter fare raffronti specifici con Calvino, ma ritengo il tuo lavoro un omaggio al grande autore.
Bravo.
Uno scrittore è un mondo intrappolato in una persona (Victor Hugo)

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Jacopo Berti
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#6 » domenica 8 maggio 2016, 12:41

Grazie Angela, sono contento che ti sia piaciuto!
A volte i tuoi rilievi mi sembrano un po' oziosi; stavolta invece mi sembra tu abbia centrato alcuni piccoli problemi di cui mi ero già accorto.

Angela ha scritto:E in quel giorno d’aprile, di una di queste pieghe, del suo intero dominio
troppe ripetioni (d’aprile/di una/di queste)

E' vero, è uno dei punti in cui ho tagliato qualcosa e la scorrevolezza del testo è andata persa.

Angela ha scritto:– Filippo s’è destato! – disse l’anziano maggiordomo da dietro i suoi occhi acquorei. – La maledizione di Petruna! – fece, mentre il cuore si fermava. – Che Dio ci aiuti!
Ci fosse stato qualcuno ad ascoltare! Tutti quanti invece correvano allarmati…
“Ci fosse stato qualcuno ad ascoltare!” mi sembra superfluo, anche perché ci mostri subito dopo la gente che corre allarmata ed è chiaro che nessuno sta lì ad ascoltare. Periodo eliminabile.

Sì, anche questa l'ho modificata più volte, scegliendo infine per una certa enfasi, che ho ancora il dubbio che sia superflua, in effetti.

Angela ha scritto:impossibile tenere il passo, giacché il marchese sembrava non averne uno.
(Anche l’ultima precisazione è superflua. Quando dici che non riuscivano a tenere il passo, non serve aggiungere che il marchese sembrava non averne uno).

Ecco, qui a livello di testo e di concetto mi rendo conto che potrebbe addirittura sembrare sbagliato. Però fa parte delle minuzie che ho curato e che mi hanno consentito di titolare in un certo modo il racconto. Può non essere simpaticissimo, ma questo è uno dei rari casi in cui ho scelto di rivolgermi a quella parte di pubblico che riesce a cogliere citazioni scientifiche mascherate. Calvino lo fa soprattutto nelle Cosmicomiche.

Angela ha scritto:Forse l'unica cosa che non ho gradito, è stata l'introduzione del narratore verso la metà del racconto o poco più avanti. Mi è sembrata un'entrata a tradimento, tanto è vero che pensavo fosse il tuo commento al testo (anche perché inizi dicendo: "Posso scrivere ancora qualcosa?".

Qui, direi, in parte "mancanza tua" perché non hai letto "Il cavaliere inesistente" e "Il visconte dimezzato". Il riferimento è proprio al modo di intervenire dell'autore interno che improvvisamente si palesa. Ho visto che poi l'hai notato dal commento degli altri, per fortuna.
Sul fatto che la cosa potesse essere meno brusca magari hai ragione, ma lo spazio ho dovuto centellinarlo.

Grazie ancora!
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Andrea Dessardo
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#7 » domenica 8 maggio 2016, 13:53

Caro Jacopo,
poco da dire, il racconto è d'ottima fattura, pressoché senza sbavature, vicinissimo nel ritmo, nel lessico, nella struttura alla lingua di Calvino nella Trilogia. Ho molto apprezzato il voler inserire nella storia una lettura filosofica, applicata genialmente al vivere del marchese solo su “valori discreti”, una lettura positivistica e al tempo stesso umanistica che, per quel poco che ho capito, appartiene alla visione del mondo e della letteratura di Calvino. Fulminante la parafrasi a "Il cavaliere inesistente" quando il marchese invecchia! Un vero colpo di fioretto.
Mi permetto solo di dire però che la reinterpretazione dell'adagio “il mondo è fatto a scale” secondo la teoria quantistica, rischia di sviare un po' il lettore, abituato a leggere quella frase con un altro significato. Sempre volendo a tutti i costi trovare delle pecche (è una faticaccia...), a una lunga introduzione (molto incisiva, fin dall'attacco, e assai sostenuta nel ritmo), segue troppo velocemente lo svolgersi dei fatti, però in diecimila battute, è vero, è difficile far diversamente. Un'altra cosa: mi pare manchi, al di là del richiamo alla “maledizione di Petruna”, un evento scatenante la “reazione” del marchese: forse sarebbe stato utile spiegare come mai, all'improvviso, egli inizi a vivere senza sfumature. Ma queste mie sono solo minuzie che cerco per riempire seicento caratteri che non possono essere solo di lode. Ben fatta.

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Jacopo Berti
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#8 » lunedì 9 maggio 2016, 9:58

Grazie, Andrea, per il commento positivo e anche perché vedo che si comincia a cogliere il riferimento al titolo. Accetto volentieri, oltre ai complimenti, anche le tue fin troppo cortesi critiche ;)
La parte sull'evento scatenante la maledizione di Petruna manca, è vero, e avrebbe potuto essere spiegata verso la fine, quando Bertoldo dice di averne scoperto qualcosa. Ma non ho avuto che lo spazio per dire che non ne parla.
Tra l'altro, penso sia abbastanza visibile che ho tentato di inserire il limite di caratteri direttamente nel testo, come un problema giustificato dalle circostanze.
Grazie ancora!
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#9 » martedì 10 maggio 2016, 20:35

Ciao
Abbiamo (io e Alberto) visto che ci sono alcuni problemi con i commenti.
Abbiamo creato un post dove chiediamo scusa per la situazione e spieghiamo perché è successo... e come porvi rimedio.
Per quanto riguarda i commenti e la classifica, da ora in poi vi preghiamo, per chi ancora non lo ha fatto, di attenervi ad una valutazione di merito e non di stile perché questo sta creando problemi di convivenza.

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Andrea Partiti
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#10 » martedì 10 maggio 2016, 20:43

Wow, solo wow.
Trovo difficile trovare qualcosa da criticare, i personaggi, l'atmosfera e la storia che ci racconti sono da coccarda, senza neanche doverci pensare su, e penso che Calvino sarebbe orgoglioso di te.
Se devo trovare qualcosa da criticare, penso che da quando si manifesta il narratore (e va bene che lo faccia), il racconto diventi meno incisivo, come se perdessi il ritmo che avevi fino al paragrafo prima e andasse tutto un po' a calare. Forse è perché hai revisionato più ossessivamente la prima parte, forse è per scelta per "far succedere quel che deve succedere" anziché continuare a ricamare come al principio.
Avrei perfettamente capito se avessi deciso di lasciare incompiuta la storia pur di non guastarne l'andamento.

Non credo invece di aver afferrato il perché del "quantistico" del titolo, neanche con il commento aggiuntivo di Andrea qui sopra ad aiutarmi. Sospetto sia perché "quantistico" mi evoca un concetto molto più fisico e ben definito, che non riesco a far tornare con il riferimento alle scale come oggetto discreto (a gradini) anziché continuo (a rampa) e alla sua estensione come filosofia di vita del marchese.

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Jacopo Berti
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#11 » martedì 10 maggio 2016, 21:55

Grazie, Andrea :)
Vedere un "'sti cazzi" e ora un "wow" come commento fa bene al cuore :P
Quanto al calo della tensione, mi ero accorto che c'era, un po', quando interveniva il narratore, ma poi pensavo che tornasse su. Tu dici che c'è "da" quando si manifesta, giusto?
Quanto al titolo, ciò che ha detto l'altro Andrea è sicuramente utile, ma c'è anche dell'altro. Invito comunque tutti a masticare un po' il nome "Essembergo" e a valutare le particolari caratteristiche epistemologiche delle selve della sua marca ;)
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#12 » lunedì 16 maggio 2016, 20:18

Ciao Jacopo,
continuiamo la sfilza dei complimenti con un "Che meraviglia!".
Ho letto il tuo racconto 3-4 volte, e ogni volta mi ha lasciato qualcosa di diverso senza mai annoiarmi.

Sicuramente dati i tuoi studi e la tua passione per l'autore, per te sarà stato molto più facile che per altri adattarsi allo stile di Calvino; bisogna comunque dare a Cesare quel che è di Cesare e dire che hai fatto un ottimo lavoro di cui sarebbe contento anche Calvino stesso.
In particolare ci sono alcuni passaggi che mi hanno davvero entusiasmata, soprattutto là dove sei riuscito in ciò in cui io ho miseramente fallito (sigh), facendo tue strutture anche molto complesse; in particolare:
Timetrapoler ha scritto:Tutto ciò accadeva nel tempo in cui l'Italia era ancora solo lo stivale che si estendeva dalle Alpi verso sud oltre il Po e giù lungo gli Appennini, e colla punta della Trinacria palleggiava la Sardegna. Tra le pieghe delle mappe dei Savoia, degli Asburgo e del papa c'era spazio per baronie, contadi e altri domini che passavano inosservati ai più, e non sarebbero stati ricordati. Ma non sono forse le pieghe a tenere assieme le mappe? E in quel giorno d’aprile, di una di queste pieghe, del suo intero dominio, il marchese di Essembergo aveva fatto territorio di caccia.

Bellissimo. E a parte il mio apprezzamento personale, obbiettivamente difficilissimo. Sei riuscito in uno zoom storico-geografico rafforzato dall'idea delle pieghe, e oltre a una certa ironia ci trovo un po' di poesia e filosofia neanche troppo celate. Proprio quel tipo di excursus da narratore interno che filtra il mondo coi suoi occhi,e che io ho provato a ottenere con risultati pessimi.
Posso scrivere ancora qualcosa? Ma sì, qualcosa sì. Non vorrei dilungarmi troppo, però: temo che improvvisamente questo resoconto si muti in un grosso tomo, fitto di caratteri, zeppo di descrizioni araldiche, trattati di erboristeria, componimenti encomiastici, liste senza fine. Perché così, ahimè, accade nelle marche di Essembergo.
Dirò dunque brevemente della guerra.
Dovete sapere che, da quando ventenne si era distinto al congresso di Vienna, il marchese era noto per essere un fine diplomatico. Ne so qualcosa di diplomazia e immagino che il portamento elegante, il naso aquilino e i ricciolini alla Metternich abbiano molto giovato alla nomea.

Idem cum patate; il narratore ci tiene a comunicarci di essere una persona vera, interna alla vicenda che ci racconta ma ferrata anche in tantissimi altri campi, che ha il suo occhio personale sul mondo che vive. Questa esaltazione dell'occhio personale del narratore aiuta il lettore a orientarsi in un mondo che non conosce e che gli viene raccontato per pennellate che spaziano un po' ovunque; la sensazione è quella di essere presi per mano e guidati in un museo o in un posto molto affollato, e la trovo confortevole e ben gestita.
Infine, un richiamo ironico tipico di Clavino, presentato esattamente come lui (per quel che ne ho potuto leggere e capire) lo avrebbe presentato.
La prima annessione del marchese fui io che scrivo, segretario del conte di Malcascina. –

Il narratore interno alla storia che finalmente ci spiega come e perché sia interno alla vicenda, un altro tratto tipico del Calvino della trilogia degli antenati.
I giganti già sbaragliavano gli eserciti avversari spazzando con le loro alabarde, usavano i cannoni come archibugi, pestavano cavalli e cavalieri come fossero giocattoli per bambini, facevano questo e altro quando sul più bello arrivò una missiva dal re. Fu fatta l'Italia, e ogni contesa fu appianata con privilegi e compensi. Il marchese Filippo fu fatto senatore del regno, e subito decise d'invecchiare. In un sol giorno, s'ingobbì e s'incanutì, depose la sciabola in favore della penna, volle che il suo desco fosse ingombro di libri e la sua biblioteca preziosa e invidiata. Alle volte uno si crede appagato, ed è soltanto vecchio.

Anche qui, perfetta. Davvero poco da dire se non "grazie" per queste belle righe; sono una gioia per gli occhi e per il pensiero.

In conclusione, credo sinceramente che tu abbia fatto un ottimo lavoro. Anche la trama è indovinata e perfettamente in linea con lo stile e il contenuto della trilogia degli antenati, compreso il finale sull'inevitabilità del cambiare dei temi e sulla follìa dei tempi moderni.
Non ho capito alla perfezione il riferimento alla fisica quantistica e alle scale, che immagino siano collegati, ma in fin dei conti è ben poca cosa e immagino dipenda più da una mia ignoranza in materia che da un'effettiva difficoltà di comprensione del tema. Certo, magari se il riferimento non è ovvio il titolo è un po' infelice; lo scrivo in base a una riflessione personale che sto facendo al momento sui titoli: mi sto trovando in difficoltà a causa di un titolo poco indovinato durante questo Camaleonte, mentre un titolo particolarmente accattivante credo che mi abbia agevolato durante l'ultimo Minuti Contati. Tendo un po' a trascurare l'importanza del titolo, e mi sto rendendo conto che è un errore.

Comunque, davvero complimenti. :)
Qui giace il mio cervello, che poteva fare tanto e ha deciso di fare lo stronzo.

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Jacopo Berti
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#13 » lunedì 16 maggio 2016, 22:45

Grazie Ambra, graditissimi i complimenti sia in forma estesa che concisa ;)
In particolare, ti ringrazio per aver inquadrato così precisamente la funzione dell'intervento del narratore: "il narratore ci tiene a comunicarci di essere una persona vera". L'avevo pensato in termini simili, ovvero di esigenza comunicativa, ma questa tua definizione è ancora più calzante!
«Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare» (Novalis, Frammenti)

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alessandra.corra
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#14 » mercoledì 18 maggio 2016, 8:39

Ciao Jacopo,

anche io devo aggiungermi al coro di chi ti ha fatto i complimenti. Hai fatto un buon lavoro, uno tra i migliori di questa edizione. Si percepisce che conosci molto bene l'autore poiché ho trovato davvero tante analogie allo stile di Calvino, sia nella forma, nella struttura, che nei contenuti.
La struttura del testo risulta elegate, precisa, studiata e approfondita. Ma, nonostante la raffinatezza del tutto, rimane anche un testo leggero, fluido e scorrevole.
L'inizio del testo è davvero bellissimo, però per mio gusto personale, avrei preferito che venisse spiegato di più il motivo che ha trasformato la natura pacata del marchese in uomo sanguigno e combattivo. Anche perché è il nodo centrale della storia, in quanto è da questo episodio che poi inizia tutta la narrazione.
Per quanto riguarda il momento in cui si palesa a metà racconto il personaggio narrante è, anche questo, tipicamente calviniano. Nel tuo caso però, il ritmo cambia leggermente e il testo ne risente, in quanto la struttura risulta un pò meno coinvolgente rispetto alla prima parte.
Alla fine, comunque, sono piccolezze, perché in definitiva la tua è una prova più che buona!

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Mike009
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#15 » venerdì 20 maggio 2016, 1:20

Ho tenuto da leggere il tuo racconto per ultimo per non essere condizionato dato che non hai fatto mistero della tua competenza in materia e, lo ammetto, io amo la competenza, il giudizio motivato, il consiglio a scopo di miglioramento. Non c'è critica più ben accetta di quella fatta da una persona competente e qui ti ringrazio.
Se devo essere del tutto sincero, in questa prima edizione del camaleonte, sei finito un po' (ma è giusto, per carità) per incanalare i commenti e i racconti in una spirale quasi ossessiva di controllo di tematiche e stili a discapito magari del mero piacere della storia (e quindi della lettura) e dell'elasticità di un autore di interpretare Calvino. Questo mi sta bene solo perchè sai quello che dici e si evince dalle motivazioni con le quali commenti. Quello che intendo è che da tutto questo ne è stata minata la fantasia dei vari partecipanti. Se si doveva fare un mero esercizio di stile forse era il caso di prendere una favola a testa (dei Grimm o di Andersen) e riscriverla in stile Calvino o forse sì, lo ammetto, ho avuto grossi problemi io a nel cercare di copiare lo stile indicato dal contest.
Il marchese quantistico. E' la prova che leggere e documentarsi serve, e molto. Mi ritrovo con gran poco da dire: gareggiate con uno dei migliori piloti nonchè l'unico che conosce alla perfezione la pista e indovinate chi arriverà primo al traguardo?
Il tuo testo mi costringe ogni riga a pensare "porc.. sì Calvino l'avrebbe scritta così, perchè non ci ho pensato io?". La scrittura resta tuttavia così complessa che uno o la apprezza perchè la capisce o finge di apprezzarla sulla fiducia, in ogni caso chiunque ti metterà sul podio ^_^
Se devo trovare un difetto forse le vicende narrate non mi hanno esaltato troppo, l'ho riletto perchè mi ha colpito la forma, lo stile, per comprenderlo meglio e imparare qualcosa, il racconto di Maurizio Bertino l'ho riletto perchè sebbene imperfetto, era divertente e spassoso alla lettura.
≠ ≠ ≠ geniale.

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Peter7413
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#16 » venerdì 20 maggio 2016, 12:01

Niente da dire, le sensazioni che mi sono arrivate dal tuo testo sono calviniane al 100% e quindi sei facilissimo da commentare, per quanto riguarda lo stile: perfetto (limitatamente a quella che è la mia conoscenza di Calvino).
Qualche problema in più lo riscontro nell'equilibrio interno del racconto, che manca. A una prima parte lunga, precisa, ponderata, segue una seconda troppo veloce, meno limata, a volte all'apparenza abbozzata. In due parole: manca equilibrio. La deriva guerresca del marchese andava introdotta prima e con essa quella che poi è la trama del racconto. Questo ti avrebbe permesso di gestire meglio l'avanzare della storia riuscendo a dargli il giusto respiro.
Intendiamoci, il mio giudizio è estremamente positivo, ma è un peccato dover notare che, come anche in altri casi in questa edizione, l'attenzione per lo stile, che era fondamentale, abbia travalicato l'attenzione per l'equilibrio interno, e questo per me non è positivo.
Detto questo: un racconto senza ombra di dubbio da prime posizioni e può perdere la prima solo a causa del problema che ti ho sottolineato.

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Jacopo Berti
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#17 » venerdì 20 maggio 2016, 12:37

Alessandra, Michele, Maurizio, grazie per gli ulteriori complimenti e commenti.
@Alessandra e Maurizio: a chi fa notare che certe parti avrebbero dovuto essere più sviluppate, rispondo che ha ragione, che è vero, che avrei voluto farlo. I caratteri erano 10000 e non erano sufficienti per dire tutto quello che volevo. Penso davvero che avrei potuto scriverne altrettanti, soffermandomi in primis sulla maledizione (che avrei voluto far risolvere, anche se troppo tardi, da Bertoldo) e sulla guerra, riguardo alla quale avrei voluto inserire qualche descrizione del combattimento granguignolesca, come a volte fa Calvino, e altre cose. Ma non c'era spazio, né avevo intenzione di cambiare quanto già scritto. Avrete notato che ho cercato di giustificarmi, rendendo la limitazione di spazio un fatto anche metanarrativo ;)

@Michele, quanto alle vicende narrate, rispetto del tutto il tuo gusto. C'è che a me invece mi esaltano, che ti devo dire? :) Grazie anche per le tue considerazioni sul mio modo di commentare. Non l'ho fatto senza pensarci su eh. Ma ho visto la possibilità di fornire dei commenti che - per questo tipo di contest e per questo autore - potevano almeno in parte uscire dall'ambito del "secondo me" e fornire considerazioni puntuali: da un lato non ho resistito, dall'altro ho provato a rendermi utile. Poi, è vero, anche lo spirito del contest non era così definito. Io ho dato una mia interptetazione e l'ho seguita nei commenti e nella classifica.
Sono contento che tu abbia colto e apprezzato l'idea delle tre effe/segni di diseguaglianza!

@Maurizio, oltre alla questione di cui ho già detto sopra, mi hai fatto pensare all'equilibrio. Metto le mani avanti: non l'ho fatto apposta, ovviamente. Ma se guardi alcuni testi calviniani, vedrai che spesso il momento di più grande tensione è verso la fine e lo scioglimento è molto rapido.
Ok, la smetto :P
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Peter7413
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#18 » venerdì 20 maggio 2016, 17:49

Jacopo, mi conosci già da un po' e sai che cerco sempre di essere estremamente coerente nei miei commenti e penso che puoi anche immaginare la mia controrisposta... Se c'è un limite di caratteri il racconto deve ottimizzarsi intorno a esso e se non lo è, è un problema ;)
Questo tuo testo è fatto per stare entro i 20000 e il fatto che sia tale non è una scusante, ma un tuo errore nel rapportarti alle specifiche imposte. Se un committente ti pagasse per un lavoro dandoti dei parametri e tu non li rispettassi, i soldi non li prenderesti, giusto? Sta tutto qui, nel cercare di lavorare intorno a quello che abbiamo per diventare sempre più abili nel modellare la nostra arte e a non farci dominare da lei.
Detto questo, ribadisco che il racconto mi è piaciuto e finirà nelle prime posizioni, MA sono obbligato a rispondere a una difesa come la tua perché no, non l'accetto proprio alle basi. ;)

Zebratigrata
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#19 » venerdì 20 maggio 2016, 23:56

Ciao Jacopo,

anche il commento al tuo racconto sarà ben corto e anche totalmente inutile, perché cosa ti si può mai dire?
C’era da aspettarselo viste le premesse, ma secondo me hai fatto un lavoro grandioso. L’altro racconto riuscito ottimamente secondo me è quello di Andrea Dessardo, che però rispetto a te si è forse fatto prendere la mano e ha un po’ esagerato con diversi aspetti come le scelte lessicali desuete finendo per dare l’idea sì di Calvino, ma di un Calvino più concentrato del normale.
Chiaramente alcuni aspetti del romanzo non potevi inserirli in così pochi caratteri, ma ti dirò che non si nota.
L’unico neo, l’unica piccola forzatura, è quella di voler far apparire e scomparire il narratore anche in così poco tempo e spazio. La parte in cui si interroga sull’ipotesi di scrivere ancora qualcosa o meno è un po’ forzata, sembra appiccicata lì ma non è così integrata nel testo. E beh, ecco, questo è quello che a casa mia si chiama il pelo nell’uovo :-D.

Mi sento costretta a fare un commento anche a livello quantistico: vista la colossale vagonata di cacate che questa parola riesce a portarsi dietro quando compare in un’opera letteraria, ho sudato freddo. Ma sei stato impeccabile anche qua, hai saputo interpretare e incarnare il dettaglio alla perfezione, trovarci la poesia, il sorriso, la metafora tenendoti alla larga dalle castronate. “Signor conte, se c’è qualcosa che ho imparato in questi ultimi tempi è che la vita è fatta a scale. Non c’è posto tra un gradino e l’altro. E i gradini sono molto alti!” è una frase che finirà nel mio quadrenetto, sappilo! E “Il suo seguito di famigli e familiari ... nel bosco di betulle di Nevebigia” mi ha strappato ben più di un sorriso.

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Jacopo Berti
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Re: Il marchese quantistico - di Jacopo Berti

Messaggio#20 » sabato 21 maggio 2016, 8:58

Grazie anche a te, Sara, per il commento e per aver intuito le particolarità delle marche di Essembergo ;)
L'ingresso del narratore con "Posso scrivere ancora qualcosa?" è spiazzante in effetti. Sarebbe da nuovo capitolo, come ripresa, non da semplice paragrafo.

Ringrazio nuovamente tutti per i commenti positivi e per le posizioni in classifica. Quanto ai rilievi meno positivi, mi rincuora e mi è davvero utile vedere che sono omogenei: modalità d'ingresso del narratore, differenze di equilibrio e ritmo tra la prima e la seconda parte del testo, complessità e tendenza al garbuglio sopra le righe. Curioso anche come una stessa problematica evidenziata in un certo modo mi faccia pensare "ok, ma non è proprio così", mentre posta in un altro modo mi trovi sostanzialmente d'accordo. O forse è semplicemente necessario un certo numero di rilievi per convincermi :P

Veniamo al titolo, di cui alcuni mi hanno chiesto.
Non è un titolo apposto a fine lavoro, anzi, sono partito da questo. Ovvero, ho deciso di utilizzare la forma "titolo nobiliare+aggettivo", come altri quattro o cinque di voi. Ho scritto una lista di titoli esistenti (non utilizzati da Calvino: non ne avanzavano che 4-5 - bravo Andrea che si è spostato sui titoli militari) e di aggettivi inconsueti e fantasiosi. Ho fatto un po' di combinazioni pensando a "come potrebbero essere" e a "cosa potrebbero fare" personaggi come "il re a vapore", "il duca ineluttabile" e altri. Alla fine mi ha conquistato l'idea della scena nella foresta, che mi è parsa giustificazione necessaria e sufficiente per il mio "Marchese quantistico".

Mi hanno fatto notare che "quantico" e "quantistico" non sono la stessa cosa. Il primo termine si riferisce al fatto che - riporto da wikipedia - "Mentre nella meccanica classica e nell'elettromagnetismo tutte le grandezze possono assumere un insieme di valori continuo la meccanica quantistica prevede che, in alcuni casi, queste grandezze possano assumere solo un insieme discreto di valori multipli di un valore fondamentale non ulteriormente scomponibile detto quanto". Il secondo si riferisce alla "meccanica quantistica" ovvero a "la teoria fisica che descrive il comportamento della materia, della radiazione e le reciproche interazioni, con particolare riguardo ai fenomeni caratteristici della scala di lunghezza o di energia atomica e subatomica".
Avevo in mente entrambe le cose quando ho scritto il racconto, ma le consideravo entrambe sotto l'etichetta di "quantistico".

Ecco gli spunti che ho voluto inserire:
- il nome del Marchese: Essembergo. Biascicamento italiano di "Heisemberg", celebre per il "Principio di indeterminazione" (v. infra)
- la passione del Marchese - nella sua condizione nornale - per le cose molto piccole. Da qui anche il nome "Filentomo", letteralmente "amante degli insetti".
- le brusche variazioni di umore, di vita, di interessi ecc. del Marchese: la sua persona può assumere solo "valori discreti", e passa improvvisamente dall'uno all'altro.
- Il nome della maledizione che grava su Essembergo, ovvero, nelle mie idee, della "strega cattiva" che l'ha lanciata. Di difficile o impossibile decifrazione, me ne rendo conto. Petruna. Una pietra. Einstein, lo scienziato della relatività. Perché Einstein? Perché, mi si insegna, la meccanica quantistica e la relatività generale sono in conflitto. Nel senso che certe cose del mondo si possono spiegare benissimo con l'altra, ma vanno in disaccordo col modo di spiegare altre cose della seconda. Avrei tanto voluto scrivere lo scontro con la strega Petruna, maestra del tempo e dello spazio. Magari lo farò :P
- La caccia nelle marche di Essembergo. Ecco, questa è la parte che ho scritto per prima, la mia "ispirazione" di base. Il principio di indeterminazione di Heisemberg afferma - mi rifaccio alla vulgata: a quello che ne può sapere un curioso e non uno studioso - che nel mondo subatomico due caratteristiche fisiche come la velocità e la posizione non possono essere conosciute nello stesso tempo. Se sai esattamente dove si trova una particella non puoi sapere in quel momento quale sia la sua velocità; e viceversa. In questo caso, il Marchese si comporta come una particella, e, beh, rileggetevi la scena di caccia.
- "La vita è fatta a scale", nel senso di valori discreti di cui sopra.
- La questione dei giganti. Ecco, questa è un'idea che ho ripreso da un numero di Focus che mi aveva affascinato molto tipo quindici anni fa. Parlava di cosa sarebbe successo se, in un certo senso, fossero state vigenti nel mondo macroscopico e nelle nostre vite, le regole del mondo quantistico. C'era una signora magra che mangiava ciliegie una dietro l'altra, senza aumentare di un grammo. Ad una certa ciliegia, si gonfiava improvvisamente e diventava grassissima. Perché, appunto, una minima ulteriore aggiunta di energia può far passare una particella allo stato di energia successivo. O qualcosa del genere :P

Credo sia tutto!
«Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare» (Novalis, Frammenti)

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