Polvere alla polvere (SUPERBIA)
Inviato: martedì 8 marzo 2016, 0:28
Polvere alla polvere
(superbia)
Di Maurizio Bertino
Veloce, non abbastanza. Sabbia che scivola sotto le zampette e poi Sole che si oscura, ombra, buio e interminabile istante prima del nulla.
«Al diavolo…» Antonio sposta il piede, il granchio fugge tuffandosi nella bassa onda che si allunga sul bagnasciuga.
«Tutto bene, Antonio?»
«Volevo provare per vedere se anch’io…»
Sole spento e basso sull’orizzonte. Uno splendido, ultimo, tramonto. Antonio si siede sulla sabbia bagnata. Le scarpe gli danno fastidio e lui, una alla volta, se le sfila e le getta lontane, dritte nel mare. Alle sue spalle, urla e rumori di fuga. Disordine, caos.
«Dove ti trovi?», chiede.
«Piemonte, voglio godermela regione per regione, l’Italia. E infine verrò da te, è tempo di rivederci, una volta ancora, non trovi?», risponde la voce dentro di lui.
Lo aveva visto uccidere, quando ancora lo faceva nel modo classico: con il coltello o con lo strangolamento, con martellate o spezzando il collo. Aveva seguito la pista, uno schema incoerente in cui aveva individuato una pur flebile logica, lui, solo tra tutti. Lui, che aveva fatto di quel caso una ragione di vita. Lui, l’unico risparmiato per testimoniare al mondo la sua imminente fine.
Una fabbrica abbandonata, una vita spezzata e Kira, nome assegnatogli durante un fortunato talk show a lui dedicato da una giornalista appassionata di cartoni giapponesi, immobile di fronte al cadavere, tremante.
«Fermo!»
Kira si volse, lo guardò, sorrise.
«Kira…»
«Dimmi.»
«Perché?»
«Perché una volta che ne senti il sapore non puoi più fermarti e ne vuoi ancora e ancora e ancora…» Gli rispose chiudendo il pugno e alzandolo di fronte a se, un alone intorno a esso.
E poi scomparve nel nulla. Fu l’ultimo assassinio nel territorio italiano e fu l’ultima volta che le sue vittime furono, al di la di ogni ragionevole dubbio, solamente criminali.
Le urla continuano alle sue spalle, la gente è disperata, i notiziari hanno smesso di trasmettere. Le ultime informazioni erano arrivate dalla Cina, poi il silenzio, come da ogni altra parte del mondo.
«Sai che ora posso teletrasportarmi? Prima era la supervelocità, come quella volta che mi hai beccato in quella fabbrica, ricordi?»
«Mi stai dicendo che per acquisire il teletrasporto bastava sterminare tutti i cinesi? A saperlo prima…», risponde Antonio, sarcastico.
«Non dico quello, magari è solo una questione di numeri e il teletrasporto stava a tot miliardi di vittime, quello non so dirlo neppure io. Certo è che dopo gli americani ho imparato a comunicare telepaticamente con te, con i tibetani sono diventato più meditativo e dopo gli africani mi sono sentito più… selvaggio.»
«Ti appresti a sterminare la razza umana e mi scadi in queste considerazioni da terza elementare?»
«Sarà la sensazione di appagamento che ti prende quando stai per completare un’opera, che ti posso dire… Finita ora la Lombardia e il resto del Nord Italia, arrivo tra poco…»
Una notte se lo trovò in camera da letto, seduto sul davanzale, novello Peter Pan.
«Antonio, lascia stare la pistola, lo sai che è inutile.», gli aveva intimato.
«Cosa vuoi?»
Kira lo guardò, poi volse lo sguardo verso l’esterno.
«La vita è meravigliosa, così ricca, così piena…»
«E perché la sottrai alle tue vittime?»
«Non sottraggo nulla, continuano a vivere in me, si trasferiscono in me, dentro me c’è il tutto ed è così appagante…»
Un lampo in lontananza, rimasero in silenzio ad ascoltare la pioggia che cominciava a colpire la terra.
«Kira…»
«Dimmi.»
«Come hai iniziato?»
«Schiacciando un insetto, un brivido. Poi un cane, una scossa.»
«E poi l’uomo»
«Non appena chiudo gli occhi di qualcuno, li faccio miei, vedo e sento e penso come lui. Moltiplicalo per dieci, cento, mille, un milione e un miliardo. Dentro di me c’è il tutto.»
«Perché lo stai facendo?»
«Perché non posso fermarmi: il tutto richiede il tutto. La conoscenza che sto acquisendo, quella dell’intera umanità in un corpo solo, lo immagini?»
«No…»
«E infatti non si può neppure lontanamente immaginare, ma lo sentirai, lo proverai. Quando verrò per prenderti, entrerai nel tutto e io sarò il tuo Dio.»
«Eccomi.»
Antonio non si muove, lo sguardo fisso sul mare. Le urla alle sue spalle, cessate. Il caos, sparito. Silenzio, solo il rumore delle basse onde.
«Ti spiace se mi siedo vicino a te?»
«Chi sono per rifiutare la compagnia dell’unico altro uomo rimasto sulla Terra oltre a me? Perché siamo gli ultimi, vero?» risponde Antonio.
«Fammi controllare se mi è sfuggito qualcuno… No, nessuno. Sì, siamo rimasti noi due anche se, tecnicamente, di uomo ci sei solo tu, io sono un Dio.»
«Un Dio… Sembri crederci davvero.»
«Credere in Dio è un tuo dovere, a me basta sapere di esserlo e averlo dimostrato all’umanità intera che ora, dentro di me, mi venera e mi adora.»
«Sei pazzo.»
«E tu chi sei per giudicare un Dio?»
«Sei un Dio che uccide.»
«Morte è rinascita e ora tocca a te.»
«E poi cosa farai, qui, solo?»
«Ancora non hai capito, non sarò mai solo.», conclude Kira toccando Antonio.
Un urlo, sfrenato, di gioia, che si espande dalla spiaggia fino all’entroterra e al mare, fino all’intera Terra. Un urlo che, però, si trasforma, cambia di tonalità e diviene angoscia, dolore. C’è consapevolezza in quel lungo e profondo lamento, c’è sconfitta, rabbia, sdegno, incredulità e infine rassegnazione. Il corpo dell’ultimo uomo sulla Terra, colui che si credeva un Dio, ha ceduto. Aneurisma, infarto, non ha importanza, un corpo è un corpo e un uomo è un uomo e infine muore. E se, per assurdo, un uomo, anche solo uno rimasto in vita, magari sulla Luna o su qualche navicella spaziale, inesistente, in giro per chissà quale ricerca si voltasse verso la Terra in quel preciso momento, la vedrebbe tirare un sospiro di sollievo, di liberazione, quasi beato, proprio nell’istante in cui il granchio, tornato a riva, si avvicina al corpo dell’umano chiamato Kira e, con un pizzicotto, s’accerta che sì, gli umani, questa volta e per davvero, hanno proprio smesso di rompere le palle.
(superbia)
Di Maurizio Bertino
Veloce, non abbastanza. Sabbia che scivola sotto le zampette e poi Sole che si oscura, ombra, buio e interminabile istante prima del nulla.
«Al diavolo…» Antonio sposta il piede, il granchio fugge tuffandosi nella bassa onda che si allunga sul bagnasciuga.
«Tutto bene, Antonio?»
«Volevo provare per vedere se anch’io…»
Sole spento e basso sull’orizzonte. Uno splendido, ultimo, tramonto. Antonio si siede sulla sabbia bagnata. Le scarpe gli danno fastidio e lui, una alla volta, se le sfila e le getta lontane, dritte nel mare. Alle sue spalle, urla e rumori di fuga. Disordine, caos.
«Dove ti trovi?», chiede.
«Piemonte, voglio godermela regione per regione, l’Italia. E infine verrò da te, è tempo di rivederci, una volta ancora, non trovi?», risponde la voce dentro di lui.
Lo aveva visto uccidere, quando ancora lo faceva nel modo classico: con il coltello o con lo strangolamento, con martellate o spezzando il collo. Aveva seguito la pista, uno schema incoerente in cui aveva individuato una pur flebile logica, lui, solo tra tutti. Lui, che aveva fatto di quel caso una ragione di vita. Lui, l’unico risparmiato per testimoniare al mondo la sua imminente fine.
Una fabbrica abbandonata, una vita spezzata e Kira, nome assegnatogli durante un fortunato talk show a lui dedicato da una giornalista appassionata di cartoni giapponesi, immobile di fronte al cadavere, tremante.
«Fermo!»
Kira si volse, lo guardò, sorrise.
«Kira…»
«Dimmi.»
«Perché?»
«Perché una volta che ne senti il sapore non puoi più fermarti e ne vuoi ancora e ancora e ancora…» Gli rispose chiudendo il pugno e alzandolo di fronte a se, un alone intorno a esso.
E poi scomparve nel nulla. Fu l’ultimo assassinio nel territorio italiano e fu l’ultima volta che le sue vittime furono, al di la di ogni ragionevole dubbio, solamente criminali.
Le urla continuano alle sue spalle, la gente è disperata, i notiziari hanno smesso di trasmettere. Le ultime informazioni erano arrivate dalla Cina, poi il silenzio, come da ogni altra parte del mondo.
«Sai che ora posso teletrasportarmi? Prima era la supervelocità, come quella volta che mi hai beccato in quella fabbrica, ricordi?»
«Mi stai dicendo che per acquisire il teletrasporto bastava sterminare tutti i cinesi? A saperlo prima…», risponde Antonio, sarcastico.
«Non dico quello, magari è solo una questione di numeri e il teletrasporto stava a tot miliardi di vittime, quello non so dirlo neppure io. Certo è che dopo gli americani ho imparato a comunicare telepaticamente con te, con i tibetani sono diventato più meditativo e dopo gli africani mi sono sentito più… selvaggio.»
«Ti appresti a sterminare la razza umana e mi scadi in queste considerazioni da terza elementare?»
«Sarà la sensazione di appagamento che ti prende quando stai per completare un’opera, che ti posso dire… Finita ora la Lombardia e il resto del Nord Italia, arrivo tra poco…»
Una notte se lo trovò in camera da letto, seduto sul davanzale, novello Peter Pan.
«Antonio, lascia stare la pistola, lo sai che è inutile.», gli aveva intimato.
«Cosa vuoi?»
Kira lo guardò, poi volse lo sguardo verso l’esterno.
«La vita è meravigliosa, così ricca, così piena…»
«E perché la sottrai alle tue vittime?»
«Non sottraggo nulla, continuano a vivere in me, si trasferiscono in me, dentro me c’è il tutto ed è così appagante…»
Un lampo in lontananza, rimasero in silenzio ad ascoltare la pioggia che cominciava a colpire la terra.
«Kira…»
«Dimmi.»
«Come hai iniziato?»
«Schiacciando un insetto, un brivido. Poi un cane, una scossa.»
«E poi l’uomo»
«Non appena chiudo gli occhi di qualcuno, li faccio miei, vedo e sento e penso come lui. Moltiplicalo per dieci, cento, mille, un milione e un miliardo. Dentro di me c’è il tutto.»
«Perché lo stai facendo?»
«Perché non posso fermarmi: il tutto richiede il tutto. La conoscenza che sto acquisendo, quella dell’intera umanità in un corpo solo, lo immagini?»
«No…»
«E infatti non si può neppure lontanamente immaginare, ma lo sentirai, lo proverai. Quando verrò per prenderti, entrerai nel tutto e io sarò il tuo Dio.»
«Eccomi.»
Antonio non si muove, lo sguardo fisso sul mare. Le urla alle sue spalle, cessate. Il caos, sparito. Silenzio, solo il rumore delle basse onde.
«Ti spiace se mi siedo vicino a te?»
«Chi sono per rifiutare la compagnia dell’unico altro uomo rimasto sulla Terra oltre a me? Perché siamo gli ultimi, vero?» risponde Antonio.
«Fammi controllare se mi è sfuggito qualcuno… No, nessuno. Sì, siamo rimasti noi due anche se, tecnicamente, di uomo ci sei solo tu, io sono un Dio.»
«Un Dio… Sembri crederci davvero.»
«Credere in Dio è un tuo dovere, a me basta sapere di esserlo e averlo dimostrato all’umanità intera che ora, dentro di me, mi venera e mi adora.»
«Sei pazzo.»
«E tu chi sei per giudicare un Dio?»
«Sei un Dio che uccide.»
«Morte è rinascita e ora tocca a te.»
«E poi cosa farai, qui, solo?»
«Ancora non hai capito, non sarò mai solo.», conclude Kira toccando Antonio.
Un urlo, sfrenato, di gioia, che si espande dalla spiaggia fino all’entroterra e al mare, fino all’intera Terra. Un urlo che, però, si trasforma, cambia di tonalità e diviene angoscia, dolore. C’è consapevolezza in quel lungo e profondo lamento, c’è sconfitta, rabbia, sdegno, incredulità e infine rassegnazione. Il corpo dell’ultimo uomo sulla Terra, colui che si credeva un Dio, ha ceduto. Aneurisma, infarto, non ha importanza, un corpo è un corpo e un uomo è un uomo e infine muore. E se, per assurdo, un uomo, anche solo uno rimasto in vita, magari sulla Luna o su qualche navicella spaziale, inesistente, in giro per chissà quale ricerca si voltasse verso la Terra in quel preciso momento, la vedrebbe tirare un sospiro di sollievo, di liberazione, quasi beato, proprio nell’istante in cui il granchio, tornato a riva, si avvicina al corpo dell’umano chiamato Kira e, con un pizzicotto, s’accerta che sì, gli umani, questa volta e per davvero, hanno proprio smesso di rompere le palle.