Amore bestiale (ex novo) -4280-
Inviato: venerdì 1 aprile 2016, 17:40
Il vento fa vibrare le pareti della scatola di cartone in cui mi sono rannicchiato. Il fiato che esce dal mio naso si condensa con l’aria gelida della notte. Un raggio di luna piena rischiara il bosco in lontananza.
Silenzio. Mi giro di lato. Il brontolio dello stomaco non mi dà tregua: oggi ho rimediato solo degli avanzi dalla spazzatura.
Mi gratto la pancia dandoci dentro con la zampa, il prurito non passa.
Chiudo gli occhi e lascio che il sonno invada le membra stanche.
Un sole avvizzito mi accarezza coi suoi raggi senza calore.
Mi stiracchio e alzo le palpebre. Scrollo di dosso la polvere e allungo il collo per fiutare l’aria. La pancia gorgoglia: fame.
Un odore di biscotti e pane proviene dalla casa di fronte a me, mi avvicino al cancello.
Stanno mangiando.
Mi metto seduto e attendo con lo stomaco in subbuglio, prima o poi si accorgeranno di me.
Ho i crampi, ma resto immobile.
Un uomo esce di casa e si dirige spedito verso di me; mi alzo: forse mi darà qualcosa da mangiare.
Focalizzo sulle sue mani: sono vuote.
Mi raggiunge, urla parole che non capisco e mi assesta un calcio sulla coscia.
Fuggire o aggredirlo?
Non ho scelta: devo scappare; sono troppo debole e affamato per affrontare uno scontro.
Corro, il fiatone rimbomba nel petto.
Una strada taglia la campagna. Mi fermo.
Mi accascio al suolo: non ho la forza per alzarmi e le zampe non rispondono ai comandi.
Aspetto la fine.
Un’auto si ferma, poco più avanti. Una donna scende. Sbatte la portiera e mi viene incontro.
Tremo. Si avvicina.
Tende la mano verso di me. Il suo palmo odora di sudore e polvere: le sue intenzioni sono amichevoli.
La mano si apre in una carezza: lascio che faccia.
Infila la mano sotto la mia pancia e mi solleva. Mi poggia sul sedile posteriore dell’auto, su una coperta a scacchi che puzza di muschio.
Sto seduto. Accende il motore e partiamo.
Case, campi e cielo scorrono fuori dal finestrino.
Si ferma. Entriamo in un edificio verde.
Un uomo con la barba mi accarezza, mi tocca, mi esplora e, alla fine, riversa il contenuto di una fiala sulla mia schiena. Il prurito si calma.
Usciamo. La donna mi apre la portiera. Salgo dietro, mi acciambello sulla coperta e mi lascio condurre.
Parcheggia in un giardino fiorito. Apre la porta di casa e mi fa entrare.
Mi porge una ciotola di metallo, colma fino all’orlo di cibo, croccante e dal sapore di pesce. Ripulisco tutto: sono sazio.
Mi accarezza la testa e sussurra parole dal tono dolce. Indica un cuscino, mi siedo.
Mi fissa coi suoi occhi scuri. Distolgo lo sguardo, mi sento a disagio.
Si protende verso di me, una ciocca di capelli castani mi solletica il naso. Ho memorizzato il suo odore.
Torna la notte. Il caldo avvolge le membra e non ho pensieri per la testa.
L’odore di carne cotta mi sveglia, mi rizzo, dò un’annusata e scatto in piedi. Mi porge un piattino, mangio.
Lecco il piatto, ho finito.
Mi accarezza, bisbiglia delle parole e mi lega una corda al collo. La lascio fare.
Usciamo, attraversiamo il giardino e passeggiamo per le vie del paese. Tengo il passo: se questo è necessario per avere la pancia piena ogni giorno, le ubbidirò.
Odori nuovi mi stuzzicano l’olfatto: lungo il viale alberato sono disseminate tracce di possibili rivali che si mescolano alla puzza delle auto che passano, al sudore di persone, al profumo di pesce.
Lascio segni della mia presenza.
Mi sforzo di memorizzare ogni nuovo olezzo o essenza che si presenti davanti al mio naso.
Torniamo indietro. Vado a sedermi sul cuscino e aspetto.
Mi sorride, il suo dito scorre lungo la mia schiena. Mi stringe a sé, la bacio.
Giorno dopo giorno imparo a conoscerla e, alla fine, diviene il mio punto di riferimento.
Noi due soli: lei è la guida a cui mi sottometto volentieri.
Mi piace la dolcezza con cui mi accarezza o la premura con cui prepara la ciotola e non sono più imbarazzato quando mi fissa.
Ogni giorno ha il suo ritmo: passeggiata, cibo, riposo.
Sono sereno.
Le stagioni passano: le zampe sono diventate stanche e traballanti, il muso si è coperto di una spruzzata di peli bianchi; non ho più interesse a correre e saltare, mi trascino lento dietro di lei.
Se solo potessi parlare, le esprimerei gratitudine nella sua lingua, ma forse lei lo sa già: per l’amore sono sufficienti gli sguardi.
Sto morendo, ma non importa. Sono felice che lei abbia cambiato la mia vita.
Silenzio. Mi giro di lato. Il brontolio dello stomaco non mi dà tregua: oggi ho rimediato solo degli avanzi dalla spazzatura.
Mi gratto la pancia dandoci dentro con la zampa, il prurito non passa.
Chiudo gli occhi e lascio che il sonno invada le membra stanche.
Un sole avvizzito mi accarezza coi suoi raggi senza calore.
Mi stiracchio e alzo le palpebre. Scrollo di dosso la polvere e allungo il collo per fiutare l’aria. La pancia gorgoglia: fame.
Un odore di biscotti e pane proviene dalla casa di fronte a me, mi avvicino al cancello.
Stanno mangiando.
Mi metto seduto e attendo con lo stomaco in subbuglio, prima o poi si accorgeranno di me.
Ho i crampi, ma resto immobile.
Un uomo esce di casa e si dirige spedito verso di me; mi alzo: forse mi darà qualcosa da mangiare.
Focalizzo sulle sue mani: sono vuote.
Mi raggiunge, urla parole che non capisco e mi assesta un calcio sulla coscia.
Fuggire o aggredirlo?
Non ho scelta: devo scappare; sono troppo debole e affamato per affrontare uno scontro.
Corro, il fiatone rimbomba nel petto.
Una strada taglia la campagna. Mi fermo.
Mi accascio al suolo: non ho la forza per alzarmi e le zampe non rispondono ai comandi.
Aspetto la fine.
Un’auto si ferma, poco più avanti. Una donna scende. Sbatte la portiera e mi viene incontro.
Tremo. Si avvicina.
Tende la mano verso di me. Il suo palmo odora di sudore e polvere: le sue intenzioni sono amichevoli.
La mano si apre in una carezza: lascio che faccia.
Infila la mano sotto la mia pancia e mi solleva. Mi poggia sul sedile posteriore dell’auto, su una coperta a scacchi che puzza di muschio.
Sto seduto. Accende il motore e partiamo.
Case, campi e cielo scorrono fuori dal finestrino.
Si ferma. Entriamo in un edificio verde.
Un uomo con la barba mi accarezza, mi tocca, mi esplora e, alla fine, riversa il contenuto di una fiala sulla mia schiena. Il prurito si calma.
Usciamo. La donna mi apre la portiera. Salgo dietro, mi acciambello sulla coperta e mi lascio condurre.
Parcheggia in un giardino fiorito. Apre la porta di casa e mi fa entrare.
Mi porge una ciotola di metallo, colma fino all’orlo di cibo, croccante e dal sapore di pesce. Ripulisco tutto: sono sazio.
Mi accarezza la testa e sussurra parole dal tono dolce. Indica un cuscino, mi siedo.
Mi fissa coi suoi occhi scuri. Distolgo lo sguardo, mi sento a disagio.
Si protende verso di me, una ciocca di capelli castani mi solletica il naso. Ho memorizzato il suo odore.
Torna la notte. Il caldo avvolge le membra e non ho pensieri per la testa.
L’odore di carne cotta mi sveglia, mi rizzo, dò un’annusata e scatto in piedi. Mi porge un piattino, mangio.
Lecco il piatto, ho finito.
Mi accarezza, bisbiglia delle parole e mi lega una corda al collo. La lascio fare.
Usciamo, attraversiamo il giardino e passeggiamo per le vie del paese. Tengo il passo: se questo è necessario per avere la pancia piena ogni giorno, le ubbidirò.
Odori nuovi mi stuzzicano l’olfatto: lungo il viale alberato sono disseminate tracce di possibili rivali che si mescolano alla puzza delle auto che passano, al sudore di persone, al profumo di pesce.
Lascio segni della mia presenza.
Mi sforzo di memorizzare ogni nuovo olezzo o essenza che si presenti davanti al mio naso.
Torniamo indietro. Vado a sedermi sul cuscino e aspetto.
Mi sorride, il suo dito scorre lungo la mia schiena. Mi stringe a sé, la bacio.
Giorno dopo giorno imparo a conoscerla e, alla fine, diviene il mio punto di riferimento.
Noi due soli: lei è la guida a cui mi sottometto volentieri.
Mi piace la dolcezza con cui mi accarezza o la premura con cui prepara la ciotola e non sono più imbarazzato quando mi fissa.
Ogni giorno ha il suo ritmo: passeggiata, cibo, riposo.
Sono sereno.
Le stagioni passano: le zampe sono diventate stanche e traballanti, il muso si è coperto di una spruzzata di peli bianchi; non ho più interesse a correre e saltare, mi trascino lento dietro di lei.
Se solo potessi parlare, le esprimerei gratitudine nella sua lingua, ma forse lei lo sa già: per l’amore sono sufficienti gli sguardi.
Sto morendo, ma non importa. Sono felice che lei abbia cambiato la mia vita.