Chiarle edition l'alamaro color cenere -3790-
Inviato: venerdì 1 aprile 2016, 18:55
L’ALAMARO COLOR CENERE
Di Alexandra Fischer
- Ivo? – mi chiese Dora guardandomi negli occhi.
- Sì, purtroppo – replicai, agitandole sotto gli occhi il lembo di stoffa color cenere sul quale spiccava ancora il vistoso strappo.
- In altre parole, è riuscito a perdere il bottone…e non solo – replicò lei, pensierosa.
Le mie peggiori paure avevano preso corpo.
Gli avevo regalato io stessa il montgomery perché lo riparasse dal vento gelido che percuoteva l’angolo del quartiere vecchio, cambiando il primo bottone di legno dell’allacciatura con uno dei miei.
Cucendoglielo, avevo sperato di allontanare da lui il tocco delle ali della notte, un tipo di magia molto potente, in grado di portare molto lontano chi ne veniva colpito.
Mi ero decisa a farlo dopo aver saputo che lui voleva visitare il mercato che apriva quando cominciava la notte.
Era facile perdersi laggiù.
Il tempo andava più veloce, fra i chioschi nel buio.
Lo testimoniavano gli abiti strappati e qualche osso umano, uniche tracce mattutine degli incauti rimasti troppo a lungo nelle botteghe.
I venditori del mercato notturno vedevano l’alba in modo diverso da quelli che lavoravano alla luce del sole.
Il tramonto della luna significava per loro una stanchezza tale da uccidere per un po’ di sonno e conoscevano molti modi insoliti per liberarsi di clienti irrispettosi dell’orario di chiusura.
Nei miei giri notturni avevo imparato presto a riconoscere i segni della collera dei bottegai.
In quella del commerciante di sculture lignee, il gruppo di adolescenti in corsa mi aveva trasmesso una fitta di angoscia.
Mi ricordavano gli scalmanati che avevo incrociato poche ore prima.
E anche la fanciulla dal sorriso arrogante che avevo visto raffigurata sul piatto di ceramica del bottegaio del negozio vicino mi aveva fatta pensare all’eco di un dialogo molto aspro che avevo sentito qualche notte prima.
Quei ricordi angosciosi non mi avevano dato requie soprattutto quando avevo trovato all’alba la tasca del montgomery in mezzo a un mucchio di spazzatura, ero corsa da Dora con i capelli diritti, ma quello che posò sul tavolo, mi tolse addirittura il fiato.
Riconobbi all’istante il bottone che avevo cucito per Ivo, ma una parte di me si rifiutò di arrendersi all’evidenza.
- Lo ha perduto – affermai secca, dopo essermelo rigirato fra le dita.
Era ancora freddo dell’acqua della fontanella nella quale lo avevo immerso per dargli una via d’uscita.
Non ne avevo scelta una a caso, bensì proprio quella che segnava il confine fra il quartiere delle fabbriche e quello dei chioschi notturni.
L’acqua gelida permeata di magia, a me e Dora era pur servita, a suo tempo.
Apparteneva a un ruscello sotterraneo che bagnava anche la regione dalla quale provenivano i bottegai notturni e riusciva a limitare i danni del lato distruttivo della loro magia.
Dora e io conoscevamo la gestrice del chiosco della tessitura perché amavano rifornirci da lei di stoffe e bottoni.
La sua magia non svaniva all’alba, ma perdurava molto a lungo.
Gli abiti e i bottoni, se pure si logoravano di giorno, di notte si rigeneravano e tornavano come nuovi.
Mia cugina Dora e io amavamo molto l’abbigliamento che veniva dal suo chiosco e poco importava che occorresse pagare con monete che di giorno erano ormai fuori corso usando sempre il voi in segno di rispetto.
Il profumo delle stoffe e i motivi che ornavano i bottoni ci ricordava le vacanze che avevamo trascorso da una zia venditrice di generi alimentari che aveva tenuto a lungo la bottega più vicina alla fontanella.
Quella regione, fatta di notte vellutata color pervinca, ci era rimasta impressa, così come i grandi papaveri del buio dai grandi petali rosa fosforescente e i girasoli color acciaio.
Per non parlare delle case di legno immerse nella frescura, sempre piene di rumori di artigiani all’opera.
Quando eravamo tornate di là, cariche di vino nero della Lunga Notte e focacce di grano del Buon Sonno, senza contare i dolciumi chiamati Briciole di Luna, Ivo ci aveva viste, credendo che ci fossimo guadagnate quei doni con una prova di coraggio e aveva insistito per imitarci.
Lo aveva ingannato di certo la direzione dalla quale eravamo giunte e anche il fatto che fosse l’alba.
Ivo si era convinto che avessimo affrontato una prova di coraggio ai chioschi e aveva voluto imitarci.
Glielo avevo permesso a patto che tenesse il bottone.
E a fatica.
Non voleva affidarsi alle protezioni magiche, lui.
- Ecco – mi disse Dora, severa – il suo scetticismo nei riguardi della magia lo ha perduto prima ancora che cominciasse la sua prova di coraggio.
Dal bottone pendeva ancora il filo dell’attaccatura ed era molto logoro.
Ivo mi aveva mentito per tutto il tempo; non credeva alla magia, pensava di poter girellare a piacimento nelle botteghe notturne avendo a che fare con ciarlatani umani normalissimi.
Ivo aveva aperto di sicuro la porta del chiosco della tessitura con il bottone già sul punto di staccarsi.
La bottegaia, quasi certamente avvolta nel suo mantello blu dai bordi frastagliati, doveva essere andata incontro a Ivo dandogli l’impressione di stare vedendo un gigantesco pipistrello.
Sì, ma per poco.
La conoscevo bene, quella; sapeva come fare abbassare le difese agli scettici in materia di magia.
Erano le sue vittime preferite.
L’arazzo ripiegato fra le sue mani avrebbe incuriosito chiunque, persino un tipo come Ivo.
Si era vantata con me tante volte di aver colto impreparati i clienti che avevano sottovalutato la forza della magia notturna.
Io sapevo bene che la magia d’acqua non sarebbe bastata da sola per proteggere Ivo; oltre a crederci, Ivo avrebbe dovuto tenere d’occhio quel bottone soprattutto dopo essere entrato nel chiosco.
Invece, anche per lui c’era stata la solita trafila delle vittime della bottegaia.
Le piaceva stordirle con la velocità fulminea delle sue dita, mentre contava in fretta le monete, prendendo poi la merce e spiegandola sotto i loro occhi attoniti con un sorriso ambiguo.
Sulle stoffe di seta grigia non c’era raffigurato nulla.
Era stata da sempre la classica trovata della bottegaia arpia per mandare in confusione la preda.
Ivo, mi viene da pensare, doveva aver aperto la bocca per farlo notare alla bottegaia, senza riuscirci.
Il colpo allo stomaco e la sensazione di risucchio seguitane subito dopo glielo avevano certamente impedito.
La bottegaia, quasi di certo, aveva ripiegato con cura il tessuto, contenta di aver messo a posto quello spaccone.
Ho trovato ieri l’arazzo accanto alla fontanella.
Quando l’ho svolto, ho visto sulla seta la storia del suo acquisto e mi ha fatto ripensare all’energia magica che avevo profuso nel cucire il bottone.
Non era servita a molto, perché l’espressione di terrore puro negli occhi di Ivo metteva i brividi, insieme al gesto di portarsi la mano all’alamaro, trovandolo vuoto del bottone.
Il mio gesto ha permesso a Ivo di sopravvivere soltanto in forma di figura di un arazzo?
Mi rifiuto ancora adesso di crederlo.
Deve essersi salvato da qualche parte nel quartiere dei chioschi, ma dove? Dove?
Di Alexandra Fischer
- Ivo? – mi chiese Dora guardandomi negli occhi.
- Sì, purtroppo – replicai, agitandole sotto gli occhi il lembo di stoffa color cenere sul quale spiccava ancora il vistoso strappo.
- In altre parole, è riuscito a perdere il bottone…e non solo – replicò lei, pensierosa.
Le mie peggiori paure avevano preso corpo.
Gli avevo regalato io stessa il montgomery perché lo riparasse dal vento gelido che percuoteva l’angolo del quartiere vecchio, cambiando il primo bottone di legno dell’allacciatura con uno dei miei.
Cucendoglielo, avevo sperato di allontanare da lui il tocco delle ali della notte, un tipo di magia molto potente, in grado di portare molto lontano chi ne veniva colpito.
Mi ero decisa a farlo dopo aver saputo che lui voleva visitare il mercato che apriva quando cominciava la notte.
Era facile perdersi laggiù.
Il tempo andava più veloce, fra i chioschi nel buio.
Lo testimoniavano gli abiti strappati e qualche osso umano, uniche tracce mattutine degli incauti rimasti troppo a lungo nelle botteghe.
I venditori del mercato notturno vedevano l’alba in modo diverso da quelli che lavoravano alla luce del sole.
Il tramonto della luna significava per loro una stanchezza tale da uccidere per un po’ di sonno e conoscevano molti modi insoliti per liberarsi di clienti irrispettosi dell’orario di chiusura.
Nei miei giri notturni avevo imparato presto a riconoscere i segni della collera dei bottegai.
In quella del commerciante di sculture lignee, il gruppo di adolescenti in corsa mi aveva trasmesso una fitta di angoscia.
Mi ricordavano gli scalmanati che avevo incrociato poche ore prima.
E anche la fanciulla dal sorriso arrogante che avevo visto raffigurata sul piatto di ceramica del bottegaio del negozio vicino mi aveva fatta pensare all’eco di un dialogo molto aspro che avevo sentito qualche notte prima.
Quei ricordi angosciosi non mi avevano dato requie soprattutto quando avevo trovato all’alba la tasca del montgomery in mezzo a un mucchio di spazzatura, ero corsa da Dora con i capelli diritti, ma quello che posò sul tavolo, mi tolse addirittura il fiato.
Riconobbi all’istante il bottone che avevo cucito per Ivo, ma una parte di me si rifiutò di arrendersi all’evidenza.
- Lo ha perduto – affermai secca, dopo essermelo rigirato fra le dita.
Era ancora freddo dell’acqua della fontanella nella quale lo avevo immerso per dargli una via d’uscita.
Non ne avevo scelta una a caso, bensì proprio quella che segnava il confine fra il quartiere delle fabbriche e quello dei chioschi notturni.
L’acqua gelida permeata di magia, a me e Dora era pur servita, a suo tempo.
Apparteneva a un ruscello sotterraneo che bagnava anche la regione dalla quale provenivano i bottegai notturni e riusciva a limitare i danni del lato distruttivo della loro magia.
Dora e io conoscevamo la gestrice del chiosco della tessitura perché amavano rifornirci da lei di stoffe e bottoni.
La sua magia non svaniva all’alba, ma perdurava molto a lungo.
Gli abiti e i bottoni, se pure si logoravano di giorno, di notte si rigeneravano e tornavano come nuovi.
Mia cugina Dora e io amavamo molto l’abbigliamento che veniva dal suo chiosco e poco importava che occorresse pagare con monete che di giorno erano ormai fuori corso usando sempre il voi in segno di rispetto.
Il profumo delle stoffe e i motivi che ornavano i bottoni ci ricordava le vacanze che avevamo trascorso da una zia venditrice di generi alimentari che aveva tenuto a lungo la bottega più vicina alla fontanella.
Quella regione, fatta di notte vellutata color pervinca, ci era rimasta impressa, così come i grandi papaveri del buio dai grandi petali rosa fosforescente e i girasoli color acciaio.
Per non parlare delle case di legno immerse nella frescura, sempre piene di rumori di artigiani all’opera.
Quando eravamo tornate di là, cariche di vino nero della Lunga Notte e focacce di grano del Buon Sonno, senza contare i dolciumi chiamati Briciole di Luna, Ivo ci aveva viste, credendo che ci fossimo guadagnate quei doni con una prova di coraggio e aveva insistito per imitarci.
Lo aveva ingannato di certo la direzione dalla quale eravamo giunte e anche il fatto che fosse l’alba.
Ivo si era convinto che avessimo affrontato una prova di coraggio ai chioschi e aveva voluto imitarci.
Glielo avevo permesso a patto che tenesse il bottone.
E a fatica.
Non voleva affidarsi alle protezioni magiche, lui.
- Ecco – mi disse Dora, severa – il suo scetticismo nei riguardi della magia lo ha perduto prima ancora che cominciasse la sua prova di coraggio.
Dal bottone pendeva ancora il filo dell’attaccatura ed era molto logoro.
Ivo mi aveva mentito per tutto il tempo; non credeva alla magia, pensava di poter girellare a piacimento nelle botteghe notturne avendo a che fare con ciarlatani umani normalissimi.
Ivo aveva aperto di sicuro la porta del chiosco della tessitura con il bottone già sul punto di staccarsi.
La bottegaia, quasi certamente avvolta nel suo mantello blu dai bordi frastagliati, doveva essere andata incontro a Ivo dandogli l’impressione di stare vedendo un gigantesco pipistrello.
Sì, ma per poco.
La conoscevo bene, quella; sapeva come fare abbassare le difese agli scettici in materia di magia.
Erano le sue vittime preferite.
L’arazzo ripiegato fra le sue mani avrebbe incuriosito chiunque, persino un tipo come Ivo.
Si era vantata con me tante volte di aver colto impreparati i clienti che avevano sottovalutato la forza della magia notturna.
Io sapevo bene che la magia d’acqua non sarebbe bastata da sola per proteggere Ivo; oltre a crederci, Ivo avrebbe dovuto tenere d’occhio quel bottone soprattutto dopo essere entrato nel chiosco.
Invece, anche per lui c’era stata la solita trafila delle vittime della bottegaia.
Le piaceva stordirle con la velocità fulminea delle sue dita, mentre contava in fretta le monete, prendendo poi la merce e spiegandola sotto i loro occhi attoniti con un sorriso ambiguo.
Sulle stoffe di seta grigia non c’era raffigurato nulla.
Era stata da sempre la classica trovata della bottegaia arpia per mandare in confusione la preda.
Ivo, mi viene da pensare, doveva aver aperto la bocca per farlo notare alla bottegaia, senza riuscirci.
Il colpo allo stomaco e la sensazione di risucchio seguitane subito dopo glielo avevano certamente impedito.
La bottegaia, quasi di certo, aveva ripiegato con cura il tessuto, contenta di aver messo a posto quello spaccone.
Ho trovato ieri l’arazzo accanto alla fontanella.
Quando l’ho svolto, ho visto sulla seta la storia del suo acquisto e mi ha fatto ripensare all’energia magica che avevo profuso nel cucire il bottone.
Non era servita a molto, perché l’espressione di terrore puro negli occhi di Ivo metteva i brividi, insieme al gesto di portarsi la mano all’alamaro, trovandolo vuoto del bottone.
Il mio gesto ha permesso a Ivo di sopravvivere soltanto in forma di figura di un arazzo?
Mi rifiuto ancora adesso di crederlo.
Deve essersi salvato da qualche parte nel quartiere dei chioschi, ma dove? Dove?