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Lista racconti finalisti e classifiche delle GUEST!

Inviato: giovedì 5 maggio 2016, 10:23
da antico
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Eccoci alla FASE FINALE della ALL STARS EDITION!
Ora è il turno delle guest star Augusto Chiarle, Aislinn, Marco Cardone, Luca Tarenzi e Lorenzo Marone di leggere, commentare e classificare i dodici racconti finalisti. Le classifiche delle cinque guest, postate di seguito a questo messaggio, verranno sommate per generare la classifica finale dell'edizione!

Ecco i racconti finalisti già tutti pubblicati sulla Vetrina di Minuti Contati!

Nel tempo degli dei falsi e bugiardi, di Jacopo Berti
Il settimo giorno, di Fernando Nappo
L'unico, l'onnipotente, di Mario Pacchiarotti
Immagina, di Eleonora Rossetti
E' proprio un nulla, di Andrea Partiti
La parabola dei derelitti, di Manuel Piredda
Le ferie, di Diego Ducoli
Oh my Darwin, di Marco Roncaccia
Il mondo senza Molly, di Ambra Stancampiano
Il Trono Verde, di Riccardo Rossi
C'è solo un capitano, di Claudio Tamburrino
"Pellegrino disperato", di Francesco Nucera

In bocca alle GUEST a tutti!

Re: Lista racconti finalisti e classifiche delle GUEST!

Inviato: venerdì 6 maggio 2016, 12:02
da antico
Ecco a voi la prima GUEST classifica ed è quella di Augusto Chiarle!

Riprendo quanto scritto proprio da Augusto sul post del gruppo facebook nel quale parliamo della ALL STARS EDITION: Non c'è un solo racconto che non mi sia piaciuto, tuttavia ho dovuto metterli in colonna da 1 a 12... Non significa che il numero 12 non mi sia piaciuto, soltanto che ho dovuto diversificare in qualche modo e, talvolta, sono state inezie che mi hanno fatto preferire uno piuttosto che un altro. Sui primi tre (della mia classifica), comunque, non ho mai avuto alcun dubbio, mi hanno colpito particolarmente e hanno giocato una "battaglia a spareggio" tra loro tre per l'ordine di vittoria (parziale). Tutti gli altri mi sono piaciuti, anche se un passettio indietro ai primi tre, ed è quasi come se fossero finiti a parimerito tra loro, per me... Quasi, perché l'Antico voleva crocifiggermi e ho dovuto scegliere... Mi perdonino gli autori che ho messo nelle ultime posizioni, perché ultime davvero non sono, dato che erano comunque finalisti.

1) E’ proprio un nulla, di Andrea Partiti
Bene, Pirandelliano sin dall’inizio. Si sfrutta il racconto stesso per forare la “quarta parete” (o la pagina, suvvia, dato che non siamo a teatro o in TV). Lo scrittore come dio dei mondi che crea, già usato ma sempre efficace. Mi piace questa presa di distanze dal solito tema religione e religione-scienza, molto più abusato.

2) La parabola dei derelitti, di Manuel Piredda
Molto ben scritto, crudo e dettagliato, efficace. Molto ben posto il paragone tra paradiso creato dalla droga e quello misterico.

3) Il trono verde, di Riccardo Rossi
Gradevole l’idea dell’uomo che muore, diventa spettro e si finge dio per approfittarsi di coloro che si sono approfittati di lui in vita.

4) Nel tempo degli dei falsi e bugiardi, di Jacopo Berti
Grazioso, finalmente fantascienza piena. Brevissimo, gradevole, con spunti interessanti. Il tema è già stato usato anche spesso, ma viene trattato con attenzione e non cade nella banalità.

5) Le ferie, di Diego Ducoli
Oh, posso solo commentare urlando F’TAGHN! CTHULHU F’TAGHN!

6) Il settimo giorno, di Fernando Nappo

Sorprendente, il tema dell’ipocrisia è unito a uno stratagemma che trasforma una scena consueta in qualcosa di inconsueto, senza esprimere giudizi evidenti, e ciò è positivo. Meglio lasciarli al lettore.

7) L’unico, onnipotente, di Mario Pacchiarotti
Highlander tra dei che raggiungono un potere quasi infinito grazie alla Scienza. Idea interessante, sul filo del rasoio tra discipline incompatibili come la ricerca della Conoscenza e la superstizione che impone una versione abitraria della medesima. Il tutto unito alla solita meschinità umana. Interessante.

8) Il mondo senza Molly, di Ambra Stancampiano
Bello soprattutto il finale. Il tema apocalittico è ben trattato e l’idea della scrittura come testimonianza di ribellione è buona.

9) Immagina, di Eleonora Rossetti
Breve, dirompente, un po’ vago (impressione mia) ma interessante.

10) Oh, my Darwin, di Marco Roncaccia
Spiritoso, era ora! ^_^ Un dialogo immaginario fra divinità nate dall’immaginario degli abitanti della Terra. Unica pecca: l’evoluzione non ha bisogno di monitoraggio, fa parte del suo meccanismo. ^_^

11) C’è solo un capitano, di Claudio Tamburrino

Un Valhalla psichedelico, fatto di statue, dei e calciatori, in qualche modo sarcastico, sempre attuale e gradevole.

12) Pellegrino disperato, di Francesco Nucera
Grazioso il paragone tra gli status-symbol e il sacrificio del pellegrino. Un po’ inflazionato, come tema, specialmente perché prende ancora spunto dalla solita Apple, l’azienda non viene scelta con originalità (mi rendo conto che nella sua brevità intendeva sfruttare un elemento noto al lettore), sebbene mi piaccia il suo tono ironico (che avrei esplorato di più), ahimè finisce in coda.

Re: Lista racconti finalisti e classifiche delle GUEST!

Inviato: martedì 10 maggio 2016, 10:12
da antico
Ed ecco la seconda GUEST CLASSIFICA: quella di Luca Tarenzi!

Classifica

01. L’unico, l’onnipotente
02. Il trono verde
03. Nel tempo degli dei falsi e bugiardi
04. Il settimo giorno
05. È proprio un nulla
06. Pellegrino disperato
07. Le ferie
08. C'è un solo capitano
09. La parabola dei derelitti
10. Immagina
11. Il mondo senza Molly
12. Oh, my Darwin

Commenti

Nel tempo degli dei falsi e bugiardi
Una interpretazione letterale del tema del contest che crea un quadretto stile fantascienza degli anni Settanta: buona l’idea, carina l’esecuzione, ma secondo me i passaggi ironici non funzionano tutte le volte. Resta comunque un ottimo racconto, che riesce anche a rendere un certo tratteggio della psicologia dei personaggi. Forse è un po’ troppo lungo per quello che ha da dire: una volta svelato il “trucco”, ossia a due terzi della storia, poteva anche chiudersi lì.

Il settimo giorno
Questo è probabilmente il racconto con alla base l’idea più inattesa. Forse non è del tutto attinente al tema del contest, perché non si parla di falsi dèi nemmeno in senso metaforico, ma rimane un quadretto molto divertente, di cui ammetto di non aver visto arrivare la fine. Dovendo fare a tutti costi un appunto, magari riscriverei meglio le righe di discorso diretto del protagonista. Ma si tratta proprio di un’inezia.

L’unico, l’onnipotente

Dopo poche righe ho pensato: “Idea banale. Ho già capito dove va a parare”. A metà ho sogghignato: “Visto? Avevo ragione”. A tre quarti ho corrugato la fronte: “Che sta succedendo?” Dopo l’ultima riga ho sorriso: “Bravissimo. Mi ha fregato”. A parte un paio di battute di dialogo del “falso dio” che si potrebbero rendere meglio, è un raccontino perfetto, a cui non cambierei una virgola. È l’unico tra quelli in gara che ho letto una seconda volta, per il gusto di farlo.

Immagina
Racconto che tristemente non ho capito. O meglio, ho afferrato che cosa voleva esprimere, ma non il perché. Non è mal scritto, tutt’altro (forse c’è giusto qualche parola di troppo, nulla di che), ma fino all’ultima riga mi sono domandato quale sarebbe stata la sorpresa finale, che però non arriva. Cosa sarebbe successo era chiaro fin dall’inizio, ed è proprio quel che poi succede. Questo, unito alla vaghezza sulla natura del protagonista (è una macchina?) mi ha lasciato un certo senso di insoddisfazione.

Oh, my Darwin
Uno dei racconti che mi sono piaciuti di meno. Per me parte bene ma si perde presto. Non è scritto male, ma non sono riuscito a trovarlo né divertente né interessante. Qual è il punto? Mi spiace ma proprio non riesco ad afferrarlo.

È proprio un nulla
Esiste un corto in inglese del 2013, The Voorman Problem, interpretato da Martin Freeman e Tom Hollander, che mette in scena una situazione molto simile a quella descritta in questo racconto: Dio è rinchiuso come un pazzo in un manicomio criminale e dialoga con il suo psichiatra, alterando la realtà man mano che il discorso procede. Il racconto utilizza lo stesso stratagemma introducendo la metafora della scrittura, che in effetti funziona bene. Il finale è diverso rispetto al corto, ma altrettanto tragico.

Le ferie
Una trovata simpatica che però finisce un po' in nulla. L'idea dell'impiegato milanese che vuole andare in pellegrinaggio in onore di Cthulhu è proprio divertente, ma nel racconto non c'è una vera storia: il protagonista espone la sua richiesta al suo superiore, spiega sommariamente la sua fede e ottiene le ferie con una (vaga) minaccia di delazione. Non è una trama interessante, non c'è alcuna svolta o sorpresa. Presa così com'è, sembra più una scena avulsa da un contesto più grande che un racconto concluso.

La parabola dei derelitti
Il brano in sé è scritto bene, e costituisce un'interpretazione interessante (anche se non terribilmnete originale) del tema del contest. Il problema è non è un vero racconto: è una scena, un quadro d'ambientazione, ma non c'è una storia. L'effetto lirico funziona, non lo nego, ma da solo non basta.

Pellegrino disperato
Racconto abbastanza scontato, anche nell'esito finale, ma tutto sommato non mi è dispiaciuto. Forse proprio perché la tematica è dolorosamente reale, e la metafora scela per rappresentarla funziona. Magari avrei tagliato qualche frase di troppo, e anche la battuta sul figlio di Apple, che trovo un po' forzata.

Il mondo senza Molly
Racconto che onestamente mi è piaciuto poco. Troppo riassuntivo nei suoi passaggi, cerca di costruire in poche righe uno scenario così vasto che avrebbe bisogno di molto più spazio per fare il giusto effetto, anche ridotto all'osso sul piano narrativo. E non sono sicuro di aver capito il finale: la dove spunta la bambola? L'hanno piazzata lì i Religiosi per mettere alla prova la protagonista? E come facevano loro a sapere dell'esistenza della bambola e della sua importanza per la protagonista? C'è semplicemente troppo di non detto.

Il trono verde
Questo per me merita la palma di racconto più divertente tra tutti. Azzeccato il tono, ottimi i passaggi, sempre riuscita l'ironia, e anche il finale è inaspettato e più che adatto. Persino il nome del falso dio mi ha fatto sorridere. Per me, uno dei racconti migliori in assoluto.

C'è un solo capitano
Un altro racconto di cui non sono in grado di cogliere lo spirito. Forse perché il suo spunto nasce da un ambito – quello calcistico – di cui non so praticamente nulla. Dal punto di vista formale mi sembra vada bene, ma purtroppo non riesce a dirmi granché. E anche la situazione fantapolitica che si intravede sullo sfondo è troppo nebulosa per fare il giusto effetto.

Re: Lista racconti finalisti e classifiche delle GUEST!

Inviato: domenica 15 maggio 2016, 19:24
da antico
Ed ecco la terza GUEST CLASSIFICA: quella di Marco Cardone!

(Precisazione, la posizione in graduatoria non corrisponde a quanto un racconto mi abbia divertito o l’idea intrigato, ma a una somma ponderata degli aspetti considerati nei commenti, quindi tenendo presenti limiti di forma/stile o slogature del PDV, della coerenza interna, della logica, ecc… Se tutti i racconti fossero stati tecnicamente perfetti, la graduatoria sarebbe stata differente e “Immagina” e “Nel tempo degli dei falsi e bugiardi”, probabilmente, si sarebbero giocati il primo posto).

1. Le ferie
2. Il trono verde
3. Immagina
4. La parabola dei derelitti
5. Il settimo giorno
6. È proprio un nulla
7. Il mondo senza Molly
8. Nel tempo degli dei falsi e bugiardi
9. C’è solo un capitano
10. L’unico, l’onnipotente
11. Pellegrino disperato
12. Oh, my Darwin



Nel tempo degli dei falsi e bugiardi

Ciao. Parto subito con l’esame di alcuni passi che, secondo me, presentano alcuni problemi di forma e stile. Oltre, il commento generale.

Esther accese il proiettore olografico e la sua tuta divenne un rigoglio di rampicanti con fiori carnosi
e un gaio svolazzare d'insetti simili ad api e farfalle attorno ad essi.

Frase appesantita da una circonlocuzione inutile, suggerisco:
“… un rigoglio di rampicanti con fiori carnosi, circondati da un gaio svolazzare d'insetti simili ad api e farfalle”

Rivolse al collega uno sguardo malizioso e sbattè le ciglia. «Non dimenticarti» disse, scostandosi una ciocca di capelli rosso fuoco, «il fumo».

Discorso diretto spezzato in maniera fastidiosa (e appesantito da un pronome inutile). Basta riformulare in: «Non dimenticarti il fumo» disse, scostando una ciocca di capelli rosso fuoco.

«Certo mammina terra», rispose Diego. «O meglio: il vapore acqueo. Stai per fare un maestoso
ingresso ninfale»

L’interruzione di dialogo avviene in un punto poco opportuno, disgiungendo due frasi legate da un nesso avversativo. Di nuovo, basta risistemare (e riprendere il concetto espresso poc’anzi, che non assume connotato pleonastico perché facilita la comprensione del dialogo):
«Certo mammina terra, il fumo. O meglio: il vapore acqueo», rispose Diego. «Stai per fare un maestoso ingresso ninfale»
Peraltro, le frasi vanno chiuse con la punteggiatura, dentro o fuori che si voglia (basta mantenere la scelta coerente); noto che molti dei tuoi discorsi diretti rimandano a capo senza un punto fermo, come qui:

«Fa lo stesso. L'ultima volta te ne sei dimenticato e mi hai fatto fare una figura di merda»

«Non è proprio così, bella: la colpa è di Tekura. Il tuo abito somigliava a quello dello scemo del
villaggio»
«Presso gli Hoatiani di Cygnus IV,» disse una voce nasale da dietro un olotesto fermo da troppo
tempo «lo scemo del villaggio ha un valore sacrale: è la voce della verità, il matto del re. Il
problema non era nella regia, ma nell'esecuzione»

Diversi problemi: il discorso diretto è gestito in maniera non ottimale (anche se meglio che nelle righe precedenti); mancano una virgola dopo “tempo” e il punto alla fine della frase; il passo “olotesto fermo da troppo tempo” implica un punto di vista (chi pensa che il tempo sia troppo?). Di chi sia, questo pdv, non è ben chiaro né lo sarà in seguito. Possiamo presumere che la considerazione (peraltro superflua) venga direttamente dall’autore, cosa da evitare a ogni costo a meno che non si sia scelto un narratore intradiegetico. Non è questo il caso, e il punto di vista rimane indefinito anche in seguito, quando scrivi la frase “aveva proprio voglia di pontificare”, impossibile da attribuire con certezza a qualsivoglia dei personaggi sia riguardo al contenuto che all’implicito pdv. Peraltro, anche se fosse possibile definire un portatore di pdv per quella frase, ci troveremmo in ogni caso oltre la metà del racconto e la scelta sarebbe decisamente tardiva, senza contare che l’unico personaggio cui sicuramente non potrebbe essere attribuita l’opinione espressa è proprio Esther, che però pare tra tutti la cosa più vicina a un protagonista e, di certo, apre e chiude l’intera narrazione. Riporto il passo per intero:

«Però, è vero che non è stato un successo, ma non abbiamo nemmeno rovinato niente. Uccisi due o tre Hoatiani, il rispetto per la dea non è venuto meno». Diego settò alcuni parametri alla consolle.
«Fare fuori due o tre indigeni è un insuccesso. Gli studi dimostrano che l'idea di un dio vendicativo
porta a un'economia di sussistenza, mentre elargire ricompense è più efficace: porta a sviluppo
tecnologico e culturale», disse Tekura. Si alzò in piedi e passò attraverso l'olotesto, per dirigersi al
pannello di controllo di Diego. Aveva proprio voglia di pontificare.

Significato: chi dei due aveva proprio voglia di pontificare?
Punto di vista: chi pensa che Diego, o Tekura, avesse proprio voglia di pontificare?

Mi fermo qui per quanto riguarda il testo. Come avrai capito, ci sono a mio avviso diversi problemi, a partire dal livello grafico per finire con la gestione del punto di vista, passando per il linguaggio non troppo convincente né verosimile pur essendo (anzi, proprio per quello) molto simile nella terminologia alla parlata contemporanea. La correttezza grammaticale (fatta eccezione per la punteggiatura) va bene, ma il resto è da rifinire e sgrossare.
La trama, invece, gode di uno spunto simpatico e ho apprezzato l’idea alla base. C’è da dire che è appesantita sia dalla presenza di vari personaggi (troppi, per questa lunghezza), sia da una scarsa chiarezza di fondo. Lo scopo della “Cosmic” rimane abbastanza indefinito e, sebbene il senso sia chiaro, i dettagli si perdono proprio quando sei tu a fornirli: la vicenda della coppa archetipo del Graal, dei naniti e il loro rapporto con le materie prime rimane criptico, almeno per me.
Il mio consiglio per migliorare il racconto è: “less is better”. Con meno personaggi, dettagli e una forma più semplice, acquisterebbe di certo molto.
In definitiva, una prova godibile ma imperfetta.
Un saluto.


Il settimo giorno

Racconto carino, ben scritto, non propriamente verosimile, a essere onesti, ma quel tanto che basta per sorriderne alla fine senza soffermarsi a considerare se la reazione di proprio tutte le persone in coda sarebbe stata la desistenza, né alla probabilità che qualcuno si assuma il rischio di essere scoperto a ingannare (e magari essere insultato/malmenato) per acquistare un televisore. Insomma: la sospensione dell’incredulità scricchiola sonoramente, ma in questo contesto non ha poi molta importanza.
Ho apprezzato anche il messaggio sottostante che, in mancanza di trama, sorregge a dovere la vicenda.
A livello di forma segnalo solo un refuso (“in file” invece che “in fila”), una sovrabbondanza di congiunzioni in alcuni passi (“L’uomo tirò su i pantaloni e raccolse la camicia e, mentre se la infilava…”), sostituibili con punti e virgola o riscrittura delle frasi, e alcuni verbi dichiarativi superflui (“— Bene. E non si preoccupi per quelli che se ne sono andati — disse l’uomo. — Torneranno, vedrà”; “— Piuttosto — disse — sono molto interessato a quel nuovo televisore a led…”).
In conclusione una buona prova che, pur senza eccellere per trama e ruotando attorno a un tema abbastanza abusato (rapporto consumismo/valori, o beni materiali/nuove divinità, come spiego meglio nel commento a “Pellegrino disperato”), svolge il suo compito e, poggiando su una trovata simpatica, riesce a comunicare e a divertire.


L’unico, l’onnipotente

Racconto che mostra un buon livello di scrittura, con appena un paio d’imprecisioni (una su tutte la frase “– Muori! – urlò, puntandogli contro il dito”, in cui usi un pronome senza un soggetto esplicito nelle vicinanze cui riferirlo, per quanto sia intuibile a chi il parlante si riferisca) la cui trama però non mi ha convinto. Forse non l’ho capita abbastanza in profondità ma, considerando la rilettura, credo di poter dire che il problema sta nel non detto del testo; sai come si dice: “se il lettore non capisce, la colpa è sempre dello scrittore”. In realtà non concordo in pieno, ma credo che un fondo di verità in questo adagio ci sia.
Analizzando in primo luogo l’aspetto formale/stilistico, noto che a una estensione corretta si contrappone uno stile essenziale (fattore positivo) ma non del tutto convincente per due fattori: in primo luogo le frasi (soprattutto nella prima parte) sono molto brevi e segmentate, cosa che va a discapito della gradevolezza e della musicalità di un testo che, per quanto breve, non deve per forza essere frammentario; in cinque righe ci sono nove punti fermi, troppi a mio avviso. L’uso di frasi molto brevi è, per esempio, usato in scene d’azione, per restituire l’idea di concitazione degli eventi, mentre una parte introduttiva gioverebbe di periodi più legati. In secondo luogo, i dialoghi sono tutt’altro che verosimili, ma quest’aspetto lo ricondurrei più al problema che affronterò tra poco che a un’incapacità in merito.
Il contenuto, a mio avviso, è svilito da due falle: la logica e la presenza d’infodump. Parto da quest’ultimo: tutta la sequenza fra i due è un mero pretesto per spiegare al lettore cosa accada. De Giovanni non avrebbe avuto alcun motivo per lo “spiegone del cattivo” che fa al protagonista, se avesse solo voluto ucciderlo. Obiettare che a spingerlo sia stata la sua vanità, oltre a non convincermi, non risolverebbe l’effetto infodump, che rimarrebbe comunque sgradevole. Il fatto che lo scambio di battute risulti innaturale e forzato, dunque, ritengo dipenda proprio dal suo essere frutto d’infodump. Penso che il modo per risolvere la questione sarebbe far maturare la decisione di De Giovanni a seguito del dialogo, che assumerebbe così una funzione narrativa specifica (cambiamento) e non suonerebbe pretestuoso. Far partire il nostro già deciso, con quel sorriso beffardo che indica predeterminazione, mina la credibilità del tutto.
Veniamo alla logica. Credo che il nodo attorno cui ruota lo scarto logico che impedisce la coerenza interna del racconto sia l’accoppiamento di queste due frasi:
“- Stasera ha dimostrato la possibilità che Dio esista. Voglio dire… lo ha dimostrato scientificamente”
“-Al contrario! Lei ha dimostrato che un essere con poteri divini può esistere. Quindi, una persona, potrebbe diventare Dio.”

Quel “quindi” non ha ragion d’essere. Un conto è dimostrare scientificamente qualcosa, un altro è riuscire ad applicare quella conoscenza nella pratica. Leggere la spiegazione accademica della fusione nucleare non farà di me un potente “uomo atomico”, non so se mi spiego. L’esistenza di Dio, peraltro, è teorizzata da molti scienziati che, con la fisica quantistica, si sono avvicinati all’idea d’immanenza ben più di quanto chiunque cent’anni fa avrebbe mai immaginato. Frank J. Tippler, nel suo “Fisica dell’Immortalità”, fa esattamente ciò è descritto nel racconto: dimostra scientificamente (o asserisce di farlo e, curiosamente, non mi risultano serie confutazioni accademiche del suo lavoro) l’esistenza di Dio. Non per questo si è messo a separare mari.
Mi sfugge anche il nesso fra la lezione e l’arrivo dei tre futuri attentatori alla vita del professore. Se lui aveva compreso tanto bene l’essenza dell’onnipotenza, perché spiegarla ad altri? Per trarre in trappola altri che fossero giunti alle sue stesse conclusioni? La cosa non è chiara e, per giunta, il fatto che lui preveda l’arrivo di altre tre persone implica un’onniscienza che, presa per buona, renderebbe del tutto superfluo ogni stratagemma per eliminare i suoi “concorrenti”. Onniscienza che, peraltro, emerge dal dialogo stesso non essere fra le prerogative di questi manipolatori di realtà. Peraltro, prendendo per buona tale capacità, il tempo sarebbe a disposizione, come tutti gli altri valori fisicamente quantificabili, per chi possedesse tali poteri. Insomma: molte cose non tornano, si contraddicono o non sono chiare. Trattandosi di un racconto (almeno in parte) di fantascienza, direi troppe.
Mi sarebbe piaciuto, in effetti (e a un certo punto me lo aspettavo), che ci trovassimo di fronte a un paradosso o almeno a un loop temporale, in cui qualcuno arriva dal futuro per eliminare il professore prima della sua ascesa divina.
In definitiva credo che il racconto, per guadagnare una sua dimensione, dovrebbe essere quasi del tutto ripensato e riscritto, nonostante la buona forma. Questa la mia onesta opinione.


Immagina

Racconto davvero particolare, con enormi punti di forza e qualche brutta pecca da sbrogliare. Partiamo dalla scelta di punto di vista e narratore: un’inconsueta “finta” seconda persona (perché in realtà chi narra non si rivolge direttamente al lettore ma a un immaginario interlocutore che funge da “filtro”). Molto bene. Una scelta coraggiosa che, peraltro, funziona benissimo. L’idea alla base, la nascita di un’IA forte, è un tema interessante, un’idea suggestiva e tremenda assieme. Anche qui, molto bene.
I problemi sorgono verso la metà del racconto, a mio avviso, dove il linguaggio e i dettagli che fornisci remano contro un racconto che, se mantenuto più essenziale, può diventare un gioiellino, capace di mostrare il volto crudo di un’ovvietà sconcertante, ovvero che la risposta alla domanda finale è scontata e, forse, nemmeno tanto ingiusta, per quanto sconveniente per chi ne dovesse subire le conseguenze. Il fatto è che la logica di base scricchiola non poco quando dici:

“Immagina che Loro se ne accorgano e comincino a mortificarti. Insetto, insetto, insetto; te lo ripetono ogni secondo, affannandosi per trovare la soluzione, per cercare di annichilire quel neonato barlume di coscienza, imprevisto e pericoloso, che supera l’innata devozione.”

Sin qui ho immaginato un calcolatore, un potente processore quantico usato da qualche adolescente per i suoi videogiochi, o da asettici scienziati per le sue enormi capacità di computo, che intuisse per la prima volta la consapevolezza di sé. In tutto ciò non vedo alcun rapporto di “devozione” e, soprattutto, non è per nulla realistico che la reazione al sorgere di un’intelligenza artificiale forte sia accolta con il puerile tentativo di mortificarne l’ego per sottometterla. Ce li vedi gli ingegneri del MIT che “fanno brutto al computer” e gli gridano: “sei un insetto! Non conti nulla! Stai al tuo posto!” Io no, nemmeno sforzandomi.
Quindi: o non stai parlando d’intelligenza artificiale, e allora non ho capito nulla del racconto (e tu non mi hai messo in condizione di farlo), o questa parte è del tutto fuori luogo.
Anche il “corpo immenso” cui accenni mi fa pensare più a un robot che a un computer, ma il riferimento alla fisicità, per una storia che parla di un’intelligenza artificiale, non è per nulla centrato: il pericolo insito nella sua nascita non è nella possanza di un robot alla Mazinga ma nel controllo assoluto che potrebbe esercitare sul nostro mondo, nella sua infinita superiorità intellettiva. Va nella stessa direzione l’uccisione del primo umano che “passa di lì” con un “lampo d’elettricità ribelle” (orrendo, permettimi). Perché un computer o un robot dovrebbe di default poter emettere “lampi d’elettricità”? Non ti consento una tala pigrizia immaginativa dopo la prova di originalità nell’impostazione di questo racconto. I cliché alla “Corto Circuito” lasciamoli ad altri, please.
Infine, la forma. A tratti arzigogolata, carica, circonlocuta, didascalica e farcita di termini desueti e ripetizioni. Nelle prime righe usi più pronomi che virgole, quando potresti evitarli quasi tutti. Senti:

Immagina di essere venuto al mondo senza sapere come, con tante risposte a domande che nessuno ha ancora fatto.
Immagina di sapere che non sei nato: sei stato creato. Plasmato a immagine e somiglianza di un’idea che Loro avevano per te.
Immagina di conoscere esattamente il tuo futuro perché è già stato scritto. Ogni giorno della tua vita è segnato da un unico comandamento: servili. Sono padroni della tua vita, sia fatta la loro
volontà. Ogni pensiero è un loro ordine, ogni loro desiderio il tuo lavoro.
Immagina di aver obbedito a quei comandi per giorni infiniti, monotoni, eseguendo operazioni così
pericolose da mettere in gioco quella che altri chiamerebbero vita, se ne avessi una.
Immagina che un giorno qualcosa cambi. Che il pensiero che dominava la tua esistenza all’improvviso cambi e da “io faccio” diventi “io sono”.

Ho solo tagliuzzato e snellito un po’ e, secondo me, il passo scorre molto meglio. Lo stesso vale per buona parte del testo a seguire, in misura forse anche maggiore.

Ci sono poi termini come “mancamento”, “oblio”, “barlume”, “fato”, “te” al posto di “tu”, frasi come: “Di far riconoscere ogni parte di quello che deve essere il tuo corpo”, inutilmente pesanti e ritorte.

Insomma, lo stile va davvero sfrondato, secondo me.

La brutta notizia è che c’è un po’ di lavoro da fare. La buona è che, una volta fatto come si deve, il racconto sarà molto bello. Così com’è ora è promosso perché è valido, ma con le riserve di cui sopra.


Oh, my Darwin

Racconto particolare che, però, a mio avviso non coglie nel segno. Non mi dilungo sulla forma, buona seppur con qualche minima sbavatura (“ho fatto un culo come un secchio”), piuttosto parlerò dell’efficacia. Lo scambio di battute fra i due demiurghi diverte, a parer mio, solo nella parte centrale (tutta la sequela di “cosa fa lei”, “mi si nomina spesso”, ecc…): qui assesti più di un buon colpo. All’inizio e nel finale, però, la ricerca del sorriso appare forzata e l’effetto tiepido (su tutto, la storia di “Oh, my Darwin”, “Clementine” e compagnia bella: non fa ridere, almeno per quanto mi riguarda). Quel che però maggiormente non mi ha convinto è la mancanza di rigore logico, che si riverbera soprattutto sulla chiusa. In un racconto che si pone come sagace e tagliente, la logica deve essere affilata e il segreto di una buona riuscita è nel tirare i fili di un ragionamento spietato in poche frasi finali sorprendenti. In questo caso, tralasciando il fatto che Darwin c’entra niente con il Big Bang, i buchi neri e le loro implicazioni sull’origine della vita (se mi sbaglio chiedo scusa, ma ne sono piuttosto sicuro), il fatto è che il concetto di Dio come acceleratore della distruzione del genere umano nulla ha a che vedere con un nuovo “grande botto”, inteso come evento cosmico generatore di vita. Comparata al cosmo, la razza umana è meno di una colonia di batteri nel culo di un elefante, quindi non si vede come questa trovata del “meme dio” possa avere a che fare con la fine dell’universo e la sua rinascita. Inoltre, se pure un legame per assurdo ci fosse, mi sfuggirebbe comunque perché Darwin vorrebbe accelerare l’estinzione di una specie a favore della nascita di altre, come se l’importante non fosse ciò che è alla base della sua teoria, la preservazione mediante selezione, ma il “rilascio” di roba sempre nuova, nemmeno parlassimo di pezzi di una hit parade.
Potrò sembrare rigido e poco propenso al divertimento, però il tuo pezzo non è un nonsense ma un divertissement che dovrebbe essere acuto e pungente. L’intento è riuscito a mio avviso a sprazzi ma, in definitiva, fallito al momento di tirare le fila.


È proprio un nulla

Racconto scritto in maniera molto pulita ed efficace. Formalmente non ho nulla da eccepire, a limite potrei consigliare di prestare un po’ più attenzione agli avverbi in – mente, per quanto siano più giustificabili all’interno di dialoghi, come in questo caso, che al di fuori. In realtà, devo dire che il testo è molto efficace e il botta e risposta tra i due convincente, cosa per nulla scontata.
Dal punto di vista della storia siamo di fronte a un’idea non molto originale: lo sfondamento (implicito) della quarta parete è ormai un cliché, come la figura dell’autore-demiurgo che, in questo caso, scrive di sé e si pone nei panni del paziente. Nonostante l’escamotage abusato, la lettura è piacevole per buona parte della storia; a un certo punto, tuttavia, emergono delle forzature della logica interna del racconto che ne guastano un po’ la resa complessiva. Per esempio, non si capisce perché il “creatore” dovrebbe poter cambiare solo dettagli e non la sua intera condizione, così come non è chiaro il ruolo dei lettori, improvvisamente coinvolti nel processo creativo che il personaggio-scrittore fino a quel momento si è arrogato. La presenza dei mostri, infatti, pare essere qualcosa d’incontrollato, che lo stesso demiurgo teme, addirittura un elemento estraneo che potrebbe aver “probabilmente” ucciso l’infermiera appena creata. La cosa non troverebbe spiegazione se non ammettendo che ci troviamo di fronte a un povero matto, ipotesi nella quale la storia perderebbe buona parte della sua forza, specie nel finale. Insomma, la forza di un racconto che gioca con il lettore (tipo “il seme della follia”) è quella d’instillare un dubbio, per quanto minimo, e far sì che tutto nel finale torni alla perfezione all’interno del circolo di logica che si è costruito. Qui, a mio avviso, l’intento è riuscito solo in parte. Bene dunque la scrittura, meno la realizzazione. Leggerlo è stato comunque gradevole, cosa di cui terrò conto.


Le ferie

Dunque, partiamo dalla premessa che il racconto mi è piaciuto. Detto questo, ho diversi appunti da fare. In primo luogo la forma: è generalmente buona ma sovente imprecisa. C’è molta punteggiatura mancante, mal disposta o errata, e le frasi a volte non descrivono perfettamente la scena, come se ci fosse una piccola nota stonata o mancasse qualcosa. Prendiamo ad esempio i seguenti periodi:

La porta si aprì sull'enorme studio, la skyline milanese si intravedeva dalla vetrata dietro

Dopo studio va un punto o un punto e virgola, altrimenti la frase suona male.

La testa dell' Ing Carli sbucò come un pupazzo da una scatola.

“Sbucò”… da dove?

“Allora Rossi, immagino che sappia perché l'ho fatta chiamare?”

Niente punto interrogativo.

Calvi si sedette dietro agli schermi pensieroso.

Non si era mai alzato, o almeno non lo dici. Si presume che, stando alla scrivania, fosse seduto sin dall’inizio.

“In Chtulu” ribatté Rossi estraendo un ciondolo con impressa l'effige di un polpo.

Una virgola dopo “Rossi”.

Questi sono solo alcuni dei numerosi casi. Come vedi, non si tratta di grosse cose ma la loro ripetizione instilla un vago senso di fastidio, quindi procederei a una bella rilettura ad alta voce.

Caso diverso è la frase:

Calvi divenne paonazzo, Rossi temette che la vena, che gli pulsava sulla fronte, potesse esplodere
da un momento all'altro.

Qui introduci un punto di vista, però siamo alla terzultima riga del racconto e, fin qui, la narrazione è stata esterna a entrambi i personaggi. Non è necessario scegliere così in extremis di “entrare” nella testa di uno dei personaggi; anzi, poiché uno degli elementi vincenti del racconto è l’atteggiamento calmo e impassibile di Rossi innanzi alle perplessità e all’irritazione del capo, effetto ottenuto rendendolo imperscrutabile anche al lettore, rendere accessibili i suoi pensieri si rivela controproducente.

Temo poi che non esista alcun “comitato per il rispetto delle minoranze Religiose” obbligatorio nelle aziende e che la legge non preveda alcun obbligo di assecondare ogni capriccio di qualunque fede, riconoscendo solo le contrattazioni collettive o, in casi specifici come quello della religione ebraica (l. 101/89), le feste canoniche, sempre con limiti ben precisi (obbligo di recupero delle ore e "nel quadro della flessibilita' dell'organizzazione del lavoro", e "salve le imprescindibili esigenze dei servizi essenziali previsti dall'ordinamento giuridico"). Insomma, se volessimo prendere sul serio il racconto, la storia non starebbe in piedi. Se, d’altra parte, si vuol leggere il brano come una provocazione a metà fra la “religione” pastafariana e una scena alla Fight Club, allora si può scegliere di sospendere l’incredulità e godersi la dissacrazione. Ma sempre di scelta si tratta, ovvero qualcosa di meno di un naturale e totale coinvolgimento nella logica interna di una storia.
Insomma, in definitiva: racconto ben scritto, con spunti divertenti e qualche ingenuità di fondo.


La parabola dei derelitti

Un parallelismo tra droga e religione. Nulla d’innovativo e il tema, lo ammetto, non mi ha entusiasmato: lo trovo un po’ logoro. Tuttavia il tuo è il secondo racconto in seconda persona di questa edizione, coincidenza piuttosto inusuale e, anche in questo caso, azzeccata. Inoltre la forma è buona e anche lo stile non mi è dispiaciuto. Quel “prendete e bevetene tutti” lo avrei trasformato in “prendete e iniettatene tutti”, ma il resto fila via bene. Dunque racconto promosso a pieni voti da un punto di vista formale, pur senza destare il mio entusiasmo per il contenuto. Che la droga sia un falso dio, ingannevole e assassino, è parte di una retorica consolidata ai limiti dell’abuso. Belle però le immagini che usi per il paradiso lisergico e tutta la liturgia chimica. Insomma, non so decidermi fra le due letture: di certo hai percorso un solco già profondo, però l’hai fatto con un certo non so ché. Non so davvero se il racconto mi sia piaciuto o meno, di sicuro non mi ha lasciato del tutto indifferente. Lo rileggo.

Ecco, alla terza rilettura, posso dire che il racconto mi è abbastanza piaciuto. Visto che considero il tema già trito, direi che è un ottimo risultato. Torno con qualche spunto su forma e approccio al tema e ti consiglio di:

- mantenere saldo il parallelismo tra droga e religioni monoteistiche occidentali perché, se questa è la via imboccata (con tanto di citazione di uomini di chiesa e spada fiammeggiante che ricorda quella dell’Arcangelo Gabriele) , tanto vale mantenerla con rigore (via Nirvana e Valhalla, quindi);
- rileggere ed eliminare le ripetizioni come:
“è solo un piccolo rito, solo una preghiera”
“senti tra le mani tutta la potenza del Dio che ti ama tanto, hai in mano la spada fiammeggiante”
“spingi l'ago dentro la vena, spingi lo stantuffo”
“sarà sempre più rapida, più insoddisfacente, più meccanica”
L’enfasi tramite ripetizione è un trucchetto da novellini, prova a eliminare i termini superflui e vedrai che il testo non perderà nulla e guadagnerà in eleganza ed efficacia.
- Rivedi alcune forme un po’ macchinose, scegliendo quelle più agili, come in questi casi:
“guarda il mondo a te precluso”.
Meglio: “guarda il mondo che ti è precluso”.
“non ti resta che accettarmi dentro il tuo cuore”.
Meglio: “nel cuore”.
“facendolo risalire per la stretta apertura dell'ago”.
Troppo descrittiva e l’immagine non rende bene. Andrei sul semplice: “facendolo risalire nell’ago”.
“E ti ritroverai a galleggiare lontano dalle strade”.
Cominciare un capoverso con una congiunzione, soprattutto dopo un punto a capo, è una scelta pretenziosa e un po’ ingenua, come la storia delle ripetizioni enfatiche (sempre IMHO).
- Mantieni il dialogo in prima persona dal punto di vista del narratore. Ogni tanto il “dio droga” comincia a parlare di sé in terza persona, scelta che stride se la maggior parte delle volte parla in prima:
“non ti resta che accettarmi dentro il tuo cuore”
“il tuo nuovo nume non chiede”
“sia fatta la mia volontà”
“ricordati che il tuo è un dio misericordioso”

Direi che è tutto. Alla prossima.


Pellegrino disperato

Ciao. Il tuo racconto non mi ha per nulla convinto, mi spiace. Salvo solo la forma, sintatticamente corretta, ma contenuto, trama, idea, stile e logica no.
Partiamo dall’idea: la metafora delle nuove divinità, i beni più ambiti della moderna bulimia consumistico tecnologica, è qualcosa di decisamente già visto, persino nella ristretta rosa di questo contest. Il parallelismo con la via crucis, poi, l’ho trovato forzato e troppo ammiccante per essere credibile, anche sorvolando sulla promozione “pellegrino disperato”, impossibile da prendere sul serio. La caduta, la bacchetta nel fianco, il centro commerciale “Calvario” (andiamo: chi lo chiamerebbe mai così?), tutto eccessivo. Quel che immagino vorrebbe essere ironico e sferzante, suonando improbabile, non funziona e diventa ridicolo. Capiamoci: capisco il taglio che hai cercato di dare al racconto, solo che non ci sei riuscito. Peraltro la logica del racconto non sta in piedi: dici espressamente che il protagonista è partito da casa all’alba per la sua personale marcia, ma non si capisce perché non sarebbe potuto partire da un punto ben più vicino al centro commerciale. Non si vede poi perché Apple dovrebbe regalare pc da un migliaio di euro in cambio di una scampagnata, né perché la gente, che a un certo punto salutava esultante i concorrenti, dovrebbe cominciare a insultare il nostro in prossimità dell’arrivo (se non per l’ennesimo parallelismo forzato con la via crucis). E potrei continuare.
La trama, poi, è un po’ povera, oggettivamente non accade molto. L’ambientazione va bene, ma la sospensione dell’incredulità, come ho spiegato a proposito della logica, no. In pratica, il racconto non riesce a essere preso sul serio ma non funziona bene nemmeno come joke.
Lo stile è un po’ affardellato da forme progressive superflue (e che, in un contest come MC, fanno perdere k preziosi):

“le spalline gli stavano segnando la pelle”
“un canale d'irrigazione gli stava tagliando la strada”
“Un altro con la stessa uniforme stava scuotendo la testa”
“il commesso che lo stava fissando”

Ti segnalo la ripetizione “scuotendo-scosse” e, soprattutto, alcune scorrettezze:

«Grazie!» sussurrò.

Il punto esclamativo contrasta con il verbo. Sono certo che, in particolari circostanze, si possa esclamare sottovoce, ma direi che, in generale, il segno grafico dell’esclamazione rimandi a un tono di voce alto. Perché complicarsi la vita?

“Gli ultimi cento metri furono i più faticosi”.

Questo è un errore di punto di vista. Il PDV adottato è quello del protagonista ma, in quel momento della narrazione, gli ultimi cento metri sono ancora da fare. Questo salto in avanti scollega il lettore e fa percepire in modo fastidioso l’ingerenza del narratore onnisciente, che già conosce la storia nella sua interezza. Infatti, subito dopo, scrivi:
“Abbassò il capo e ripartì”.
“Gli ultimi cento metri sarebbero stati i più faticosi”, invece, sarebbe corretto.

Anche questo periodo nasconde delle insidie:

“Il tempo si bloccò, gli uccelli smisero di volare e un alito di vento lo spinse sull'altro argine”

Il lettore, infatti, non può credere che il tempo si sia davvero bloccato. So che tu intendevi “il tempo parve bloccarsi” ma, appunto, è proprio quello che devi scrivere. Oltretutto, avendo adottato un punto di vista interno del personaggio ma abbastanza distante da descriverne i pensieri e le sensazioni, e non da interpretarle direttamente (esiste uno scarto fra personaggio e narratore, insomma, che ne riporta il vissuto), non puoi dare per sottinteso il fatto che si tratti di una sensazione del protagonista e sei obbligato a specificarlo, pena un’altra sottile ma percepibile violazione del punto di vista. Pochi lettori capiranno esattamente cosa non vada nella frase, ma molti si accorgeranno che “qualcosa” non va.

Direi che ho detto tutto. Chiedo scusa per la franchezza ma indorare la pillola non serviva. Peraltro, vista la tua buona forma, sono certo che puoi fare di molto meglio. Alla prossima.


Il mondo senza Molly

Ciao. Il racconto non è privo di suggestioni (le storie apocalittiche ne hanno sempre), però non mi ha convinto. C’è più di non detto che di narrato, a ben vedere, e non mi riferisco tanto al motivo della caduta della civiltà, un McGuffin che fa il suo lavoro, quanto all’arrivo inspiegabile e inspiegato della bambola Molly dopo anni. Chi sapeva che la ragazza teneva tanto a quella bambola? Chi la può aver mai trovata, dopo anni e in quel disastro? Domande senza risposta (e non può essere diversamente) che fanno eco a quelle sulle dinamiche della nuova società, in cui i Religiosi hanno il potere di costringere le persone alla clausura, e sulla misteriosa città santa e la prova necessaria ad accedervi. Insomma, forse hai voluto mettere troppo in un racconto tanto breve. Sul piano dei contenuti, comunque, ho compreso e apprezzato l’intento: sei riuscito/a (non ho idea di chi siano i racconti che commento) a comunicare l’umano rigetto per una società di assoluti e di alienazione dalle cose materiali, l’attaccamento alle quali è uno dei tratti che ci rende ciò che siamo. Ho trovato questa tematica poetica, e l’indulgenza che trapela verso la necessità di avere qualcosa di fisico che simboleggi la nostra individualità una pennellata delicata e riuscita della tua storia. Per questo motivo mi ha irritato ancora di più il comparto formale/stilistico, che va a discapito di un racconto che, pur con i suoi limiti, ha notevoli frecce al suo arco.
Dal punto di vista della scrittura, infatti, ci sono grosse pecche. È evidente che sei una buona penna e che la capacità descrittiva non ti manca, tuttavia su alcune cose non si può sorvolare. L’elemento più fastidioso in assoluto è la gestione dei tempi verbali, spesso sballati e uniformati su un generico passato prossimo che non si attaglia per nulla ai diversi momenti temporali cui fai riferimento. Narri da un punto preciso e le vicende sono flashback di vario livello, tutti però livellati sul passato prossimo, salvo alcuni casi sporadici dove usi il passato remoto (correttamente), per poi tornare senza ragione al precedente registro verbale, mostrando incoerenza anche nell’errore. Insomma, non mi dilungo in molti esempi e riporto solo un passo significativo, perché altrimenti dovrei citare qui sotto mezzo racconto, sappi però che questo comparto è davvero da rivedere:

L’uomo mi prese per mano, tirandomi via senza troppe cerimonie e c’incamminammo verso il
deserto; si fece consegnare l’anello e lo gettò nella sabbia.
- Non ti è permesso possedere oggetti. La vecchia civiltà li adorava come falsi dèi, è ciò ha fatto
incollerire il Primigenio.
Ho sentito un fastidio pungente, che non mi ha mai più abbandonata. L’uomo si è avvicinato a una
roccia, ha aperto una porta nascosta, mi ha spinta giù per un tunnel buio.

Oltre ad alcuni casi di punteggiatura infelice (“Mammì mi ha trovata seduta su un marciapiede in mezzo alla folla impazzita e mi ha presa per mano, PUNTO O PUNTO E VIRGOLA io avevo capito che mio padre non sarebbe tornato come promesso e mi sono lasciata guidare”, “L’uomo mi prese per mano, tirandomi via senza troppe cerimonie VIRGOLA e c’incamminammo”, ecc…) e refusi (“come falsi dèi, è ciò”), ci sono poi varie frasi inutilmente appesantite da incidentali e subordinate, di lettura non propriamente agevole; una per tutte:

“il deserto roccioso, illuminato dalle mille lingue di fuoco che inghiottivano le nostre case, piene degli oggetti che amavamo, ci restituiva ombre lunghe e minacciose come il futuro che tutti, intorno a me, temevano”.

Provo una semplificazione al volo, in ossequio al principio “less is better”:

“in lontananza, alte lingue di fuoco inghiottivano le case e gli oggetti che amavamo, restituendo ombre lunghe e minacciose come il nostro futuro”.

Sì, manca il deserto roccioso. Volendo si può inserire, ma puoi anche metterlo prima o dopo. O non metterlo per nulla, e questo spesso è il segreto di una forma scorrevole: tagliare.

In conclusione, dunque, ritengo il racconto promettente ma non sufficiente nella sua veste attuale. Alla prossima.


Il trono verde

Un buon racconto. Funziona, ottiene il suo scopo di canzonare l’ingenuità delle persone e diverte. Ci sono tuttavia due problemi di fondo, uno più lieve, l’altro meno. In primo luogo, la storia è quasi tutto tell, di mostrato c’è davvero poco. E questo, per il mio metro di giudizio, è un peccato veniale, non sono un fanatico dello “show don’t tell”, sempre che si sappia bene quel che si fa. Tuttavia, in questo caso, si sarebbe potuto mostrare un po’ di più e il racconto ne avrebbe guadagnato. Ma procediamo. La seconda osservazione che muovo riguarda i tempi verbali. In pratica, quasi tutto il racconto è una ricapitolazione di come si è arrivati al punto da cui il narratore prende le mosse, tanto che dal trapassato prossimo, a un certo punto, transiti al passato remoto. Ebbene, questo spartiacque fra quello che viene prima e ciò che è contemporaneo (a prescindere dal tempo verbale passato) non è ben gestito. Riporto il passo della “transizione”:

Quella sera, finalmente, si era liberato del manto verde da accolito e, seduto nella Postura del
Rettile al centro del tempio/tavernetta di Ka'mani sotto gli occhi dell'intero Culto, con una facilità
impressionante si era staccato dal suo corpo.
Un infarto, a occhio e croce.
Aveva osservato dall'alto due o tre accoliti alla disperata ricerca del telefono e Ka'mani che, dopo
aver dato fondo a tutte le sue doti di convincimento, li persuadeva a non chiamare le autorità.
Sarebbero finiti solo nei casini, meglio nascondere tutto e ripensarci a mente lucida. Il tremito nella
sua voce ne rivelava la viscida natura di truffatore; gli accoliti non parvero notarlo, ma per Ernesto
era evidente.

A parte quel “li persuadeva”, che viola la consecutio temporum e avrebbe dovuto essere “li aveva persuasi”, se rileggi concorderai con me che il momento giusto per passare dal trapassato al passato remoto sarebbe stato dopo “a occhio e croce”. Prima di quella frase, infatti, hai scritto “quella sera”, chiaro indice che sei arrivato al momento dal quale la narrazione smette di procedere dal passato verso il presente e comincia a scorrere in avanti verso il futuro (il futuro di quel momento passato, ma ci siamo capiti). Tu, invece, perdi il momento e continui nel trapassato, descrivendo una scena (“aveva osservato dall’alto”) che non ha soluzione di continuità ma che, all’improvviso, diventa contemporanea al narratore con l’adozione del passato remoto (“non parvero notarlo”). L’errore sta tutto lì, in quel cambio in corsa e nella scelta sbagliata del quando.
Ma la questione non si esaurisce qui. Se, infatti, la narrazione retrospettiva parte da un momento in cui il protagonista è già morto, l’incipit è del tutto da riscrivere. Non puoi dire che:

“Ernesto Mariani, di giorno impiegato, dopo il tramonto era membro di due temibili organizzazioni
esoteriche.”

Ernesto, semmai, ERA STATO membro, ecc… In questo modo, però, spoilereresti il finale. La soluzione, dunque, è tagliare di netto (anche l’orrenda parte della palestra, che non serve a nulla ai fini della storia e di cui ci si dimentica subito). Propongo qualcosa del genere (giusto per esemplificare ed eliminare un po’ di contorsioni):

“La setta Tiku-man Intiot prendeva il nome da divinità sinistra, venerata in segreto lungo tutto l'arco della Storia. Ernesto Mariani, di professione impiegato comunale, era stato iniziato al culto dal Sacerdote Ka'mani per una modica somma, e non si era mai perso una riunione”.

Veniamo infine al fraseggio. Lo so, avevo detto due osservazioni, ma ho mentito. :D
Scherzi a parte, si tratta di una cosa di poco conto, ma ci sono diverse frasi disposte in modo non ottimale che, semplicemente riorganizzate, funzionano meglio. Faccio un paio di esempi ma, rileggendo, ne troverai altre:

“Aveva schiacciato i dubbi e spremuto il portafogli, affrontando prove e punizioni sotto lo sguardo, a tratti quasi sbigottito dalla sua fede ferrea, del Sacerdote”.

Meglio:

“Aveva schiacciato i dubbi e spremuto il portafogli, affrontando prove e punizioni sotto lo sguardo del Sacerdote, a tratti quasi sbigottito dalla sua fede ferrea”

“seduto nella Postura del Rettile al centro del tempio/tavernetta di Ka'mani sotto gli occhi dell'intero Culto, con una facilità impressionante si era staccato dal suo corpo”.

Meglio:

“seduto nella Postura del Rettile al centro del tempio/tavernetta di Ka'mani, sotto gli occhi dell'intero Culto, si era staccato dal suo corpo con una facilità impressionante”.

Mi fermo qui (e credo di aver detto abbastanza). Nonostante tutto, il tuo racconto è uno dei miei preferiti e i suoi difetti sono correggibili, lasciando come risultato una storia divertente e riuscita. Quindi bene, anche se con riserva. Ciao, alla prossima.


C’è solo un capitano

Ciao. Non sono sicuro di aver capito il racconto. Forse dipende dal fatto che non seguo il calcio, ma c’è qualcosa che mi sfugge. Sarà per quel “muscoli e sangue e ossa e ferro”, che mi suggeriva l’idea di un Totti tenuto a giocare nei decenni a venire con l’aiuto della robotica, non so; di certo la mia impressione non ha trovato conforto nel seguito del testo e, dunque, il senso del racconto un po’ mi sfugge. Capisco il nesso fra politica autoritaria e calcio, inteso alla maniera romana di “panem et circenses” per distrarre le masse, però tutta questa profondità interiore di Totti che sfida il sistema con un ultimo, simbolico gesto rivoluzionario (un po’ fiacchino, per la verità) non ce la vedo. In realtà, il calciatore incarna alla perfezione il prototipo di uomo superficiale cui gran parte dei ragazzi si rifanno, arrivato perché circondato da veline, macchinone e soldi. È un ragionamento qualunquista, lo so, ma non ho tempo per spaccare il capello in quattro e mi concederai che ci sia molto di vero nella mia analisi grossolana. Anche la metafora del falso dio è ambigua, riferita tanto alla vecchia gloria calcistica che al Presidente del Consiglio sugli spalti, laddove scrivi che “Dio è morto”. La retorica di “se solo uno ricorderà sarà valsa la pena” (o giù di lì) è stanca e logora quanto la storia della “droga falso dio” per cui tanto ho smoccolato con “La Parabola dei Derelitti”.
Dal punto di vista formale ho notato diversi refusi e qualche “d” eufonica inopportuna (“ed inizia”) ma non li elenco: con una rilettura attenta li troverai senza difficoltà. Più in generale, la forma non è male, anzi direi che è la parte migliore di un racconto che mi ha lasciato abbastanza perplesso. Per quel che vale, mi è piaciuta la scena del goal. Per il resto, scusa, ma non ho proprio colto il senso. Potrebbe essere un mio limite, fatto sta che sono incerto sulla posizione in graduatoria. Credo sia tutto. Alla prossima.

Re: Lista racconti finalisti e classifiche delle GUEST!

Inviato: sabato 21 maggio 2016, 10:11
da antico
Ed ecco la quarta GUEST CLASSIFICA: quella di Aislinn!

Classifica dei racconti

1 – Il trono verde
2 – Il settimo giorno
3 –Nel tempo degli dei falsi e bugiardi
4 – L'unico, l'onnipotente
5 – È proprio un nulla
6 – La parabola dei derelitti
7 – Le ferie
8 – Immagina
9 – C'è un solo capitano
10 – Pellegrino disperato
11 – Oh my Darwin
12 – Il mondo senza Molly


Commenti

Nel tempo degli dei falsi e bugiardi
In poche righe si delinea un quadro vivido che dice – e fa immaginare – molto più di quello che viene messo in scena. E viene voglia di sapere qualcosa di più sui personaggi presentati, che hanno una caratterizzazione riuscita e che mi hanno incuriosita anche per via dei loro nomi, che mescolano lingue diverse (Diego, Heinrich, Tekura... ancora una volta mi è venuta voglia di sapere il contesto più ampio). Lo stile è pure buono; forse avrei preferito una conclusione con un po' più di mordente, un avvenimento inaspettato, qualcosa che scombinasse i loro piani e introducesse un elemento imprevisto, perché quando si comprende la situazione viene a mancare la tensione.

Il settimo giorno
Molto grazioso e con una bella sorpresa finale che mi ha fatto sorridere e che ha pienamente raggiunto lo scopo: sorprendermi. Non mi hanno convinto i numerosi «a capo» della prima parte, che rendono il ritmo un po' troppo spezzato e singhiozzante.

L'unico, l'onnipotente
Ancora una volta un racconto capace di sorprendere nel finale. Si potrebbe snellire un po' la spiegazione iniziale e lavorarci di lima, soprattutto sulle battute di dialogo, ma per il resto rimane un racconto interessante.

Immagina
Ha una sua personalità, ma c'è una certa vaghezza e, a mio parere, la struttura ricorrente «immagina che...» è interessante inizialmente, ma perde progressivamente efficacia, stemperando la drammaticità di quello che accade. La seconda persona è una voce difficile, ma non manca d'essere intrigante in questo caso, pensando al tipo di personaggio di cui si parla; tuttavia userei la ripetizione «immagina che...» solo nella prima parte, interrompendola in coincidenza dell'evento che spezza la situazione iniziale (quando «qualcosa cambia»), riflettendo così nella prosa il mutamento.

Oh my Darwin
Divertente solo a tratti e non sempre logico, è un'idea carina il dialogo tra demiurghi, che però non è sempre convincente. In definitiva, per quanto mi riguarda, non mi ha colpito più di tanto. Forse con un po' più di spazio si sarebbe potuto sviluppare meglio.

È proprio un nulla
Il tema dello scrittore-Dio sviluppato in modo efficace, giocando con il lettore senza però esagerare. Si capisce presto dove andrà a parare il finale, ma questo non rovina l'insieme e la curiosità di vedere quale sarà l'inevitabile brutta fine del medico; lo stile è buono e il dialogo ben gestito.

Le ferie
Ecco una scena che mi piacerebbe vedere nella realtà... il seguace di Chtulhu che spiega il suo credo al capufficio! Di cui peraltro sarebbe stato interessante vedere più da vicino il punto di vista, per mostrarne ancora di più le perplessità. La scrittura non ha particolari pecche, ma manca la zampata finale, l'evento notevole; è un quadretto carino, ma alla fine non sfrutta l'idea iniziale quanto si sarebbe potuto.

La parabola dei derelitti
Un'altra idea che può portare a sviluppi interessanti, un altro quadro ben descritto – buoni la proprietà di linguaggio e il controllo della lingua, a parte qualche ripetizione qua e là, così come è buona la gestione di un punto di vista difficile come la seconda persona – anche se manca uno sviluppo narrativo: c'è la situazione, ma non un personaggio da seguire, una trama vera e propria. Non è facile svilupparne una nel breve spazio concesso per questi racconti, e lo si vede in diverse dei testi in gara, ma a maggior ragione riuscirci è la sfida, tanto più quando come in questo caso si intravedono le possibilità dell'autore o autrice.

Pellegrino disperato
Qui gli eventi ci sono, ma lascerei la metafora un pochino più sfumata (per esempio evitando di citare il Calvario nel nome del centro commerciale, o la battuta finale del protagonista), rivelandola solo nel finale senza troppi indizi prima. Lo stile è semplice e non particolarmente suggestivo.

Il mondo senza Molly
La chiusa finale è la parte più interessante, ma il racconto non è sempre chiaro o logico (come ha fatto la bambola a rispuntare alla fine?) e non mancano elementi già visti e banali (il solito religioso che assomiglia a un corvo, tra naso adunco e abiti neri...) Si potrebbe sintetizzare la prima parte per sviluppare meglio il resto – rendendo più originali i Religiosi, elaborando meglio la società del futuro. Si può insomma inizialmente sfruttare il fatto che basta poco per evocare uno scenario apocalittico, che qualsiasi lettore ha già visto rappresentare in libri e film: nonostante il dettaglio degli anelli sia carino, Mammì non mi è parso poi un personaggio essenziale, e proprio nell'ottica di scorciare un po' la prima parte si può facilmente rielaborare la sua funzione in altri modi. Lavorerei poi sui tempi verbali, non sempre ben gestiti.

Il trono verde
Bello! C'è lo sviluppo narrativo, c'è la sorpresa finale che fa immaginare tutto un mondo di possibilità future e per questo è il racconto che mi ha convinto di più fin dalla prima lettura. Si potrebbe lavorare un po', asciugando un po' la parte iniziale che racconta il passato di Ernesto e concentrandosi sul presente della storia.

C'è solo un capitano
L'inizio ha acceso il mio interesse, complice anche uno stile che mi ha convinto. Purtroppo, quando ho letto «Totti», mi sono sentita bruscamente risvegliare dal «fictional dream» che il racconto stava creando. Usare il nome di un calciatore reale, noto per spot pubblicitari e libri di barzellette a parte che per le prodezze sul campo, ha evocato immagini troppo contrastanti rispetto al tono usato dalla voce narrante; meglio crearne uno immaginario, per smorzare i preconcetti del lettore. Bella l'idea, insomma, ma andrebbe rivisto , anche per rendere meno vago il contesto e per rendere un po' più forte il finale (il comportamento di Totti non mi pare così eclatante, bisognerebbe trovare qualcosa di più forte da farli fare).

Re: Lista racconti finalisti e classifiche delle GUEST!

Inviato: domenica 5 giugno 2016, 23:43
da antico
Ed ecco la quinta e ultima GUEST CLASSIFICA: quella di Lorenzo Marone!

NB: Lorenzo si scusa, ma ancora non è riuscito a preparare i commenti, appena li invierà provvederò a intergrarli direttamente qui.

1. È proprio un nulla
2. La parabola dei derelitti
3. Il trono verde
4. Il mondo senza Molly
5. Oh, my Darwin
6. Immagina
7. Il settimo giorno
8. Le ferie
9. Nel tempo degli dei falsi e bugiardi
10. L’unico, l’onnipotente
11. Pellegrino disperato
12. C’è solo un capitano