Solo alcune madri conoscono il segreto della vita (di Gregorio Gambato)
Inviato: sabato 4 giugno 2016, 16:37
SOLO ALCUNE MADRI CONOSCONO IL SEGRETO DELLA VITA
Esisteva in un tempo che non ci è concesso di conoscere una bella casa in un vastissimo prato verde su cui il sole splendeva spesso e su cui pioveva solo quando ce n’era bisogno. La casa era abbastanza piccola e fatta di belle pietre levigate, ognuna d’una diversa tonalità di grigio, tra qui erano incastonate qua e là qualche finestrella con le veneziane verdi smeraldo e un porticina rossa, col pomolo d’oro. Ci abitavano Priscilla e sua madre, che di problemi non ne avevano e che per questo conducevano una vita serena e tranquilla, in pace con la natura, non v’era motivo di andarsene da quel posto fantastico, sembrava il paradiso in terra, eppure anche a loro due toccava lavorare.
Priscilla curava il piccolo orto alla destra della casa, in cui coltivava pomodori, carote e qualche patata. Faceva un raccolto ogni giorno, nella tarda mattinata, prendendo ciò che le occorreva, perché tanto ogni notte le piante rigeneravano i loro ortaggi; e ogni pomeriggio scrollava il giovane ciliegio vicino all’orto, da cui cadevano centinaia di piccoli frutti dolci e a cui i rami spezzati per far legna il giorno precedente erano ricresciuti nell’arco del pomeriggio, così che la piccola Priscilla e sua madre potessero accendere la piccola stufa la sera e tenerla accesa fino al mattino seguente. La madre di Priscilla era sempre stata premurosa e non avrebbe mai lasciato che sua minuta bambina provvedesse da sola a procurare tutto il cibo necessario per la giornata, difatti anche lei si dava da fare. Alla sinistra della casa loro stesse avevano costruito una piccola stalla, uguale alla casa in pietra, ma con finestre strette strette, con ancor meno fronzoli e con una porta più massiccia dello stesso color rosso di quella di casa. Ogni mattina presto la madre di Priscilla usciva di casa e la bambina la seguiva fin sull’uscio. Sarebbe andata anche oltre, ma ogni volta che ci aveva provato la madre, nel sentire i suoi timidi passi, s’era voltata di scatto e le aveva impedito di proseguire. «Rimani qui!» le diceva, sgranando gli occhi e indicando un punto preciso sul terreno con tale severità e fermezza che il punto scappava lontano per paura. Priscilla rimaneva lì, come inchiodata, e guardava la madre aprire la porta della stalla e rispondere con un sorriso, che tranquillizzava la piccola. Non poteva che pensare che la madre le impedisse di entrare per proteggerla dalle bestie che vi erano rinchiuse, magari potevano diventare cattive o peggio ancora feroci, o forse avrebbe potuto macchiarsi i vestiti, dato magari le bestie erano sporche.
Un giorno però Priscilla si rese conto, mentre coglieva le ciliegie che in realtà non sapeva nemmeno di quali bestie ci fossero là dentro e la sua mente di bambina, la portò a immaginare animali fantastici, come i draghi, ma ben presto le venne in mente che era molto più probabile trovare animali di cui almeno fosse certa l’esistenza dentro quella stalla, ma nonostante questa considerazione, la mente aveva ancora molto spazio per vagare: poteva trattarsi di giraffe, rinoceronti o, perché no, orsi polari. Poteva anche non trattarsi di mammiferi, forse erano uccelli, forse insetti. Se così fosse stato non le avrebbe dato poi tanto fastidio. Decisa a capire, Priscilla iniziò a indagare per scoprire cosa ci fosse oltre la porta della stalla. Di certo non poteva avvicinarsi a quel posto a lei proibito, altrimenti chissà cosa le avrebbe fatto sua madre! Capì, mentre rientrava in casa con un cestino pieno di ciliegie, che se sua madre allevava delle bestie, era perché le si potesse mangiare.
Quello stesso giorno, in occasione del pranzo, la premurosa madre di Priscilla sarebbe rincasata per poter cucinare un buon pasto alla sua bambina. Ovviamente all’uscita dalla stalla avrebbe portato a casa il prodotto della sua intera mattinata di lavoro e quindi non rimaneva che aspettare di vedere cosa avrebbe cucinato.
A mezzodì Priscilla si presentò a tavola e le fu servito lo stesso piatto di sempre: un pezzo di carne cotto al sangue con un contorno di patate. Sarebbe stato facile riconoscere il tipo di carne che aveva nel piatto: se solo avesse mai assaggiato un tipo di carne differente da quello, avrebbe potuto fare un confronto, ma purtroppo non poteva. La bistecca aveva un sapore delicato, ma la guardava con diffidenza e in nessun caso l’avrebbe mangiata prima di risolvere quel mistero. Decise quindi che l’indomani mattina avrebbe disobbedito a sua madre e di nascosto si sarebbe intrufolata nella stalla e così avvenne. Dopo che la madre ebbe chiuso la porta del casolare, Priscilla lasciò passare circa un’ora in modo che la madre avesse tutto il tempo di riprendere a lavorare appieno e capire meglio. Si appropinquò con passo di volpe, silenzioso e veloce e spalancò la porta.
I suoi occhi s’illuminarono di orrore vedendo alcuni animali, di specie tutte diverse tra loro. Erano appesi per la coda, sgozzati. Il loro sangue colava e quel filo di vita finiva in un secchio di rame, da cui la donna attingeva con un pennello. Si guardarono. Le pareti erano rosse, accuratamente pitturate con la stessa premura tipica di sua madre. Era un vedere calmo, nessuna disperazione. Sua madre ruppe il silenzio: «Priscilla, questa è vita. Questa è linfa vitale, che prima abita i corpi degli esseri, ma poi?» La donna in fondo alla stanza buia, che non sembrava più sua madre, sorrise e con enfasi continuò: «Io la rendo eterna, rendo tutto più reale! Non capisci? Se la vita, il sangue, rimanesse nei corpi sarebbe effimera, e così la vita, il bene, verrebbe oppresso dalla morte, il male. Io conservo la forza della vita, affinché questa prosperi. Sottraggo la vita alla sua deperibilità. Sue queste pareti c’è vita immortale! In sostanza, la morte di questi animali li ha condotti ad una vita immortale, ma non in un mondo che non è il loro, che li farebbe sentire spaesati, bensì una vita terrena, la loro! Non è fantastico, Priscilla? Io ho reso la vita infinita! Io ho battuto Dio!
Priscilla era terrorizzata e sudava freddo, mentre la madre col suo sguardo entusiasta la fissava e pian piano le si avvicinava. Scappò. Cominciò a correre, correre e correre, diretta lontano dalla stalla, dalla casa, da sua madre, che la rincorreva, ma purtroppo non molto tardi il vastissimo prato verde finì, delimitato da un fiume dal passo svelto. Priscilla si trovò costretta a dover prendere una decisione. Sua madre la stava raggiungendo. La sentiva urlare. «Io sono Dio! L’ho battuto! Sono Dio! Ho vinto!» urlava. Dovette buttarsi in acqua, un’acqua gelida, veloce, che la imprigionò. Quando il fiume la ebbe in pugno, la strinse e quando fu alla fine, la rigettò. Il suo piccolo corpo arrivò a una sponda fangosa e lì al contempo giunse sua madre. Sorrise, se la caricò in spalla e si diresse verso casa, con gioia, perché finalmente avrebbe potuto rendere immortale la persona che più amava. Le avrebbe restituito la vita, a modo suo.
Esisteva in un tempo che non ci è concesso di conoscere una bella casa in un vastissimo prato verde su cui il sole splendeva spesso e su cui pioveva solo quando ce n’era bisogno. La casa era abbastanza piccola e fatta di belle pietre levigate, ognuna d’una diversa tonalità di grigio, tra qui erano incastonate qua e là qualche finestrella con le veneziane verdi smeraldo e un porticina rossa, col pomolo d’oro. Ci abitavano Priscilla e sua madre, che di problemi non ne avevano e che per questo conducevano una vita serena e tranquilla, in pace con la natura, non v’era motivo di andarsene da quel posto fantastico, sembrava il paradiso in terra, eppure anche a loro due toccava lavorare.
Priscilla curava il piccolo orto alla destra della casa, in cui coltivava pomodori, carote e qualche patata. Faceva un raccolto ogni giorno, nella tarda mattinata, prendendo ciò che le occorreva, perché tanto ogni notte le piante rigeneravano i loro ortaggi; e ogni pomeriggio scrollava il giovane ciliegio vicino all’orto, da cui cadevano centinaia di piccoli frutti dolci e a cui i rami spezzati per far legna il giorno precedente erano ricresciuti nell’arco del pomeriggio, così che la piccola Priscilla e sua madre potessero accendere la piccola stufa la sera e tenerla accesa fino al mattino seguente. La madre di Priscilla era sempre stata premurosa e non avrebbe mai lasciato che sua minuta bambina provvedesse da sola a procurare tutto il cibo necessario per la giornata, difatti anche lei si dava da fare. Alla sinistra della casa loro stesse avevano costruito una piccola stalla, uguale alla casa in pietra, ma con finestre strette strette, con ancor meno fronzoli e con una porta più massiccia dello stesso color rosso di quella di casa. Ogni mattina presto la madre di Priscilla usciva di casa e la bambina la seguiva fin sull’uscio. Sarebbe andata anche oltre, ma ogni volta che ci aveva provato la madre, nel sentire i suoi timidi passi, s’era voltata di scatto e le aveva impedito di proseguire. «Rimani qui!» le diceva, sgranando gli occhi e indicando un punto preciso sul terreno con tale severità e fermezza che il punto scappava lontano per paura. Priscilla rimaneva lì, come inchiodata, e guardava la madre aprire la porta della stalla e rispondere con un sorriso, che tranquillizzava la piccola. Non poteva che pensare che la madre le impedisse di entrare per proteggerla dalle bestie che vi erano rinchiuse, magari potevano diventare cattive o peggio ancora feroci, o forse avrebbe potuto macchiarsi i vestiti, dato magari le bestie erano sporche.
Un giorno però Priscilla si rese conto, mentre coglieva le ciliegie che in realtà non sapeva nemmeno di quali bestie ci fossero là dentro e la sua mente di bambina, la portò a immaginare animali fantastici, come i draghi, ma ben presto le venne in mente che era molto più probabile trovare animali di cui almeno fosse certa l’esistenza dentro quella stalla, ma nonostante questa considerazione, la mente aveva ancora molto spazio per vagare: poteva trattarsi di giraffe, rinoceronti o, perché no, orsi polari. Poteva anche non trattarsi di mammiferi, forse erano uccelli, forse insetti. Se così fosse stato non le avrebbe dato poi tanto fastidio. Decisa a capire, Priscilla iniziò a indagare per scoprire cosa ci fosse oltre la porta della stalla. Di certo non poteva avvicinarsi a quel posto a lei proibito, altrimenti chissà cosa le avrebbe fatto sua madre! Capì, mentre rientrava in casa con un cestino pieno di ciliegie, che se sua madre allevava delle bestie, era perché le si potesse mangiare.
Quello stesso giorno, in occasione del pranzo, la premurosa madre di Priscilla sarebbe rincasata per poter cucinare un buon pasto alla sua bambina. Ovviamente all’uscita dalla stalla avrebbe portato a casa il prodotto della sua intera mattinata di lavoro e quindi non rimaneva che aspettare di vedere cosa avrebbe cucinato.
A mezzodì Priscilla si presentò a tavola e le fu servito lo stesso piatto di sempre: un pezzo di carne cotto al sangue con un contorno di patate. Sarebbe stato facile riconoscere il tipo di carne che aveva nel piatto: se solo avesse mai assaggiato un tipo di carne differente da quello, avrebbe potuto fare un confronto, ma purtroppo non poteva. La bistecca aveva un sapore delicato, ma la guardava con diffidenza e in nessun caso l’avrebbe mangiata prima di risolvere quel mistero. Decise quindi che l’indomani mattina avrebbe disobbedito a sua madre e di nascosto si sarebbe intrufolata nella stalla e così avvenne. Dopo che la madre ebbe chiuso la porta del casolare, Priscilla lasciò passare circa un’ora in modo che la madre avesse tutto il tempo di riprendere a lavorare appieno e capire meglio. Si appropinquò con passo di volpe, silenzioso e veloce e spalancò la porta.
I suoi occhi s’illuminarono di orrore vedendo alcuni animali, di specie tutte diverse tra loro. Erano appesi per la coda, sgozzati. Il loro sangue colava e quel filo di vita finiva in un secchio di rame, da cui la donna attingeva con un pennello. Si guardarono. Le pareti erano rosse, accuratamente pitturate con la stessa premura tipica di sua madre. Era un vedere calmo, nessuna disperazione. Sua madre ruppe il silenzio: «Priscilla, questa è vita. Questa è linfa vitale, che prima abita i corpi degli esseri, ma poi?» La donna in fondo alla stanza buia, che non sembrava più sua madre, sorrise e con enfasi continuò: «Io la rendo eterna, rendo tutto più reale! Non capisci? Se la vita, il sangue, rimanesse nei corpi sarebbe effimera, e così la vita, il bene, verrebbe oppresso dalla morte, il male. Io conservo la forza della vita, affinché questa prosperi. Sottraggo la vita alla sua deperibilità. Sue queste pareti c’è vita immortale! In sostanza, la morte di questi animali li ha condotti ad una vita immortale, ma non in un mondo che non è il loro, che li farebbe sentire spaesati, bensì una vita terrena, la loro! Non è fantastico, Priscilla? Io ho reso la vita infinita! Io ho battuto Dio!
Priscilla era terrorizzata e sudava freddo, mentre la madre col suo sguardo entusiasta la fissava e pian piano le si avvicinava. Scappò. Cominciò a correre, correre e correre, diretta lontano dalla stalla, dalla casa, da sua madre, che la rincorreva, ma purtroppo non molto tardi il vastissimo prato verde finì, delimitato da un fiume dal passo svelto. Priscilla si trovò costretta a dover prendere una decisione. Sua madre la stava raggiungendo. La sentiva urlare. «Io sono Dio! L’ho battuto! Sono Dio! Ho vinto!» urlava. Dovette buttarsi in acqua, un’acqua gelida, veloce, che la imprigionò. Quando il fiume la ebbe in pugno, la strinse e quando fu alla fine, la rigettò. Il suo piccolo corpo arrivò a una sponda fangosa e lì al contempo giunse sua madre. Sorrise, se la caricò in spalla e si diresse verso casa, con gioia, perché finalmente avrebbe potuto rendere immortale la persona che più amava. Le avrebbe restituito la vita, a modo suo.