Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

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ceranu
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Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#1 » mercoledì 15 giugno 2016, 23:51

Il fantastico mondo del Molise


«E lei dove sta andando?» La voce dell'uomo seduto accanto a lui era insopportabile. Era salito ad Ancona e non era stato zitto un secondo. Fino a poco prima aveva parlato al cellulare, ma adesso sembrava avercela con lui. Davide sollevò gli occhi dal libro di ricette, che teneva in mano, e li rivolse a lui. «Isernia» rispose, lapidario.
«Isernia…» ripeté tra i denti l'uomo. «Non credo d'esserci mai stato. Dov'è?»
«In Molise.» Davide ricominciò a leggere. La sua parte di conversazione era finita.
«È per quello che non la conosco. Il Molise è la regione che fattura meno e nessuna la vuole. Figuriamoci se me la prendevo io, lì ci sbattiamo un ragazzo che c'ha i parenti a Campobasso. Anche quella è in Molise, vero?»
«Già.»
«Quindi anche tu sei di lì?»
«Ci sono nato.»
«Quindi è vero che è abitato. Pensavo fosse una leggenda.» Lo scocciatore scoppiò a ridere, piegò i braccio e diede una gomitata a Davide che si ritrasse.
«Perché ridi?» Gli chiese, cercando in se lo sguardo più asettico di cui fosse capace.
«Perché è divertente; è un po' come parlare dei funerali dei cinesi.»
«Cosa c'è di divertente nei funerali dei cinesi?»
«Hai mai visto un loro funerale?»
«No.»
«Appunto.» L'uomo scoppiò nuovamente a ridere e gli tirò un pugno sulla spalla.
Davide sbuffò e si massaggiò. Non lo sopportava proprio. Recuperò il libro e si mise a cercare il punto a cui era arrivato.
«E dove vivi di solito?»
«Pavia.»
«In Lombardia!»
«Bravo.»
«Hai visto che le altre regioni le conosco.»
Un colpo al gomito fece cadere il libro dalle mani di Davide. «Conosci la geografia, però ora vorrei leggere» sibilò, serrando le mascelle e chinandosi.
«Strano però, non hai l'accento molisano» riprese subito a dire lo scocciatore.
Davide sbuffò, chiuse il libro, se lo appoggiò sulle ginocchia e tornò a guardare l'uomo. «Perché, come sarebbe l'accento molisano.»
L'uomo sorrise, corrugò la fronte e si leccò il labbro superiore. «Hai ragione, non ne ho la più pallida idea. Marco non parla quasi mai e quando lo fa non ha nessun accento. Come te.»
«Okay.» Davide riprese in mano il libro, deciso a finire il capitolo che stava leggendo.
«Se ci pensi è strano…»
«Cosa?» Sollevò gli occhi al cielo.
«Perché nessuno sa nulla del Molise?»
«Perché siamo persone che non amano chiacchierare!»
«Può essere, ma non mi convince.»
«Okay. È un mistero!»
«Già…» L'uomo sembrò riflettere, ma la pausa durò poco. «E cosa fai nella vita?» chiese.
«Il cuoco.»
«Bello! Quante stelle hai?»
«Nessuna.»
«Peccato, avrei voluto farmi una foto con un chef stellato. Ormai rimorchiate più dei calciatori.»
«Magari gli altri.» Davide sbuffò.
«Quindi che vai a fare in Molise?»
Una vampata di calore attraversò Davide, doveva chiudere la conversazione e finalmente aveva l'arma buona per sedarlo per sempre. Si abbassò, aprì la cerniera dello zaino ed estrasse una busta bianca che gli passò. «Ieri ho ricevuto questa.»
Lo scocciatore si strofinò le mani e l'aprì. I suoi piccoli occhi andarono da sinistra a destra e l'espressione arzilla perse di vivacità. Sollevò lo sguardo su Davide e deglutì. «Mi dispiace» sussurrò, ridandogli la busta.
Finalmente tornò il silenzio. Davide poggiò la testa sul finestrino e guardò comparire dalle sue spalle la stazione di Pescara. Poco dopo sarebbe dovuto scendere per prendere il pullman che l'avrebbe portato in quel posto in cui aveva passato solo pochi giorni della sua vita e in cui era nascosto il segreto della sua nascita.

La testa poggiata sul finestrino, Davide teneva gli occhi chiusi. La voce dello scocciatore non c'era più e neppure il moto perpetuo del treno… aprì gli occhi e cercò di capire dove si trovasse. Le poltrone blu e il grosso finestrino, su cui era rimasta l'impronta della sua fronte, gli dissero che era su un pullman. Si abbassò di colpo e allungò la mano; il contatto con lo zaino gli fecero tirare un sospiro di sollievo: la lettera era al sicuro.
Strizzò gli occhi e cercò di ricordare come ci fosse finito sul pullman. Ricordava gli occhi pesanti all'altezza di Pescara, il rumore del treno, il suo corpo che oscillava ritmicamente e poi più nulla.
Sospirò e si guardò attorno. La luce si spense per un istante e subito tornò a illuminare i sedili vuoti. Era l'unico passeggero. Tossì e si alzò. Guardò fuori dal finestrino, ma l'unica cosa che riuscì a scorgere fu il riflesso del suo trench grigio.
«Ma che cazzo!» imprecò. Si sentiva in un film horror, nemmeno troppo originale.
Raccolse lo zaino, se lo mise in spalla e avanzò verso il conducente. Attraverso lo specchio, con cui l'uomo controllava i passeggeri, intravide il cappello abbassato sugli occhi e la giacca blu.
«Scusi?» disse, avanzando. «Dove siamo?»
Il conducente sembrò non ascoltarlo. Con gesti ampi, girò il volante per fare un'ampia curva. Davide si sbilanciò e cadde in mezzo a un'altra fila di sedili.
«Cazzo!» imprecò. «Faccia più attenzione, non si è accorto che ero in piedi?»
Com'era prevedibile non ricevette alcuna risposta.
Imprecò, si alzò e lo raggiunse a lunghe falcate. «Manca molto a Isernia?» chiese, picchiettandogli l'indice sulla spalla.
Un forte fischio mise in allerta Davide che si protese nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa, ma la frenata fu troppo brusca: impattò con la testa contro un palo e per poco non cadde a terra.
«Nu standand a Isernia.»
Frastornato, Davide cercò di dare un senso alla risposta del conducente ma, fatta eccezione per il nome della città, il resto era stato detto in una lingua sconosciuta. Si voltò verso di lui, convinto di riprovarci, ma rimase a bocca aperta. Al volante c'era un uomo con il muso oblungo, occhi rotondi poco espressivi e due grosse orecchie marroni che sbucavano dal capello. Sembrava un asino.
Davide boccheggiò, fece due passi all'indietro e si aggrappò a una sbarra per non cadere per l'ennesima volta.
«Co-co-cosa sei?» balbettò.
«Bremesso che mango tu mi sembri un figurino, penzo che tu sctia a esaggerà. Mango avessi viscto nu mostro!» Il volto dell'autista era tornato umano, magari in una versione brutta, ma pur sempre umana. Aveva zigomi scavati, occhiaie profonde e un lungo naso a punta. Si portò la mano al mento e si grattò la barba ispida. «Te senti bene?» chiese.
«Certo, è che tu…» Davide si interruppe e si massaggiò gli occhi. «Scusa, ma credevo che tu…»
«Mo lasciamo perde. Gomungue staremo a Isernia dra un'ora.» L'uomo sbuffò dal naso e si concentrò sulla strada.
Davide continuò a fissarlo, convinto che da un momento all'altro si potesse ritrasformare. Quella situazione era strana; si era addormentato sul treno per poi risvegliarsi su un pullman. L'unica nota comune era il personaggio improponibile con cui era.
«Nun te vo sedere? Se me gontinui a guardà me sciupi il faccino. Dorme se te riesce che t'ascpetta na bella sorpresa.» L'uomo serrò gli occhi e si mordicchiò il labbro.
«Chi mi aspetta?»
«E ghe ne so io, se tu che stai ad annà a Isernia ge l'avrai pure nu motivo.»
Davide socchiuse le palpebre e osservò l conducente, aveva capito bene le sue parole e quell'uomo gli stava nascondendo qualcosa. «Come mai non c'è nessun altro sul pullman?» chiese, avvicinandosi a piccoli passi.
«E ghe ne so, faccio il gocchiere miga l'indovino.»
«Ha ragione, mi scusi. Comunque io mi chiamo ANDREA.» Allungò la mano e sorrise.
Il conducente strabuzzò gli occhi, si voltò di scatto e spalancò la bocca. «Che vor dì che te ghiami Andrea? Nun zei Davide, lu nupoti de Teresa “la Stracciara”?»
«Fregato!» esultò Davide. Serrò i pugni e li allungò in avanti; con quello di sinistra colpì il mento del conducente che si sbilanciò verso sinistra. Nel movimento portò con se anche il volante, il pullman si girò su se stesso, andò fuori strada e si fermò contro il costone della montagna su cui si stavano inerpicando.
«N'gulo a te me stavi a sfonnà la faccia.»
Davide, rannicchiato a terra dov'era stato proiettato dall'incidente, si girò mortificato. «Scu…» balbettò.
Il conducente era si stava massaggiando il muso con lo zoccolo di una delle zampe superiori. «Scta mbo attendo. Ce potevamo ammazzà!» Gli porse l'altra zampa e sorrise. «Me chiamo Venturino, ma da 'ste parti me conoscono come “Cocchio”.»
Davide indietreggiò, spalancò la bocca e la richiuse un paio di volte, ma non riuscì a dire nulla.
«Ghe, non hai mai visto un molisano?» chiese Venturino.
La testa di Davide cominciò a girare, gli mancò il fiato e tutto divenne nero.

«Non t'avevo detto di non farti scoprire?»
«Marescià, guesto sta furbo guando “il Faina”. Giuro che non gli ho detto nulla.»
«Guarda come l'hai conciato e guarda il pullman.»
«Che ve devo da dì, m'ha aggredito gon un basctone.»
«Tutte scuse Cocchio, e poi non c'è nessun bastone da queste parti.»
Ad occhi chiusi, Davide ascoltava la conversazione tra Venturino e quello che doveva essere il maresciallo di quel posto. Il ricordo dell'asino travestito da conducente gli diceva di non guardare, ma forse quel ricordo era frutto dell'incidente. Mosse le dita e sentì del terriccio sotto di lui, era a terra. Cauto, aprì uno spiraglio tra le palpebre e sbirciò i due che continuavano a discutere. Un nodo alla gola gli bloccò il respiro: l'asino stava parlando con un roano fulvo alto almeno tre spanne piùdi lui. Non poteva essere vero.
«Maresciallo, il figlio della Stracciara si è ripreso.»
Davide girò lo sguardo verso la terza voce, quella che si era accorta dei suoi movimenti. Un uomo falco lo guardava con il becco poggiato sulla spalla.
«Benissimo appuntato, per fortuna che uno sveglio c'è da queste parti.»
«Ghe vorrescte dì? Nun greda che perché tiene 'na divisa io non le infili uno zoccolo tra quei denti da sctallone.» Venturino sollevò la zampa e l'agitò in aria.
Il maresciallo socchiuse gli occhi, sbuffò e scosse la testa. La criniera ondeggiò leggera. «Appuntato, aiuti il ragazzo ad alzarsi. Abbiamo parecchie cose da dirgli.»
«E no, mo m'ingazzo. La stracciara ha detto a me di accompagnarlo.»
Mentre l'uomo falco lo aiutava ad alzarsi, Davide osservava stralunato gli altri due che discutevano. La botta in testa doveva essere stata più forte di quanto credesse, ora quei due parlavano di sua madre come se fosse ancora viva, ma il telegramma parlava chiaro: le era morta due giorni prima. Portò la mano ai capelli e li tastò alla ricerca del sangue. Ne era certo, doveva avere una frattura cranica.
«Allora faccia come vuole. Appuntato, gli presti la moto.»
«Maresciallo, ma io come torno a casa?»
«Ma è possibile che devo pensare a tutto io? Chiami qualcuno e si faccia venire a prendere, ma prima finisca i rilevamenti!» Il maresciallo portò una zampa alla fronte, batté gli zoccoli inferiori e piroettò su se stesso. Mentre si allontanava la coda gli si agitava nervosamente.
«Stai dutto indero?» chiese Venturino, prendendolo a braccetto. «M'hai fatto brendeteun golpo, penzavo che te fossi ammazzato co 'sto volo.»
Davide scosse la testa, non era una visione, ma un sogno. «Grazie, uomo asino. Non mi sono fatto male.» La voce gli uscì innaturale, quasi robotica.
«Nun me piace ghe me ghiami coscì. T'ho già detto ghe sono Venturino lo Cocchio»
«Bene Venturino lo Cocchio,posso farti una domanda?»
«Ge mangaria!»
«Perché sei l'unico a parlare così?»
«Coscì gome?»
«Hai un accento strano.»
«Nun tengo nessun aggendo.»
«Non è proprio così. Fatico a capirti.»
«Bellino, me sctai a infastidì. Se nun te sctai zitto te prendo a zoccolate sur muso!»
«Come lei comanda, Venturino il Cocchio. Dove dobbiamo andare ora?»
«Te sto a portà da nonna tua, te deve da dì na cosa mportante.»
«Pensavo di assistere al funerale di mia madre oggi.»
«Berché, nun se sente bene?»
«Il telegramma dice che è morta.»
«Se lo dige il delegramma te poi fidà. Sora Marmotta nun sbaglia un golpo.»
«Venturino, perché siete tutti animali?»
«Nun lo zo, tu non zei una besctia? Mo l'omo non è più n'animale?»
«Il suo discorso non fa una grinza. Mi dica cosa devo fare.»
Venturino abbassò il muso e lo guardò di sottecchi. «Sali sulla moto» intimò, indicando una vespa con i colori dei carabinieri.
Davide lo seguì, aspettò che Venturino montasse sulla sella e fece lo stesso.
«Me sctai a schiaccià la goda!» ragliò l'asino, scansando in avanti.
«Scusa, è la prima volta che salgo su uno scooter con un…» Davide, memore delle proteste precedenti si mordicchiò il labbro inferiore. «…con un estraneo.»
Venturino non gli rispose, accese la moto e partì sgommando.
Appena presero velocità, le orecchie de lo Cocchio, mosse dal vento, iniziarono a schioccare colpi secchi sul viso di Davide. Il ragazzo rimpianse di non aver messo il casco e pensò a quanto potessero essere vividi alcuni sogni.

La Vespa si fermò poco dopo essersi infilata in una stradina sterrata. L'aria era fresca e da lontano iniziavano a scorgersi i primi raggi di sole che illuminavano le cime degli alberi.
Venturino scese dallo scooter, si mise su quattro zampe e si piegò in avanti; gli zoccoli dietro sferrarono un paio di calci all'aria. «N'gulo che viaggio. Nun zono fatto pe le due ruote» disse, riguadagnando la posizione eretta.
Davide, ancora convinto di vivere in un sogno, si stiracchiò e mise un piede a terra. Le ginocchia gli tremarono e per un attimo sentì ancora le vibrazioni del sellino. «Siamo arrivati?» chiese.
«Nonneta sta in guella gatapecchia.» Venturino indicò una casa in legno con il tetto cadente.
«Quindi?»
«Guindi te sta ad ascpettà! Muoviti va. Nvedi un bo 'sti cittadni, nun gabiscono niende» si voltò imprecando.
Davide decise che sarebbe andato avanti senza il suo animale guida, il suo compito era finito. Doveva proseguire da solo verso il suo destino.
Si chiuse nelle spalle e camminò a testa bassa. Non credeva che l'annuncio della morte della madre avrebbe potuto ridurlo così. Non aveva l'aveva mai vista: finché era piccolo lei non si era mai fatta viva e una volta cresciuto era stato lui a non volerla vedere.
Arrivò alla baracca e spinse la porta di legno che cigolò sui cardini e si aprì. Una luce fiammeggiante illuminò le pareti spoglie. Al centro della stanza c'era un tavolo con poggiati sopra due piccoli bicchieri e una bottiglia contenente un liquido scuro. Il pavimento scricchiolò sotto il peso di Davide che entrò.
«Signora Stracciara» chiamò, timidamente.
Alla sua sinistra qualcosa cigolò. Si voltò e, su una sedia a dondolo, vide una vecchia imbacuccata sotto a una coperta. Aveva il muso dolce dei gatti Persiani, il pelo lucido e baffi completamente bianchi. «Benvenuto, Davide.» Sorrise. In piedi accanto a lei, c'era una gatta simile, ma decisamente più giovane.
Davide si chiuse la porta alle spalle e accennò un inchino, senza distogliere mai lo sguardo dalle due. «È lei la Stracciara.»
«Non chiamarmi così, io sono la tua nonna.»
Il cuore di Davide cominciò a battergli forte in petto. L bocca gli si asciugò e gli occhi gli si riempirono di lacrime. Un pensiero gli sfiorò la testa, ma lo rigettò immediatamente. L'altra gatta non poteva essere sua madre. «Ciao nonna!» disse, con la voce rotta dal pianto.
Lei sorrise e inclinò la testa. «Com'è andato il viaggio?»
Davide sorrise «Ho conosciuto dei tizi strani, ma è un sogno, quindi tutto è possibile» disse, più a sé stesso che alle altre.
La gatta accanto alla nonna lo fissò per n attimo, poi distolse lo sguardo.
«È un piacere vederti, sei diventato grande.»
Davide arrossì e andò a sedersi. Abbassò lo sguardo sulla bottiglia poggiata al centro del tavolo, allungò la mano e la impugno.
«Piaceva tanto anche a tuo padre.» Questa volta fu la gatta più giovane a parlare.
Davide la fulminò con lo sguardo. «Lei è?»
«Non importa.» La gatta abbassò lo sguardo.
«È vero, non importa» ripeté lui, che in cuor suo sapeva chi doveva rappresentare. «Perché sono qui?» chiese, con un filo di voce.
«Perché lo volevi.»
Le mani iniziarono a tremargli. «No, non l'ho mai voluto!»
«Invece sì, altrimenti sogneresti altro.»
«Quindi questo è veramente un sogno?»
«Lo è se lo vuoi, altrimenti questo è il fantastico mondo del Molise e noi siamo la tua famiglia.»
La faccia di Davide avvampò, le lacrime iniziarono a colargli sulle guance. «Sì, voglio che sia tutto vero. Poggiò la testa sul tavolo e iniziò a piangere.» In fondo, se quello era un sogno poteva essere sincero.
Le assi del pavimento cigolarono, due paia di zampe affossarono tra i suoi capelli. Alzò lo sguardo e incrociò quello felino della gatta più giovane. «Mamma» sussurrò.
Un abbraccio morbido gli scaldò le membra, la gatta iniziò a fare le fusa e lui si abbandonò al più bel sogno della sua vita.


La mattina dopo mi svegliai alla stazione di Bari. Appoggiato sulle mie ginocchia c'era un quadernetto con decine di ricette molisane scritte a mano. Mi sentivo bene, appagato. Non andai al funerale di mia madre; lei l'avevo già conosciuta.
Da quel giorno decisi che la vita andava vissuta con il sorriso sulle labbra. Così ho deciso di regalare anche a voi il mio sogno.
Buon appetito
Chef Davide della Stracciara.

La donna, seduta al tavolo del ristorante “Il fantastico mondo del Molise”, finì di leggere la storia scritta in fondo al menù. Sollevò un dito e scacciò una lacrima. Afferrò il quadernetto degli appunti, finì di masticare e scrisse il nome del ristorante. Portò la penna alle labbra, mordicchiò il tappino e sollevò gli occhi al soffitto. Inspirò e tracciò tre piccoli cappelli sulla pagina con sotto scritto Michelin.



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Marco Lomonaco - Master
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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#2 » venerdì 17 giugno 2016, 13:56

Hola Ceranu... errando, avevo cominciato a leggere e commentare i racconti del mio girone, cominciando proprio dal tuo... alla fine del tuo mi sono accorto che in realtà dovevo commentare quelli dell'altro girone, ma ormai il tuo l'avevo fatto, quindi te lo posto lo stesso... non ti ho indorato la pillola, tanto ormai sei un ometto XD
E almeno ti prepari gradualmente al livello di ferocia che metterò in atto quando leggerò quello che mi avevi mandato qualche tempo fa! ;)

"Ma Marco, che fa? Non cincischi! Posti il commento!"
E va bene, tiè...

Hola Ceranu, era parecchio che non leggevo niente di tuo e ti trovo generalmente migliorato. Ho avuto l’impressione che tu non abbia sistemato al 100% nessuno di quelli che erano i tuoi “difetti” principali, ma che abbia lavorato un po’su tutto, innalzando il livello così. Una scelta interessante, i risultati comunque si vedono (ma non festeggiare, il brano sarà comunque massacrato :P ).

La cosa che più mi preme di dirti riguardo il racconto è: come cazzo guidava la vespa l’asino con gli zoccoli al posto delle mani? Il pullman ancora ancora lo capisco, ma la vespa? Questo è quello che mi martella la mente con più forza anche dopo che ho finito la lettura. E sia chiaro, non mi dà fastidio che lo facesse, mi va benissimo che un ungulato guidi una vespa, e assolutamente non ti sto dicendo che non dovrebbe/potrebbe farlo… quello che mi è mancato è stato solo di capire come, di trovare nel testo una soluzione divertente (magari anche inutilmente complicata e improbabile) con cui Venturino riuscisse ad afferrare l’acceleratore, giralo, cambiare le marche, e FRENARE!!! :D
Tra l’altro occhio, perché la Vespa è stata studiata proprio a partire dalla posizione di guida, che è molto seduta, quindi del tutto analoga a quella di un’auto. Il problema della postura avuto in vespa avrebbe dovuto averlo molto simile anche in pullman. Paradossalmente è più naturale per un asino la posizione di guida di una stradale.

Perché lui va a trovare la madre quando muore? Dici esplicitamente che non ha voluto vederla lui da quando è diventato grande, ci sta che alla morte lui voglia andarci, ma è comunque un punto di svolta per il personaggio che prima non voleva assolutamente fare una cosa A e poi fa la cosa A, questi snodi vanno seguiti meglio.

Questo pezzo che ti copioincollo è un disastro: “Arrivò alla baracca e spinse la porta di legno che cigolò sui cardini e si aprì [e qualche altra “e”?]. Una luce fiammeggiante illuminò [illuminava, è all’interno, va presunto che la illuminasse anche prima, oppure mi dici esplicitamente che si accende in quel preciso momento] le pareti spoglie. Al centro della stanza c'era un tavolo con poggiati sopra due piccoli bicchieri e una bottiglia contenente un liquido scuro. Il pavimento scricchiolò sotto il peso di Davide che entrò [no, il pavimento non può scricchiolare sotto il suo peso prima che lui entri!].”

Poi, subito dopo passa da “ciao estranea che non ho mai visto e ha la faccia da gatto” (che comunque gli avevano già detto essere sua nonna) a “buaaaaahhh, piango perché sei mia nonna estranea che non ho mai visto e di cui non me ne fregava una ceppa fino a un secondo fa e ha pure la faccia da gatto” in 0 secondi, senza che tu dia spazio al mutare delle emozioni, a un ricordo, a qualcosa che insomma giustifichi il cambiamento. Risulta poco credibile. Non la reazione in sé, ma il passaggio tra le due attitudini.

Da qui in poi crolla tutto. Finale affrettato, non ragionato, non narrato, so che hai scritto in fretta e magari è per quello, però comunque il finale è, a mio avviso, pessimo.
Innanzitutto non sta molto in piedi la cosa del "è un sogno/non è un sogno”. Poi, scusami, 17k di racconto in fondo a un menù? E qualcuno se li legge tutti? Prima di tutto le guide Michelin girano a coppie, da sole sarebbero troppo facilmente identificabili, e cercano spesso di fare cose abbastanza normali, a parte alcune pratiche che esercitano per testare l’efficienza del servizio e consimili. Quindi, per esempio, non si portano appresso dei fogli siglati michelin per segnarsi le cose :P
Poi, in un ristorante stellato (o in procinto di esserlo) viene valutato anche il servizio, quindi leggere un brano da 17k è difficile durante una cena, prima di tutto perché non ti lasciano il menù quando mangi, poi perché tra l’ordine e l’arrivo della portata non deve passare troppo tempo, altrimenti ciao ciao stelline.
Poi, sempre partendo dal finale ma andando a ritroso, manca equilibrio nel brano. Tutti i personaggi che hai tirato in ballo, che fine hanno fatto e in che modo hanno contribuito a delineare ambientazione, caratterizzazione del personaggio, finalità della storia?
Partiamo dall’inizio, il tizio del treno, gli hai dato una marea di spazio per cosa? Per mettere in scena il telegramma? Così facendo crei un’aspettativa che poi non soddisfi, perché se qualcuno ha molto spazio, il lettore per forza presume che sia importante, e se poi non lo è diventa un problema, rimane un senso di incompiutezza.
Il “mistero” di come sia passato dal treno al pullman, ci poni l’accento e poi lo lasci perdere. E alla fine non ne sappiamo più niente, ma sono 17k, non faccio a tempo a dimenticarmene, quindi mi aspetto una qualche spiegazione, quantomeno accennata, qualcosa.
Maresciallo e appuntato ci possono stare, non hanno molto spazio, fanno quello che realisticamente dovrebbero fare, spariscono, ok. La mamma e la nonna invece? Sono il fulcro del racconto e liquidi tutto in un paragrafetto agile in cui in buona sostanza non succede nulla a parte qualche lacrima? Poi il protagonista alla fine si comporta total random, arriva, deduce, piange, si siede (senza essere stato invitato a farlo, sei comunque a casa di estranei, che sono pure dei mostri), prende la bottiglia, piange… Tutto ciò non solo non è giustificato dalle caratterizzazioni date fin qui (e quella di madre e nonna sono del tutto assenti, anche in modo indiretto, sappiamo solo dell’abbandono), ma è proprio un po’buttato lì tipo “adesso non so come gestire questa scena, boh, andiamo a braccio”.

Poi, ultima cosa che ti segnalo, il telegramma… gira tutto attorno a sto benedetto telegramma e alla morte della madre, poi salta fuori che la madre non è morta, e ok… ma allora mi spieghi perché questo telegramma? La madre voleva conoscerlo e ha mandato un telegramma fittizio? Perché proprio ora? Quando un personaggio si comporta (anche se non l’hai mostrato) in un modo A e a un certo punto fa una cosa diversa, deve avere una motivazione. La madre non l’ha cagato per mille anni e poi, random, “toh, spe che gli mando un telegramma in cui gli dico che sono morta, così magari viene a trovarmi e la nonna gli dà un po’di ricette”? Detta così è un po’brutale, ok, ma è esattamente così che si percepisce.

Scusa, mi son ricordato di un’altra cosa: perché lui non è a sua volta almeno mezzo gatto?
E perché la madre e la nonna lo hanno abbandonato?
Eccetera.

In generale la scrittura, come dicevo, è migliorata… ma sulla struttura e sulla coerenza interna ci sono ancora svariati problemi. Non so se sia una cosa specifica di stavolta, magari anche causata dalla fretta, però resta il fatto che valutando il brano io ci ho trovato queste problematiche.

Spero di non essere stato troppo duro, notavo l’altra volta che in genere ci andate un po’più diplomatici da queste parti, ma lo sai che non dico mai niente con cattiveria e che quello che dico è il mio disinteressato parere, con cui non sei costretto a concordare. Vedi tu di quello che ti ho detto cosa ti può essere utile, e cestina a cuor leggero il resto ;)
Comunque mi ha fatto piacere rileggerti dopo tanto tempo. :)

Alla prossima!
Se dici cose senza senso, sarai trattato come un paroliere.
Sbattuto su e giù e ribaltato su un tavolo, fino a che le tue interiora saranno fuoriuscite.
E ci leggerò dentro ciò che mi pare, magari il futuro. [cit.]

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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#3 » venerdì 17 giugno 2016, 15:40

Ciao Marco, ben vengano i commenti dettagliati.
Come sai ho scritto il racconto in 3 ore, quindi parte di questi problemi li avrei risolti. L'idea di tagliare la prima parte c'era, ma il tempo no. Mi ero accorto che era troppo lungo, ma non sono riuscito a tagliare.
Asino che guida la Vespa. A dire il vero non ci avevo pensato, ma ne terrò conto in fase di riscrittura.
Perché va al funerale? Voleva conoscere le sue origini. Una volta morta la madre non c'era più motivo di non andarci.
Lo stratagemma del telegramma si giustifica perché la madre lo ha invitato più volte, era lui a non volerci andare.
Il finale è affrettato, vero, ma credo possa essere apprezzato.

Questione Michelin. La donna non è detto che sia sola al tavolo. Se voglio lasciare un libro da leggere a chi sta mangiando non credo sa vietato e il foglio sponsorizzato mi serviva per ovvi motivi.

Perché sia stato abbandonato direi che è palese. Lui è un uomo, lei una gatta. Il padre si è trasferito lontano dal Molise, dove lei non poteva raggiungerlo. Geneticamente ci sta che lui non abbia l'aspetto del gatto. Magari si fa le unghie sul cartone, ma questa è un'altra cosa.

Bene, dai. Pensavo peggio.
Terrò conto della critica e cercherò di rielaborare.
Ciao

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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#4 » venerdì 17 giugno 2016, 15:47

Ok tutto quello che dici, ma niente di tutto ciò passa in maniera chiara dal testo... i dubbi che a fine lettura rimangono a un lettore comunque abbastanza attento sono preziosi, perché non ci dicono solo cosa magari non c'è, ma anche cosa di quello che c'è non è rimasto impresso o non si è capito ;)

La questione dell'abbandono non mi torna neanche adesso che me l'hai detta, non comba con alcune cose del brano. Tipo con l'asino che prima lui lo vede asino, poi umano, poi ancora asino, pensavo che i "mostri" avessero (come in IWOC, ma magari ho sbagliato io a fare il collegamento) quella skill che ti permette di non essere visto o di essere percepito come "normale". E quindi pensavo che saltasse fuori che lui non era proprio tutto umano prima o poi.
Se dici cose senza senso, sarai trattato come un paroliere.
Sbattuto su e giù e ribaltato su un tavolo, fino a che le tue interiora saranno fuoriuscite.
E ci leggerò dentro ciò che mi pare, magari il futuro. [cit.]

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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#5 » venerdì 17 giugno 2016, 16:09

Non ho pensato al collegamento con IWOC, ma è una cosa simile.
A dirti la verità non ho più riletto il racconto, il senso di frustrazione per non averlo potuto correggere è tanto, quindi lo farò nel momento in cui avrò modo di lavorarci bene. Di conseguenza non so bene cosa possa arrivare al lettore, ci sta che alcune cose siano rimaste nella mia mente. :D

valter_carignano
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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#6 » sabato 18 giugno 2016, 18:33

ciao

secondo me, idea molto ma molto carina, condotta a tratti in maniera splendida (come il risveglio del protagonista fra 'gli animali'). Siamo in un ambito fantastico, per cui - sempre secondo me - un animale può guidare qualunque mezzo (vedi Zootropolis). Ottimi i dialoghi. Bravo.

Riguardo invece alcuni degli appunti che ti sono stati mossi, IMHO qualcuno lo condivido, anche se mi sembrano cose meno gravi di quanto ti sia stato fatto notare: il tutto è un pochino disordinato e qualche aspetto poteva essere sviluppato meglio.
Sempre personalmente, anch'io non avevo capito bene perché era stato abbandonato; se ti può consolare, anch'io nel mio racconto - per timore di essere didascalico o troppo ovvio - ho omesso una cosa che poi mi è stata fatta notare come importante.

Come già detto in altri commenti, dal punto di vista formale segnalo soltanto errori gravi, non refusi o punteggiatura imprecisa o mancante e simili, perché si tratta di racconti che di norma uno non ha il tempo di lasciare maturare, rivedere dopo due mesi, correggere... Carver non era contento se non faceva almeno dieci revisioni, in questi casi non se ne può nemmeno fare una per bene. Ovviamente, ci mancherebbe, errori gravi non ne fai, quindi per me tutto bene.

In conclusione, per me l'idea di base è davvero ottima. Qualche mancanza nello sviluppo e nella conduzione, se vorrai metterai sicuramente tutto a posto.

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lordmax
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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#7 » sabato 18 giugno 2016, 22:40

L'idea del Molise mi è piaciuta molto e anche di renderlo un luogo fiabesco e surreale.
Bella la caratterizzazione dello spaccamaroni sul treno, credo che tutti i pendolari se ne siano trovati qualcuno seduto di fianco.
All'inizio mi è piaciuta la caratterizzazione del protagonista poi mi sono un poco perso.
Non ho capito bene di cosa fosse in caccia il nostro cuoco, che per altro è un cuoco solo per caso, poteva essere qualsiasi altra cosa.
Si sente molto l'astio verso la madre ma mi ha stupito questo suo crollo totale quando vede la nonna gatto.
Ho avuto l'impressione di un racconto che puntasse sull'aspetto surrealistico, reso bene dalla forma animalesca dei personaggi e dallo strano modo di parlare del conducente, ma non ho capito lo scopo del viaggio, non nel senso che andava al funerale ovviamente ma nel senso della caccia.
Se la caccia del protagonista era verso le origini familiari il crollo improvviso mi ha molto spiazzato.
Se la caccia era verso le ricette molisane non l'ho proprio sentita, pare che le abbia ottenute a caso, senza reale ricerca come se fossero un di più.
Bella la chiusura finale ma anche lì non ho sentito la spinta drammatica. Alla critica spunta una lacrima di commozione ma quando l'ho letto il mio pensiero è stato "perché?", non ho trovato un tono drammatico o nostalgico nel racconto.

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ceranu
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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#8 » sabato 18 giugno 2016, 23:16

Ciao Valter e Max.
Ho poco da dire, probabilmente molte cose sono rimaste nei tasti.
Max, la commozione ci sta, ma dovresti essere donna per capirlo :P
La caccia del protagonista era verso le sue origini.
Sul cambio del protagonista dovrei averlo chiarito, lui cede perché pensa di essere in un sogno. Forse è stato tutto troppo repentino, però te lo confermerò al primo giro in Vespa con un asino (non vi proponete, non mi piace andare in moto :P).
Concordo con Valter sul fatto che nel sogno tutto sia possibile, ma cercherò comunque di dare due spiegazioni in più.

Daniel Travis
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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#9 » domenica 19 giugno 2016, 18:21

Devo accodarmi agli altri commentatori, una buona idea si è sciolta in un paio di punti fondamentali: emozioni e reazioni. Che sotto ci sia un'ottimo spunto e una buona tecnica resta indiscusso (e si vede), ma d'altronde ormai comincio a conoscervi e che siate bravi a raccontare non serve dirlo (ma fa sempre bene).
Ho già scritto in un altro commento che il formato della sfida, secondo me, ci ha messi un po' tutti in difficoltà, fino a un certo punto: parecchi tra i partecipanti credo si siano trovati davanti una bottiglia anziché il solito bicchiere e abbiano provato a versarci dentro una damigiana di idee.
Bello, se un po' esagerato (ma qui la mia esperienza di sei anni di pendolare potrebbe farmi credere troppo di sapere "come vanno le cose su un treno"; e comunque non più di un po'), il dialogo iniziale che fa da contrasto con l'atmosfera surreale della seconda parte.
Nella seconda parte, ho visto un po' di fretta.
Un paio di esempi.

«Ha ragione, mi scusi. Comunque io mi chiamo ANDREA.» Allungò la mano e sorrise.
Il conducente strabuzzò gli occhi, si voltò di scatto e spalancò la bocca. «Che vor dì che te ghiami Andrea? Nun zei Davide, lu nupoti de Teresa “la Stracciara”?»
«Fregato!» esultò Davide. Serrò i pugni e li allungò in avanti; con quello di sinistra colpì il mento del conducente che si sbilanciò verso sinistra. Nel movimento portò con se anche il volante, il pullman si girò su se stesso, andò fuori strada e si fermò contro il costone della montagna su cui si stavano inerpicando.


Innanzitutto, il maiuscolo. Che mi significa? Se evidenzi parte di un dialogo (di solito si usa il corsivo), in discorso diretto, significa che quella parte è, guardacaso, evidenziata: se voglio ingannare qualcuno costringendolo a tradirsi, di certo non sottolineo proprio la parte ingannevole. Tanto più che col maiuscolo l'impressione che passa è che lui gli dica "Comunque io mi chiamo" e poi urli senza preavviso "ANDREA"... Se la sottolineatura era a favore del lettore, invece, si poteva fare fuori dialogo, e secondo me non era neanche indispensabile: siamo a metà di un racconto da dieci cartelle scarse, me lo ricordo il nome del protagonista (anche perché è l'unico nome proprio che mi è stato dato finora), lo vedo se ne dà uno falso, senza contare che lo stratagemma si svela in due righe.
Poi il conducente si scopre, effettivamente (da somaro qual è) e la reazione del protagonista è avanzare con entrambi i pugni (gesto comico di per sé, fa molto robottone giapponese) per colpire in faccia l'autista dell'autobus su cui si trova, in viaggio su una strada di montagna?
Ora, sono il primo a dire che le persone (e dunque i personaggi) non sempre si comportano secondo ragione, specie in situazioni di stress, anzi, però diamine, qui siamo al limite della parodia. Anche se non hai avuto il tempo di notare di essere in una strada di montagna.

Il racconto prosegue, Davide decide di essere in un sogno e in uno schiocco di dita riesce a cambiare completamente il proprio modo di parlare e a cancellare qualunque reazione emotiva all'assurdità circostante. Il che ci potrebbe anche stare, in maniera un po' stiracchiata, se questo cambiamento ci fosse mostrato in modo organico e naturale, ma non lo è.

Sul finale non posso che essere d'accordo con i commenti precedenti: l'emozione non esce dalle parole, abbiamo pagine per farci stare sulle scatole un passeggero del treno e qualche riga per commuoverci di fronte a una riunione di famiglia di cui sappiamo poco e niente e che, come altri hanno già fatto notare, sembra nascere più da una madre e una nonna sadiche che agiscono nel male o nel bene senza motivo per incasinare la testa del povero Davide che da una storia che possa avere effettivamente corpo, solidità, ampiezza e profondità.
Dell'emozione siamo soltanto informati: non ci arriva. Così sembra assurdo quando invece la critica culinaria si commuove (e no, non basta possedere una vagina per commuoversi in automatico di fronte a una riunione madre/figlio, te lo garantisco). Per dire: perché la parte in cui le emozioni hanno luogo è in terza persona e con uno stile piuttosto asciutto e molto improntato al dialogo e in certi punti addirittura all'azione, mentre il riassunto delle puntate precedenti/morale della favola finale è in un'accorata prima persona? Non solo è una scelta che non lavora a tuo favore nel racconto (casomai avrebbe funzionato il contrario), perde ancora più credibilità quando sappiamo che la stessa storia è stampata sul menù del ristorante. Sulle "stranezze" della critica, della sistemazione del racconto sul menù eccetera, poi, altri hanno già detto.

Insomma, l'idea può funzionare, e scusa se sono stato molto duro e diretto, ma credo che serva un grosso lavoro di riscrittura per farne un buon racconto.
Il Crocicchio è un punto tra le cose. Qui si incontrano Dei e Diavoli e si stringono patti. Qui, dopo aver trapassato i vampiri e averli inchiodati a terra, decapitati, bruciati, si gettano al vento le loro ceneri.
Il Crocicchio è un luogo di possibilità.

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ceranu
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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#10 » domenica 19 giugno 2016, 18:55

Ciao Daniel, niente scusa, va bene così.
Come già detto il racconto è una prima stesura scritta di getto. Sono subentrato a Maurizio e il tempo a disposizione era veramente poco.
Il nome era effettivamente "urlato" in quanto anche il protagonista non è un genio dell'inganno.
Il pugno è decisamente esagerato, ma a quel punto ho fatto uscire il racconto dal binario della credibilità e ho cercato di incanalarlo su un surreale/demenziale.
Avrei voluto inserire un'altra parte del viaggio (volendo lo spazio c'era), ma non avevo tempo. Così sono arrivato di corsa al finale dove ho tranciato il dialogo con la madre.
Mi sento di difendere la prima persona inserita nel finale. Quello che leggono gli avventori non è quello che leggete voi, ma una versione riscritta da lui. Il corsivo e la scelta del cambio di narrazione speravo vi indirizzasse. Probabilmente non è così, vedrò come fare.
Per quanto riguarda il tomo in fondo al menù non vedo il problema, da "Fratelli la Bufala" c'era la storia della loro famiglia. Certo, era una pagina e non sette, ma credo che si potrebbe inserire comunque. Non sono pochi quelli che vanno a mangiare da soli e nemmeno quelli che escono con compagnie meno interessanti di uno smartphone.
Grazie per il commento, spero di riuscire a migliorare il racconto e renderlo godibile.
Ciao

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Vastatio
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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#11 » lunedì 20 giugno 2016, 8:48

CIao,

visto che siamo pochi passo anche da "noi". Considerando il tempo in cui hai buttato giù questi 17000 caratteri direi che il lavoro è più che buono. La prima parte è un po' lunga e manchi di controllo: da asociale pluristellato posso dirti che il "tu" a un rompicoglioni (cioé a tutti) non lo do sul treno e non mi metto a rispondere se proprio non sono obbligato (il "Bravo" a risposta esatta è superfluo). Però non è detto che il tuo Davide sia Terzo Dan in misantropia, quindi passi. Sulla parte onirica c'è poco da discutere/obiettare: è un sogno e può accadere di tutto senza che la logica possa mettere becco... il che è un po' giocare sporco.
Il problema è, piuttosto, il ritorno alla realtà: anche qui, trasformare il viaggio in un racconto, in calce al menù, è, di nuovo, giocare sporco.
Aggiungerei qualcosa che possa legare di più lui alle sue origini "fantastiche inconsapevoli" : il nome del ristorante (qualcosa di "felino"?), qualche comportamento sul treno, ecc. Cercherei anche una motivazione migliore per il taccuino e le ricette, così è deprimente e per nulal ispirato (sicuramente data dalla fretta di chiudere). Fallo stare a casa dei suoi qualche mese... è un sogno, il tempo passa come vuoi tu e avresti più tempo per giustificare le ricette "apprese".

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antico
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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#12 » domenica 26 giugno 2016, 19:01

Non ci ho trovato elementi di folklore, a parte il fatto di trovarci su un treno e in un Molise sognato. Niente bonus per me.

diego.ducoli
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Re: Il fantastico mondo del Molise, di Francesco Nucera

Messaggio#13 » domenica 26 giugno 2016, 22:30

Ciao Francesco.
Il racconto mi è piaciuto, non mi metto a discutere se un asino possa guidare una vespa, se riesco ad accettare che la bestia cammina su due zampe e parla, posso anche accettare che sia in grado di portare un ciclomotore.
Gli unici appunti che mi sento di farti sono, tagliare un po' la parte iniziale, che aggiunge poco al racconto e ampliare il finale. Il finale calza bene ma il cambio repentino, benchè giustificato dal fatto che crede sia un sogno, stride un pelo.

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