l'alamaro color cenere (6909)

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alexandra.fischer
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l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#1 » lunedì 2 maggio 2016, 18:56

L’ALAMARO COLOR CENERE
Di Alexandra Fischer
- Ivo? – mi chiese Dora rivolgendomi lo sguardo di chi si aggrappa all’ultima speranza.
- Sì, purtroppo – replicai, agitandole sotto gli occhi il lembo di stoffa color cenere sul quale spiccava ancora lo strappo.
- In altre parole, è riuscito a perdere il bottone…e non solo – replicò lei, pensierosa.
Le mie peggiori paure avevano preso corpo.
Gli avevo regalato io stessa il montgomery perché lo riparasse dal vento gelido che percuoteva l’angolo del quartiere vecchio, cambiando il primo bottone di legno dell’allacciatura con uno dei miei.
Cucendoglielo, avevo sperato di allontanare da lui il tocco delle ali della notte, un tipo di magia molto potente, in grado di portare lontanissimo chi ne veniva colpito.
Mi ero decisa a farlo dopo aver saputo che lui voleva visitare il mercato che apriva quando cominciava la notte.
Era facile perdersi laggiù.
Il tempo andava più veloce, fra i chioschi nel buio.
Lo testimoniavano gli abiti strappati e qualche osso umano, uniche tracce mattutine degli incauti rimasti troppo a lungo nelle botteghe.
I venditori del mercato notturno vedevano l’alba in modo diverso da quelli che lavoravano alla luce del sole.
Il tramonto della luna significava per loro una stanchezza tale da uccidere per un po’ di sonno e conoscevano molti modi insoliti per liberarsi di clienti irrispettosi dell’orario di chiusura.
Nei miei giri notturni avevo imparato presto a riconoscere i segni della collera dei bottegai.
In quella del commerciante di sculture lignee, il gruppo di adolescenti in corsa mi aveva trasmesso una fitta di angoscia.
Mi ricordavano gli scalmanati che avevo incrociato poche ore prima.
E anche la fanciulla dal sorriso arrogante che avevo visto raffigurata sul piatto di ceramica esposto nel negozio vicino mi aveva fatto pensare all’eco di una lite che avevo sentito qualche notte prima.
Quei ricordi angosciosi non mi avevano dato requie soprattutto quando avevo trovato all’alba la tasca del montgomery in mezzo a un mucchio di spazzatura, ero corsa da Dora con i capelli diritti, ma quello che posò sul tavolo, mi tolse addirittura il fiato.
Riconobbi all’istante il bottone che avevo cucito per Ivo, ma una parte di me si rifiutò di arrendersi all’evidenza.
- Lo ha perduto – affermai secca, dopo essermelo rigirato fra le dita.
Era ancora freddo dell’acqua della fontanella nella quale lo avevo immerso per dargli una via d’uscita.
Non ne avevo scelta una a caso, bensì proprio quella che segnava il confine fra il quartiere delle fabbriche e quello dei chioschi notturni.
L’acqua gelida permeata di magia, a me e Dora era pur servita, a suo tempo.
Apparteneva a un ruscello sotterraneo che bagnava anche la regione dalla quale provenivano i bottegai notturni e riusciva a limitare i danni del lato distruttivo della loro magia.
Dora e io conoscevamo la gestrice del chiosco della tessitura perché amavano rifornirci da lei di stoffe e bottoni.
La sua magia non svaniva all’alba, ma perdurava molto a lungo.
Gli abiti e i bottoni, se pure si logoravano di giorno, di notte si rigeneravano e tornavano come nuovi.
Mia cugina Dora e io amavamo molto l’abbigliamento che veniva dal suo chiosco e poco importava che occorresse pagare con monete che di giorno erano ormai fuori corso usando sempre il voi in segno di rispetto.
Il profumo delle stoffe e i motivi che ornavano i bottoni ci ricordavano le vacanze trascorse da una zia che aveva lavorato tutta la vita presso una bottega di dolci.
Quella regione, fatta di notte vellutata color pervinca, ci era rimasta impressa, così come i grandi papaveri del buio dai petali rosa fosforescente e i girasoli color acciaio.
Per non parlare delle case di legno immerse nella frescura, sempre piene di rumori di artigiani all’opera.
Non erano tutti disposti a mostrare agli estranei i loro lavori.
Soprattutto la tessitrice di arazzi.
Dora e io evitavamo con cura di avvicinarci alla casetta dai tetti conici tutte le volte che vedevamo brillare la luce alla finestra tonda che dava sulla strada e sentivamo il rumore della spola e del pedale.
La tessitrice era molto suscettibile in materia di magia e si diceva che molti dei lavori che vendeva nel chiosco raffiguravano i trattamenti che riservava agli scettici che si prendevano gioco di lei.
Ne avevo visti un paio, stupendomi di come il gruppo di monelli raffigurato mentre scappava dai rami uncinati di un albero coperto di occhi assomigliasse molto a un vicino di casa mai più ritornato dal mercato notturno.

Quando eravamo tornate di là, cariche di vino nero della Lunga Notte e focacce di grano del Buon Sonno, senza contare i dolciumi chiamati Briciole di Luna, Ivo aveva scambiato i nostri doni per i premi di una prova di coraggio notturna.
Ingolosito, ci aveva dato il tormento per sostenerla a sua volta.
Lo aveva ingannato di certo la direzione dalla quale eravamo giunte e anche il fatto che fosse l’alba.
A differenza di Dora, io avevo permesso a Ivo di andare nei chioschi, a patto che tenesse il bottone.
E a fatica.
Non voleva affidarsi alle protezioni magiche, lui.
- Ecco – mi disse Dora, severa – il suo scetticismo nei riguardi della magia lo ha perduto prima ancora che cominciasse la sua prova di coraggio.
Dal bottone pendeva ancora il filo dell’attaccatura ed era molto logoro.
Ivo mi aveva mentito per tutto il tempo; non credeva alla magia, pensava di poter girellare a piacimento nelle botteghe notturne avendo a che fare con ciarlatani umani normalissimi.

Ivo indossò con una smorfia il montgomery grigio chiaro.
Non era il suo colore preferito e il bottone sull’alamaro destro gli aveva trasmesso una sensazione di gelo sul polpastrello, quando lo aveva sfiorato con il dito.
La tentazione di liberarsene era stata forte, ma l’espressione della sua amica Melina lo aveva fatto desistere anche più della piega dura apparsa sulle labbra di Dora.
D’accordo, sarebbe uscito con il montgomery e quel ridicolo bottone per rispetto verso la fatica di Melina.
Il suo giro delle botteghe era arrivato quasi alla fine.
Gli era piaciuto molto poter assaggiare di nuovo il vino nero della Lunga Notte e le Briciole di Luna.
Sazio e un po’ brillo, si era avvicinato all’ultimo chiosco, sfidandolo a sorprenderlo: dopo aver visto insetti di smalto e metallo argenteo svolazzare e saltare come se fossero stati veri, meravigliarlo di più sarebbe stato difficile.
Il vino lo aveva accaldato e lui si era slacciato i bottoni del montgomery con gesti grossolani.
Le sue dita, poi, si erano posate decise sulla maniglia, senza badare al bottone già sul punto di staccarsi.

La bottegaia, quasi certamente avvolta nel suo mantello blu dai bordi frastagliati, doveva essere andata incontro a Ivo dandogli l’impressione di stare vedendo un gigantesco pipistrello.
Sì, ma per poco.
La conoscevo bene, quella; sapeva come fare abbassare le difese agli scettici in materia di magia.
Erano le sue vittime preferite.
L’arazzo ripiegato fra le sue mani avrebbe incuriosito chiunque, persino un tipo come Ivo.
Si era vantata con me tante volte di aver colto impreparati i clienti che avevano sottovalutato la forza della magia notturna.
Io sapevo bene che la magia d’acqua non sarebbe bastata da sola per proteggere Ivo; oltre a crederci, Ivo avrebbe dovuto tenere d’occhio quel bottone soprattutto dopo essere entrato nel chiosco.
Invece, anche per lui c’era stata la solita trafila delle vittime della bottegaia.
Le piaceva stordirle con la velocità fulminea delle sue dita, mentre contava in fretta le monete, prendendo poi la merce e spiegandola sotto i loro occhi attoniti con un sorriso ambiguo.
Sulle stoffe di seta grigia non c’era raffigurato nulla.
Era stata da sempre la classica trovata della bottegaia arpia per mandare in confusione la preda.
Ivo, mi viene da pensare, doveva aver aperto la bocca per farlo notare alla bottegaia, senza riuscirci.
Il colpo allo stomaco e la sensazione di risucchio seguitane subito dopo glielo avevano certamente impedito.
La bottegaia, quasi di certo, aveva ripiegato con cura il tessuto, contenta di aver messo a posto quello spaccone.


Ho trovato ieri l’arazzo accanto alla fontanella.
Aprendone i lembi ripiegati, ho visto sulla seta la storia del suo acquisto e mi ha fatto ripensare all’energia magica che avevo profuso nel cucire il bottone.
Non era servita a molto, perché l’espressione di terrore puro negli occhi di Ivo metteva i brividi, insieme al gesto di portarsi la mano all’alamaro, trovandolo vuoto del bottone.
Il mio gesto ha permesso a Ivo di sopravvivere soltanto in forma di figura di un arazzo?
Mi rifiuto ancora adesso di crederlo.
Deve essersi salvato da qualche parte nel quartiere dei chioschi, ma dove? Dove?
Ultima modifica di alexandra.fischer il venerdì 20 maggio 2016, 19:44, modificato 2 volte in totale.



valter_carignano
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#2 » venerdì 13 maggio 2016, 14:57

Ciao

avevo già avuto modo di apprezzare la tua dote di evocare atmosfere e ambienti fantastici, è questo secondo me è sicuramente il PUNTO DI FORZA del tuo racconto. Ci fai entrare a poco a poco in un mondo di cui intravediamo una piccola parte, e percepiamo in modo confuso (ma non è una critica, anzi è positivo) che fa parte di un insieme molto più vasto. Fuori da quel mercato ci sono infinite cose, e speriamo che un giorno ci sia dato vederle.

I PUNTI DEBOLI sono, a mio modestissimo e personale parere, alcune piccole formali e una invece relativa alla struttura.

Io credo che, quando un aggettivo non aggiunge qualcosa di determinante e indispensabile al soggetto o alla situazione cui si riferisce, sia meglio ometterlo per evitare pesantezza o il rischio di un tono didascalico. Capisco che il tipo di narrazione che utilizzi si fondi anche su una certa sovrabbondanza di aggettivi, e di questo non discuto, ma in alcuni casi mi sembra non siano 'espressivi' o evocativi ma soltanto superflui. Per esempio:
sul quale spiccava ancora il vistoso strappo. Se 'spiccava', va da sé che era evidente e quindi 'vistoso', e viceversa. In ognuno dei due termini è contenuto e implicito l'altro;
oppure
grandi papaveri del buio dai grandi petali rosa. Anche qui, 'i papaveri del buio dai grandi petali rosa' o ìi grandi papaveri del buio dai petali rosa' poteva essere sufficiente, evitando anche la ripetizione di 'grandi'.
Se posso dire, proprio riguardo alle ripetizioni, ce ne sono diverse, e tolgono a mio parere un po' di magia, fanno incespicare il 'sense of wonder'. Per esempio
mi chiese Dora guardandomi negli occhi.
- Sì, purtroppo – replicai, agitandole sotto gli occhi

oppure
un tipo di magia molto potente, in grado di portare molto lontano

Un discorso simile - ma ti avverto che tendo a essere un po' fissato con lo 'spreco di caratteri', qualora non sia voluto e appositamente ricercato - vale nei casi in cui utilizzi due o tre parole invece di una. Per esempio: dialogo molto aspro che potrebbe essere sostituito con 'litigio'. A rigore, la loro area semantica non è totalmente coincidente, ma per lo scopo della scena credo che darebbe più forza e immediatezza.
oppure
raffigurata sul piatto di ceramica del bottegaio del negozio vicino . In questo caso, il senso di pesantezza è dato dal doppio genitivo (del bottegaio del negozio), aggravato dalla specificazione 'di ceramica' immediatamente precedente. Il modo più semplice di rendere questa frase più leggera e immediata è togliere 'del bottegaio' oppure 'del negozio'. Entrambi non ci dicono nulla che sia determinante e che non sia già implicito in uno solo di essi, data l'ambientazione in un mercato.
Ecco, secondo me una maggiore attenzione a questi aspetti MIGLIOREREBBE il racconto e lo renderebbe ancora più evocativo.

Invece, dal punto di vista della struttura, magari potresti pensare a 'mostrare' alcune scene in flashback, invece di far raccontare tutto quanto dalla protagonista. Questo potrebbe aiutare anche rendere più legato e più 'vero' il tutto, perché in una scena 'mostrata' credo potresti dire più cose con più forza e forse in minor spazio.

Detto tutto ciò (perché questo vuole Spartaco e chi sono io per discutere la Sua volontà?) molti e sinceri complimenti.

alexandra.fischer
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#3 » venerdì 13 maggio 2016, 20:33

Ciao Valter, grazie del commento, così approfondito e costruttivo. Sono sicura che la storia acquisterà molto quando la risistemerò seguendolo. Grazie ancora dei complimenti (e ringrazia anche Spartaco). Sono contenta che ti sia piaciuta nell'insieme.

alexandra.fischer
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#4 » domenica 15 maggio 2016, 19:10

Ecco la mia nuova versione del racconto. Sono disposta a cambiarne altre parti laddove permanessero errori.

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Linda De Santi
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#5 » giovedì 19 maggio 2016, 9:16

Ciao Alexandra! Come sempre dimostri di avere una grandissima capacità d'immaginare mondi fantastici particolari ed evocativi. Ti posso dire che, senza dubbio, tra i tuoi racconti che ho letto questo è diventato subito il mio preferito!

Non ho molto da dirti che non ti abbia già scritto Valter, anch'io mi sento di consigliarti di alleggerire un po' alcune frasi, ad esempio questa:

"Il profumo delle stoffe e i motivi che ornavano i bottoni ci ricordava le vacanze che avevamo trascorso da una zia venditrice di generi alimentari che aveva tenuto a lungo la bottega più vicina alla fontanella."


Sono tante informazioni da dare in una sola frase e si fatica un po' a starle dietro, toglierei qualche dettaglio come il fatto che la bottega fosse vicina alla fontanella e l'indicazione che la zia è una venditrice (se ha una bottega l'informazione è implicita). Per contro, anziché scrivere "generi alimentari" metterei qualcosa di specifico (dolcetti, ampolle, ecc.). Personalmente riformulerei questa frase così:

"Il profumo delle stoffe e i motivi che ornavano i bottoni ci ricordavano le vacanze trascorse da una zia che aveva lavorato tutta la vita in una bottega di dolci."

Ovviamente questo è solo un esempio, la sostanza è che alcune frasi renderebbero meglio alleggerite di alcuni elementi, poi sta a te decidere come farlo.

Ti segnalo anche quella che a mio avviso è una ripetizione:
"Ivo ci aveva viste, credendo che ci fossimo guadagnate quei doni con una prova di coraggio e aveva insistito per imitarci."


E poi, una frase dopo:

"Ivo si era convinto che avessimo affrontato una prova di coraggio ai chioschi e aveva voluto imitarci."


Tieni conto che queste cose che ti sto scrivendo sono piccoli accorgimenti che servono a migliorare la resa di un racconto che funziona già molto bene.
Ribadisco che mi è piaciuto moltissimo e ti rinnovo i complimenti per l'enorme fantasia di cui sei dotata.
A rileggerci!

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Adry666
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#6 » giovedì 19 maggio 2016, 17:23

Ciao Alexandra,

racconto molto bello, anzi notevole :-)))
Come al solito evocativo, ambientazione di stile!
A quando una bella trilogia in stile Signore degli Anelli? :-))

Sui punti di debolezza mi sembra ti abbiano già detto tutto l'essenziale, aggiungo solo:

- occhio a un refuso: "E anche la fanciulla dal sorriso arrogante che avevo visto raffigurata sul piatto di ceramica esposto nel negozio vicino mi aveva fatta pensare all’eco di una lite che avevo sentito qualche notte prima." (mi aveva FATTA)

- nel finale: "Quando l’ho svolto, ho visto sulla seta la storia del suo acquisto e mi ha fatto ripensare all’energia magica che avevo profuso nel cucire il bottone." ("l'ho svolto" lo cambierei con un sinonimo)

Complimenti!

A presto
Adriano

alexandra.fischer
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#7 » venerdì 20 maggio 2016, 17:16

Ciao Linda De Santi,
grazie delle manchevolezze che mi hai fatto notare. Provvederò a correggerle. Mi fa piacere che questo sia il tuo preferito fra i miei racconti ( attraverso di esso ho voluto eternare un periodo visionario della mia vita).

Ciao Adry666, ti sono molto grata per avermi fatto notare il refuso e anche le ripetizioni. Son contenta che ti sia piaciuto il mio racconto. Per quanto riguarda la trilogia stile Signore degli Anelli...mi sto assestando su lunghezze piuttosto ridotte (credo sia la scelta migliore per non abusare della pazienza di chi legge e anche per creare trame dalla struttura meno pesante possibile. Oggi la comunicazione è veloce e deve arrivare dritta al punto, penso che questo valga anche per la scrittura creativa).

alexandra.fischer
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#8 » venerdì 20 maggio 2016, 19:45

Tenendo conto dei commenti ricevuti finora, ho modificato il racconto seguendone le indicazioni. Sono disposta a ritoccarlo ulteriormente, nel caso permanessero difetti.

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Linda De Santi
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#9 » mercoledì 25 maggio 2016, 21:11

Ciao Alexandra! Questa nuova versione del racconto ha acquistato ulteriore scorrevolezza e capacità evocativa. Noto che hai lavorato sulla struttura della frasi e il risultato che hai ottenuto mi piace molto, ogni frase riesce a trasmettere immagini vivide e a trascinare il lettore nel mondo magico del racconto facendogli sentire profumi, accarezzare stoffe, ammirare colori.
Un ottimo risultato.

CHIEDO LA GRAZIA

alexandra.fischer
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#10 » giovedì 26 maggio 2016, 8:41

Grazie Linda De Santi, sei davvero gentile.

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Peter7413
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#11 » lunedì 30 maggio 2016, 11:57

Per prima cosa, mi scuso per non averti commentata prima.
Racconto che mi lascia molto incerto. L'idea è davvero buona, ma mi sembra ci sia da asciugare parecchio e da sistemare alcune forme che, allo stato attuale, rendono faticosa la lettura. Per un lavoro preciso dovrei prendere il testo e lavorarci per bene, cosa che richiederebbe più giorni rispetto ai due che ci separano dalla fine di questo labo. Se riterrai di ripostare il racconto anche a giugno (in caso tu non ottenga la grazia ora) prometto di leggertelo subito e di procedere all'editing. Per il momento mi limito a sottolineare che non mi sembra ancora il momento giusto per portarlo in vetrina.

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Jacopo Berti
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#12 » lunedì 30 maggio 2016, 19:52

Ciao Alexandra,
trovo il tuo testo molto interessante nella misura in cui la realtà del mondo fantastico da te immaginato viene fuori a poco a poco, fornendo dettagli che consentano di creare e soddisfare bisogni di spiegazione nel giro di qualche riga. Non vi vedo, come invece avevo visto in altri racconti, domande impellenti senza risposta, né una mancanza di chiarezza nei contenuti. La storia è affascinante e ben gestita. Adoro come alla fine il cerchio si chiuda, mostrando sul tessuto proprio il momento in cui Ivo, incredulo, vi viene risucchiato.

La forma mi piace di meno, e ci sono alcune costruzioni che mi sembrano incerte, se non scorrette.
Questa in primo luogo:
"Il tramonto della luna significava per loro una stanchezza tale da uccidere per un po’ di sonno e conoscevano molti modi insoliti per liberarsi di clienti irrispettosi dell’orario di chiusura." "una stanchezza tale da uccidere per un po' di sonno" è grammaticalmente ambiguo: la stanchezza li avrebbe uccisi a causa di un po' di sonno o loro avrebbero ucciso per avere un po' di sonno. Correggerei in "una stanchezza tale che avrebbero ucciso per un po' di sonno". Inoltre la coordinazione "e conoscevano..." non sta benissimo. Riprende il "loro", che però non è soggetto della frase precedente e ciò rende la frase un groviglio. Secondo me sarebbe più chiara così: "il tramonto della luna portava loro una stanchezza intollerabile: avrebbero ucciso per un po' di sonno e conoscevano molti modi insoliti per liberarsi dei clienti irrispettosi dell'orario di chiusura".
"Capelli diritti": credo che sia più giusto dire "dritti", per indicare che sono drizzati (simbolicamente) verso l'alto.
"La sua magia non svaniva all’alba, ma perdurava molto a lungo." Qui mi sembra ci sia un uso scorretto dell'avversativa. In che modo il perdurare molto a lungo è opposto al non svanire all'alba? E' un rafforzativo, invece. Direi quindi "la sua magia non svaniva all'alba, anzi, perdurava a lungo" (ho tolto il 'molto' perché già per-durare è un rafforzativo di durare, e PER-durare MOLTO a LUNGO ti porta a ribadire troppe volte il concetto).
"poco importava che occorresse pagare con monete che di giorno erano ormai fuori corso usando sempre il voi in segno di rispetto." io metterei la parte breve per prima, così la struttura della frase è comprensibile in anticipo; inoltre correggerei "erano" in "sarebbero state": "poco importava che bisognasse usare sempre il voi in segno di rispetto, pagando poi con monete che di giorno sarebbero state ormai fuori corso".
"Ne avevo visti un paio, stupendomi di come il gruppo di monelli raffigurato mentre scappava dai rami uncinati di un albero coperto di occhi assomigliasse molto a un vicino di casa mai più ritornato dal mercato notturno." Ecco, questo è l'unico punto che non capisco nei contenuti: come può un gruppo di monelli somigliare a un singolo vicino di casa?
In generale, Alexandra, credo dovresti badare di più allo stile. Mi dispiace trovare spesso confusione in racconti che hanno un grande potenziale. E' giusto che lo stile sia personale e, per un racconto fantastico, un po' eccentrico. Ma il tuo mi pare avere sì tanta personalità e eccentricità, ma anche un po' di trascuratezza.

La forma del flashback mi piace molto di più. Direi che sarebbe bello fare una storia in 5 stacchi, aggiungendo un altro flasback in questa sequenza: narratore interno /Flashback / N.I. / F.B / N.I.

Mi rendo conto che ho commentato tardi e che forse non hai il tempo di correggere. Ma non chiedo la grazia per ora, perché vorrei davvero vederlo più curato.
Se non passi alla vetrina e lo correggi nel lab di giugno, chiamami senza timore anche nel caso in cui non partecipassi!
«Se avessimo anche una Fantastica, come una Logica, sarebbe scoperta l'arte di inventare» (Novalis, Frammenti)

alexandra.fischer
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Re: l'alamaro color cenere (6909)

Messaggio#13 » martedì 31 maggio 2016, 4:58

Ciao Timetrapoler,
grazie di tutte le correzioni (e anche della proposta di chiamarti se deciderò di ripostare il racconto per il laboratorio di giugno; a questo punto, cosa molto probabile: migliorare e curare bene una storia, vuol dire poter dare vita a progetti letterari un po' meglio riusciti). Ecco un ottimo modo di correggere i problemi di stile. Il gruppo di monelli somigliava al vicino nel destino e nell'atteggiamento finale in cui è stato paralizzato dalla magia.

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