Semifinale gruppo ALBERTO BüCHI

Sfida il BOSS Marco Roncaccia e i suoi SPONSOR Daniele Picciuti, Simone Lega e Alberto Buchi.
I primi 9 entreranno a far parte di un e-book marchiato Minuti Contati.
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Spartaco
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Semifinale gruppo ALBERTO BüCHI

Messaggio#1 » martedì 13 settembre 2016, 1:15

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Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Marco Roncaccia.
In risposta a questa discussione, gli autori semifinalisti del girone BüCHIa, hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR del loro girone un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi, Valter Carignano e Francesco Nucera, possono sfruttare i due giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: mercoledì 14 settembre alle 23:59
Limite battute: 21.313

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 14 settembre. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione, state sicuri che il vostro avversario starà già pensando a come migliorarsi!



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ceranu
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Re: Semifinale gruppo ALBERTO BüCHI

Messaggio#2 » mercoledì 14 settembre 2016, 22:42

Io confermo il testo di base.

valter_carignano
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Re: Semifinale gruppo ALBERTO BüCHI

Messaggio#3 » mercoledì 14 settembre 2016, 23:53

A cena con Gianna
di Valter Carignano

L’urlo di Gianna ti penetra dentro e quasi ti fa voltare, quasi ti viene in mente di fermarti e aiutarla. Per tua fortuna, non sei così fatto da annullare l’istinto di sopravvivenza e non ti volti, non ti fermi, continui a correre. Piangi e ridi. Perché con Gianna stavi davvero bene, e perché se mangiano lei forse tu ti salverai.
Un portone aperto, non ci credi. Ti butti dentro, casa vecchia con cortile. Salire sull’albero e saltare dall'altra parte è facile.
Ti blocchi. Ascolti. Forse sei fortunato e tutti si sono fermati a pranzo con Gianna.
Ma anche no. – Qui è aperto! – senti dall’altra parte. Almeno due di loro ti stanno ancora dietro e sono entrati nel portone. Quello che tu non hai chiuso, bravo.
Rimani immobile, si dice che loro abbiamo un udito migliore di voi, un po’ come i cani o i gatti. Lupi o tigri sarebbe un paragone migliore, ma non sei in vena di sottigliezze. Sembra però che non sia la tua ora, o magari loro hanno già spiluccato con questo e quello e si sa, mangiare fuori pasto blocca lo stomaco. Li senti correre fuori, di nuovo a caccia. Ma non di te.
Scivoli a terra, spossato e senza idee. All’alba mancano ancora quattro ore buone, le strade sono zona di caccia e comunque di tornare ai Murazzi non se ne parla, quel merdoso che vi ha venduto la chiave del lucchetto è lo stesso che vi ha inserito nel tour gastronomico. O forse è uno zombie pure lui e voleva divertirsi coi suoi amici, chi può dirlo. Quando li distingui, in genere è troppo tardi e sei il piatto principale.
Hai sentito che in collina si è formata una comunità di normali, con guardie armate e tutto il resto. C’è anche un test per entrare, tipo che ti mettono davanti una bistecca appena tagliata e vedono se sbavi. Ti sembra una cazzata, ma se ci fosse davvero…
Intanto l’adrenalina è calata. Ti lascia un vuoto, una voglia di qualcosa di buono. Non si sta male, in questo cortile. Ti fai e vai in un mondo migliore.

schizofrenia da Mario al Colosseo delirio compleanno di Beatrice abuso sì va bene dissociazione gli avete preso qualcosa stupefacenti quant’è la quota sono quarantacinque euro
Le parole si accavallano senza significato, ci metti un po’ a capire che non vengono da dentro la tua testa. Non sei più nel cortile, sei sdraiato sul morbido. Apri gli occhi piano, fatichi a mettere a fuoco, sei in una stanza con luci soffuse, pulita, in piedi ci sono due persone con il camice bianco. Stanno guardando una cartella, parlano a bassa voce, capisci che le parole di prima venivano da loro ma ora non li senti più bene. Non sei proprio sicuro di averle sentite nemmeno prima.
L’uomo si volta verso di te. – È sveglio – dice.
Lui e la sua collega si avvicinano, ti sorridono come sorridono i dottori dei telefilm americani. Viene da sorridere anche a te, forse lo fai.
– Dove sono? – chiedi. La voce ti esce a malapena. La schiarisci e fai per ripetere ma la donna ti anticipa: – Non ti sforzare, Iacopo. Sei al sicuro, vicino a casa.
Casa? pensi. Non ti sembra il centro sociale autogestito dove stavi con Gianna. Riprovi a parlare, stavolta è meglio. – Chi… dove sono? – Fai per alzarti, le tue braccia sono legate al letto. Capisci. Ti metti a piagnucolare. – No. No. Per favore…
I due si guardano, di sicuro sono zombie e stanno decidendo chi ti azzannerà per primo. Ti hanno preso e tenuto per colazione. Chiudi gli occhi, pensi a Gianna e ti prepari a morire.
– Iacopo, nessuno vuole farti del male – dice l’uomo. – Siamo medici, e sei nella clinica Quisisana di via Porro, a pochi passi da casa tua, ti ricordi? Ai Parioli.
I Parioli. Di Roma? Cosa ci fai lì? Chi ti ha portato? Quanto tempo è passato? Allora è vero che vi mettono nei camion come le bestie e poi vi vendono un tanto al chilo. Cominci a gridare, ti agiti, il letto sobbalza.
– Lo sapevo, è inutile – dice l’uomo alla donna, mentre preme un pulsante vicino alla porta.
Entra un altro uomo, più grosso, anche lui vestito di bianco. Le sue mani ti bloccano e ti schiacciano sul letto, la donna t’infila una siringa nel braccio. Sembra dispiaciuta, forse voleva mangiarti mentre eri cosciente.
Buio.

Ti svegli bagnato. Piove. No, vedi che c’è il sole.
– Schifoso di un drogato, fila o chiamo i vigili! – Dal terzo piano, la vecchia ti scarica addosso la seconda secchiata d’acqua fredda. Un altro tipo si affaccia di fronte, obeso e in canottiera, ti guarda, rientra. Ti stai alzando quando un colpo alla testa ti fa piegare in due. Il ciccione ti ha tirato il posacenere del salotto buono, due chili di vetro cromato indistruttibile.
– Siete lo schifo di Torino – bofonchia. Poi ti sputa addosso. Senti il sangue colarti sul collo.
Vecchi bastardi.
Esci dal portone, sei in via Berthollet, quasi ti confondi fra gli arabi, i neri, le puttane e i magnaccia. A nessuno frega niente di te, così te ne vai tranquillo fino al Valentino e ti butti sull’erba.
Chiudi gli occhi, ti crogioli al sole di aprile e ti rilassi dopo il risveglio di merda. Non solo, pure il trip non era stato un granché. Eri prigioniero,a Roma, come un pollo o un tacchino surgelato nel freezer, solo che eri vivo. Ti sarebbe sempre piaciuto andarci, a Roma, ma non così. Ridacchi. Ti sembra di ricordare qualcosa. Boh, chissenefrega. E non ci pensi più.
Invece a Gianna ci pensi. I capelli biondi, il sorriso, il calore del suo corpo. Aspetta, forse era lei che ti aveva detto qualcosa di Roma? Sì, era venuta qui per il Politecnico e poi aveva mollato e poi invece di tornare a casa dal padre avvocato era venuta al CSA.
Gianna. Ormai sarà stata digerita.
Ti guardi intorno. È domenica, poco traffico in corso Massimo, persone che fanno jogging, passeggiano, neri in gruppo che aspettano clienti. Spacciano roba leggera, non t’interessa, e del resto hai ancora una dose nello zaino. Tanto non è mica detto che ci arrivi, a domani. Magari stanotte diventi un hamburger da McZombie.
Ma come fa tutta ‘sta gente a vivere come se niente fosse? Beh, ora che ci pensi anche il tuo stile di vita non è che sia cambiato molto, da quando sono arrivati. Tossico senza casa eri e così sei rimasto.
Sembra sia stata una malattia, o un esperimento di qualche militare del cazzo, o le scie chimiche, comunque adesso siete voi e loro, i normali e gli zombie. Al CSA dove stavi avevano organizzato la guardia armata, dopo le nove nessuno entrava. Solo che una notte hanno scoperto che quei due ragazzi tedeschi pieni di piercing e le due gnocche che la davano via come non fosse loro erano venuti per un after a base di squatter. Quando si sta in allegria non si smette di mangiare, e così al mattino c’erano solo più gli avanzi, i crucchi avevano ripreso il loro furgone e arrivederci e grazie per la bella serata. Quella notte tu eri in questura, fermato per accertamenti. Pensa te se devi anche avere la sfiga di dovere la vita alla pula.
Guardi l’orologio. Sarebbe ora di andare alla mensa, ma non hai questa gran fame e il sole è troppo bello. Chiudi gli occhi di nuovo.

C’è silenzio, intorno a te, solo qualche voce lontana, come un leggero brusio. Aprì gli occhi, penombra, la poca luce arriva dalla finestrella della porta e da una lampada, sotto la quale la dottoressa legge qualcosa da una cartella azzurra.
Sei di nuovo in quella stanza di prima, ma adesso sai che è un sogno e sei tranquillo. Decidi di stare al gioco. Ti muovi, fai come se ti svegliassi. La donna posa la cartella e ti si avvicina. – Come va, adesso? Meglio? – chiede. La voce è gentile, mentre parla controlla la boccetta della flebo che hai al braccio.
– Dove sono? – rispondi. Vuoi vedere se è lo stesso sogno che continua. La donna sospira, guarda in alto verso l’angolo fra muro e soffitto, vedi che c’è una telecamera.
– Non ricordi? – Tu scuoti la testa, lei riprende: – Sei a Roma, alla clinica Quisisana, dove ti hanno tolto le tonsille e l’appendice, e dove poi per tua fortuna non sei più tornato come paziente. La tua famiglia è molto preoccupata per te, sta facendo tutto il possibile perché tu… guarisca.
Non sai di che famiglia stia parlando ma decidi di farla andare avanti: – Cioè, disintossicarmi? Mah, comunque è strano, perché mio padre non l’ho mai visto e mia madre era quasi sempre così ubriaca da non riconoscermi nemmeno.
Lei muove appena la testa in un diniego. – Sei confuso, ci sono molte cose che ancora non ricordi, ma siamo fiduciosi che questi nuovi farmaci possano aiutarti a stare bene. – Sorride, materna. – Invece, riguardo la disintossicazione... beh, il fatto di ammettere di avere una dipendenza è il primo passo verso il suo superamento. Bravo.
Si alza, guarda di nuovo la telecamera, si siede su di una poltroncina. In quel momento, attraverso il vetro della porta che dà sul corridoio, vedi passare Gianna. Si ferma per un istante, ti guarda, è triste. Poi se ne va.
– Gianna! – gridi. – È la mia ragazza, fermala!
– Ne sei sicuro? Beh, forse è venuta a trovarti. Sarà andata in bagno, fra poco verrà qui. Saresti contento?
– Cazzo, è ovvio! Lei… – Ti fermi. È un sogno, solo un sogno. – No. Lei è morta stanotte. L’hanno mangiata gli zombie.
La dottoressa si sporge verso di te. – Zombie? Raccontami.
– Ma sì, stavamo scappando e lei è rimasta indietro. Ho sentito le sue grida. Io mi sono infilato in un cortile di via Baretti e poi…
– Via Baretti? Non la conosco.
– In San Salvario. Prima eravamo ai Murazzi.
– Ah. Quindi eravate a Torino. E perché vi davano la caccia?
– Come, perché? È quello che fanno, no? La notte vanno in giro per mangiare, se ti trovano sei fottuto, sono veloci, agili, forti.
– Più forti di te?
– Cazzo, ma come fai a non saperlo? – Non ti piace la piega che sta prendendo questa storia. – Perché mi fai tutte queste domande? – Cominci ad agitarti. – Liberami, cazzo! LIBERAMI!
Lei preme un pulsante su un telecomando. Un attimo ed entra il tipo grosso. Ti immobilizza.
– Dobbiamo aumentare la dose – dice lei mentre prepara la siringa. Parla guardando la telecamera. – Stiamo facendo breccia, ma non è abbastanza.
Buio.

Un cane che abbaia ti sveglia. Sta giocando e il ramo tirato dalla padrona cade a due metri da te. Sorridi al cane e alla padrona, ti sono sempre piaciuti gli animali, lei richiama il cane e si allontana. Devi ammettere che non sei un bello spettacolo. Dalla strage del CSA è passata una settimana e tu sei sempre stato per la strada.
Già, gli animali. Ti sono sempre piaciuti ma non eri vegetariano, cioè mangiavi pollo, vitello, come tutti. Adesso il fatto di poter diventare il pranzo di qualcun altro ti fa ripensare alla questione.
Gli zombie amano gli animali? E voi normali per loro siete animali o solo carne, tipo il prosciutto nelle vaschette? Non pensavi mica al maiale squartato, fatto vivere in una gabbia tutta la vita e poi ammazzato, quando aprivi la confezione o andavi dal salumiere. Siete il prosciutto degli zombie?
Un pullman di tifosi si ferma al semaforo. La-Zio La-Zio Fooorza La-Zio Juve Juve Vaf-Fan-Cu-Lo. Bravi, hanno vinto, si sono fatti un giro in centro e ora se ne vanno, prima che diventi buio. Agli zombie piacerà il calcio? A te non te n'è mai fregato granché, comunque le partite di sera non si giocano più, loro sarebbero come faine in un pollaio.
Non riesci a concentrarti, passi da un pensiero all'altro. Negli ultimi giorni il tuo cervello va un po' dove vuole, te ne accorgi ma non ci puoi fare niente. Saranno questi sogni di merda che continui a fare? Ricordi solo gli ultimi due, e nemmeno bene, ma hai la sensazione che siano lì da più tempo. Eppure ti fornisci sempre dallo stesso pusher, non sarà che la roba è tagliata strana?
Comunque, ora che ci hai pensato la smania di farti ti prende fortissima. Ma se ti fai adesso, stanotte sarai in balìa degli zombie, non ti accorgerai nemmeno che ti stanno facendo a pezzi.
Mica male, sarebbe.
T’infratti in riva al Po e ti fai.

Ti svegli nella solita stanza. La novità è che non c’è nessuno e la porta è socchiusa. Non sei nemmeno legato.
Ti stacchi la flebo, fissi la telecamera come se potessi vedere se qualcuno ti guarda dall’altra parte, ti rendi conto che sei un imbecille e ridacchi. Sulla poltroncina c’è una delle cartelle che i medici guardavano. O erano zombie?
La prendi. Dentro ci sono fogli di esami, nomi di farmaci, percentuali, formule chimiche. Poi qualche foglio scritto fitto con in calce Iacopo Giambenedetti. Sei tu.
Dai uno sguardo veloce, leggi il soggetto soffre di grave schizofrenia paranoide aggravata o indotta da stupefacenti di nuova generazione, un tipico caso di doppia diagnosi ma particolarmente grave e refrattario al trattamento e poi il suo delirio con dissociazione prende la forma di una realtà alternativa, nella quale sono compresenti elementi reali distorti, presi dal presente, dal passato o frutto di fantasia e poi la sostituzione degli stupefacenti con il farmaco sperimentale dovrebbe avere un effetto duplice, e creare al momento opportuno uno shock tale da farlo tornare almeno temporaneamente in sé e poi…
Basta. Quindi nel sogno sei una specie di pazzo. Chissenefrega.
Lasci la cartella ed esci nel corridoio, la testa comincia a girarti, ti appoggi alla parete.
Buio.

Stai di nuovo correndo. La dose non era buona, è durata poco e li hai sentiti arrivare. Sono vicini, ti alitano sul collo, ridono. Ti accerchiano.
Cazzo.
Morire per morire, meglio affogato dentro ‘sto fiume schifoso e lurido. Ti ricordi che a Gianna piaceva. Ti butti.

Ti svegli ancora nel corridoio del solito sogno, appoggiato alla parete. Questa storia ti sta rompendo i coglioni.
Una specie di scossa in testa e vengono fuori altri sogni ancora.
Sei Iacopo Giambenedetti. Tu e la tua famiglia siete stati contagiati dopo circa un anno dall’inizio di tutto. Siete zombie, ricchi e potenti già da prima. Tuo padre fa parte di coloro che hanno immaginato un nuovo modello di società, diverso da quello ormai anacronistico del passato ma non ridotto a una specie di guerra selvaggia.
In questo film che passa nella tua testa tu non sei un normale, una preda. Sei uno di loro.
Ti vedi dodici anni prima, quando hai deciso di studiare ingegneria a Torino per andartene da un posto in cui tutti ti conoscevano e nessuno ti apprezzava. Che sfigato.
Poi torni, cominci a farti e dopo un po’ sei zombie. Bello, avere il potere. Fanculo a tutti, chi è lo sfigato adesso?
Ma qualcosa dentro di te si rompe. Il film accelera e si arriva alla volta che hai mangiato Gianna, la tua ex fidanzata del liceo sorteggiata per la caccia di quella maledetta notte. Ti ha riconosciuto, l’hai guardata negli occhi, ti ha sorriso con fiducia. Dopo un attimo la sua gola era squarciata e avevi la bocca piena di sangue. Com’era buona.
Si sa, chi ha pane non ha denti, e se mai c’e stato un detto popolare che avesse un senso, beh, eccolo qua. Nell’ultima scena del film ci sei tu a Torino che ti butti nel fiume. Titoli di coda.

Quindi tu saresti davvero un disadattato e per di più coglione, che ha buttato una vita di benessere e potere per marcire dentro la stanza di una clinica romana per milionari, convinto di essere un tossico senza casa che vaga per Torino cercando di non farsi divorare… beh, non è di quelle cose che fa star bene sapere.
Però è un film nella tua testa, mica è vero.
Hai sentito che qualche volta ci si inventano delle storie, quando la realtà diventa insostenibile. Essere braccati ogni notte dagli zombie e dover trovare i soldi per la dose non è proprio leggero, come stile di vita. Sta a vedere che il cervello ti sta facendo degli scherzetti. E pure stupidi, ora che ci pensi, perché se sei a Roma nella clinica e bla bla bla mica il film può finire che ti butti nel fiume a Torino. O una cosa o l’altra. O no?
A pensarci ti perdi, non capisci più niente.
E poi ti sembra di avere qualcosa dentro, qualcosa che nonostante tutto non ha mai mollato proprio come se in te ci fosse qualcosa che valesse tanta fatica, qualcosa che ti dice che ce la potresti ancora fare. Ti dice che se andassi in fondo al corridoio troveresti la tua famiglia e i due medici ad aspettarti, quelli che hanno cercato in tutti i modi di farti guarire.
Guarire da che? Mica sei malato.
E allora sei ancora lì, appoggiato al muro di quel corridoio. Ma sei anche in fermo immagine sospeso per aria due metri sopra il Po, in uno di quegli istanti prima di morire che tutti dicono durino un’eternità e in cui si rivede la propria vita. Ma se poi si è morti, dopo quell’istante, com’è che si fa a raccontare che hai rivisto tutta la tua vita?
Comunque, il Po non è a Roma. E viceversa. Almeno questo è certo.
Aspetta. Chi è che sta parlando, adesso? Nel corridoio non c’è nessuno, e nemmeno sul fiume.
– Non c’è modo di far breccia nel suo mondo. È isolato, chiuso – dice lui.
– Avevi ragione. È stato tutto inutile – dice lei, triste.
– No – la voce di lui è gentile. – Non è mai un fallimento, quando si tenta fino all’ultimo. Ha sempre avuto problemi di adattamento, la droga ha fatto esplodere tutto e a quel punto…
Fa una pausa, senti rumore di metallo.
– Hai ragione. Solo che non riuscire a curare...
– Lo so. È una vita che se va.
Di nuovo rumore di metallo.
– Se vuoi, lasciamo stare. Lo faranno quelli del turno dopo – riprende lui.
– No, no, figurati. Spetta a noi, e poi almeno la sua morte sarà stata utile per la comunità. Forse lo farebbe stare bene, se lo sapesse.
Ma di chi parlano? Non di te, tu non sei isolato, sei lì, nel corridoio. O sul Po. Non lo sai bene ma da qualche parte sei. E li senti.
Senti anche una siringa che ti entra nel braccio, ma è come fosse il braccio di un altro, in un altro posto. E poi un rumore lontanissimo, tipo una sega.
– Facciamolo a pezzi finché è vivo, poi i pezzi li mandiamo in laboratorio per studiare gli effetti dei farmaci sulla nostra fisiologia. C'è ancora molto che dobbiamo scoprire.
E così, alla fine, era vero che sei uno zombie. Ed è vero anche che morirai fatto a pezzi dagli zombie. Che storia.
Buio.

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Spartaco
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Re: Semifinale gruppo ALBERTO BüCHI

Messaggio#4 » giovedì 22 settembre 2016, 21:57

Ecco a voi i commenti di Alberto BüCHI:

Tra scienza e religione io scelgo la tua morte.

Il racconto inizia con una situazione quotidiana che induce a pensare ad una crisi di nervi del protagonista, a rabbia repressa, a sentimenti che tutti almeno una volta nella vita hanno provato. Tutto ciò è ben raccontato grazie ad un’ironia di fondo godibile e azzeccata. Il lettore è portato subito a immaginare che questo sia il giorno buono, in cui la “pentola a pressione” finalmente scoppierà e che ognuno avrà ciò che merita. Il classico giorno di ordinaria follia.
Questo però non proporrebbe nulla di veramente originale.
Ed ecco infatti che compare una voce misteriosa e molto importante che in modo invadente porta con sé una giusta dose di alienazione, tutto sommato coerente con l’esasperazione del protagonista. A questo punto potrebbe venire in mente una doppia personalità tipo “Fight Club” e quindi una storia violenta con un grosso colpo di scena finale.
Non sarà così.
All’elemento “psicologico” si sommano successivamente quello “religioso” e poi ancora quello “fantascientifico” che fanno compiere alla storia svolte inaspettate… forse troppo inaspettate.
Stiamo leggendo una storia di cospirazioni governative con chip alla Grande Fratello oppure una storia di alieni? Oppure ancora una storia con elementi sovrannaturali con tanto di intervento demoniaco?
Alla fine non sarà nessun di questi…
Tirando le somme, direi che, per quanto il racconto sia godibile, l’autore ha inserito troppi elementi che tirano la camicia un po’ di qua e un po’ di là. Tanto più che alla fine nessuno degli elementi introdotto viene affrontato veramente. Inoltre i diversi livelli non sembrano equilibrati, con lo stesso peso. Forse con un po’ di spazio in più la storia si sarebbe sviluppata meglio, ponendo le basi per un racconto lungo o un romanzo.
Il finale ne risente perché, dopo tanti elementi, tante premesse, tante incognite, ci si aspetterebbe una sorpresa più grande.
Chiarirei meglio le diverse voci perché a volte risulta difficile seguire i dialoghi.

A cena con Gianna.

L’incipit è efficace. Incuriosisce e catapulta all’interno della storia, o meglio, all’interno di una delle due storie. Per esempio la frase “Se mangiano lei, forse tu ti salverai” è intrigante, soprattutto perchè non si conosce ancora l’ambientazione zombesca della storia.
Cinematograficamente parlando, il montaggio alternato di due realtà che, forse, si stanno svolgendo in uno stesso momento risulta azzeccato anche se non sempre sfruttato al meglio.
Il punto debole sono tutti i pensieri che emergono di punto in bianco e che “risolvono” molte questioni (Una specie di scossa in testa e vengono fuori altri sogni ancora… / ti vedi dodici anni prima… / in questo film che passa nella tua testa…).
Sarebbe più intrigante capire il senso della storia dai dialoghi o dai comportamenti dei personaggi, insomma da episodi significativi della vita di Iacopo. Sembra che a fine racconto l’autore voglia dare un’accelerata per completare il quadro generale. Quadro che risulta complesso, in cui coesistono una società nuova, battute di caccia con prede umane, droghe sperimentali, “passato falso/presente vero”, insomma un sacco di roba.
Non sempre il mondo fuori dalla clinica risulta chiaro, ad una prima lettura. Qui ritorniamo al discorso precedente… forse raccontare degli episodi significativi avrebbe aiutato.
Il finale è un po’ piatto, non c’è un vero colpo di scena, che in fondo il lettore si aspetta. L’idea è interessante ma non risalta come meriterebbe. Sarebbe stato più coinvolgente leggere qualche scena in più di azione soprattutto nella parte dedicata agli zombie.
Devo però puntualizzare che la lettura risulta faticosa soprattutto quando il lettore è chiamato a ricostruire tutto il mondo esterno.

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