La curva che non c'era Steampunk Edition (2963)
Inviato: lunedì 1 agosto 2016, 15:31
LA CURVA CHE NON C’ERA
Di Alexandra Fischer
Il giovane imboccò il rettilineo a folle velocità, trasformando i ciliegi e l’erba ai lati della strada in un unico scarabocchio bianco, verde e marrone.
La ragazza al suo fianco impallidì sotto la veletta.
- Rallenta – lo implorò.
- Guarda dietro di te – le disse lui, con una voce rauca di collera.
La ragazza gli obbedì, tenendosi il cappello una mano mentre si voltava.
Il calesse bianco li stava ancora inseguendo.
- C’è ancora?
- Sì.
I due cavalli facevano un rumore di ferraglia sulla pietra da farla rabbrividire.
Lo aveva già sentito.
Un calesse come quello aveva bloccato il passaggio a livello, facendo ritardare la locomotiva di un bel po’.
Quando era salita sull’auto dell’amico, venuto a prenderla alla stazione, aveva scambiato la piega dura sulle labbra di lui per esasperazione da ritardo.
- Scusa – gli aveva detto, mentre si sedeva ansante accanto a lui – un calesse ha bloccato il treno sui binari per un bel pezzo. Non ti dico i macchinisti e gli altri passeggeri.
Il suo amico era addirittura sbottato: - Un calesse? Di che colore?
- Bianco – gli aveva risposto lei.
Sentendo il colpo di pedale con il quale lui aveva avviato l’auto, la ragazza si preoccupò.
- Dammi almeno gli occhialoni.
- Nel cruscotto.
- Grazie per essermi venuta a prendere. Io non ci speravo più. Da quando è sparita Minna…
- Ora sei qui e andremo a fondo di questa storia. Tua sorella non può essersi volatilizzata.
La folle corsa del giovane lungo il rettilineo innervosì anche la ragazza.
- Così ci ammazziamo. Che cosa succede?
Senza perdere di vista la strada, lui replicò: - Dobbiamo andare subito a casa. C’è stata un’esplosione in azienda.
Dietro di loro comparve un calesse bianco e stava guadagnando velocità.
Attirata dal rumore degli zoccoli, insolitamente metallico, la ragazza si era voltata.
- È uguale che ho visto al passaggio a livello – disse all’amico – allora non era lì per caso. Ecco perché sei così nervoso. Esigo delle spieg….
Le parole di lei vennero troncate dall’ennesima accelerazione della Bugatti.
Il giovane era sicuro di lasciarsi dietro il calesse quando vide la curva.
Frenò bruscamente, frastornato dal fatto che prima non ci fosse.
Materializzandosi in una macchia grigia, davanti agli occhi dei due comparve un paesaggio fatto tutto di metallo. Dagli alberi agli uccelli alle case. E tutto in movimento.
Gli abitanti erano vestiti come loro.
La ragazza notò che molte donne portavano grandi cappelli tondi a veletta come il suo e se era per quello, anche gonna lunga, maniche a sbuffo, con tanto di sellino.
Si sarebbero anche dette anche più alla moda di lei, ma c’era qualcosa di meccanico nei loro movimenti; la fanno pensare a tante bambole caricate con una chiave a molla.
Si distrasse guardando quelle con le divise da cameriere e da operaie.
Una di loro le sembrò sua sorella.
Stava quasi per chiamarla, ma le parole le morirono in gola quando vide la chiave sulla schiena della presunta fanciulla.
Quella pupattola a grandezza naturale non poteva essere Minna.
Il suo compagno si tolse gli occhialoni da guida e mise i guanti in tasca.
Non badò agli uomini vestiti in frac e marsina, oppure in giacca e pantaloni con il cappello a visiera e neanche al cigolio di metallo che proveniva dalle loro articolazioni.
Si era girato verso il calesse e aveva visto il cavallo e il cocchiere.
Erano di metallo anche loro.
Dal calesse scese un uomo in carne e ossa, vestito in un completo di tweed marrone e camice bianco.
Portava occhiali a stringinaso e se li aggiustò con aria stizzita.
- Ti sono corso dietro fin troppo, Manfred, sacrificando anche uno dei miei nuovi calessi – gli disse il nuovo arrivato – non vuoi presentarmi la tua graziosa passeggera?
- No – gridò lui – ho accettato che tu costruissi le impastatrici a vapore per la ditta di nostro padre e che affidassi Annelore alla governante di tua scelta. Quando ha scoperto che bisognava caricarla con una chiave come uno dei suoi pupazzi, non ti dico. E ora questo.
Manfred si calmò per un istante.
- Già, che cos’è?
- Fabrica – gli rispose il fratello maggiore – questo è il futuro villaggio industriale per papà. Se vuoi seguirmi, fra un paio di isolati vedrai l’azienda di papà che ho trasferito qui. Dice sempre che vuole un meccanismo ben oliato. E io l’ho creato. Per la curva, c’è voluto il lavoro dei cantonieri a bulloni.
Manfred gli domandò: - Ma, e della ditta vera cosa ne sarà, dei dipendenti?
L’uomo rise.
- Cosa ne è stato, vorrai dire.
Il giovane rimase serio, mentre il sospetto diventava certezza nella sua mente: - Hai sabotato le caldaie, Heinz.
Il fratello arretrò, con le mani in avanti.
- Se la sono cercata.
Manfred lo seguì, in apparenza gelido.
- Posso immaginarlo.
- Hanno distrutto gli aiutanti meccanici che ho affiancato loro.
Ricordando le tensioni in azienda, Manfred cominciò a rendersi conto di cosa era successo.
- Ora capisco perché il capo reparto si è lamentato con papà. Tu hai peggiorato la produzione il mese scorso.
Il fratello si fermò.
- Colpa di quegli stupidi.
- No, Heinz, tua. Gli operai si sono spaventati davanti all’efficienza degli aiutanti meccanici, hanno temuto di perdere il posto. Non è ancora il momento di certe novità.
Heinz infilò di scatto la mano nella tasca della giacca.
Temendo il peggio, Manfred si voltò verso la ragazza.
- A terra.
Fra le mani del fratello c’era un piccolo carillon a forma di baule.
- Andiamo, Manfred, credevi davvero che volessi ucciderti? No davvero. Sarai mio ospite insieme alla tua deliziosa compagna di viaggio.
Non appena Heinz girò la chiavetta del meccanismo, ne venne fuori il motivo di un valzer che attirò due automi verso Manfred; correvano entrambi a pugni in avanti.
Il giovane si mise sulla difensiva.
Sogghignando, Heinz aggiunse: - Questo, fintanto che papà non metterà a tacere la cosa.
- Non lo farà mai – rispose Manfred, mentre parava i colpi dei due avversari meccanici meglio che poteva.
- Ah, davvero?
Il giovane si dibatté, strappando una mezza manica al primo e facendo volare la visiera del secondo.
- Tratti male i ragionieri – osservò Heinz con aria annoiata.
Poi si rivolse alla ragazza, rimasta a terra terrorizzata.
- Venga, cara – la invitò, con la mano tesa.
Lei gli obbedì, tremante, rivolgendo poi a Manfred uno sguardo terrorizzato.
Heinz le disse: - Non è il caso di spaventarsi così. Basta seguire le mie istruzioni.
Subito dopo, si rivolse al fratello minore.
- Vero, Manfred?
Heinz girò una seconda volta la chiavetta del carillon e la marcetta divenne più vivace.
L’automa senza visiera strinse il collo del giovane.
- Un altro giro di chiave e te lo spezzerà. Capisci perché papà liquiderà tutto come un incidente?
Manfred annuì per come poteva.
Heinz spense il carillon e l’automa lasciò andare il giovane.
- Sono lieto che tu abbia capito.
L’automa con la visiera e il collega di nuovo in mezze maniche volsero il capo e tesero il braccio in direzione della via alle loro spalle.
- Ma certo, ragionieri – disse Heinz rivolto loro – avete ragione. Dobbiamo affrettarci, c’è molto da vedere e poco tempo.
E così si avviarono al reparto produzione tutti quanti.
Dalla ciminiera si spandeva un delizioso profumo di panpepato.
Di Alexandra Fischer
Il giovane imboccò il rettilineo a folle velocità, trasformando i ciliegi e l’erba ai lati della strada in un unico scarabocchio bianco, verde e marrone.
La ragazza al suo fianco impallidì sotto la veletta.
- Rallenta – lo implorò.
- Guarda dietro di te – le disse lui, con una voce rauca di collera.
La ragazza gli obbedì, tenendosi il cappello una mano mentre si voltava.
Il calesse bianco li stava ancora inseguendo.
- C’è ancora?
- Sì.
I due cavalli facevano un rumore di ferraglia sulla pietra da farla rabbrividire.
Lo aveva già sentito.
Un calesse come quello aveva bloccato il passaggio a livello, facendo ritardare la locomotiva di un bel po’.
Quando era salita sull’auto dell’amico, venuto a prenderla alla stazione, aveva scambiato la piega dura sulle labbra di lui per esasperazione da ritardo.
- Scusa – gli aveva detto, mentre si sedeva ansante accanto a lui – un calesse ha bloccato il treno sui binari per un bel pezzo. Non ti dico i macchinisti e gli altri passeggeri.
Il suo amico era addirittura sbottato: - Un calesse? Di che colore?
- Bianco – gli aveva risposto lei.
Sentendo il colpo di pedale con il quale lui aveva avviato l’auto, la ragazza si preoccupò.
- Dammi almeno gli occhialoni.
- Nel cruscotto.
- Grazie per essermi venuta a prendere. Io non ci speravo più. Da quando è sparita Minna…
- Ora sei qui e andremo a fondo di questa storia. Tua sorella non può essersi volatilizzata.
La folle corsa del giovane lungo il rettilineo innervosì anche la ragazza.
- Così ci ammazziamo. Che cosa succede?
Senza perdere di vista la strada, lui replicò: - Dobbiamo andare subito a casa. C’è stata un’esplosione in azienda.
Dietro di loro comparve un calesse bianco e stava guadagnando velocità.
Attirata dal rumore degli zoccoli, insolitamente metallico, la ragazza si era voltata.
- È uguale che ho visto al passaggio a livello – disse all’amico – allora non era lì per caso. Ecco perché sei così nervoso. Esigo delle spieg….
Le parole di lei vennero troncate dall’ennesima accelerazione della Bugatti.
Il giovane era sicuro di lasciarsi dietro il calesse quando vide la curva.
Frenò bruscamente, frastornato dal fatto che prima non ci fosse.
Materializzandosi in una macchia grigia, davanti agli occhi dei due comparve un paesaggio fatto tutto di metallo. Dagli alberi agli uccelli alle case. E tutto in movimento.
Gli abitanti erano vestiti come loro.
La ragazza notò che molte donne portavano grandi cappelli tondi a veletta come il suo e se era per quello, anche gonna lunga, maniche a sbuffo, con tanto di sellino.
Si sarebbero anche dette anche più alla moda di lei, ma c’era qualcosa di meccanico nei loro movimenti; la fanno pensare a tante bambole caricate con una chiave a molla.
Si distrasse guardando quelle con le divise da cameriere e da operaie.
Una di loro le sembrò sua sorella.
Stava quasi per chiamarla, ma le parole le morirono in gola quando vide la chiave sulla schiena della presunta fanciulla.
Quella pupattola a grandezza naturale non poteva essere Minna.
Il suo compagno si tolse gli occhialoni da guida e mise i guanti in tasca.
Non badò agli uomini vestiti in frac e marsina, oppure in giacca e pantaloni con il cappello a visiera e neanche al cigolio di metallo che proveniva dalle loro articolazioni.
Si era girato verso il calesse e aveva visto il cavallo e il cocchiere.
Erano di metallo anche loro.
Dal calesse scese un uomo in carne e ossa, vestito in un completo di tweed marrone e camice bianco.
Portava occhiali a stringinaso e se li aggiustò con aria stizzita.
- Ti sono corso dietro fin troppo, Manfred, sacrificando anche uno dei miei nuovi calessi – gli disse il nuovo arrivato – non vuoi presentarmi la tua graziosa passeggera?
- No – gridò lui – ho accettato che tu costruissi le impastatrici a vapore per la ditta di nostro padre e che affidassi Annelore alla governante di tua scelta. Quando ha scoperto che bisognava caricarla con una chiave come uno dei suoi pupazzi, non ti dico. E ora questo.
Manfred si calmò per un istante.
- Già, che cos’è?
- Fabrica – gli rispose il fratello maggiore – questo è il futuro villaggio industriale per papà. Se vuoi seguirmi, fra un paio di isolati vedrai l’azienda di papà che ho trasferito qui. Dice sempre che vuole un meccanismo ben oliato. E io l’ho creato. Per la curva, c’è voluto il lavoro dei cantonieri a bulloni.
Manfred gli domandò: - Ma, e della ditta vera cosa ne sarà, dei dipendenti?
L’uomo rise.
- Cosa ne è stato, vorrai dire.
Il giovane rimase serio, mentre il sospetto diventava certezza nella sua mente: - Hai sabotato le caldaie, Heinz.
Il fratello arretrò, con le mani in avanti.
- Se la sono cercata.
Manfred lo seguì, in apparenza gelido.
- Posso immaginarlo.
- Hanno distrutto gli aiutanti meccanici che ho affiancato loro.
Ricordando le tensioni in azienda, Manfred cominciò a rendersi conto di cosa era successo.
- Ora capisco perché il capo reparto si è lamentato con papà. Tu hai peggiorato la produzione il mese scorso.
Il fratello si fermò.
- Colpa di quegli stupidi.
- No, Heinz, tua. Gli operai si sono spaventati davanti all’efficienza degli aiutanti meccanici, hanno temuto di perdere il posto. Non è ancora il momento di certe novità.
Heinz infilò di scatto la mano nella tasca della giacca.
Temendo il peggio, Manfred si voltò verso la ragazza.
- A terra.
Fra le mani del fratello c’era un piccolo carillon a forma di baule.
- Andiamo, Manfred, credevi davvero che volessi ucciderti? No davvero. Sarai mio ospite insieme alla tua deliziosa compagna di viaggio.
Non appena Heinz girò la chiavetta del meccanismo, ne venne fuori il motivo di un valzer che attirò due automi verso Manfred; correvano entrambi a pugni in avanti.
Il giovane si mise sulla difensiva.
Sogghignando, Heinz aggiunse: - Questo, fintanto che papà non metterà a tacere la cosa.
- Non lo farà mai – rispose Manfred, mentre parava i colpi dei due avversari meccanici meglio che poteva.
- Ah, davvero?
Il giovane si dibatté, strappando una mezza manica al primo e facendo volare la visiera del secondo.
- Tratti male i ragionieri – osservò Heinz con aria annoiata.
Poi si rivolse alla ragazza, rimasta a terra terrorizzata.
- Venga, cara – la invitò, con la mano tesa.
Lei gli obbedì, tremante, rivolgendo poi a Manfred uno sguardo terrorizzato.
Heinz le disse: - Non è il caso di spaventarsi così. Basta seguire le mie istruzioni.
Subito dopo, si rivolse al fratello minore.
- Vero, Manfred?
Heinz girò una seconda volta la chiavetta del carillon e la marcetta divenne più vivace.
L’automa senza visiera strinse il collo del giovane.
- Un altro giro di chiave e te lo spezzerà. Capisci perché papà liquiderà tutto come un incidente?
Manfred annuì per come poteva.
Heinz spense il carillon e l’automa lasciò andare il giovane.
- Sono lieto che tu abbia capito.
L’automa con la visiera e il collega di nuovo in mezze maniche volsero il capo e tesero il braccio in direzione della via alle loro spalle.
- Ma certo, ragionieri – disse Heinz rivolto loro – avete ragione. Dobbiamo affrettarci, c’è molto da vedere e poco tempo.
E così si avviarono al reparto produzione tutti quanti.
Dalla ciminiera si spandeva un delizioso profumo di panpepato.