[EX NOVO] I regali del Mostro (6673)
Inviato: mercoledì 3 agosto 2016, 10:58
Uscita dalla palestra, Elena si stiracchiò. Dopo due ore di movimento si sentiva tonica e in forma. Il pensiero di dover fare merenda con le sue compagne di classe la preoccupava: insistevano sempre quando rifiutava di mangiare i dolci, di sicuro perché godevano all’idea di tutto quello zucchero che invadeva il suo corpo.
Qualcosa le punse la pelle: infilò una mano nella maglietta e sistemò il ciondolo della collana. Era il regalo che le aveva fatto la Medei, si era dimenticata di toglierselo e durante la lezione di zumba le era finito tra le scapole.
Sospirò e si avviò in pasticceria. I muscoli delle braccia e delle gambe tiravano. Le piaceva quella sensazione: finché sentiva quell’elettricità nel suo corpo, significava che non stava diventando una cicciona.
Elena aveva tanti dubbi sulla vita, ma era certa di una cosa: essere grassa è una cosa che la gente non ti perdona.
Rabbrividì pensando alla Medei, che per colpa di quei chili di troppo non aveva un attimo di pace.
Mentre camminava le sembrò di riconoscere un profilo familiare in lontananza. Non si sbagliava: era Sonia.
“Ehi, Sonia” la chiamò.
Lei si voltò. “Oh, ciao.”
“Che ci fai qui?”
“Sono andata da Gherardi a fare shopping. Ho comprato questi stivali, li volevo da un sacco di tempo. Sono costati un po', ma chi se ne frega? Tanto ho pagato con la carta di credito della mia matrigna” Sonia tirò fuori l’accendino e si accese una sigaretta. “Ehi, hai fatto matematica?”
“Non ancora. La farò stasera.”
“Io copio dal Mostro domani. Tanto si fa comandare a bacchetta.”
Il Mostro era il secondo nome della Medei. Elena l’aveva sentita chiamare così milioni di volte, ma non aveva mai fatto lo stesso. Si limitava a usare il suo cognome.
“Oh, la vuoi sapere l’ultima?” Ridacchiò Sonia. “Mi ha regalato quest’accendino. E oggi mi ha pure invitata in pasticceria!”
“Ha invitato anche me. Viene anche Giulia” disse Elena.
“Beh, hai visto che non se l’è presa per la storia degli sputi sulla felpa? Altrimenti non ci avrebbe invitate.”
“Immagino di sì.”
“Ormai si è rassegnata a essere trattata di merda. Meglio per lei, da quando ha smesso di ribellarsi qualcuno ha anche iniziato ad invitarla alle feste, ogni tanto. A proposito, tra un po’ è il mio compleanno. Che faccio, la invito o no?”
“Non so, Sonia. Magari sarebbe carino…”
“E se poi porta i suoi libri con i polipi? Naaa, meglio di no. Mica posso fare queste figure di merda con gli altri.”
“Già…”
“Perché si sarà fissata tanto con quei libri? Ha fatto proprio bene, Giulia, a buttarglieli nel cesso. Ti ricordi che faccia ha fatto quando l’ha scoperto?”
Elena annuì, abbozzando un sorriso.
“Adesso andiamo, ho fame. Ci sarà da ridere!”
“Certo… ci sarà da ridere.”
Elena camminò di fianco a Sonia fino alla pasticceria, ascoltandola mentre ricordava tutti gli scherzi epici combinati alla Medei dal primo anno di ginnasio fino al momento in cui, secondo lei, non era ‘finalmente stata accettata’.
Da sotto l’insegna, Giulia alzò il braccio per salutarle. Indossava jeans attillati, una camicetta bianca e tacchi altissimi: apparteneva alla categoria di persone che si vestono eleganti anche per andare a comprare il latte.
Segretamente, Sonia la prendeva in giro.
“Quella lì veste Desigual, che roba da pezzenti. Con due genitori neurochirurghi dovrebbe come minimo indossare abiti di Prada!”
“Ciao, tesoro!” Sorrise Sonia quando vide Giulia, piegandosi per darle due baci sulle guance.
“Oh, meno male che siete arrivate, ragazze” disse Giulia. “Se non ci foste state voi non sarei venuta, non voglio trovarmi da sola con il Mostro!”
Elena notò che Giulia giocherellava con un polipo giallo di peluche. Qualche giorno prima ne aveva visto uno identico alla Medei.
“Carino il tuo portachiavi” disse.
“L’ho comprato ieri su una bancarella” rispose Giulia.
Elena finse di crederci. Anche quello era un regalo della Medei. I doni erano chiaramente un modo per imbonirle: le spiacque un po’ pensare che si fosse abbassata a simili sotterfugi per guadagnarsi la loro amicizia.
In quel momento Mina Il Mostro Medei entrò in pasticceria.
“Ciao ragazze” le salutò.
“Ciao” risposero svogliatamente Sonia e Giulia.
Elena le rivolse un sorriso frettoloso. Ogni volta che vedeva quel suo corpo immenso provava pietà per lei. Avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarla, invitarla ad andare in palestra insieme, ma così le altre avrebbero pensato che fossero amiche e avrebbero preso di mira anche lei.
“Ci hai fatto aspettare una vita. Ci sediamo?”
Le quattro ragazze si sedettero.
“Io prendo due bignè e un succo di frutta. Tanto offri tu, vero?” Disse Sonia, rivolgendosi alla Medei.
“Oh… sì, certo.”
“Brava. Tu però è meglio se non ordini nulla. Un po’ di dieta male non ti fa.”
La Medei non mostrò di essersi offesa, ma Elena vide un tremito guizzare sulle sue labbra: di colpo un senso di disagio le attanagliò la gola.
“Lo sai che lo dico per te, vero?” Continuò Sonia. “Guarda che ti vogliamo bene. Lo facciamo per motivarti a ritornare in forma.”
La ragazza sorrise. “Lo so, dovrei proprio cambiare vita.”
“Più che altro, dovresti cambiare regime alimentare” rispose Sonia. “Hai provato a vedere un dietologo?”
“Non ancora.”
“Eh, forse è meglio se ti dai una mossa.”
Elena deglutì, tenendo lo sguardo fisso sul tavolino. La vista del banco traboccante di dolci e l’odore di glassa di zucchero che si sentiva ovunque le davano la nausea. O forse era il senso di disagio che si era trasformato in un fastidio fisico che le mordeva lo stomaco, come se fosse il suo stesso corpo a punirla.
Non seppe neppure lei da dove uscirono le parole.
“Dai Sonia, basta…”
Sonia si voltò verso di lei, gli occhi spalancati per la sorpresa. “Scusami?”
“Nulla” si affrettò a dire Elena. “Volevo dire che…”
“So perfettamente cosa volevi dire” ribatté Sonia.
“Dai ragazze, non litigate. In fondo è vero, dovrei proprio cambiare vita” cercò di ammansirle la Medei.
“O magari pianeta” ribatté Giulia.
Sonia rivolse un’occhiata a Elena che significava chiaramente: non finisce qui.
Elena avrebbe voluto sprofondare. Pronunciarsi a favore della Medei era una cosa assolutamente proibita. Aveva commesso un grave errore. Eppure era stato più forte di lei. Perché non poteva essere come Sonia e Giulia? Fregarsene avrebbe reso tutto più semplice.
Pensò in fretta a una soluzione per allontanare da sé l’odio di Sonia.
“Comunque Sonia ha ragione, Mina. Dovresti vedere un dietologo al più presto. Così… così non vai bene.”
Si odiò per averlo detto.
La Medei la guardò con calma glaciale. Lentamente, le sue labbra si piegarono in un sorriso.
“Davvero, Elena?”
Elena sentì un brivido correrle lungo la schiena. Non era una domanda di circostanza, in qualche modo c'era in ballo qualcosa di più profondo.
Si sforzò di dire: “Sì... Davvero.”
La Medei abbassò lo sguardo sul tavolino e sorrise.
“Allora, ordiniamo o no? Ho fame, cazzo!” Si lamentò Sonia.
All’improvviso i capelli di Sonia presero fuoco. Lei impiegò qualche istante ad accorgersene, ma quando successe cacciò uno strillo così forte che a Elena si gelò il sangue nelle vene. Pochi secondi dopo, tutto il corpo della ragazza avvampò: corse fuori dal locale, divenendo via via sempre più piccola man mano che le fiamme la consumavano. Crollò qualche metro fuori dalla pasticceria, ormai ridotta a una pira umana.
Un attimo dopo un mostro giallo saltò fuori dalla borsa di Giulia e le ghermì la testa con i tentacoli, serrandole il cranio fino a che questo non si accartocciò: la ragazza non ebbe neanche il tempo di gridare.
Quasi nello stesso istante, Elena sentì che qualcosa le si serrava intorno al collo: la catenina con il ciondolo le stringeva la gola. Tentò disperatamente di togliersela, senza riuscirci.
La Medei restò per un po' a guardarla mentre soffocava, poi le voltò le spalle.
Il pavimento della pasticceria si squarciò.
Elena lanciò un urlo strozzato, senza riuscire a staccare gli occhi da Mina. La ragazza sembrava pronta a saltare nella fessura che si era aperta, ma all’ultimo ci ripensò.
La catenina smise di stringere e Elena inalò una lunga, dolorosa boccata d’aria. Mina le si avvicinò.
“Non lo meriti” disse. “Ti lascio in vita. E avrai anche qualcos’altro…”
Un attimo dopo Elena vide la Medei che sprofondava in acque nere e burrascose. Nell’ultimo istante, le sembrò di sentirle sussurrare a qualcuno d’invisibile: “Ho avuto la mia vendetta. Ora, come promesso, sono tua.”
Lo squarcio nel pavimento si richiuse.
Quando Elena si riebbe, era circondata dai clienti della pasticceria.
“Ehi, come stai?”
“Fate spazio, lasciatela respirare…”
“Tutto bene? Sei caduta dalla sedia all’improvviso…”
Elena era troppo spaventata per rispondere. Cacciò fuori solo un gorgoglio confuso. Ci mise un po’ a rendersi conto che nessuno si era accorto di nulla.
Si toccò il collo. La catenina era scomparsa, come i cadaveri delle sue amiche.
Sul tavolino davanti a lei c’era un vassoio pieno di dolcetti ricoperti di glassa di zucchero: erano così tanti che qualsiasi persona normale si sarebbe sentita male se li avesse mangiati tutti. Eppure in qualche modo sapeva con certezza che quel vassoio apparteneva a lei, aveva scelto lei quei dolci, li aveva pagati.
Fu in quel momento che ebbe il coraggio di abbassare lo sguardo sul proprio corpo.
Carne gonfia e tenera le avvolgeva l’addome, le gambe, le braccia. Il suo corpo si era espanso.
Si rannicchiò in posizione fetale, raccogliendo meglio che poteva quella pelle che strabordava dappertutto. E, sotto gli occhi dei clienti della pasticceria che guardavano con pietà e divertimento quell’enorme corpo ruzzolato per terra, pianse.
Qualcosa le punse la pelle: infilò una mano nella maglietta e sistemò il ciondolo della collana. Era il regalo che le aveva fatto la Medei, si era dimenticata di toglierselo e durante la lezione di zumba le era finito tra le scapole.
Sospirò e si avviò in pasticceria. I muscoli delle braccia e delle gambe tiravano. Le piaceva quella sensazione: finché sentiva quell’elettricità nel suo corpo, significava che non stava diventando una cicciona.
Elena aveva tanti dubbi sulla vita, ma era certa di una cosa: essere grassa è una cosa che la gente non ti perdona.
Rabbrividì pensando alla Medei, che per colpa di quei chili di troppo non aveva un attimo di pace.
Mentre camminava le sembrò di riconoscere un profilo familiare in lontananza. Non si sbagliava: era Sonia.
“Ehi, Sonia” la chiamò.
Lei si voltò. “Oh, ciao.”
“Che ci fai qui?”
“Sono andata da Gherardi a fare shopping. Ho comprato questi stivali, li volevo da un sacco di tempo. Sono costati un po', ma chi se ne frega? Tanto ho pagato con la carta di credito della mia matrigna” Sonia tirò fuori l’accendino e si accese una sigaretta. “Ehi, hai fatto matematica?”
“Non ancora. La farò stasera.”
“Io copio dal Mostro domani. Tanto si fa comandare a bacchetta.”
Il Mostro era il secondo nome della Medei. Elena l’aveva sentita chiamare così milioni di volte, ma non aveva mai fatto lo stesso. Si limitava a usare il suo cognome.
“Oh, la vuoi sapere l’ultima?” Ridacchiò Sonia. “Mi ha regalato quest’accendino. E oggi mi ha pure invitata in pasticceria!”
“Ha invitato anche me. Viene anche Giulia” disse Elena.
“Beh, hai visto che non se l’è presa per la storia degli sputi sulla felpa? Altrimenti non ci avrebbe invitate.”
“Immagino di sì.”
“Ormai si è rassegnata a essere trattata di merda. Meglio per lei, da quando ha smesso di ribellarsi qualcuno ha anche iniziato ad invitarla alle feste, ogni tanto. A proposito, tra un po’ è il mio compleanno. Che faccio, la invito o no?”
“Non so, Sonia. Magari sarebbe carino…”
“E se poi porta i suoi libri con i polipi? Naaa, meglio di no. Mica posso fare queste figure di merda con gli altri.”
“Già…”
“Perché si sarà fissata tanto con quei libri? Ha fatto proprio bene, Giulia, a buttarglieli nel cesso. Ti ricordi che faccia ha fatto quando l’ha scoperto?”
Elena annuì, abbozzando un sorriso.
“Adesso andiamo, ho fame. Ci sarà da ridere!”
“Certo… ci sarà da ridere.”
Elena camminò di fianco a Sonia fino alla pasticceria, ascoltandola mentre ricordava tutti gli scherzi epici combinati alla Medei dal primo anno di ginnasio fino al momento in cui, secondo lei, non era ‘finalmente stata accettata’.
Da sotto l’insegna, Giulia alzò il braccio per salutarle. Indossava jeans attillati, una camicetta bianca e tacchi altissimi: apparteneva alla categoria di persone che si vestono eleganti anche per andare a comprare il latte.
Segretamente, Sonia la prendeva in giro.
“Quella lì veste Desigual, che roba da pezzenti. Con due genitori neurochirurghi dovrebbe come minimo indossare abiti di Prada!”
“Ciao, tesoro!” Sorrise Sonia quando vide Giulia, piegandosi per darle due baci sulle guance.
“Oh, meno male che siete arrivate, ragazze” disse Giulia. “Se non ci foste state voi non sarei venuta, non voglio trovarmi da sola con il Mostro!”
Elena notò che Giulia giocherellava con un polipo giallo di peluche. Qualche giorno prima ne aveva visto uno identico alla Medei.
“Carino il tuo portachiavi” disse.
“L’ho comprato ieri su una bancarella” rispose Giulia.
Elena finse di crederci. Anche quello era un regalo della Medei. I doni erano chiaramente un modo per imbonirle: le spiacque un po’ pensare che si fosse abbassata a simili sotterfugi per guadagnarsi la loro amicizia.
In quel momento Mina Il Mostro Medei entrò in pasticceria.
“Ciao ragazze” le salutò.
“Ciao” risposero svogliatamente Sonia e Giulia.
Elena le rivolse un sorriso frettoloso. Ogni volta che vedeva quel suo corpo immenso provava pietà per lei. Avrebbe voluto fare qualcosa per aiutarla, invitarla ad andare in palestra insieme, ma così le altre avrebbero pensato che fossero amiche e avrebbero preso di mira anche lei.
“Ci hai fatto aspettare una vita. Ci sediamo?”
Le quattro ragazze si sedettero.
“Io prendo due bignè e un succo di frutta. Tanto offri tu, vero?” Disse Sonia, rivolgendosi alla Medei.
“Oh… sì, certo.”
“Brava. Tu però è meglio se non ordini nulla. Un po’ di dieta male non ti fa.”
La Medei non mostrò di essersi offesa, ma Elena vide un tremito guizzare sulle sue labbra: di colpo un senso di disagio le attanagliò la gola.
“Lo sai che lo dico per te, vero?” Continuò Sonia. “Guarda che ti vogliamo bene. Lo facciamo per motivarti a ritornare in forma.”
La ragazza sorrise. “Lo so, dovrei proprio cambiare vita.”
“Più che altro, dovresti cambiare regime alimentare” rispose Sonia. “Hai provato a vedere un dietologo?”
“Non ancora.”
“Eh, forse è meglio se ti dai una mossa.”
Elena deglutì, tenendo lo sguardo fisso sul tavolino. La vista del banco traboccante di dolci e l’odore di glassa di zucchero che si sentiva ovunque le davano la nausea. O forse era il senso di disagio che si era trasformato in un fastidio fisico che le mordeva lo stomaco, come se fosse il suo stesso corpo a punirla.
Non seppe neppure lei da dove uscirono le parole.
“Dai Sonia, basta…”
Sonia si voltò verso di lei, gli occhi spalancati per la sorpresa. “Scusami?”
“Nulla” si affrettò a dire Elena. “Volevo dire che…”
“So perfettamente cosa volevi dire” ribatté Sonia.
“Dai ragazze, non litigate. In fondo è vero, dovrei proprio cambiare vita” cercò di ammansirle la Medei.
“O magari pianeta” ribatté Giulia.
Sonia rivolse un’occhiata a Elena che significava chiaramente: non finisce qui.
Elena avrebbe voluto sprofondare. Pronunciarsi a favore della Medei era una cosa assolutamente proibita. Aveva commesso un grave errore. Eppure era stato più forte di lei. Perché non poteva essere come Sonia e Giulia? Fregarsene avrebbe reso tutto più semplice.
Pensò in fretta a una soluzione per allontanare da sé l’odio di Sonia.
“Comunque Sonia ha ragione, Mina. Dovresti vedere un dietologo al più presto. Così… così non vai bene.”
Si odiò per averlo detto.
La Medei la guardò con calma glaciale. Lentamente, le sue labbra si piegarono in un sorriso.
“Davvero, Elena?”
Elena sentì un brivido correrle lungo la schiena. Non era una domanda di circostanza, in qualche modo c'era in ballo qualcosa di più profondo.
Si sforzò di dire: “Sì... Davvero.”
La Medei abbassò lo sguardo sul tavolino e sorrise.
“Allora, ordiniamo o no? Ho fame, cazzo!” Si lamentò Sonia.
All’improvviso i capelli di Sonia presero fuoco. Lei impiegò qualche istante ad accorgersene, ma quando successe cacciò uno strillo così forte che a Elena si gelò il sangue nelle vene. Pochi secondi dopo, tutto il corpo della ragazza avvampò: corse fuori dal locale, divenendo via via sempre più piccola man mano che le fiamme la consumavano. Crollò qualche metro fuori dalla pasticceria, ormai ridotta a una pira umana.
Un attimo dopo un mostro giallo saltò fuori dalla borsa di Giulia e le ghermì la testa con i tentacoli, serrandole il cranio fino a che questo non si accartocciò: la ragazza non ebbe neanche il tempo di gridare.
Quasi nello stesso istante, Elena sentì che qualcosa le si serrava intorno al collo: la catenina con il ciondolo le stringeva la gola. Tentò disperatamente di togliersela, senza riuscirci.
La Medei restò per un po' a guardarla mentre soffocava, poi le voltò le spalle.
Il pavimento della pasticceria si squarciò.
Elena lanciò un urlo strozzato, senza riuscire a staccare gli occhi da Mina. La ragazza sembrava pronta a saltare nella fessura che si era aperta, ma all’ultimo ci ripensò.
La catenina smise di stringere e Elena inalò una lunga, dolorosa boccata d’aria. Mina le si avvicinò.
“Non lo meriti” disse. “Ti lascio in vita. E avrai anche qualcos’altro…”
Un attimo dopo Elena vide la Medei che sprofondava in acque nere e burrascose. Nell’ultimo istante, le sembrò di sentirle sussurrare a qualcuno d’invisibile: “Ho avuto la mia vendetta. Ora, come promesso, sono tua.”
Lo squarcio nel pavimento si richiuse.
Quando Elena si riebbe, era circondata dai clienti della pasticceria.
“Ehi, come stai?”
“Fate spazio, lasciatela respirare…”
“Tutto bene? Sei caduta dalla sedia all’improvviso…”
Elena era troppo spaventata per rispondere. Cacciò fuori solo un gorgoglio confuso. Ci mise un po’ a rendersi conto che nessuno si era accorto di nulla.
Si toccò il collo. La catenina era scomparsa, come i cadaveri delle sue amiche.
Sul tavolino davanti a lei c’era un vassoio pieno di dolcetti ricoperti di glassa di zucchero: erano così tanti che qualsiasi persona normale si sarebbe sentita male se li avesse mangiati tutti. Eppure in qualche modo sapeva con certezza che quel vassoio apparteneva a lei, aveva scelto lei quei dolci, li aveva pagati.
Fu in quel momento che ebbe il coraggio di abbassare lo sguardo sul proprio corpo.
Carne gonfia e tenera le avvolgeva l’addome, le gambe, le braccia. Il suo corpo si era espanso.
Si rannicchiò in posizione fetale, raccogliendo meglio che poteva quella pelle che strabordava dappertutto. E, sotto gli occhi dei clienti della pasticceria che guardavano con pietà e divertimento quell’enorme corpo ruzzolato per terra, pianse.