La promessa [Ex Novo] (6860)
Inviato: mercoledì 3 agosto 2016, 11:28
Rudi era disteso sul letto. Non si era tolto nemmeno le scarpe. Il suo sguardo passava, con regolarità, dal soffitto all’ampia vetrata della porta finestra. La mano sinistra era poggiata sul basso comodino accanto al letto. Stringeva l’interruttore della lampada liberty. Le dita giocavano incerte sul tasto dell’accensione, non sapevano decidere se premere o meno. La sveglia sull’altro comodino ticchettava con cadenza assordante, rimarcando con crudele precisione ogni secondo. Il rumore del silenzio era spietato. Come il frastuono dei suoi pensieri. Con rabbia saltò fuori dal letto. Si avvicinò alla vetrata e puntò lo sguardo sugli abeti lontani. Le cime maestose erano immobili, coperte di neve. La superficie del lago immota. Una leggera brezza soffiò sugli abeti, lasciando cadere la neve soffice, i suoi fiocchi simili a festosi coriandoli. Lievi onde, bianche e spumose, cominciarono a rincorrersi sulla distesa d’acqua. Un’aquila reale si levò in volo abbandonando la punta del campanile immerso nel blu liquido. Nonostante il buio all’interno della sua solida cornice si intravedevano due enormi campane. Da oltre cinquant’anni nessuno si curava più di farle suonare. La chiesa era stata sommersa dall’acqua, insieme all’antico villaggio. Solo il campanile restava lì, ritto e coraggioso, a ricordare tempi passati, quando la domenica la gente della valle accorreva in chiesa al suono delle sue campane per assistere alla funzione, o quando a mezzogiorno e mezzanotte scandiva le ore per ricordare che un altro giorno stava volando via o era già passato.
La brezza, quasi guidata dai cupi pensieri di Rudi, divenne un vento impetuoso.
Ecco, tra poco suoneranno. In un attimo le due campane cominciarono ad agitarsi, spinte dalla mano del vento, prima piano, poi sempre più in fretta. Un ghigno beffardo apparve sul suo viso. Nella furia di quell’incessante scampanio aveva percepito altri rumori. Si girò verso la porta della camera da letto, si passò una mano sugli occhi e lentamente si avviò verso le scale.
Il piano inferiore era completamente buio. Si intravedeva una sottile lingua di luce che filtrava sotto la porta della cucina. Si fermò, si passò le mani nei capelli e spalancò la porta.
- Sei qui.
- Sì.
- Credevo non venissi più.
- Sono qui.
Rudi poggiò la mano sull’interruttore poi cambiò idea, la fioca luce della cappa era sufficiente. Girò intorno al tavolo e andò verso il frigorifero aprendolo.
- Hai fame? Vuoi qualcosa?
- No. Sto bene.
- Dell’acqua?
- No, grazie.
Richiuse il frigo. Non sapeva nemmeno lui perché lo avesse aperto. Si sentiva nervoso, cercava di controllare i suoi movimenti.
- Credevo non venissi più. Immagino di aver cambiato idea.
- Hai promesso.
- Non mi hai dato scelta.
- C’è sempre una scelta. E tu la tua l’hai fatta.
- Già. Perché è finita?
- Potrei farti la stessa domanda. Tutto finisce, il giorno finisce, la notte finisce, le storie finiscono, la vita finisce.
- Smettila. Non ho mai sopportato la tua filosofia da quattro soldi. Risparmiami. Almeno stavolta.
- Come vuoi.
Il silenzio invase la cucina. Rudi lo sentiva, un peso opprimente, un groppo in gola gli smorzava le parole. Per giorni aveva pensato a quel momento, aveva trovato inoppugnabili spiegazioni al suo dietro-front. E ora, puff!, tutto sparito. La mente una tabula rasa, un deserto sconfinato senza la rassicurazione di un sicuro rifugio, di un’oasi. Poi gridò.
- Perché proprio io?
- Perché una volta ci amavamo.
- Io ti amavo.
- Lo vedi? Il tuo egoismo fa sempre capolino.
- Io ti amavo. Avrei fatto qualunque cosa per te.
- Sei ancora in tempo.
- E se non volessi?
- Oh, smettila. Perché vuoi litigare?
- Perché non posso. Non ce la faccio.
- Sì che puoi. Ne abbiamo sempre parlato, ricordi? Ce lo siamo promessi. E tu hai promesso. Una promessa è un voto. Non puoi infrangerlo solo perché hai cambiato idea.
Rudi appoggiato al lavello chiuse gli occhi e li coprì con entrambe le mani. Per lunghi attimi rimase fermo in quella posizione dolente. Scosse la testa e si diresse verso le scale.
- Andiamo.
Trascinò i piedi sui gradini, poggiando entrambe le mani sulla ringhiera di legno, come se non avesse la forza necessaria per salire.
- Quale stanza preferisci?
- È uguale, decidi tu.
- La camera da letto allora.
- Va bene. Sarà poetico.
- Vuoi cambiarti?
- Non lo so. Pensavo che potesse andar bene senza nulla indosso, sotto le lenzuola.
- Vai allora. Sai dov’è il bagno. Io intanto preparo.
Seduto al piccolo scrittoio Rudi aprì un cassetto chiuso a chiave. Le mani si infilarono al suo interno con discrezione, si allungarono sino in fondo, la parte più segreta, frugarono caute e uscirono tenendo tra le dita tremanti una scatola, piccola, nera. Poi con la stessa delicatezza richiusero il cassetto, girarono la minuscola chiave e si posarono sul piano di legno, solido, sicuro, caldo.
Rudi osservava le sue mani quasi fossero un’entità a lui estranea. Sembrava che avessero assunto una loro volontà, totalmente indipendente dalla sua.
- Rudi, grazie. Nessuno avrebbe fatto quello che tu stai facendo per me. Lo apprezzo, sai. Mi spiace, non volevo che finisse così, ma non ho scelto io. Il male che sta consumando il mio cervello non mi lascia scampo. Vuole annientarmi, ma io lo anticiperò. Non gli consentirò di ridurmi a una larva.
Ci vorrà molto?
- No. Ti addormenterai. Non sentirai nulla.
- Bene. Vuoi fare un’ultima cosa per me?
- Basta Georg. Cos’altro vuoi che faccia? Non ti basta che sia io a darti la morte?
- Vorrei che leggessi una poesia mentre mi addormento.
- Una poesia!
- Sì, una poesia. L’ho scelta con cura, ecco, ti ho messo il segno.
Rudi prese il libro che Georg gli porgeva e lo poggiò sul comodino. Prese la siringa, strofinò con un batuffolo il braccio dell’amato per evidenziare la vena, lo guardò a lungo e quando lui chiuse gli occhi infilò l’ago.
Posò la siringa vuota sul comodino e prese il libro. Julio Cortázar, Poesie d’amore e rabbia. Aprì dove Georg aveva detto e cominciò a leggere.
Il Futuro
E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il "tutto completo" delle sotterranee,
nei libri prestati e nell'arrivederci a domani.
Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
né ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all'angolo della strada mi fermerò,
a quell'angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
né qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
né là fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.
La brezza, quasi guidata dai cupi pensieri di Rudi, divenne un vento impetuoso.
Ecco, tra poco suoneranno. In un attimo le due campane cominciarono ad agitarsi, spinte dalla mano del vento, prima piano, poi sempre più in fretta. Un ghigno beffardo apparve sul suo viso. Nella furia di quell’incessante scampanio aveva percepito altri rumori. Si girò verso la porta della camera da letto, si passò una mano sugli occhi e lentamente si avviò verso le scale.
Il piano inferiore era completamente buio. Si intravedeva una sottile lingua di luce che filtrava sotto la porta della cucina. Si fermò, si passò le mani nei capelli e spalancò la porta.
- Sei qui.
- Sì.
- Credevo non venissi più.
- Sono qui.
Rudi poggiò la mano sull’interruttore poi cambiò idea, la fioca luce della cappa era sufficiente. Girò intorno al tavolo e andò verso il frigorifero aprendolo.
- Hai fame? Vuoi qualcosa?
- No. Sto bene.
- Dell’acqua?
- No, grazie.
Richiuse il frigo. Non sapeva nemmeno lui perché lo avesse aperto. Si sentiva nervoso, cercava di controllare i suoi movimenti.
- Credevo non venissi più. Immagino di aver cambiato idea.
- Hai promesso.
- Non mi hai dato scelta.
- C’è sempre una scelta. E tu la tua l’hai fatta.
- Già. Perché è finita?
- Potrei farti la stessa domanda. Tutto finisce, il giorno finisce, la notte finisce, le storie finiscono, la vita finisce.
- Smettila. Non ho mai sopportato la tua filosofia da quattro soldi. Risparmiami. Almeno stavolta.
- Come vuoi.
Il silenzio invase la cucina. Rudi lo sentiva, un peso opprimente, un groppo in gola gli smorzava le parole. Per giorni aveva pensato a quel momento, aveva trovato inoppugnabili spiegazioni al suo dietro-front. E ora, puff!, tutto sparito. La mente una tabula rasa, un deserto sconfinato senza la rassicurazione di un sicuro rifugio, di un’oasi. Poi gridò.
- Perché proprio io?
- Perché una volta ci amavamo.
- Io ti amavo.
- Lo vedi? Il tuo egoismo fa sempre capolino.
- Io ti amavo. Avrei fatto qualunque cosa per te.
- Sei ancora in tempo.
- E se non volessi?
- Oh, smettila. Perché vuoi litigare?
- Perché non posso. Non ce la faccio.
- Sì che puoi. Ne abbiamo sempre parlato, ricordi? Ce lo siamo promessi. E tu hai promesso. Una promessa è un voto. Non puoi infrangerlo solo perché hai cambiato idea.
Rudi appoggiato al lavello chiuse gli occhi e li coprì con entrambe le mani. Per lunghi attimi rimase fermo in quella posizione dolente. Scosse la testa e si diresse verso le scale.
- Andiamo.
Trascinò i piedi sui gradini, poggiando entrambe le mani sulla ringhiera di legno, come se non avesse la forza necessaria per salire.
- Quale stanza preferisci?
- È uguale, decidi tu.
- La camera da letto allora.
- Va bene. Sarà poetico.
- Vuoi cambiarti?
- Non lo so. Pensavo che potesse andar bene senza nulla indosso, sotto le lenzuola.
- Vai allora. Sai dov’è il bagno. Io intanto preparo.
Seduto al piccolo scrittoio Rudi aprì un cassetto chiuso a chiave. Le mani si infilarono al suo interno con discrezione, si allungarono sino in fondo, la parte più segreta, frugarono caute e uscirono tenendo tra le dita tremanti una scatola, piccola, nera. Poi con la stessa delicatezza richiusero il cassetto, girarono la minuscola chiave e si posarono sul piano di legno, solido, sicuro, caldo.
Rudi osservava le sue mani quasi fossero un’entità a lui estranea. Sembrava che avessero assunto una loro volontà, totalmente indipendente dalla sua.
- Rudi, grazie. Nessuno avrebbe fatto quello che tu stai facendo per me. Lo apprezzo, sai. Mi spiace, non volevo che finisse così, ma non ho scelto io. Il male che sta consumando il mio cervello non mi lascia scampo. Vuole annientarmi, ma io lo anticiperò. Non gli consentirò di ridurmi a una larva.
Ci vorrà molto?
- No. Ti addormenterai. Non sentirai nulla.
- Bene. Vuoi fare un’ultima cosa per me?
- Basta Georg. Cos’altro vuoi che faccia? Non ti basta che sia io a darti la morte?
- Vorrei che leggessi una poesia mentre mi addormento.
- Una poesia!
- Sì, una poesia. L’ho scelta con cura, ecco, ti ho messo il segno.
Rudi prese il libro che Georg gli porgeva e lo poggiò sul comodino. Prese la siringa, strofinò con un batuffolo il braccio dell’amato per evidenziare la vena, lo guardò a lungo e quando lui chiuse gli occhi infilò l’ago.
Posò la siringa vuota sul comodino e prese il libro. Julio Cortázar, Poesie d’amore e rabbia. Aprì dove Georg aveva detto e cominciò a leggere.
Il Futuro
E so molto bene che non ci sarai.
Non ci sarai nella strada,
non nel mormorio che sgorga di notte
dai pali che la illuminano,
neppure nel gesto di scegliere il menù,
o nel sorriso che alleggerisce il "tutto completo" delle sotterranee,
nei libri prestati e nell'arrivederci a domani.
Nei miei sogni non ci sarai,
nel destino originale delle parole,
né ci sarai in un numero di telefono
o nel colore di un paio di guanti, di una blusa.
Mi infurierò, amor mio, e non sarà per te,
e non per te comprerò dolci,
all'angolo della strada mi fermerò,
a quell'angolo a cui non svolterai,
e dirò le parole che si dicono
e mangerò le cose che si mangiano
e sognerò i sogni che si sognano
e so molto bene che non ci sarai,
né qui dentro, il carcere dove ancora ti detengo,
né là fuori, in quel fiume di strade e di ponti.
Non ci sarai per niente, non sarai neppure ricordo,
e quando ti penserò, penserò un pensiero
che oscuramente cerca di ricordarsi di te.