Nuvola a vapore [Steampunk Edition] (11310)
Inviato: venerdì 5 agosto 2016, 0:03
“Nuvola” a vapore
Al buio, Tazio affondò le mani nel sacco di carbone, ne afferrò una manciata e la gettò nella caldaia. A tastoni raccolse la bottiglia dell'alcool, quasi finita, la svuotò sul combustibile e ci lanciò sopra un cerino acceso. Il calore della fiammata lo investì. Si scostò, chiuse lo sportello e si pulì su uno straccio lercio.
Zoppicò fino al tavolo. La lampadina appesa al soffitto emanò un tenue bagliore, pochi minuti e la stanza sarebbe stata illuminata. Raggiunse la fiaschetta del vino e riempì il bicchiere. Davanti a lui c'era la lettera che aveva ricevuto quella mattina; l'aveva letta e poi si era chiuso in officina a lavorare. Eppure non era riuscito a pensare ad altro.
Alle sue spalle sentì il peso dei due letti vuoti su cui spiccava la litografia che lo rappresentava con in mano il trofeo della “Formula Grand Prix”. Non li vedeva, ma gli facevano male, più di quel maledetto piede che l'aveva ridotto sul lastrico.
Ingollò il vino, serrò gli occhi e scosse la testa. Quei soldi gli servivano; magari così Carolina sarebbe tornata sui suoi passi e lui avrebbe riavuto un famiglia.
Digrignò i denti e pestò il piede a terra. Una fitta di dolore si irradiò su tutta la gamba. Piegò il ginocchio, si chinò e sollevò l'orlo del pantalone. La pelle arrossata, sotto le listelle di metallo, indicavano che era arrivato il momento di togliere l'impianto. Pigiò il tasto sulla rotella all'altezza della caviglia e sentì la molla scaricarsi a vuoto. La punta del piede cadde inerte verso il basso, i giunti scoccarono e la protesi si sganciò. Una sensazione di sollievo lo pervase.
Guardò nuovamente la lettera; non poteva farlo, le corse gli avevano già tolto troppo, sebbene…
Tazio chiuse gli occhi e girò la manovella che stava stringendo. Il rumore delle turbine si affievolì per spegnersi in pochi secondi.
Si guardò attorno e un groppo gli attanagliò la gola. Il tornio fece gli ultimi giri per inerzia e calò il silenzio. Il grembiule nero, che aveva usato per tutti quegli anni, oscillò mosso dal vento come se volesse salutarlo. Tazio sfiorò le pinze abbandonate sul banco di lavoro e tirò su col naso. Odiava quel posto, ma era tutto ciò che aveva.
Passò a lunghe falcate accanto al drappo che copriva il “Nuvola 2”, il motore su cui stava lavorando ai tempi dell'incidente, e non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Raggiunse la porta e appese il cartello con su scritto CHIUSO. In paese avrebbero trovato qualcun altro a cui far riparare i loro trattori.
Inspirò e uscì dalla baracca. L'odore di carbone bruciato e immondizia gli riempì le narici.
Risalì il declivio, che portava alla strada, e fissò l'auto ferma sul ciglio della carreggiata: dal rumore montava una vecchia caldaia torinese.
Un uomo, vestito nero e cappello sotto braccio, lo attendeva con lo sportello aperto.
«Signor Nuvolari?» domandò questi, abbozzando un inchino.
«Un tempo» rispose lui, abbassando lo sguardo sulle scarpe bucate.
«È un onore poterle fare da autista.» L'uomo sorrise. «Da ragazzo lei era il mio idolo.»
Tazio liquidò la questione con un gesto della mano, l'avevano sempre imbarazzato gli attestati di stima; lui era un uomo d'azione. Abbassò la testa e si infilò nell'auto sperando che la conversazione finisse lì.
Il viaggio durò poco più di un'ora. Gli sudavano le mani e aveva il cuore che batteva all'impazzata. Non era certo di quello che stava per fare, era una pazzia e lui lo sapeva, ma qualcosa nella testa lo aveva costretto ad accettare.
Passarono accanto all'ingresso principale dell'autodromo. Una fila di persone agghindate a festa attendeva di entrare all'ombra del dirigibile Pirelli.
«Che fa tutta questa gente?» chiese all'autista, guardandolo attraverso lo specchietto retrovisore.
«Oggi un giovane pilota argentino prova per l'Alfa. Qualcuno dice che sarà il suo erede naturale, ma io non ci credo, lei resterà sempre il migliore.»
Tazio non rispose. Una vampata di calore salì dallo stomaco e gli infiammò il viso. Deglutì e si abbandonò sul sedile nel momento in cui l'auto rallentò.
«Siamo arrivati» disse l'autista, accostando.
La portiera di Tazio si aprì.
«Zerto che uno deve pregarti per poterti vedere!» disse una voce famigliare.
Tazio si girò e sorrise al suo amico Enzo. «Pagare vorrai dire…» ribatté, scendendo.
«Mo raccontalo agli altri, io lo zo perché zei qui.» L'uomo lo prese sotto braccio e si incamminarono verso i box.
«Sicuro, ho fatto cento chilometri per sentire le tue z e il tuo accento emiliano.»
«E per guidare i miei bolidi a vapore. Tu in quella officina a riparare caldaie di trattori zi soffochi, hai bisogno della velozità.»
«Sentiamo un po', sei messo così male da recuperare un pilota in pensione e per di più sciancato?»
«Ne fazessero di leoni come te. E non zercare scuse con quel piede sciancato, quelli che guidano adesso sono fighette senza palle. Guarda quello che è in pista adesso, con due zettimane di allenamento tu gli daresti la paga!»
«Già, ma il mio problema?»
«Mo zono o non zono il miglior inzegnere che conosci? Quella ferraglia non ti zervirà zul mio bolide!»
Tazio si bloccò, aggrottò la fronte e fece spallucce. «Se lo dici tu…»
«Mo smettila va, che ze fossi passato nella mia scuderia, senza metterti in testa di fondare la Nuvolari, zaresti ancora il numero uno. Mettiti questo e stai zitto!» Enzo infilò una mano nella borsa, che teneva a tracolla, ed estrasse un caschetto di cuoio e un paio di occhiali con una guaina nera attorno alle lenti.
Taziò li infilò. Sentì i ricci crespi schiacciarsi sulla testa e le cinghie degli occhiali bloccargli la circolazione. Non li ricordava così stretti.
«Guardati un po', zei zempre lo lo stesso testone!» Scoppiò a ridere Enzo «Ora metti questo» disse, porgendo all'amico un cilindro lungo una spanna da cui penzolavano dei lacci in cuoio.
Tazio lo afferrò e lo fece girare tra le mani. Era la prima volta che vedeva una cosa simile e non aveva idea di come si usasse.
«Zi, non piaze nemmeno a me» disse Enzo, dandogli una pacca sulle spalle. «Ma la federazione dize che il carbone vi bruzia i polmoni e che il filtro è obbligatorio. Ormai zono tutti fighetti qui!» Sollevò le spalle, scosse la testa e si infilò in un box.
Tazio lo seguì a testa bassa, attraversò il grosso portone spalancato e rimase immobile a fissare l'auto al centro del garage.
Una monoposto rossa lo attendeva con il motore acceso. Da due tubi di scappamento, posti ai lati dell'abitacolo, uscivano delle nubi di vapore. Finiture d'argento cromato partivano alla base del parabrezza e si congiungevano sul muso dell'auto dove un cavallino impennato rifletteva la luce del sole.
«Ti piaze?» Chiese Enzo, gli occhi gli brillavano. «È alimentata con un carbone condensato che mi fazio arrivare da Londra.»
Tazio deglutì e raggiunse la sua nuova auto. Poggiò la mano sul volante e saggiò la pelle liscia. Osservò il tachimetro della velocità, quello della temperatura dell'acqua e si soffermò su un terzo che non c'era sulle formula Gran Prix che aveva guidato. «A cosa serve?» domandò.
«Mo è il regalo per te. Quando la lanzetta raggiunge il giallo schiazi questa levetta e cambi marzia.» Enzo poggiò l'addome sulla portiera dell'auto, si allungò all'interno dell'abitacolo e mise la mano dietro al volante. Si sentì uno sciocco, il rumore di ingranaggi che giravano e un nuovo schiocco. La caldaia emise un rumore acuto e il fumo divenne più denso.
«Adesso ti basta schiazzare l'azzeleratore e la macchina parte a bestia! Te l'ho detto che zono il miliore inzeniere del mondo!»
Tazio contenne un fremito di piacere che gli attraversò il corpo. Magari non era la cosa giusta da fare, ma ne sarebbe valsa la pena.
Tazio guardò lo specchietto retrovisore, tra le vibrazioni intravide il muso di una FIAT. Pigiò più forte sull'acceleratore e abbozzò un sorriso. Scartò leggermente sulla destra, sporcando la traiettoria al suo inseguitore, e si concentrò sul rumore dei pistoni della sua vettura. Enzo era sicurissimo del motore che aveva montato e aveva provato a convincere anche lui della sua affidabilità, ma da qualche giro gli scoppiettii che provenivano dallo scappamento gli iniziavano a dare seri dubbi. Lanciò un occhiata veloce alla lancetta della temperatura della caldaia; era da troppo tempo fissa sul rosso. Alla mente gli tornò l'esplosione del suo “Nuvola 1”, la carrozzeria che prendeva fuoco, i bulloni che partivano in ogni direzione e il dolore alla gamba. Un brivido gli attraversò la schiena.
Decelerò, serrò la presa sul volante e se lo passò da una mano all'altra. Quando uscì dalla curva, la FIAT non era più negli specchietti: il secondo posto era suo, poteva uscire dall'officina.
Durante i duri giorni degli allenamenti, Enzo era stato chiaro: gli sarebbe bastato un piazzamento per dimostrare al mondo che loro non erano da rottamare e che avevano ancora molto da dire. Ma soprattutto sarebbe bastato per fargli avere i soldi.
Alleggerito da ogni responsabilità, affrontò il rettilineo al massimo della velocità. Il piede destro pigiato sull'acceleratore, le mani ferme sul volante e il pollice pronto a spostare la leva del cambio automatico progettato per lui. A meno di un chilometro lo attendeva la bandiera a scacchi.
La nuvola di vapore bianco, che usciva dallo scappamento dell'Alfa davanti a lui, si faceva sempre più densa e vicina. In altri momenti avrebbe abbassato la testa e non si sarebbe dato tregua finché non l'avrebbe raggiunta, ma non quel giorno; aveva già la sua vittoria.
Scartò sulla sinistra e vide apparire l'ultima curva.
Staccò il piede dall'acceleratore, l'auto rallentò. Un secondo posto non era un male, continuava a ripetersi, eppure qualcosa gli impediva di gioire: lui era ancora “Nuvola”.
In prossimità della curva, schiacciò il freno. Uno schiocco provenne da sotto lo sterzo. Le ruote si bloccarono e fischiarono sull'asfalto. L'auto slittò sul posteriore. Tazio pigiò più forte sul pedale, ma questo non si mosse: era incastrato.
Il cordolo, che delimitava la pista, era sempre più vicino. Se l'avesse preso a quella velocità la macchina sarebbe schizzata contro la tribuna.
Staccò la mano sinistra dal volante e con la destra provò a controsterzare. Si allungò nell'abitacolo e tastò i cavi. Tirò il primo e la macchina sussultò, ma il pedale rimase fermo. La forza centrifuga era sempre più forte, stava per finire in testa coda e a quel punto sarebbe stato impossibile riprendere la strada. Afferrò un altro cavo, era molle. Chiuse meglio la presa e tirò con tutta la forza. Il metallo si tese, gli tagliò il guanto e gli lacerò la pelle. Sentì un tac e il pedale del freno tornò al suo posto. Le ruote ripresero a girare, la vettura sculettò e si raddrizzò.
Tazio riemerse dall'abitacolo. La strada davanti era libera, a una spanna dalla ruota destra correva il cordolo, in cielo giganteggiava il dirigibile della Pirelli e dalle tribune si era alzato un boato che lo inneggiava. Ma del giovane argentino non c'era traccia.
Guardò lo specchietto di sinistra e lo vide un paio di metri dietro. Tazio immaginò l'espressione incredula del suo avversario e sorrise sotto il filtro che gli copriva mezza faccia. Schiacciò l'acceleratore con tutta la rabbia che aveva accumulato in quegli anni e volò verso la bandiera a scacchi.
Quel ragazzo sarebbe diventato sicuramente il suo erede, ma non era ancora arrivato il momento: Nuvola era tornato a volare.
Al buio, Tazio affondò le mani nel sacco di carbone, ne afferrò una manciata e la gettò nella caldaia. A tastoni raccolse la bottiglia dell'alcool, quasi finita, la svuotò sul combustibile e ci lanciò sopra un cerino acceso. Il calore della fiammata lo investì. Si scostò, chiuse lo sportello e si pulì su uno straccio lercio.
Zoppicò fino al tavolo. La lampadina appesa al soffitto emanò un tenue bagliore, pochi minuti e la stanza sarebbe stata illuminata. Raggiunse la fiaschetta del vino e riempì il bicchiere. Davanti a lui c'era la lettera che aveva ricevuto quella mattina; l'aveva letta e poi si era chiuso in officina a lavorare. Eppure non era riuscito a pensare ad altro.
Alle sue spalle sentì il peso dei due letti vuoti su cui spiccava la litografia che lo rappresentava con in mano il trofeo della “Formula Grand Prix”. Non li vedeva, ma gli facevano male, più di quel maledetto piede che l'aveva ridotto sul lastrico.
Ingollò il vino, serrò gli occhi e scosse la testa. Quei soldi gli servivano; magari così Carolina sarebbe tornata sui suoi passi e lui avrebbe riavuto un famiglia.
Digrignò i denti e pestò il piede a terra. Una fitta di dolore si irradiò su tutta la gamba. Piegò il ginocchio, si chinò e sollevò l'orlo del pantalone. La pelle arrossata, sotto le listelle di metallo, indicavano che era arrivato il momento di togliere l'impianto. Pigiò il tasto sulla rotella all'altezza della caviglia e sentì la molla scaricarsi a vuoto. La punta del piede cadde inerte verso il basso, i giunti scoccarono e la protesi si sganciò. Una sensazione di sollievo lo pervase.
Guardò nuovamente la lettera; non poteva farlo, le corse gli avevano già tolto troppo, sebbene…
Tazio chiuse gli occhi e girò la manovella che stava stringendo. Il rumore delle turbine si affievolì per spegnersi in pochi secondi.
Si guardò attorno e un groppo gli attanagliò la gola. Il tornio fece gli ultimi giri per inerzia e calò il silenzio. Il grembiule nero, che aveva usato per tutti quegli anni, oscillò mosso dal vento come se volesse salutarlo. Tazio sfiorò le pinze abbandonate sul banco di lavoro e tirò su col naso. Odiava quel posto, ma era tutto ciò che aveva.
Passò a lunghe falcate accanto al drappo che copriva il “Nuvola 2”, il motore su cui stava lavorando ai tempi dell'incidente, e non lo degnò nemmeno di uno sguardo. Raggiunse la porta e appese il cartello con su scritto CHIUSO. In paese avrebbero trovato qualcun altro a cui far riparare i loro trattori.
Inspirò e uscì dalla baracca. L'odore di carbone bruciato e immondizia gli riempì le narici.
Risalì il declivio, che portava alla strada, e fissò l'auto ferma sul ciglio della carreggiata: dal rumore montava una vecchia caldaia torinese.
Un uomo, vestito nero e cappello sotto braccio, lo attendeva con lo sportello aperto.
«Signor Nuvolari?» domandò questi, abbozzando un inchino.
«Un tempo» rispose lui, abbassando lo sguardo sulle scarpe bucate.
«È un onore poterle fare da autista.» L'uomo sorrise. «Da ragazzo lei era il mio idolo.»
Tazio liquidò la questione con un gesto della mano, l'avevano sempre imbarazzato gli attestati di stima; lui era un uomo d'azione. Abbassò la testa e si infilò nell'auto sperando che la conversazione finisse lì.
Il viaggio durò poco più di un'ora. Gli sudavano le mani e aveva il cuore che batteva all'impazzata. Non era certo di quello che stava per fare, era una pazzia e lui lo sapeva, ma qualcosa nella testa lo aveva costretto ad accettare.
Passarono accanto all'ingresso principale dell'autodromo. Una fila di persone agghindate a festa attendeva di entrare all'ombra del dirigibile Pirelli.
«Che fa tutta questa gente?» chiese all'autista, guardandolo attraverso lo specchietto retrovisore.
«Oggi un giovane pilota argentino prova per l'Alfa. Qualcuno dice che sarà il suo erede naturale, ma io non ci credo, lei resterà sempre il migliore.»
Tazio non rispose. Una vampata di calore salì dallo stomaco e gli infiammò il viso. Deglutì e si abbandonò sul sedile nel momento in cui l'auto rallentò.
«Siamo arrivati» disse l'autista, accostando.
La portiera di Tazio si aprì.
«Zerto che uno deve pregarti per poterti vedere!» disse una voce famigliare.
Tazio si girò e sorrise al suo amico Enzo. «Pagare vorrai dire…» ribatté, scendendo.
«Mo raccontalo agli altri, io lo zo perché zei qui.» L'uomo lo prese sotto braccio e si incamminarono verso i box.
«Sicuro, ho fatto cento chilometri per sentire le tue z e il tuo accento emiliano.»
«E per guidare i miei bolidi a vapore. Tu in quella officina a riparare caldaie di trattori zi soffochi, hai bisogno della velozità.»
«Sentiamo un po', sei messo così male da recuperare un pilota in pensione e per di più sciancato?»
«Ne fazessero di leoni come te. E non zercare scuse con quel piede sciancato, quelli che guidano adesso sono fighette senza palle. Guarda quello che è in pista adesso, con due zettimane di allenamento tu gli daresti la paga!»
«Già, ma il mio problema?»
«Mo zono o non zono il miglior inzegnere che conosci? Quella ferraglia non ti zervirà zul mio bolide!»
Tazio si bloccò, aggrottò la fronte e fece spallucce. «Se lo dici tu…»
«Mo smettila va, che ze fossi passato nella mia scuderia, senza metterti in testa di fondare la Nuvolari, zaresti ancora il numero uno. Mettiti questo e stai zitto!» Enzo infilò una mano nella borsa, che teneva a tracolla, ed estrasse un caschetto di cuoio e un paio di occhiali con una guaina nera attorno alle lenti.
Taziò li infilò. Sentì i ricci crespi schiacciarsi sulla testa e le cinghie degli occhiali bloccargli la circolazione. Non li ricordava così stretti.
«Guardati un po', zei zempre lo lo stesso testone!» Scoppiò a ridere Enzo «Ora metti questo» disse, porgendo all'amico un cilindro lungo una spanna da cui penzolavano dei lacci in cuoio.
Tazio lo afferrò e lo fece girare tra le mani. Era la prima volta che vedeva una cosa simile e non aveva idea di come si usasse.
«Zi, non piaze nemmeno a me» disse Enzo, dandogli una pacca sulle spalle. «Ma la federazione dize che il carbone vi bruzia i polmoni e che il filtro è obbligatorio. Ormai zono tutti fighetti qui!» Sollevò le spalle, scosse la testa e si infilò in un box.
Tazio lo seguì a testa bassa, attraversò il grosso portone spalancato e rimase immobile a fissare l'auto al centro del garage.
Una monoposto rossa lo attendeva con il motore acceso. Da due tubi di scappamento, posti ai lati dell'abitacolo, uscivano delle nubi di vapore. Finiture d'argento cromato partivano alla base del parabrezza e si congiungevano sul muso dell'auto dove un cavallino impennato rifletteva la luce del sole.
«Ti piaze?» Chiese Enzo, gli occhi gli brillavano. «È alimentata con un carbone condensato che mi fazio arrivare da Londra.»
Tazio deglutì e raggiunse la sua nuova auto. Poggiò la mano sul volante e saggiò la pelle liscia. Osservò il tachimetro della velocità, quello della temperatura dell'acqua e si soffermò su un terzo che non c'era sulle formula Gran Prix che aveva guidato. «A cosa serve?» domandò.
«Mo è il regalo per te. Quando la lanzetta raggiunge il giallo schiazi questa levetta e cambi marzia.» Enzo poggiò l'addome sulla portiera dell'auto, si allungò all'interno dell'abitacolo e mise la mano dietro al volante. Si sentì uno sciocco, il rumore di ingranaggi che giravano e un nuovo schiocco. La caldaia emise un rumore acuto e il fumo divenne più denso.
«Adesso ti basta schiazzare l'azzeleratore e la macchina parte a bestia! Te l'ho detto che zono il miliore inzeniere del mondo!»
Tazio contenne un fremito di piacere che gli attraversò il corpo. Magari non era la cosa giusta da fare, ma ne sarebbe valsa la pena.
Tazio guardò lo specchietto retrovisore, tra le vibrazioni intravide il muso di una FIAT. Pigiò più forte sull'acceleratore e abbozzò un sorriso. Scartò leggermente sulla destra, sporcando la traiettoria al suo inseguitore, e si concentrò sul rumore dei pistoni della sua vettura. Enzo era sicurissimo del motore che aveva montato e aveva provato a convincere anche lui della sua affidabilità, ma da qualche giro gli scoppiettii che provenivano dallo scappamento gli iniziavano a dare seri dubbi. Lanciò un occhiata veloce alla lancetta della temperatura della caldaia; era da troppo tempo fissa sul rosso. Alla mente gli tornò l'esplosione del suo “Nuvola 1”, la carrozzeria che prendeva fuoco, i bulloni che partivano in ogni direzione e il dolore alla gamba. Un brivido gli attraversò la schiena.
Decelerò, serrò la presa sul volante e se lo passò da una mano all'altra. Quando uscì dalla curva, la FIAT non era più negli specchietti: il secondo posto era suo, poteva uscire dall'officina.
Durante i duri giorni degli allenamenti, Enzo era stato chiaro: gli sarebbe bastato un piazzamento per dimostrare al mondo che loro non erano da rottamare e che avevano ancora molto da dire. Ma soprattutto sarebbe bastato per fargli avere i soldi.
Alleggerito da ogni responsabilità, affrontò il rettilineo al massimo della velocità. Il piede destro pigiato sull'acceleratore, le mani ferme sul volante e il pollice pronto a spostare la leva del cambio automatico progettato per lui. A meno di un chilometro lo attendeva la bandiera a scacchi.
La nuvola di vapore bianco, che usciva dallo scappamento dell'Alfa davanti a lui, si faceva sempre più densa e vicina. In altri momenti avrebbe abbassato la testa e non si sarebbe dato tregua finché non l'avrebbe raggiunta, ma non quel giorno; aveva già la sua vittoria.
Scartò sulla sinistra e vide apparire l'ultima curva.
Staccò il piede dall'acceleratore, l'auto rallentò. Un secondo posto non era un male, continuava a ripetersi, eppure qualcosa gli impediva di gioire: lui era ancora “Nuvola”.
In prossimità della curva, schiacciò il freno. Uno schiocco provenne da sotto lo sterzo. Le ruote si bloccarono e fischiarono sull'asfalto. L'auto slittò sul posteriore. Tazio pigiò più forte sul pedale, ma questo non si mosse: era incastrato.
Il cordolo, che delimitava la pista, era sempre più vicino. Se l'avesse preso a quella velocità la macchina sarebbe schizzata contro la tribuna.
Staccò la mano sinistra dal volante e con la destra provò a controsterzare. Si allungò nell'abitacolo e tastò i cavi. Tirò il primo e la macchina sussultò, ma il pedale rimase fermo. La forza centrifuga era sempre più forte, stava per finire in testa coda e a quel punto sarebbe stato impossibile riprendere la strada. Afferrò un altro cavo, era molle. Chiuse meglio la presa e tirò con tutta la forza. Il metallo si tese, gli tagliò il guanto e gli lacerò la pelle. Sentì un tac e il pedale del freno tornò al suo posto. Le ruote ripresero a girare, la vettura sculettò e si raddrizzò.
Tazio riemerse dall'abitacolo. La strada davanti era libera, a una spanna dalla ruota destra correva il cordolo, in cielo giganteggiava il dirigibile della Pirelli e dalle tribune si era alzato un boato che lo inneggiava. Ma del giovane argentino non c'era traccia.
Guardò lo specchietto di sinistra e lo vide un paio di metri dietro. Tazio immaginò l'espressione incredula del suo avversario e sorrise sotto il filtro che gli copriva mezza faccia. Schiacciò l'acceleratore con tutta la rabbia che aveva accumulato in quegli anni e volò verso la bandiera a scacchi.
Quel ragazzo sarebbe diventato sicuramente il suo erede, ma non era ancora arrivato il momento: Nuvola era tornato a volare.