[S] L’amico immaginario
Inviato: martedì 21 luglio 2015, 0:21
I capelli rossi di Sara erano ricoperti da una patina di polvere, tanta ce n’era nella soffitta.
— Quanti scatoloni, zia...mia madre non buttava mai via niente?
— In realtà quasi mai, anche prima della malattia era particolare — la donna rispose senza fermare le mani callose, che separavano con perizia i ricordi preziosi da quelli esauriti.
— E questa?
Tirando un filo di lana rossa, una vecchia bambola di pezza fece capolino da una pila di stracci. Era di fattezza grossolana, il viso tagliato da un lungo sorriso che rivelava l’imbottitura mancia.
— Oddio mi ricorda qualcosa…sai se era mia? — chiese Sara.
— Non lo so, ma è lurida, sarà meglio buttarla — rispose la zia con aria disgustata.
— Aspetta, magari l’ha fatta mamma. Mi somiglia anche!
— Macché, non vedi che è un maschietto? — indicò i pantaloncini azzurri.
La madre era seduta nel letto in camera sua, lo sguardo perso nel vuoto. Dalla bocca semiaperta colava un rivolo di bava.
— Mamma, mi senti? — le carezzò la mano. — Dai, sono tornata per le vacanze estive per te, almeno guardami!
Nessuna reazione, come sempre. Sara le mostrò la bambola.
— Guarda cosa ho trovato, lo riconosci?
La madre sgranò gli occhi, prese fiato come per parlare, invece fu un urlo a risalirle le corde vocali, prima roco, poi graffiante come unghie sullo specchio. Sara indietreggiò sgomenta, mentre la zia accorreva dalla soffitta.
— Adesso sta riposando.
— Non aveva mai reagito così…che cosa può essere successo?
La zia la strinse fra le braccia, scuotendo la testa.
Sara faticava ad addormentarsi, il torpore della casa sembrava essersi destato tutto insieme, dopo anni di silenzio. Il viso pallido del bambino emerse dal buio in fondo al letto quando stava finalmente per cedere alle lusinghe del sonno.
— Sammy? — disse d’istinto.
D’un tratto ricordò ogni cosa: il dolce amichetto che la veniva a trovare ogni sera, che nessun’altro vedeva, che non esisteva, che nessuno credeva…Sara scoppiò a piangere, sopraffatta dalle emozioni che riaffioravano con violenza. Ma quando si asciugò gli occhi, lui era ancora lì, un passo più vicino. Folti ricci rossi tingevano il buio dello stesso colore, mentre il lungo sorriso riversava imbottitura marcia sul pavimento.
— Che cosa sei? Non puoi essere reale! — Sara tirò le coperte a sé.
— Avevamo un patto, non ricordi? — fece il bambino. — Adesso tocca a me.
Evelina notò il documento quasi per caso, mentre preparava la colazione. Una cartella ingiallita, su una pila di altri fogli impolverati. La prese per semplice curiosità, dimenticando il latte sul fornello. Un’ecografia consunta mostrava due gemelli siamesi. La data era il 21 luglio, il compleanno di Sara.
— Cosa significa? — entrò nella stanza della sorella con il foglio in mano.
La donna fissava la finestra con occhi vitrei.
— Sara aveva un gemello? Perché non me l’hai mai detto?
La sorella girò il viso verso di lei, gli occhi colmi di lacrime e dolore.
— Non avrei mai voluto scegliere, ma solo dimenticare. E adesso lui è tornato — sussurrò.
Evelina si portò una mano al volto dallo stupore.
— Tu riesci a parlare?
— E tu? — fece una voce alle spalle.
Una lama sottile le attraversò la gola. Un bel ragazzo dai capelli rossi era sulla porta, fra le mani stringeva la lama e una bambola di pezza. Era nuova, con un bel vestitino rosa e al posto del sorriso, la sua stessa espressione di terrore. Evelina lo fissò morendo. E cadde a terra.
— Quanti scatoloni, zia...mia madre non buttava mai via niente?
— In realtà quasi mai, anche prima della malattia era particolare — la donna rispose senza fermare le mani callose, che separavano con perizia i ricordi preziosi da quelli esauriti.
— E questa?
Tirando un filo di lana rossa, una vecchia bambola di pezza fece capolino da una pila di stracci. Era di fattezza grossolana, il viso tagliato da un lungo sorriso che rivelava l’imbottitura mancia.
— Oddio mi ricorda qualcosa…sai se era mia? — chiese Sara.
— Non lo so, ma è lurida, sarà meglio buttarla — rispose la zia con aria disgustata.
— Aspetta, magari l’ha fatta mamma. Mi somiglia anche!
— Macché, non vedi che è un maschietto? — indicò i pantaloncini azzurri.
La madre era seduta nel letto in camera sua, lo sguardo perso nel vuoto. Dalla bocca semiaperta colava un rivolo di bava.
— Mamma, mi senti? — le carezzò la mano. — Dai, sono tornata per le vacanze estive per te, almeno guardami!
Nessuna reazione, come sempre. Sara le mostrò la bambola.
— Guarda cosa ho trovato, lo riconosci?
La madre sgranò gli occhi, prese fiato come per parlare, invece fu un urlo a risalirle le corde vocali, prima roco, poi graffiante come unghie sullo specchio. Sara indietreggiò sgomenta, mentre la zia accorreva dalla soffitta.
— Adesso sta riposando.
— Non aveva mai reagito così…che cosa può essere successo?
La zia la strinse fra le braccia, scuotendo la testa.
Sara faticava ad addormentarsi, il torpore della casa sembrava essersi destato tutto insieme, dopo anni di silenzio. Il viso pallido del bambino emerse dal buio in fondo al letto quando stava finalmente per cedere alle lusinghe del sonno.
— Sammy? — disse d’istinto.
D’un tratto ricordò ogni cosa: il dolce amichetto che la veniva a trovare ogni sera, che nessun’altro vedeva, che non esisteva, che nessuno credeva…Sara scoppiò a piangere, sopraffatta dalle emozioni che riaffioravano con violenza. Ma quando si asciugò gli occhi, lui era ancora lì, un passo più vicino. Folti ricci rossi tingevano il buio dello stesso colore, mentre il lungo sorriso riversava imbottitura marcia sul pavimento.
— Che cosa sei? Non puoi essere reale! — Sara tirò le coperte a sé.
— Avevamo un patto, non ricordi? — fece il bambino. — Adesso tocca a me.
Evelina notò il documento quasi per caso, mentre preparava la colazione. Una cartella ingiallita, su una pila di altri fogli impolverati. La prese per semplice curiosità, dimenticando il latte sul fornello. Un’ecografia consunta mostrava due gemelli siamesi. La data era il 21 luglio, il compleanno di Sara.
— Cosa significa? — entrò nella stanza della sorella con il foglio in mano.
La donna fissava la finestra con occhi vitrei.
— Sara aveva un gemello? Perché non me l’hai mai detto?
La sorella girò il viso verso di lei, gli occhi colmi di lacrime e dolore.
— Non avrei mai voluto scegliere, ma solo dimenticare. E adesso lui è tornato — sussurrò.
Evelina si portò una mano al volto dallo stupore.
— Tu riesci a parlare?
— E tu? — fece una voce alle spalle.
Una lama sottile le attraversò la gola. Un bel ragazzo dai capelli rossi era sulla porta, fra le mani stringeva la lama e una bambola di pezza. Era nuova, con un bel vestitino rosa e al posto del sorriso, la sua stessa espressione di terrore. Evelina lo fissò morendo. E cadde a terra.