[V] Ogni ultima volta
Inviato: martedì 21 luglio 2015, 1:03
Ogni ultima volta
Per un innato automatismo, le mie mani pelano patate e affettano cipolle, alla velocità della luce. Nella frenesia della cucina di un ristorante rinomato, la rapidità mi ha permesso di guadagnare il rispetto dello chef stellato Vito Lipari. Allo scadere dei tre mesi del mio periodo di prova, mi avrebbero comunicato l’eventuale assunzione. Mi ritrovavo seduto sul solito sgabello di legno tarlato, il bordo di un grande secchio pieno di patate pigiava sulle mie ginocchia, Sudesh, poco distante da me, si lamentava in bengalese. Poteva essere il mio ultimo giorno al ristorante. Questo mi coinvolse talmente tanto che, quasi sentivo in bocca il sapore della terra tirata via con la buccia delle patate. L’ultima volta di un qualcosa è sempre indimenticabile. L’ultimo giorno di scuola. L’ultimo abbraccio del nonno. L’ultimo bacio. Nonostante il magone, diedi il massimo. A mezzanotte e trenta tolsi il grembiule. Attraversai il corridoio, fino al camerino, dove potei cambiarmi e credermi disoccupato per circa quindici minuti. Mentre davo una passata di cera ai capelli, sentii bussare in maniera decisa alla porta:
“ Luca! Ci sei?” era lo chef.
“ Esco subito! è lei chef?” dissi con affanno mentre sfregavo le mani sotto il rubinetto, per togliere la cera.
“Eccomi. Tutto bene chef?”.
“Non hai mai visto un grassone pallido?” sorrise, e si guardò intorno.
“Il posto è tuo, te lo sei meritato. Domani alla solita ora, ma sarai il mio aiutante.”
“Sta scherzando chef? il suo aiutante? ma è incredibile chef, è incredibile!” allargai le braccia per abbracciarlo, ma un tonfo mi precedette. Era steso.
“Chef! Aiuto! Aiuto cazzo!” nel frattempo cercavo di sollevarlo.
“Zitto ragazzo! Non ho bisogno di aiuto, anzi, solo del tuo. Prendi la mia borsa, ci sono delle siringhe nella mia borsa, e delle fiale di insulina. Portale qui. E non aprire bocca con nessuno.” Corsi in camerino e presi la borsa.
“ Dammi una mano ragazzo, tiriamoci su.”
L’operazione dello chef mi tenne col fiato sospeso. Minuti interminabili scaddero al momento dell’iniezione. Dritta in pancia.
“ Va bene ragazzo, va bene. Dimmi un po’, invece il tuo amico come sta?” disse riportando la maglia sull’addome.
“Il mio amico, chef? ” in quell’istante mi sorpresi a casa di Elio, tre giorni prima di quel momento. Elio è un mio carissimo amico, passiamo troppo tempo a giocare ai videogiochi e, poco a parlare di noi. Stavolta, però, Elio mi dice di aver iniziato da due settimane il tirocinio in ospedale. Mi racconta delle dozzine di iniezioni fatte, per la glicemia.
“Elio..” disse.
“Elio Lipari” ripetei.
“Non ci vediamo da quindici anni.” , nei suoi occhi vidi “un’ultima volta”, e quell’abisso di occasioni mancate. Allungò la mano sulla mia spalla. “Avete la stessa età”, disse.
“é un tirocinante di infermeria molto diligente.”
Dopo qualche minuto di imbarazzo, ringraziai per il posto di lavoro e me ne andai.
Christian Magrì
Per un innato automatismo, le mie mani pelano patate e affettano cipolle, alla velocità della luce. Nella frenesia della cucina di un ristorante rinomato, la rapidità mi ha permesso di guadagnare il rispetto dello chef stellato Vito Lipari. Allo scadere dei tre mesi del mio periodo di prova, mi avrebbero comunicato l’eventuale assunzione. Mi ritrovavo seduto sul solito sgabello di legno tarlato, il bordo di un grande secchio pieno di patate pigiava sulle mie ginocchia, Sudesh, poco distante da me, si lamentava in bengalese. Poteva essere il mio ultimo giorno al ristorante. Questo mi coinvolse talmente tanto che, quasi sentivo in bocca il sapore della terra tirata via con la buccia delle patate. L’ultima volta di un qualcosa è sempre indimenticabile. L’ultimo giorno di scuola. L’ultimo abbraccio del nonno. L’ultimo bacio. Nonostante il magone, diedi il massimo. A mezzanotte e trenta tolsi il grembiule. Attraversai il corridoio, fino al camerino, dove potei cambiarmi e credermi disoccupato per circa quindici minuti. Mentre davo una passata di cera ai capelli, sentii bussare in maniera decisa alla porta:
“ Luca! Ci sei?” era lo chef.
“ Esco subito! è lei chef?” dissi con affanno mentre sfregavo le mani sotto il rubinetto, per togliere la cera.
“Eccomi. Tutto bene chef?”.
“Non hai mai visto un grassone pallido?” sorrise, e si guardò intorno.
“Il posto è tuo, te lo sei meritato. Domani alla solita ora, ma sarai il mio aiutante.”
“Sta scherzando chef? il suo aiutante? ma è incredibile chef, è incredibile!” allargai le braccia per abbracciarlo, ma un tonfo mi precedette. Era steso.
“Chef! Aiuto! Aiuto cazzo!” nel frattempo cercavo di sollevarlo.
“Zitto ragazzo! Non ho bisogno di aiuto, anzi, solo del tuo. Prendi la mia borsa, ci sono delle siringhe nella mia borsa, e delle fiale di insulina. Portale qui. E non aprire bocca con nessuno.” Corsi in camerino e presi la borsa.
“ Dammi una mano ragazzo, tiriamoci su.”
L’operazione dello chef mi tenne col fiato sospeso. Minuti interminabili scaddero al momento dell’iniezione. Dritta in pancia.
“ Va bene ragazzo, va bene. Dimmi un po’, invece il tuo amico come sta?” disse riportando la maglia sull’addome.
“Il mio amico, chef? ” in quell’istante mi sorpresi a casa di Elio, tre giorni prima di quel momento. Elio è un mio carissimo amico, passiamo troppo tempo a giocare ai videogiochi e, poco a parlare di noi. Stavolta, però, Elio mi dice di aver iniziato da due settimane il tirocinio in ospedale. Mi racconta delle dozzine di iniezioni fatte, per la glicemia.
“Elio..” disse.
“Elio Lipari” ripetei.
“Non ci vediamo da quindici anni.” , nei suoi occhi vidi “un’ultima volta”, e quell’abisso di occasioni mancate. Allungò la mano sulla mia spalla. “Avete la stessa età”, disse.
“é un tirocinante di infermeria molto diligente.”
Dopo qualche minuto di imbarazzo, ringraziai per il posto di lavoro e me ne andai.
Christian Magrì