[S] Non ne ho idea
Inviato: giovedì 23 luglio 2015, 1:00
«Papà?»
Chiara si affacciò alla porta del laboratorio, percorse con la mano lo stipite su cui erano segnate a pennarello delle righe orizzontali. Quella più in basso era di quattordici anni prima, la mamma era morta da pochi mesi. Strinse gli occhi nello sforzo di ricordare il suo viso che si muoveva, la sua voce, ma vide solo i sorrisi immobili delle fotografie alla parete, appena sopra la sparachiodi e gli scalpelli. Era splendida nell’uniforme da fantino.
Spostò l’equilibrio sulle gambe e gli zoccoli fecero un rumore secco sul pavimento di gres.
«Dimmi, tesoro.» Le rispose senza alzare gli occhi dalla cena frugale a base di erbe essiccate.
Il modo che aveva di trascinare le “i” le diede sui nervi.
«Sai, oggi a scuola mi hanno raccontato una barzelletta.»
Lui scosse la testa.
«Vuoi sentirla?»
«Sì.» Trascinò ancora la “i”.
Chiara fece un passo avanti. «Un uccello migratore si ferma a rifocillarsi presso un ruscello e vede un animale che non conosce. “Ciao, io sono l’uccello migratore, tu chi sei?” gli chiede. ”Io sono la trota salmonata” risponde il pesce. “Impossibile” riprende l’uccello, “o sei una trota o sei un salmone”. “Vedi, mia madre era una trota, mio padre era un salmone, hanno fatto sesso e sono nata io”. “Ah, ho capito.” Risponde l’uccello prima di riprendere il volo. Più avanti, incontra un altro animale. “Ciao, io sono l’uccello migratore, tu chi sei?” chiede. “Io sono il cane lupo”. “Impossibile,” ribatte l’uccello, “O sei un cane o sei un lupo”. “Vedi, mia madre era una cagna, mio padre era un lupo, hanno fatto sesso e sono nato io”. “Ah, ho capito”. Si volta e vede uno strano insetto. “Ehi, ciao, io sono l’uccello migratore, e tu chi sei?” chiede anche a lui. “Io sono la zanzara-tigre”. “Ma vaffanculo!”»
Il padre proruppe in una risata aspirata. «Bella,» disse, «Dopo le corse la racconto agli amici dell’ippodromo.»
«Sai, papà,» lo interruppe Chiara, «oggi ho finalmente capito che non è stata colpa mia se la mamma è morta.» Sputò le parole come fossero chiodi.
«Ma no, tesoro, te l’ho detto tante volte.»
«Lo so. Ma è morta di parto, e io…» singhiozzava.
«Anche se tecnicamente l’hai uccisa tu,» intervenne il padre, «è passato, non serve pensarci. Comunque, cos’è che ti ha convinta?»
Chiara lo guardò, la vista appannata dalle lacrime. «La barzelletta mi ha fatta riflettere.»
Rumore di zoccoli sul gres. La mano si allungò verso gli attrezzi, le dita strinsero l’impugnatura della sparachiodi.
«Bene, tesoro, e a che conclusioni sei…» alzò lo sguardo verso la figlia. «Che c’è? Vuoi ferrarmi tu?»
«Non è colpa mia. È colpa tua!»
Un movimento fulmineo e l’attrezzo si poggiò sul muso del padre, tre dita sopra gli occhi.
Uno schiocco, schizzi di sangue, un nitrito.
Chiara lasciò cadere a terra l’arma, lo sguardo fisso su quel corpo imponente in preda agli spasmi.
Strappò una fotografia dalla parete: sua madre montava suo padre alle gabbie di partenza.
Una lacrima le cadde su uno zoccolo.
«Una donna-cavallo?» singhiozzò, «Ma vaffanculo!»
Chiara si affacciò alla porta del laboratorio, percorse con la mano lo stipite su cui erano segnate a pennarello delle righe orizzontali. Quella più in basso era di quattordici anni prima, la mamma era morta da pochi mesi. Strinse gli occhi nello sforzo di ricordare il suo viso che si muoveva, la sua voce, ma vide solo i sorrisi immobili delle fotografie alla parete, appena sopra la sparachiodi e gli scalpelli. Era splendida nell’uniforme da fantino.
Spostò l’equilibrio sulle gambe e gli zoccoli fecero un rumore secco sul pavimento di gres.
«Dimmi, tesoro.» Le rispose senza alzare gli occhi dalla cena frugale a base di erbe essiccate.
Il modo che aveva di trascinare le “i” le diede sui nervi.
«Sai, oggi a scuola mi hanno raccontato una barzelletta.»
Lui scosse la testa.
«Vuoi sentirla?»
«Sì.» Trascinò ancora la “i”.
Chiara fece un passo avanti. «Un uccello migratore si ferma a rifocillarsi presso un ruscello e vede un animale che non conosce. “Ciao, io sono l’uccello migratore, tu chi sei?” gli chiede. ”Io sono la trota salmonata” risponde il pesce. “Impossibile” riprende l’uccello, “o sei una trota o sei un salmone”. “Vedi, mia madre era una trota, mio padre era un salmone, hanno fatto sesso e sono nata io”. “Ah, ho capito.” Risponde l’uccello prima di riprendere il volo. Più avanti, incontra un altro animale. “Ciao, io sono l’uccello migratore, tu chi sei?” chiede. “Io sono il cane lupo”. “Impossibile,” ribatte l’uccello, “O sei un cane o sei un lupo”. “Vedi, mia madre era una cagna, mio padre era un lupo, hanno fatto sesso e sono nato io”. “Ah, ho capito”. Si volta e vede uno strano insetto. “Ehi, ciao, io sono l’uccello migratore, e tu chi sei?” chiede anche a lui. “Io sono la zanzara-tigre”. “Ma vaffanculo!”»
Il padre proruppe in una risata aspirata. «Bella,» disse, «Dopo le corse la racconto agli amici dell’ippodromo.»
«Sai, papà,» lo interruppe Chiara, «oggi ho finalmente capito che non è stata colpa mia se la mamma è morta.» Sputò le parole come fossero chiodi.
«Ma no, tesoro, te l’ho detto tante volte.»
«Lo so. Ma è morta di parto, e io…» singhiozzava.
«Anche se tecnicamente l’hai uccisa tu,» intervenne il padre, «è passato, non serve pensarci. Comunque, cos’è che ti ha convinta?»
Chiara lo guardò, la vista appannata dalle lacrime. «La barzelletta mi ha fatta riflettere.»
Rumore di zoccoli sul gres. La mano si allungò verso gli attrezzi, le dita strinsero l’impugnatura della sparachiodi.
«Bene, tesoro, e a che conclusioni sei…» alzò lo sguardo verso la figlia. «Che c’è? Vuoi ferrarmi tu?»
«Non è colpa mia. È colpa tua!»
Un movimento fulmineo e l’attrezzo si poggiò sul muso del padre, tre dita sopra gli occhi.
Uno schiocco, schizzi di sangue, un nitrito.
Chiara lasciò cadere a terra l’arma, lo sguardo fisso su quel corpo imponente in preda agli spasmi.
Strappò una fotografia dalla parete: sua madre montava suo padre alle gabbie di partenza.
Una lacrima le cadde su uno zoccolo.
«Una donna-cavallo?» singhiozzò, «Ma vaffanculo!»