[MOROZZI] Il gatto di Don Marra [2577]
Inviato: martedì 20 dicembre 2016, 22:04
IL GATTO DI DON MARRA
Aristide se ne stava lì con le mani sul volante e il viso contratto in una smorfia di disgusto.
Un ragazzino si avvicinò alla cinquecento e dopo essersi accertato che il gatto sotto la ruota non dava più segni di vita, si complimentò con il vecchio.
“Che mira! L’avete beccato al volo, un attimo ancora e vi sarebbe scappato.”
“Sei sicuro che sia proprio morto?” chiese l’uomo abbassando il finestrino.
“Stecchito, venite a vedere se non ci credete.”
Aristide biascicò qualcosa, tirò fuori un fazzoletto unto dalla tasca dei pantaloni e si asciugò il sudore. Quando si era reso conto che un gatto nero stava per attraversargli la strada, aveva perso il controllo della vettura, era andato a zig-zag e si era fermato subito dopo averlo centrato e ora giaceva a terra con la testa schiacciata sull’asfalto rovente.
I gatti neri portano jella, pensò, ma un gatto morto dovrebbe essere innocuo. Cercò di convincersi che era proprio così, ma gli restò il dubbio che si insinuò nella testa come un tarlo. Forse l’unica cosa saggia da fare era allontanarsi da lì, dimenticare ciò che era appena successo e magari non gli sarebbe accaduto nulla. Chiese al ragazzino di togliere il gatto dalla strada, perché aveva una certa premura.
“Siete proprio forte!” rispose il ragazzino. “Voi avete fatto il fattaccio e voi ci dovete mettere una pezza.”
Subito dopo qualcuno lanciò un fischio e il vicolo si animò: la gente uscì dai portoni, dalle botteghe, dalle cantine riversandosi in strada e ammassandosi intorno alla vettura di Aristide che fu letteralmente ingoiata da quella moltitudine vociante.
“Che diavolo succede? Non è mica la scena di un film questa” gridò Aristide.
Il ragazzino si avvicinò al finestrino e infilò la bocca nella fessura.
“Mi sa che era il gatto di Don Marra. Mò so’ cazzi vostri.”
Aristide scosse la testa, da quando lo avevano trasferito a lavorare in un paesino del profondo sud, gliene erano capitate di tutti i colori. Il gatto del prete era solo la punta dell’iceberg, perché la fortuna gli aveva voltato le spalle nel momento esatto in cui aveva attraversato lo stretto.
Aprì lo sportello evitando il contatto visivo con il felino che gli faceva impressione e si ritrovò a guadare una massa umana come Mosè tra le acque.
“Dov’è il prete?” chiese a quelli che lo spingevano.
“Il prete? Quello ti servirà dopo” disse qualcuno ridendo.
Don Marra lo aspettava picchiettando il piede sull’asfalto, una pistola infilata alla cintura e una mazza tra le mani.
Comprese in quel momento quale fosse la risposta alla sua domanda: un gatto nero morto non porta sfortuna. Di più!
Aristide se ne stava lì con le mani sul volante e il viso contratto in una smorfia di disgusto.
Un ragazzino si avvicinò alla cinquecento e dopo essersi accertato che il gatto sotto la ruota non dava più segni di vita, si complimentò con il vecchio.
“Che mira! L’avete beccato al volo, un attimo ancora e vi sarebbe scappato.”
“Sei sicuro che sia proprio morto?” chiese l’uomo abbassando il finestrino.
“Stecchito, venite a vedere se non ci credete.”
Aristide biascicò qualcosa, tirò fuori un fazzoletto unto dalla tasca dei pantaloni e si asciugò il sudore. Quando si era reso conto che un gatto nero stava per attraversargli la strada, aveva perso il controllo della vettura, era andato a zig-zag e si era fermato subito dopo averlo centrato e ora giaceva a terra con la testa schiacciata sull’asfalto rovente.
I gatti neri portano jella, pensò, ma un gatto morto dovrebbe essere innocuo. Cercò di convincersi che era proprio così, ma gli restò il dubbio che si insinuò nella testa come un tarlo. Forse l’unica cosa saggia da fare era allontanarsi da lì, dimenticare ciò che era appena successo e magari non gli sarebbe accaduto nulla. Chiese al ragazzino di togliere il gatto dalla strada, perché aveva una certa premura.
“Siete proprio forte!” rispose il ragazzino. “Voi avete fatto il fattaccio e voi ci dovete mettere una pezza.”
Subito dopo qualcuno lanciò un fischio e il vicolo si animò: la gente uscì dai portoni, dalle botteghe, dalle cantine riversandosi in strada e ammassandosi intorno alla vettura di Aristide che fu letteralmente ingoiata da quella moltitudine vociante.
“Che diavolo succede? Non è mica la scena di un film questa” gridò Aristide.
Il ragazzino si avvicinò al finestrino e infilò la bocca nella fessura.
“Mi sa che era il gatto di Don Marra. Mò so’ cazzi vostri.”
Aristide scosse la testa, da quando lo avevano trasferito a lavorare in un paesino del profondo sud, gliene erano capitate di tutti i colori. Il gatto del prete era solo la punta dell’iceberg, perché la fortuna gli aveva voltato le spalle nel momento esatto in cui aveva attraversato lo stretto.
Aprì lo sportello evitando il contatto visivo con il felino che gli faceva impressione e si ritrovò a guadare una massa umana come Mosè tra le acque.
“Dov’è il prete?” chiese a quelli che lo spingevano.
“Il prete? Quello ti servirà dopo” disse qualcuno ridendo.
Don Marra lo aspettava picchiettando il piede sull’asfalto, una pistola infilata alla cintura e una mazza tra le mani.
Comprese in quel momento quale fosse la risposta alla sua domanda: un gatto nero morto non porta sfortuna. Di più!