Paolo Rattazzi, in arte Rattaolo di Mario Pacchiarotti
Inviato: martedì 20 dicembre 2016, 0:47
Bruno stava pulendo il bancone quando l’uomo entrò nel bar. A quell'ora il locale era quasi vuoto: il solito gruppo di vegliardi occupava l’angolo più buio, il sagrestano leggeva il Corriere, Tina la sciorna piluccava il suo aperitivo. Lo squadrò con occhio clinico mentre faceva i pochi passi che lo separavano dal bancone. Indossava jeans consunti stretti in vita da una cintura borchiata, un chiodo di pelle nera copriva una maglietta con un motivo a chiazze, dal collo slabbrato, sopra un parka blu nuovo di zecca che lo aveva protetto dalla fitta pioggia di quel pomeriggio di settembre.
– Un caffè bello forte.
Teneva la testa bassa e non si era tolto il cappuccio, ma aveva un’aria familiare. Bruno preparò il caffè sbirciando nello specchio, quindi lo servì.
L’uomo bevve e nel mentre il barista poté osservarlo bene in viso, alla luce piena delle lampade.
Questo io lo conosco – pensò, senza tuttavia riuscire a dargli un nome.
Devo andare a questo indirizzo, potrebbe indicarmi la strada? – chiese l’uomo porgendo un biglietto.
– Vicolo de’ pazzi, è proprio qui dietro, se gira intorno all'isolato ci arriva.
– Grazie mille, ci vedremo spesso, ho preso una casa in affitto per qualche tempo – ringraziò l’uomo, con un bel sorriso sul volto.
Bruno, allora, realizzò chi aveva di fronte.
– Paolo Rattanzi! – urlò puntando il dito. Il sorriso dell’uomo virò in una smorfia.
– Il Rattaolo? – gli fece eco Tina, uscita dallo stato letargico.
– Non è mica il Rattanzi – commentò il sagrestano indicando il giornale – quello è in Argentina in cerca di ispirazione. Sarà un sosia.
– Beppe, ma è lui, non lo vedi? – insistette Bruno.
L’uomo scosse la testa.
– No, gli somiglio tanto, ma non sono io…
La Tina si avvicinò fino a sfiorarlo, scrutandolo, poi emise il suo verdetto.
– Non è lui, c’ha un piccolo neo qui – toccò la guancia, disgustata – Paolo invece c’ha la pelle perfetta – aggiunse melensa.
– Cavolo, però ci somiglia tanto.
L’uomo annuì.
– Non sa quanti guai mi procura questa somiglianza. Ragazze che mi tormentano dovunque vada per darmela, padri che al contrario vorrebbero darmele…
– Però non è male passare per Rattazzi qualche volta.
– Scherza? È un assedio, amici che chiedono soldi, soubrette che vogliono raccomandazioni, non vi dico i musicisti… un incubo. Non posso andare da nessuna parte che mi scambiano per lui.
Bruno rimase qualche secondo perplesso, cercò di immaginare cosa potesse essere la vita di uno che sembrava un divo, ma non lo era. Provò infine un misto di comprensione e pietà.
– Facciamo così – disse allora – stia qui, Beppe va a chiamare le pie donne, così lei spiega loro la storia e in meno di un’ora tutto il paese saprà che non è Rattazzi.
L’uomo lo guardò dubbioso.
– Magari all’inizio ci sarà un po’ di curiosità, ma poi la lasceranno in pace.
Così fecero. Poi lo accompagnarono alla sua casetta in vicolo de’ Pazzi.
Due ore dopo, già a letto, Paolo Rattazzi, in arte Rattaolo, si disse che diventare il proprio sosia era una gran cosa.
Avrebbe dovuto farlo più spesso.
– Un caffè bello forte.
Teneva la testa bassa e non si era tolto il cappuccio, ma aveva un’aria familiare. Bruno preparò il caffè sbirciando nello specchio, quindi lo servì.
L’uomo bevve e nel mentre il barista poté osservarlo bene in viso, alla luce piena delle lampade.
Questo io lo conosco – pensò, senza tuttavia riuscire a dargli un nome.
Devo andare a questo indirizzo, potrebbe indicarmi la strada? – chiese l’uomo porgendo un biglietto.
– Vicolo de’ pazzi, è proprio qui dietro, se gira intorno all'isolato ci arriva.
– Grazie mille, ci vedremo spesso, ho preso una casa in affitto per qualche tempo – ringraziò l’uomo, con un bel sorriso sul volto.
Bruno, allora, realizzò chi aveva di fronte.
– Paolo Rattanzi! – urlò puntando il dito. Il sorriso dell’uomo virò in una smorfia.
– Il Rattaolo? – gli fece eco Tina, uscita dallo stato letargico.
– Non è mica il Rattanzi – commentò il sagrestano indicando il giornale – quello è in Argentina in cerca di ispirazione. Sarà un sosia.
– Beppe, ma è lui, non lo vedi? – insistette Bruno.
L’uomo scosse la testa.
– No, gli somiglio tanto, ma non sono io…
La Tina si avvicinò fino a sfiorarlo, scrutandolo, poi emise il suo verdetto.
– Non è lui, c’ha un piccolo neo qui – toccò la guancia, disgustata – Paolo invece c’ha la pelle perfetta – aggiunse melensa.
– Cavolo, però ci somiglia tanto.
L’uomo annuì.
– Non sa quanti guai mi procura questa somiglianza. Ragazze che mi tormentano dovunque vada per darmela, padri che al contrario vorrebbero darmele…
– Però non è male passare per Rattazzi qualche volta.
– Scherza? È un assedio, amici che chiedono soldi, soubrette che vogliono raccomandazioni, non vi dico i musicisti… un incubo. Non posso andare da nessuna parte che mi scambiano per lui.
Bruno rimase qualche secondo perplesso, cercò di immaginare cosa potesse essere la vita di uno che sembrava un divo, ma non lo era. Provò infine un misto di comprensione e pietà.
– Facciamo così – disse allora – stia qui, Beppe va a chiamare le pie donne, così lei spiega loro la storia e in meno di un’ora tutto il paese saprà che non è Rattazzi.
L’uomo lo guardò dubbioso.
– Magari all’inizio ci sarà un po’ di curiosità, ma poi la lasceranno in pace.
Così fecero. Poi lo accompagnarono alla sua casetta in vicolo de’ Pazzi.
Due ore dopo, già a letto, Paolo Rattazzi, in arte Rattaolo, si disse che diventare il proprio sosia era una gran cosa.
Avrebbe dovuto farlo più spesso.