Il delitto Ortega - Andrea Partiti
Inviato: mercoledì 21 dicembre 2016, 0:01
Il signor Ortega mi aveva portato via tutto.
“Rinnovare il quartiere, ridare vita a una zona degradata della città.” Era quello il suo mantra. Lo ripetevano i rappresentanti che mandava porta a porta per parlare agli abitanti. Lo ripetevano gli avvocati che entravano nei negozi con proposte di acquisto. Lo ripetevano gli sgherri che insistevano se le prime trattative non procedevano come dovuto.
Io ero un barbiere come mio padre, ma mentre lui si era messo a padrone, io lavoravo in una mia bottega. Da mio padre avevo imparato il valore del denaro, il valore dell’investire, il mito dell’essere in proprio. In quella bottega avevo impegnato tutto ciò che possedevo, per migliorarla, per attirare clienti, per crearmi un nome. Avevo rischiato con debiti e promesse, confidando nel futuro. E il mio futuro era appena iniziato.
Non cedei neanche quando attorno a me restò un deserto di abitazioni vuote e buie. Fantasmi in attesa che l’ultima anima sparisse per far scendere in campo le ruspe. Ma non potevo cedere e ricominciare altrove.
Un incidente, dichiararono i periti. Due colonne portanti si erano indebolite col tempo ed erano collassate causando il crollo di tutto l’edificio. Un incidente.
Lì io sognavo, mangiavo, vivevo, lavoravo. Un incidente. Tutta la mia vita sotto le macerie, e ora anche quelle erano state portate via col resto del quartiere.
Mi era rimasto solo il mio rasoio. L’avevo affilato alla perfezione prima del disastro. Non avevo più la cote, ma non mi sarebbe servita. Quel rasoio non avrebbe più tagliato barbe, basette, capelli. Avrebbe fatto un ultimo servizio e poi più nulla.
Nella mia stanza d’albergo studiai il piano perfetto. Non fu facile, ma avevo dalla mia biblioteche, riviste, giornali: tutte le informazioni che mi servivano pronte da raccogliere.
Trovai il signor Ortega, annotai le sue abitudini, le sue debolezze, i suoi vizi. Lo osservai da lontano e poi da vicino: era un uomo solo. Per trovare una crepa mi bastò ascoltare chi lo serviva. I barbieri sono bravi ad ascoltare e il signor Ortega non era amato: nessuno frenava la lingua al pensiero di metterlo in pericolo.
Quella notte il mio rasoio perse il filo e lo portai con me, insanguinato, come memento di ciò che il signor Ortega mi aveva tolto. Niente riconduceva a me: nessuna traccia, nessun indizio, nessun testimone. Un movente tra migliaia.
Tornai nella mia stanza d’albergo per l’ultima volta. Non pagavo da settimane e presto me ne sarei andato. Dormii per la prima volta con la pace di chi ha compiuto la sua missione. Certo, non avrei riavuto quanto avevo perso, non mi sarei mai rialzato, ma quell’uomo empio non era rimasto impunito.
Uscii tre giorni dopo, seguendo il piano. Mi diressi a un’edicola, presi un giornale e lo aprii, certo di trovare la Notizia, pronto ad ammirare la confusione delle indagini, i dubbi, l’assenza di piste. Tutta opera mia.
Delitto Ortega, aperto il testamento: lascia tutto al suo assassino
Sedici sospetti già in custodia
Strinsi il rasoio nella mia tasca.
“Rinnovare il quartiere, ridare vita a una zona degradata della città.” Era quello il suo mantra. Lo ripetevano i rappresentanti che mandava porta a porta per parlare agli abitanti. Lo ripetevano gli avvocati che entravano nei negozi con proposte di acquisto. Lo ripetevano gli sgherri che insistevano se le prime trattative non procedevano come dovuto.
Io ero un barbiere come mio padre, ma mentre lui si era messo a padrone, io lavoravo in una mia bottega. Da mio padre avevo imparato il valore del denaro, il valore dell’investire, il mito dell’essere in proprio. In quella bottega avevo impegnato tutto ciò che possedevo, per migliorarla, per attirare clienti, per crearmi un nome. Avevo rischiato con debiti e promesse, confidando nel futuro. E il mio futuro era appena iniziato.
Non cedei neanche quando attorno a me restò un deserto di abitazioni vuote e buie. Fantasmi in attesa che l’ultima anima sparisse per far scendere in campo le ruspe. Ma non potevo cedere e ricominciare altrove.
Un incidente, dichiararono i periti. Due colonne portanti si erano indebolite col tempo ed erano collassate causando il crollo di tutto l’edificio. Un incidente.
Lì io sognavo, mangiavo, vivevo, lavoravo. Un incidente. Tutta la mia vita sotto le macerie, e ora anche quelle erano state portate via col resto del quartiere.
Mi era rimasto solo il mio rasoio. L’avevo affilato alla perfezione prima del disastro. Non avevo più la cote, ma non mi sarebbe servita. Quel rasoio non avrebbe più tagliato barbe, basette, capelli. Avrebbe fatto un ultimo servizio e poi più nulla.
Nella mia stanza d’albergo studiai il piano perfetto. Non fu facile, ma avevo dalla mia biblioteche, riviste, giornali: tutte le informazioni che mi servivano pronte da raccogliere.
Trovai il signor Ortega, annotai le sue abitudini, le sue debolezze, i suoi vizi. Lo osservai da lontano e poi da vicino: era un uomo solo. Per trovare una crepa mi bastò ascoltare chi lo serviva. I barbieri sono bravi ad ascoltare e il signor Ortega non era amato: nessuno frenava la lingua al pensiero di metterlo in pericolo.
Quella notte il mio rasoio perse il filo e lo portai con me, insanguinato, come memento di ciò che il signor Ortega mi aveva tolto. Niente riconduceva a me: nessuna traccia, nessun indizio, nessun testimone. Un movente tra migliaia.
Tornai nella mia stanza d’albergo per l’ultima volta. Non pagavo da settimane e presto me ne sarei andato. Dormii per la prima volta con la pace di chi ha compiuto la sua missione. Certo, non avrei riavuto quanto avevo perso, non mi sarei mai rialzato, ma quell’uomo empio non era rimasto impunito.
Uscii tre giorni dopo, seguendo il piano. Mi diressi a un’edicola, presi un giornale e lo aprii, certo di trovare la Notizia, pronto ad ammirare la confusione delle indagini, i dubbi, l’assenza di piste. Tutta opera mia.
Delitto Ortega, aperto il testamento: lascia tutto al suo assassino
Sedici sospetti già in custodia
Strinsi il rasoio nella mia tasca.