Semifinale Valerio La Martire

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Spartaco
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Semifinale Valerio La Martire

Messaggio#1 » martedì 7 marzo 2017, 0:07

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Eccoci alla seconda parte de La Sfida a Nero Elfico.
In risposta a questa discussione, gli autori semifinalisti del girone La Martire, hanno la possibilità di postare il loro racconto revisionato, così da poter dare allo SPONSOR del loro girone un lavoro di qualità ancora superiore rispetto a quello che ha passato il girone.
Quindi, Angelo Frascella e Diego Ducoli, possono sfruttare i due giorni concessi per limare i difetti del racconto, magari ascoltando i consigli che gli sono stati dati da chi li ha commentati.

Scadenza: Mercoledì 8 marzo alle 23:59
Limite battute: 21.313

Se non verrà postato alcun racconto, allo SPONSOR verrà consegnato quello che ha partecipato alla prima fase.
Anche se già postato, il racconto potrà essere modificato fino alle 23:59 del 8 marzo. Non ci sono limiti massimi di modifica.
Il racconto modificato dovrà mantenere le stese caratteristiche della versione originale, nel caso le modifiche rendessero il lavoro irriconoscibile verrà inviato allo SPONSOR il racconto che ha partecipato alla prima fase.

Non fatevi sfuggire quest'occasione, state sicuri che il vostro avversario starà già pensando a come migliorarsi!



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angelo.frascella
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Re: Semifinale Valerio La Martire

Messaggio#2 » martedì 7 marzo 2017, 22:28

Il Supplente

"Perché devo fidarmi di un Dio che non posso vedere? Come posso credere esistano davvero Paradiso e Inferno?"
Arnold stava guardando verso l'albero quando era apparso il prete con indosso i paramenti. Doveva essere stato portato lì, ovunque fosse lì, nel bel mezzo di una messa. Ma non se n'era ancora accorto e continuava a parlare con gli occhi chiusi e un dito verso il cielo.
"Se me lo chiedete, è perché sapete che Dio mi parla tramite visioni."
Il prete aprì gli occhi e si guardò attorno, stralunato.
"Che non erano mai state così realistiche" bofonchiò alla fine.
"Anch'io credevo fosse un sogno" ribatté Arnold. "Un momento ero in laboratorio" indicò il camice bianco che ancora indossava, "e un attimo dopo ero qui. Poi è arrivata quella donna, si è messa in quella posizione, senza dire niente, e non si è più spostata."
Arnold indicò la ragazza orientale rasata e vestita di arancione, che sedeva poco più in là, imperturbabile, nella posizione del loto, o almeno in una sua versione parziale. Il braccio destro, infatti, era amputato all'altezza del gomito.
Il prete studiò il luogo. Prima il suo sguardo si posò sull'albero, nero come la notte, vicino al quale si era materializzato; proseguì la corsa accarezzando il bosco luminescente; arrivato al mare violaceo, risalì verso il monastero in cima alla collina per fermarsi sul cielo senza stelle.
"Questo posto mi è familiare. Il Signore me lo mostra da quando sono piccolo. Avete notato il profumo di resina che lo permea? E il senso di pace che abbiamo dentro? Siamo stati sbalzati qui in un istante e non sentiamo un filo d'ansia! Questo è senz'altro il regno di Dio. Finalmente sono morto e sono stato ritenuto degno di entrarvi."
"Dev'essere un dio di larghe vedute" precisò Arnold, alludendo alla monaca Zen.
"Il Suo gregge è colmo di pecore smarrite ricondotte all'ovile" gli rispose l'altro. Poi tese una mano verso di lui. "Sono Don Franco. Ma puoi chiamarmi solo Franco."
"Io mi chiamo Arnold. Sono fisico presso il MIT."
"E parli anche l'italiano? Bravo!"
"Credevo fossi tu a parlare inglese. Com'è possibile?" iniziò a dire Arnold, ma subito si allontanò, temendo che l'altro cianciasse di Spirito Santo. Raggiunse la donna e chiese: "Rimarrai zitta per sempre?"
Lei si alzò e fece un inchino. "Mi chiamo Haru. Il gruppo è completo. Possiamo andare."
Arnold ci mise un attimo a comprendere le parole della ragazza, preso com'era dal movimento delle labbra incoerente con le parole che le sentiva dire. Ora che lo sapeva, gli pareva di guardare un film doppiato male.
"Potrebbero arrivarne altri" obiettò alla fine.
"Siamo tre, come cielo, uomo e terra" disse lei, indicando in successione il prete, se stessa e Arnold. "O, se preferisci una visione più occidentale, il numero perfetto."
"D'accordo. In fondo, siamo fermi da troppo tempo" concluse Arnold, incamminandosi verso una direzione a caso.
"Guardate. Ci sono i miei fratelli e le mie sorelle" urlò il prete.
Arnold si voltò. Attorno all'altro sedevano diverse persone, diafane come fantasmi o immagini riflesse su un vetro, e non sembravano accorgersi di loro.
Il gruppetto scomparve e il prete cadde in ginocchio fra le lacrime.
Quando si fu calmato, la ragazza indicò la salita col braccio mutilato e disse: "Di là."
Arnold ebbe la sensazione di vedere, al termine del moncherino, un braccio di luce.
Forse aveva ragione il prete: erano morti e quello era il loro inferno.

"Da quanto stiamo camminando?" La voce del prete era rotta dall'affanno.
"Per essere morto, sei un po' fuori forma." Anche Arnold si sentiva affaticato, ma non poteva perdere l'occasione di lanciargli una frecciatina.
"Se imparaste a considerare il corpo per ciò che è, non vi lascereste governare dalle sensazioni" disse Haru, con un sorriso a fior di labbra. Nonostante ciò si fermò.
Arnold approfittò per guardarsi attorno. Erano saliti di parecchio. Il mare era pieno di isole, alcune prive di vegetazione, altre piatte, altre dominate da immani catene montuose. Nessuna di esse sembrava terrestre: le montagne erano troppo alte e contorte, le pianure troppo piatte e i deserti troppo variopinti.
"Questi frutti!" esclamò il prete.
Arnold si voltò e lo vide afferrare un pomo azzurro, grande e lucido, che pendeva da un fusto avvolto su se stesso come una spirale. Sul tronco punti di luce verde si muovevano in file ordinate.
"Devo assaggiarli" disse il prete, strappando via il frutto. Il ramo a cui era attaccato si spezzò e un denso liquido rosso colò dalla ferita.
"Non farlo" urlò Arnold. "Potrebbe essere velenoso."
La pozza rossa ai piedi dell'albero iniziò a ribollire e ingrossarsi fino a prendere la forma di un cane tozzo e muscoloso, con feroci occhi bianchi, denti affilati e un paio di corna.
D'istinto, Arnold scansò il prete, ma si ritrovò per terra sovrastato dal cane. Dalla bocca della bestia, una saliva verdastra colava sulla faccia di Arnold. L'alito dell'essere aveva un intenso odore metallico e il verso ricordava il rumore di legno che battesse su pentole di ferro.
Le fauci si allargarono in modo innaturale e la testa scattò in avanti. Una mano di luce si infilò fra le mascelle della bestia, che scattarono attorno all'arto inesistente, senza riuscire a chiudersi fino in fondo. Haru e il cane iniziarono a lottare, in una danza priva di musica.
Arnold avrebbe voluto accorrere ad aiutarla, ma era inchiodato a terra, come se la bava che il mostro gli aveva lasciato addosso pesasse troppo.
La voce del prete giunse profonda e sicura: "Ti ho visto nelle mie visioni, lupo, sangue di albero, guardiano della soglia, cerbero nel regno sbagliato. Hai fame, vero?"
Lanciò il frutto azzurro all'animale e quello si staccò da Haru e lo afferrò al volo. Poi si accucciò e iniziò a mangiarlo.
Solo allora Arnold riuscì ad alzarsi. Avrebbe voluto chiedere a Haru dell'arto luminescente, ma il pudore lo bloccò. "Come sapevi che il frutto l'avrebbe calmato?" chiese invece al prete.
"Dio me lo aveva mostrato. Credevo fosse un'allegoria del Male, non un guardiano del Paradiso."
"Sei così sicuro che questo sia l'aldilà. Ma forse vi sto solo sognando e tu non esisti neanche."
"Estis, ergo sum" affermò con un sorriso Il prete, mentre si avvicinava di nuovo all'albero.
"Non ho capito" disse Haru, mentre riprendeva fiato dalla lotta.
"Qualunque cosa traduca le nostre lingue, evidentemente non capisce il latino. Franco ha detto: voi esistete, dunque io esisto."
Il prete afferrò un altro frutto, questa volta facendo attenzione a non rompere il ramo e lo morse. "Nelle mie visioni gli uomini li mangiavano senza problemi."
Haru iniziò a raccoglierne un po': "Serviranno un po' di provviste. Io posso rimanere sette giorni senza mangiare né bere, ma dubito che voi possiate sopportare più di un giorno di digiuno."
Anche se la frase pareva sprezzante, il tono era ironico e Arnold si sorprese a guardare la donna e a pensare che fosse davvero bella.
Il prete si tolse i paramenti e li legò per formare un sacco per le scorte.
"Andiamo ora" sbuffò, alla fine, Arnold.
"Da che parte?" chiese il prete.
"Sono stanco. Imbocchiamo la discesa."
Il cane si alzò di colpo e gli si parò davanti: non sembrava più aggressivo ma non aveva intenzione di farlo passare. Arnold arretrò e allora l'animale lo condusse a spintoni alla salita e indicò il monastero col muso.
"Vuole che andiamo in cima" disse il prete, superandoli col sacco sulla spalla. "Nel monastero incontreremo il Signore."
"E chi siamo noi per contraddire un cane rabbioso e un prete pazzo?" disse Arnold seguendolo. Guardò Haru, che gli camminava accanto e stava sorridendo della battuta. Poi lanciò uno sguardo alle proprie spalle e vide che il cane si stava liquefacendo.

Superarono alberi rosa, arancioni o neri come la notte e gruppi di fantasmi, come quelli dei parrocchiani il primo giorno. A volte avevano forme umanoidi, altre sembravano animali mostruosi. Alcuni non somigliavano a esseri viventi, ma ad ammassi informi o, persino, a fluidi.
"Sei sempre sicuro che siamo in Paradiso, prete?"
L'altro scacciò la domanda con un gesto della mano, poi, all'improvviso si fermò: "Avete sentito?"
"Cosa?"
"Un gemito."
Riprese a muoversi con l'orecchio teso. Dopo qualche passo si chinò. Solo allora Arnold si accorse del vecchio accasciato sotto un albero.
"Ho fame" disse con un filo di voce. Il prete gli passò un pomo azzurro e lo aiutò a sedersi.
"Che ti è successo?" chiese Arnold.
"Volevo prendere un frutto, ma ho danneggiato la pianta e il guardiano di quell'universo mi ha assalito."
"Guardiano di che?" proruppe Arnold.
"Non sai dove siamo?" chiese il vecchio che, ora che aveva mangiato, sembrava stare meglio.
I tre pellegrini si guardarono e Arnold rispose per tutti: "Abbiamo solo ipotesi."
Il vecchio sorrise: "Questo è l'Universo Madre, l'unico che è sempre esistito e sempre esisterà. Qui nascono tutti gli altri universi."
Arnold scosse la testa. Quella spiegazione gli sembrava peggiore di quella del prete: "E dove sarebbero tutti questi universi?"
"Tocca un albero."
Arnold eseguì. Il mondo attorno a lui scomparve e si ritrovò a galleggiare fra stelle, cavalcare immani esplosioni, nuotare fra minuscole particelle. Staccò la mano e si sedette sul prato, senza fiato.
"E noi che ci facciamo qui?" chiese.
"Alcuni esseri viventi sono vicini, con alcune loro parti, alla frequenza di risonanza dell'universo madre. Più sono vicini, più è facile che attraversino la barriera che tiene i vari universi separati."
"Io avevo già visto questo mondo" sussurrò il prete.
"Allora gli occhi sono la tua parte risonante. Siete stanchi. Dormite un po'. Farò io la guardia."
Non si potevano fidare di un vecchio debole, si disse Arnold. Però era a pezzi e si lasciò andare su quella lanuggine gialla profumata di pop-corn, che faceva da erba.

Si svegliò e vide che Haru, distesa sul fianco accanto a lui, lo osservava con un lieve sorriso.
"Parlavo nel sonno?"
"Blateravi di esperimenti ed equazioni."
Arnold si voltò verso di lei e, subito, ne percepì l'odore: un gradevole misto di incenso e mandorle, nonostante la pesante camminata.
"Ho sognato il test che stavo per svolgere prima di arrivare qui."
"Di che si tratta?"
"Un esperimento che mi avrebbe consentito di verificare l'ipotesi degli universi paralleli."
Lei sgranò gli occhi. "Allora è il cervello il tuo organo in risonanza."
"O magari il mio esperimento ha funzionato oltre le aspettative."
"Franco è molto sicuro di cosa sia questo posto. Tu lo sei di ciò che non può essere. Eppure almeno tu dovresti coltivare l'arte del dubbio."
Arnold rise. "Quale sarebbe la tua parte in risonanza?"
"L'anima" disse, lei mostrando l'arto di luce. "O il corpo astrale come preferisco chiamarlo."
Arnold vide, per un attimo, un clone luminoso della ragazza staccarsi dal corpo.
"Entrai nel monastero cinque anni fa. Questo strano fenomeno del braccio astrale mi spaventava a morte. Speravo che i monaci mi avrebbero aiutato a entrare in contatto con il mio spirito e a capire come gestirlo. È stato lì che ho imparato a riconoscere le mie passioni e governarle, ma non per staccarmi da esse. È pilotandole che riesco a guidare il corpo astrale."
Arnold scosse la testa: "Tutto ciò che ci sta accadendo deve avere una spiegazione logica e connessa alle leggi della natura."
"Quelle che conosci, però, sono una piccola parte. Prendi il sesso. Conosci quello normale. Forse hai sentito parlare del sesso tantrico. C'è molto di più."
Iniziò a passargli la mano di luce sul viso e poi a scendere lungo il petto.
Arnold sentì il proprio corpo percosso da corrente elettrica, senza però il corrispondente dolore. La mano astrale scorreva lungo il suo petto come un liquido caldo che però non lasciasse tracce d'umidità.
Provò a fermarla, in un misto di piacere e paura, intimità e imbarazzo, ma lei continuò. Scese verso fino all'ombelico, provocando onde di piacere che si espandevano concentriche. Chiuse gli occhi e sentì la mano luminescente entrargli nella pancia diffondendo energia e chiudersi su una luce che non sapeva di avere dentro.
"Ho trovato il tuo chakra di fuoco. Apri gli occhi."
Arnold si trovò sospeso ad alcuni metri dal suolo, assieme ad Haru. Si guardò le mani: era il proprio corpo astrale quello che vedeva? Guardò in basso: i loro corpi fisici si muovevano l'uno sull'altro ritmicamente e quel piacere lo sentiva amplificato centinaia di volte dentro di sé.
Haru gli afferrò le mani e si accorse che loro due cominciavano a fondersi, a partire dalle dita, poi i corpi che, come acqua fredda e calda, vorticavano l'uno dentro l'altro e alla fine esplosero in una sfera di luce, fino a ritrovarsi di nuovo separati.
"Non avrei mai creduto fosse possibile una cosa del genere" disse lui, gettando uno sguardo ai loro corpi che ora giacevano supini e ansimanti.
"Riposati ora" disse lei.
Chiuse gli occhi, mentre lei salmodiava: "Ciò che vedi è vuoto. Ciò che vedi è forma. La forma è vuoto. Il vuoto è forma."
Precipitò nel proprio corpo fisico, sentendolo per la prima volta come un peso che lo ingabbiava e, subito, si addormentò.

Riaprì gli occhi di colpo e si accorse di una presenza che incombeva su Haru con una lancia di legno. Pareva pronto ad affondarla nello stomaco della ragazza.
"Fermo!" Saltò in piedi e gli si lanciò contro.
L'essere fece un passo indietro, allargò due creste ai lati del viso appuntito ed emise un urlo acuto.
Arnold si guardò attorno e vide che il vecchio stava lottando contro una belva dalla pelle chiazzata, mentre il prete continuava a dormire.
Il nemico ruotò la lancia sulla testa, muovendosi lateralmente.
Forse non conosceva la capacità di Arnold e non voleva combattere a viso aperto. Questo era l'unico vantaggio che Arnold aveva al momento e doveva sfruttarlo. Atteggiò la faccia nell'espressione più aggressiva che gli riuscisse e assunse la posa degli judoka dei film.
Doveva aver osato troppo, perché l'altro puntò la lancia contro di lui e iniziò ad avvicinarsi troppo velocemente.
Arnold provò a scansarlo, ma fu Haru a intervenire colpendo il mostro con la propria mano astrale. L'essere non subì danno, anzi la scagliò lontano come un insetto fastidioso.
Arnold indietreggiò e inciampò su una pietra. Si ritrovò seduto per terra e vide la lancia affondare verso il viso.
Chiuse gli occhi e sentì un botto. Quando li riaprì, il vecchio stava spingendo l'essere verso un albero fatto di fiamme mutevoli e brillanti, con la stessa tecnica di un lottatore di sumo. L'umanoide provava a resistere, ma inutilmente.
Quando furono vicini alla pianta, il vecchio strinse la creatura in un abbraccio: "Quando capirete che nessuno può prendere il controllo di questo posto, per usarlo ai propri scopi?"
A quel punto saltò nelle fiamme insieme a lui. Entrambi scomparvero.
Per quanto conoscesse il vecchio da poche ore, Arnold si sentì come Frodo quando perde Gandalf. Si mise in piedi, allungò la mano verso Haru e l'aiutò ad alzarsi.
Poi la condusse verso l'albero di fiamme e lo toccò. La visione di un universo saturo di dolore lo indusse a interrompere subito il contatto.
"Che bella dormita che ho fatto!"
Arnold si voltò e vide il prete che si stiracchiava con aria soddisfatta.

Avevano finalmente raggiunto il monastero. Arnold avrebbe volto fermarsi per gustare quelli che potevano essere gli ultimi momenti con Haru. Lì dentro poteva esserci la fine di quell'esperienza. Ma il prete aveva fretta di incontrare Dio e Haru non pareva avere nulla in contrario.
Varcarono la soglia e si trovarono in un cortile pieno di creature aliene. Lumache colossali strisciavano pigre, giganti con troppe braccia si muovevano come se danzassero, grandi sfere dotate di lungi arti mollicci giravano come trottole.
"Dove siamo? Nella cantina di Mos Eisley?" chiese Arnold.
All'improvviso gli esseri si bloccarono.
Il Monaco apparve, come se si fosse materializzato dal nulla. Indossava un vecchio saio consunto e teneva il cappuccio calato sulla testa.
Il prete cadde in ginocchio, mormorando "Mio Signore..."
Dalle maniche del saio venne fuori una mano bianca e rugosa che, con delicatezza, si posò sul mento del prete e gli fece cenno di mettersi in piedi: "Alzati, figliolo. Non sono chi tu credi io sia."
Il prete obbedì, con espressione affranta.
Il Monaco tolse il cappuccio svelando il volto del vecchio che lo aveva salvato dalla lancia dell'alieno.
"Chi sei veramente?" chiese
"Un pellegrino, come voi, richiamato troppo tempo fa da chi, allora, governava questo mondo e gli universi che da esso sbocciano."
"Perché ti portò qui? Perché l'hai fatto a noi?" chiese il prete, con voce stridula.
"Come voi, stavo per render nota agli uomini l'esistenza di questo mondo."
Arnold rifletté su quelle parole: le visioni del prete, le capacità di Haru e il suo esperimento erano pezzi di un puzzle che avrebbe rivelato l'universo madre e la sua natura. E l'umanità non era pronta.
"Perché sei venuto da noi, senza presentarti?" Questa volta la domanda proveniva da Haru.
"Volevo vedervi da vicino e capire con chi avevo a che fare. Mi avete aiutato quando ero bastonato, solo e sconfitto e vi siete aiutati l'un l'altro. Se, un giorno, uno di voi dovesse prendere il mio posto, so che proseguirebbe il mio compito. E vi ho fatti giungere fin qui, per darvi il tempo di iniziare a comprendere questo mondo, prima di conoscere chi lo governa."
"Saremo costretti a trascorrere qui il resto delle nostre vite?" Il prete aveva fatto un passo avanti e gridato la frase, rosso in viso.
Il monaco sorrise benevolo. "Nessuno di voi sarà obbligato a rimanere. Ovviamente lo spero. Chi sceglierà di farlo potrà esplorare, senza essere visto, gli infiniti universi e, un giorno forse, potrà prendere il mio posto. Se deciderete di tornare sulla Terra, la vostra scelta sarà irreversibile."
"Mandami indietro." Le mani del prete tremavano violentemente davanti al viso. "Non sopporto l'idea di un mondo senza Dio, ma meno ancora posso accettare di vivere insieme a colui che si è arrogato il ruolo di suo supplente. Devo aiutare i miei fedeli: se non possono sperare in un Dio che li ama, che almeno abbiano un uomo che conosce la verità e sta dalla loro parte."
"E voi?"
"Anch'io rimarrò. Chi rinuncerebbe al Deva?" La voce di Haru era priva di dubbi.
Arnold aprì la bocca per annunciare che sarebbe andato via, poi guardò gli occhi profondi della ragazza, la richiuse e la riaprì per dire rimango, ma di nuovo la parola gli morì in gola. Come fare a decidere in un istante del destino di una vita? Restando avrebbe lasciato la madre e il fratello, gli amici, tutto ciò che contava nella sua quotidianità, ma avrebbe davvero potuto svelare i segreti più intimi della natura. E se non ce l'avesse fatta a vivere per sempre in un mondo alieno e misterioso, così diverso che ancora non credeva davvero di esserci?
Stava per mettersi a piangere. Respirò a fondo e guardò il cielo, su cui, in quel momento, si spostavano reticolati di luce simili a frattali dai colori sfumati. No. Non poteva essere quello il luogo in cui avrebbe passato il resto della vita. La decisione era presa.
Si preparò a parlare e sentì un dito sfiorargli lieve il braccio. Si voltò e vide che Haru gli sorrideva.
"Come potrei tornare in un mondo limitato, con tutta la conoscenza del multiverso a disposizione qui?" rispose, alla fine. E poi, se avesse scelto la vecchia vita, Haru non ci sarebbe stata.
"Avete preso la decisione giusta" sancì il Monaco: poi levò una mano e il prete bruciò rapidamente in una fiammata bianca.
Quando di lui fu rimasto solo un mucchietto di cenere, il Monaco si scusò: "Mi spiace per il vostro amico. Se lo avessi lasciato andare, prima o poi sarebbero arrivati eserciti di conquista. È già successo."
Si calò di nuovo il cappuccio sulla testa e scomparve.
Arnold allungò la mano verso Haru e sentì che anche lei tremava. La guardò negli occhi e l'abbracciò.
Erano insieme e, per ora, contava solo questo.

diego.ducoli
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Re: Semifinale Valerio La Martire

Messaggio#3 » mercoledì 8 marzo 2017, 23:43

Ren, il ritorno del re


Siamo alle soglie del ventiduesimo secolo, il pianeta è sconvolto dalla ricerca incontrollata d'ingredienti sempre più sofisticati che soddisfino le richieste dei partecipanti ai reality di cucina.
Gli oceani sono stati prosciugati, le pianure hanno l'aspetto di desolati deserti.
Tuttavia, qualche vero chef è sopravissuto.


Il sole del mattino, che entrava dalle finestre, faceva risplendere i piani in acciaio della cucina.
Ren, ultimo discendente della divina scuola di cucina di O'strutto, trasse un lungo respiro.
Batté i palmi uno contro l'altro sollevando una nuvola di farina. Le mani presero a vorticare. L'impasto, che giaceva sul tavolo da cucina, venne attirato dalla forza centripeta, lavorato e trasformato in piccole palline che venivano posate con fluidità nella ciotola accanto.
“Preparazione completata” disse Ren con un sospiro.
Garzone aveva osservato tutta la scena da un angolo.
“Ottimo lavoro Maestro” sussurrò.
“Mio apprendista, qualcosa ti turba?” domandò lo chef.
Garzone fissava il pavimento.
“Beh, Maestro sono con lei da qualche anno e non ho ancora cucinato niente. Forse non sono degno?”
“Ti ho scelto per un motivo. Credi in te stesso” rispose Ren “hai svolto i tuoi incarichi?”
“Certo. Ho raccolto e lavato i pomodori e i fagioli. In fondo erano solo venti chilometri dall'orto al fiume”
“Bene, domani devi concimare le zucchine e mi raccomando...”
“Devo farlo a mano. Che merda.” rispose con un filo di voce.
“Non ho capito.”
“Dicevo: che meravigliosa occasione per impastarmi di letame.”
“Questo è lo spirito giusto. Ora non dimenticarti l'ultima incombenza.”
“Maestro ci ho provato. Ma è impossibile.”
Ren scosse il capo.
“Devi trovare una soluzione.”
“Ma quei piatti non si riescono a pulire. Il grasso dell'arrosto non viene via. Li ho sfregati mille volte ma solo l'acqua non basta.”
“Lo so. Questo è il tuo momento. Devi lasciare il nido e iniziare a sbattere le ali senza di me.”
Garzone lo fissò perplesso.
“Cosa?”
“Devi percorrere la tua strada per cercare di far nascere il cuoco che c'è in te” replicò Ren.
“Maestro non capisco.”
“Garzone, vattene a cercare qualcosa per pulire i piatti. E non tornare a mani vuote”
“Mah mah” balbettò il giovane “come farà tutto solo?”
“Non preoccuparti, ho messo in giro la voce che cerco un assistente. Vieni in sala, è il momento di scegliere il nuovo aiutante.”


Tutti i tavoli della sala da pranzo erano occupati. Grazie all'aiuto di tutti gli abitanti del villaggio erano riusciti a convertire l'antica cattedrale in un ristorante.
Ren fissò gli astanti con piglio severo.
“Garzone preparati. Tra poco mettiamo in tavola.”
Il ragazzo annuì serio.
“Sappiamo tutti il motivo per il quale siete qui. C'è un unica prova: dovrete assaggiare un piatto. Preparatevi.”
Ren non disse altro. Tornò in cucina e si mise all'opera.
I commensali si guardarono stupiti e presero a rumoreggiare. Dopo pochi minuti il suono leggiadro di una campanella riecheggiò nella sala.
Garzone si mise all'opera e dispensò a tutti un piatto di Pisarei e fasò.
Ren uscì dalla cucina, si tolse il toque blanche e attese le reazioni.
Le forchette si mossero lentamente verso i gnocchetti e le dopo i primi bocconi nella stanza riecheggiavano complimenti e mugolii di piacere.
Un gridò fece calare il silenzio nella sala.
Una ragazza emaciata e vestita di stracci fissava il piatto. Allungò, con mano tremante, la forchetta e fece sparire un secondo boccone. Un altro urlo usci dalla sua bocca.
“Il po-pomodoro” balbettò “lega perfettamente con i fagioli... la farinosita del legume, il lardo … mi fanno vibrare...il pisarei si sciolgono... esplodono”
La giovane si accasciò sul tavolo ansimando e gemendo.
“Maestro che succede?” chiese garzone.
“Osserva”
Il corpo della ragazza si contorse tra i mugolii, con una mano si accarezzava mentre con l'altra continuava inghiottire un boccone dopo l'altro.
“Ma Maestro, quella ragazza sta ...”
“Sta facendo l'amore con il sapore” disse Ren “ha la lingua divina.”
“Lo immaginavo. Ha una faccia da porcellina.”
“Stolto la lingua divina è un dono concesso a pochi. È in grado di percepire ogni sapore ed ingrediente. Non hai visto quanto era magra?! In quest'epoca è difficile nutrirsi per quelli come lei.”
La ragazza continuò a contorcersi i muscoli ripresero tonicità, la pelle lucentezza.
“I carboidrati stanno fornendo energia al suo corpo e le proteine dei fagioli ricostruiscono i muscoli. I lipidi del lardo donano lucentezza alla pelle.” spiegò Ren.
I gridolini della ragazza aumentavano d'intensità e frequenza, alcuni commensali la guardavano stupiti altri sparirono in bagno con le mani giunte sull'inguine. L'urlo orgasmico riecheggiò e la fanciulla si accasciò stremata sul tavolo.
“Abbiamo trovato il nuovo aiutante”
“Quindi devo partire? Vagare nel deserto in cerca di un detersivo” domandò Garzone.
“Si!”
“Mentre lei rimarrà qui con quella porc...ehm povera ragazza.”
“Si!”
“Essere un suo allievo è sempre fonte di gioia.”

Il villaggio si stava svegliando ma il mercato era già un brulicare di attività.
Garzone e Ragazza si aggiravano tra le bancarelle con la lista degli ingredienti da acquistare.
“Così te ne vai?” chiese Ragazza.
Il giovane annuì mentre si avvicinava dall'ortolano e selezionava alcune melanzane.
“Nel deserto, solo, per cercare un detersivo...” continuò la fanciulla.
“Senti” replicò “so cosa sembra, ma credo nel maestro. Lui mi ha salvato la vita e mi ha reso ciò che sono.”
“E saresti?”
“Sono l'assistente del miglior chef esistente. Ma un giorno...” Garzone si fermò e si mise ad annusare per aria “Lo senti quest'odore?”
Ragazza fece saettare la lingua “È strano. Non riesco a capire.”
I due seguirono l'odore fino ad arrivare ad una baracchino rialzato con una grande insegna BK.
Un uomo vistosamente sovrappeso stava grigliando degli hamburgher e una decina di avventori delle stesse dimensioni li consumavano seduti sui dei luridi tavolacci.
“Buongiorno ragazzi, sono Ciro il paninaro e questo è il mio umile ristorante” proruppe l'uomo. “Posso servirvi qualcosa?”
“No grazie” replicarono in coro.
L'odore di grasso abbrustolito sembrava saturare l'aria. Ragazza ebbe un mancamento e si appoggiò a Garzone.
“Tutto bene?” le sussurrò il ragazzo.
“C'è qualcosa di malvagio. Andiamo via!” replicò con un filo di voce
I due ragazzi fecero qualche passo ma gli avventori gli sbarrarono la strada.
“Prima di andare sapete per caso se in città c'è un certo Renato? Dicono che sia un cuoco eccezionale e forse potrebbe darmi qualche dritta.” chiese con un largo sorriso il paninaro.
“Non conosciamo nessuno” balbettò Garzone “lasciateci andare!”
“Menti! Ma ho un metodo per far parlare quelli come te. Uomini bloccateli.”
I corpulenti commensali afferrarono i due.
“Ora mangerete questi hamburgher , ricetta speciale di King”
“King è morto! Ren l'ha sconfitto!”
“Fregato” replicò “Questi panini sono un concentrato di colesterolo e grassi saturi, basta un morso e la quantità di lipidi vi causerà delle piccole trombosi celebrali annullando la vostra resistenza. Confesserete tutto.”
Gli uomini afferrarono la bocca di Garzone e la spalancarono con un gesto,Ragazza svenne al solo avvicinarsi del panino, il suo corpo era scosso da convulsioni incontrollabili.
“Fermi” tuonò una voce dall'alto.
In cima ad un palazzo, con il sole che gli splendeva alle spalle, si stagliava l'imponente figura di Ren.
Lo chef lanciò un sacchetto ricolmo di farina che cade come neve sui presenti, portò una mano al cielo e la fece roteare. Un piccolo vortice si stacco da Ren fino ad arrivare alle nubi che vennero risucchiate all'interno, abbasso il braccio e la farina che aleggiava venne risucchiata anch'essa.
“Impastatura celeste di O'strutto!” urlò.
Il vortice assunse un colore grigiastro, diventando sempre più consistente. Ren giunse le mani.
“Trafilatura manuale divina!”
Ren separò le mani, il cielo stesso sembro strapparsi con quel gesto. L'impasto prese la forma di piccoli spaghetti che rapidi come i serpenti avvolsero gli uomini di King intrappolandoli.
Ciro tento di divincolarsi, ma più si agitava e più le spire di pasta si serravano.
“Com'è possibile? È solo un impasto.” disse Ciro con un filo di voce.
“Idiota” ripose Garzone, mentre andava al capezzale della fanciulla. “È semola di grano duro.”
Il giovane prese Ragazza e la allontanò dalla fonte di quei miasmi.
“Ora andatevene! Dite al vostro signore di venire quando vuole.” disse Ren mentre li liberava.
Le opulente figure si allontanarono e Ren usò l'impasto per calarsi al fianco di Garzone.
“Presto arriverà la resa dei conti” sussuro il cuoco.
“Sarò al tuo fianco!”
“Garzone hai già un incarico, non dimenticarlo!”
“Ma..”
Ren fissò l'allievo con malevolenza.
“Ci ho provato” sospirò.

Tre figure si stagliavano sotto la luce del mattino.
“Garzone, mio allievo, è giunto il momento!”
“Maestro la renderò orgoglioso. Non importa quanto sarà lungo e difficile il mio viaggio, al mio ritorno quelle stoviglie brilleranno” rispose il giovane.
Ren annui solenne. Il suo allievo si voltò e si inoltrò nel deserto intorno alla città.
Lo chef e la Ragazza aspettarono in silenzio che la sagoma di Garzone sparisse dietro le prime dune.
“Andiamo!” disse Ren “ti aspettano giorni faticosi ma carichi di soddisfazioni. Il viaggio di Garzone sarà lungo e potrebbe non sopravvivere. Prendere il suo posto richiede sacrificio e dedizione.”
“Certo certo, Ma quando si mangia” rispose Ragazza leccandosi le labbra.
“Un cuoco non cucina per se ma per gli altri. Prima il dovere. Dobbiamo trovare gli ingredienti per il piatto del giorno. Oggi imparerai a distinguere un un ortaggio buono da uno...”
Un urlo interruppe il discorso di Ren.
“MAESTROOOOO”
Garzone correva a perdifiato verso la città, alle sue spalle si alzava un immane muro di sabbia.
“Ha fatto in fretta” disse Ragazza.
“Troppo. Sta succedendo qualcosa.”
La nube si avvicinava in fretta, un rumore simile al rombo di un tuono cresceva d'intensità riuscendo a coprire le urla della folla che andava ad assieparsi dietro Ren.
Le persone impaurite cominciarono ad indietreggiare pronte a rifugiarsi dentro le case.
“Fermi! Non potete scappare. Se volete sopravvivere portami la mia cucina.”tuonò Ren.
Gli abitanti corsero via e in pochi minuti allestirono una cucina completa.
“È tornato!”disse Ren.
“Chi?” domandò Ragazza.
Ren non rispose, da dietro ai fornelli attendeva l'arrivo di Garzone.
Il ragazzo barcollò percorrendo gli ultimi metri e ruzzolò esanime su un tagliere.
“Alzati mio allievo, stai sporcando il sacro piano di lavoro”
“Fanculo” sussurrò Garzone senza fiato.
“Non ho capito”
“Dicevo: è molto duro.” mentre picchiettava con le nocche sul top della cucina.
“Garzone, non è il momento per constatare la qualità della cucina. Che succede?”
“King sta arrivando!”.
“Lo sapevo!” rispose serio Ren.
La nube fermò la sua avanzata, la sabbia si diradò mostrando una gigantesca torre trainata da degli uomini immensamente grassi vestiti con dei semplici perizomi, alle spalle una moltitudine di esseri simili ma armati con dei mestoli di legno.
Il silenzio calò sulla folla, il leggero soffio del vento scompigliava i capelli del ultimo discendente di O'strutto.
“REN” tuonò l'uomo in cima alla torre “fatti vedere se ne hai il coraggio.”
“Cosa vuoi King? La tua cucina è già stata sconfitta, vattene finché sei in tempo.”
“Mai, solo la cucina degli O'strutto mi separa dalla conquista culinaria del mondo. Ti umilierò e farò a pezzi le tue ricette.”
“Un cuoco non domina, nutre. Ti sconfiggerò e questa volta per sempre.”
Ren tese i muscoli e la maglietta che indossava andò in pezzi. Il grembiule bianco, che nascondeva sotto, era teso sul petto possente, i coltelli gli pendevano dalla cintura.
“Garzone, ricetta 345.”
“Subito maestro.” replicò buttandosi a capofitto nel mercato a cercare gli ingredienti, in pochi secondi il piano della cucina era gremito di materie prime.
Ren impugnò il Santoku e cominciò a tritare le verdure, la lama brillava sotto i raggi del sole e la velocità era tale da creare una scia luminosa. Con un gesto fluido gettò tutti gli ingredienti nel pentolone che ardeva sul fuoco.
“Mantecatura estrema di O'strutto” urlò, mentre le braccia possenti agitavano un lungo mestolo all'interno della pentola.
“Che sta succedendo?” chiese Ragazza
“La tecnica di mantecatura di O' strutto permette al riso di raggiungere una velocità incalcolabile.
In questo modo le molecole di amido si disgregano consentendo ai vari ingredienti di fondersi senza che i chicchi si attacchino tra di loro” rispose garzone.
Ren sudava copiosamente, i nervi del collo erano tesi come cavi d'acciaio e i muscoli guizzavano frenetici.
“URAGANO DI RISOTTO AI FUNGHI PORCINI”
Il cuoco smise di mescolare ma la rotazione impressa si trasmise alla pentola e il risotto eruttò formando un immenso tornado.
“Preparazione completata”
King osservò la scena dall'alto del suo trono.
“Notevole Ren, veramente notevole. Ma ormai ho trasceso i limiti della normale cucina.”
King si erse, con le mani disegno dei cerchi nell'aria. Piccole bolle luminose si staccavano dalle sue mani poi trasse un profondo respiro e le piccole sfere vennero assorbite attraverso le narici.
“Ma questo è...”
“Esatto Ren è respirianesimo: ONDA DI PRANA DEL DOMINATORE.”
Un raggio lucente si staccò dalle mani di King e impattò con il vortice. Il cielo si riempi di nubi e i fulmini dardeggiavano intorno al monumentale risotto.
Lo scontro tra le due tecniche durò qualche secondo, poi il vortice ripiombò nella pendola ed espose distruggendola cucina di Ren.
La folla alle spalle venne investita dalla pietanza e Ragazza ne assaggiò un boccone.
Uno tsunami di sapore investi le sue papille gustative, facendola collassare a terra scossa da spasmi incosulti. La sua bocca lanciava grida di piacere
Ren era stremato e King si godeva la scena.
“Povero Ren, sei un fallimento come tuo padre. Sarebbe troppo facile ucciderti adesso ma non mi basta. Vivrai e dovrai sopportare l'onta di non essere alla mia altezza.
Mi prenderò il tuo assistente, lo crescerò e un giorno ti si rivolterà contro.”
“Non lo farò mai”urlò Garzone.
“Non parlo di te, stupido lavapiatti. Voglio lei! Ho notato come ha reagito al piatto di Ren, è una lingua divina. Le sue capacità mi saranno utili. La dominerò col mio prana e non potrai farci nulla. Uomini prendetela.”
L'esercito di King si mosse come un sol uomo. Nessuno osò sfidarli e Ren dovette assistere impotente mentre portavano via Ragazza.
L'esercito si allontanò in una nube di sabbia.
“La riprenderò King, la riprenderò”
E la luce si spense.

TO BE CONTINUED

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Re: Semifinale Valerio La Martire

Messaggio#4 » giovedì 9 marzo 2017, 0:10

STOP! racconti inviati agli SPONSOR.
Buona fortuna!

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Re: Semifinale Valerio La Martire

Messaggio#5 » venerdì 10 marzo 2017, 8:39

Ecco i commenti di Valerio La Martire:

Il Supplente

Il racconto “Il Supplente” è interessante e con una struttura valida. I tre personaggi principali sono ben caratterizzati in poche righe e ognuno di loro ha una propria identità, storia e struttura.
Il mondo in cui si muovono, forse una dimensione celeste, forse una dimensione tra le dimensioni, è un luogo fisico e simbolico e il loro è un viaggio di crescita, evoluzione e scoperta di sé.
Il percorso che fanno è breve ma interessante. Ci sono citazioni dantesche e archetipi dell’interpretazione dei sogni, ben amalgamati e sfruttati per creare un racconto che fluisce piacevolmente.
La relazione tra il prete e il ricercatore è interessante, la dicotomia scienza-religione appena accennata, ma interessante.
Il personaggio femminile non è banale senza però riuscire a uscire dalle pagine come le controparti maschili.
Le due citazioni che vengono fatte in maniera esplicita, Il Signore degli Anelli e Star Wars, potevano essere evitate, non aggiungono spessore alla storia e banalizzano un po’ gli avvenimenti e danno un tono camp ai personaggi che ne fanno menzione.
La storia rimane un po’ inconclusa e fine a se stessa, riducendosi alle scelte dei due personaggi maschili (il personaggio femminile non sembra vivere alcun dubbio e quindi la sua scelta quasi non si percepisce).
Il prete decide di tornare a casa e viene ucciso per questo. Il fisico pensa inizialmente di tornare, poi di rimanere per amore di lei, anche se si racconta che lo fa per la conoscenza.
Di una struttura onirica e simbolica non si intuisce lo scopo finale del racconto lasciando il lettore un po’ a bocca asciutta, con molte immagini e accenni e poca sostanza sotto.

Ren, il ritorno del Re

In un futuro distopico dove la ricerca di cibo ha distrutto il pianeta rendendolo un deserto arido e invivibile rimane un solo vero chef della sacra scuola di O’strutto, Ren.
Il racconto si ispira al fumetto di Ken Shiro e ricorda per tanti aspetti anche “Memorie di un cuoco d’astronave” di Mongai con il quale condivide lo spirito goliardico e umoristico e alcuni episodi “alimentari” di Ranma ½ di Rumiko Takahashi.
Nonostante queste chiare ispirazioni non telefonate, la storia è avvincente, originale divertente e d’azione. Il protagonista, lo chef Ren, è un personaggio saggio, potente e non proprio sveglio. Il suo assistente, Garzone, verbalizza più volte il suo scontento nei confronti del maestro che tanto non coglie mai niente.
L’arrivo di Ragazza, prescelta per essere in possesso della “lingua divina” scombussola la loro vita che viene travolta dagli eventi quando il malvagio King, acerrimo nemico di Ren, decide di prendere Ragazza per sé.
Le tecniche di guerra tra spaghetti animati e tornadi di risotto ai porcini sono esilaranti e evocative.
L’arrivo dei respiriani mi ha fatto cadere dalla sedia dalle risate.
L’unica pecca negativa è la quantità di refusi e errori.

Classifica:

1) Ren, il ritorno del Re
2) Il Supplente

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