Il mostro della Tasmania

Sfida il BOSS Matteo Di Giulio, l'autore di La congiura delle tre pergamene, e i suoi due SPONSOR: Adriano Barone e G.L. Barone
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roberto.masini
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Il mostro della Tasmania

Messaggio#1 » domenica 10 settembre 2017, 23:42

Sto per laurearmi in biologia marina. Mia madre mi aggiusta il nodo della cravatta, mio padre mi dà grosse pacche sulle spalle. Samantha, mia sorella, se ne sta in disparte, seduta sulla panchina della facoltà e si guarda la punta delle scarpe; poi si alza, si avvicina e mi sussurra:
«Sono fiera di te!»
Poi, quasi presa da un dubbio, mi fa quella domanda alla quale non avrei mai voluto rispondere:
«Com’è venuto in mente di diventare un biologo del mare, a te che non sai nemmeno nuotare?»
Sono tolto dall’imbarazzo: mi chiamano, presento la mia tesi sui calamari giganti, mi danno 108. Quando esco, la mia famiglia mi abbraccia.
Ma alla fine dei festeggiamenti la domanda di Samantha mi brucia nel cervello e io non posso più tacere l’incredibile storia che svela la motivazione della mia scelta professionale. Prendo mia sorella per mano e la conduco fuori dal ristorante, sulla veranda illuminata dal caldo sole di giugno; la invito a sedersi e comincio a raccontare:
«Ricordi quell’autunno, l’ultimo anno del liceo scientifico, quando feci quella gita? Non ricordi? Erano le undici di una fredda domenica di novembre. Non c’era nessuno in giro; solo qualche gatto affamato. Avevo deciso di vedere Camogli, l’unico paese della Riviera di Levante che non avevo ancora visitato, con i miei amici di sempre Lucio e Carlo, che però mi avevano dato buca. Alzai il bavero del cappotto e mi diressi verso una panetteria aperta, dove ordinai una focaccia. Avute le indicazioni per salire al castello di Dragonara, mi diressi dapprima verso il porticciolo e percorsi tutto il molo fino al palo bianco di segnalazione. Il mare sembrava sempre più agitato e ondate di bianca schiuma s’infrangevano sulla banchina. Stavo tornando indietro e fu allora che la vidi. Ah, non l’avessi mai vista!»
«Che cosa?» domanda Samantha, afferrandomi per la cravatta.
«Vicino a un gozzo ormeggiato quasi all’uscita del porticciolo, scorsi una bottiglia!»
«Non mi dire che c’era un messaggio dentro!» mi canzona.
L’afferro per un braccio e mentre il sorriso le si spegne sulle labbra, urlo:
«Non m’interrompere più: non puoi capire quanto mi costi… Potrai fare i tuoi commenti alla fine della storia.
Dunque, dicevo, vidi quella bottiglia e riuscii a recuperarla, anche se, salendo sul gozzo, rischiai di cadere in mare. Era una bottiglia verde che un tempo aveva contenuto del vino ma che in quel momento tra le mie mani mostrava quello che mi era parso di intravedere da lontano: un messaggio. Mi precipitai nell’albergo, dove avevo prenotato per una notte e risalii nella mia camera. Tolsi il tappo ed estrassi dei fogli ingialliti a quadretti sui quali, con una calligrafia piccola e fitta, era vergata un’orribile storia. Li ho qui in tasca. Ecco, te li leggo:
Camogli, 31/08/1968
Mi chiamo Giovanni Schiaffino; son nato qui il 27/07/1954. Mio padre fa il fabbro e mia madre la cameriera al “Cenobio dei Dogi” I miei sono i genitori più bravi del mondo ma non potranno mai aiutarmi e spero riusciranno a perdonarmi. Ho deciso di andarmene da qui perché non posso più continuare questo tipo di esistenza. Nessuno potrebbe credermi, neppure padre Egisto, il prete della cattedrale, anche se gli rivelassi il mio segreto. Spero che questo scritto venga ritrovato tra cent’anni, quando forse la scienza avrà la possibilità di comprendere ciò che è successo.
Sono timido; non riesco a farmi una ragazza; le poche volte che ho tentato, sono diventato rosso, mi sono impappinato e ho detto solo delle scemenze che hanno fatto ridere tutti e che hanno fatto scappare la ragazza che mi piaceva. Gli amici un po’ mi prendono in giro e un po’ tentano di aiutarmi, invitandomi alle feste, dove però non batto chiodo.
Quest’anno mi sembrava invece che il vento fosse cambiato.
Finite le scuole, andavo sempre ai Bagni Miramare a giocare a ping pong. Mettevo anche le monetine nel juke-box per ascoltare “Piccola Katy” dei “Pooh” ma soprattutto ”Azzurro” di Celentano.
A luglio arrivarono le frotte dei turisti e io m’innamorai di una ragazza di Alessandria che si chiamava Camilla. Aveva i capelli biondi, gli occhi azzurri e due bellissime gambe e un bel sorriso e delle labbra… insomma, ci siamo capiti: era bellissima!
Disdegnò tutti i miei amici più intraprendenti di me perché diceva che solo io la facevo ridere; un giorno mi prese sottobraccio e andammo a nuotare vicino alla chiesa. Scoprii che era ricchissima: i suoi possedevano anche un motoscafo e mi disse che un giorno mi avrebbe fatto fare un giro. Le feci da cicerone per parecchi giorni. La portai a visitare l’oratorio di San Prospero e Santa Caterina; gli parlai del medaglione di marmo sulla facciata con Cristo Risorto. Prendemmo il vaporetto per andare a vedere l’abbazia di San Fruttuoso di Capodimonte; visitammo la chiesa, il museo, il chiostro, il sepolcro dei Doria e la torre; gli raccontai la storia del Cristo degli Abissi alla quale lei non voleva credere. Fu poi la volta del castello della Dragonara. Le dissi che lì i camogliesi si ritrovavano per eleggere i loro rappresentanti o si ritiravano nei momenti di pericolo e che io l’avrei voluto trasformare in un museo marino. Tutto quello che le raccontavo, la interessava tanto; sembrava pendere dalle mie labbra; ne ero orgoglioso!
Il giorno più bello della mia vita fu quando andammo alla batteria di Punta Chiappa. Percorsa a piedi l’Aurelia, svoltammo verso il passo della Ruta e, arrivati in cima, raggiungemmo il paesino di San Rocco; da lì scendemmo per un sentiero panoramico fino alle batterie della punta che chiudeva da Est il golfo del Tigullio. Era il complesso difensivo della 202° batteria costiera del Regio Esercito, costruito verso la fine degli anni trenta come un sistema antinave. Ci intrufolammo in uno dei cinque bunker e al buio la baciai sulla bocca; fui ricambiato. Uscii pazzo di gioia.
Andavamo sempre nel pezzo di spiaggia libera all’inizio della passeggiata; facevamo bagni uno dietro l’altro e poi ci stendevamo sulle pietre a prendere il sole; i suoi genitori se ne stavano in disparte. Li conobbi il giorno del mio compleanno, quando m’invitarono a salire sul loro motoscafo. Passai tutto il pomeriggio in piedi a prua a girare per il golfo del Tigullio, non badando né agli spruzzi né al vento. Camilla mi disse che avrei dovuto coprirmi: le risposi con una risata.
Non la rividi più.
Il giorno dopo ero a letto con una febbre da cavallo e lì rimasi per una settimana. Quando guarii, mi raccontarono della tragedia: quattro ragazzi, Paolo, Maria, Giulio e la mia Camilla erano scomparsi da tre giorni. Erano andati a fare il bagno di mezzanotte e non erano più tornati. La polizia aveva trovato tutti i vestiti ben piegati sulla spiaggia ma di loro nessuna traccia. Erano state utilizzate motovedette con un apparecchio che chiamavano sonar, che serviva per individuare corpi sommersi, ma non c’era stato alcun risultato. Neppure i sommozzatori avevano trovato nulla. I genitori di Camilla erano affranti e io pure ero distrutto dal dolore. Passavo tutte le giornate nel tratto di spiaggia in cui era sparita, tenendomi la testa tra le mani. I giornali, poiché non si trovavano i corpi, cominciarono a parlare di squali ma l’ipotesi fu subito smentita dagli inquirenti.
Poi successe l’incredibile. Giorgia, una ragazza di sedici anni che ci trattava come fossimo dei bambini, ci disse, quella mattina di agosto, che lei non aveva paura degli squali e che avrebbe fatto il bagno di mezzanotte. Io e i miei amici allora decidemmo di nasconderci per vedere se succedeva qualcosa. Appostati di notte sulla “quadrata”, scrutammo il mare e la spiaggia. Fu tutto inutile perché Giorgia non si fece vedere o così credemmo noi. Scoprimmo infatti il giorno dopo che il bagno l’aveva fatto nel porticciolo ed era sparita, lasciando sul molo tutti i suoi vestiti perfettamente piegati. Lo stesso giorno corremmo da Baciccia, il più vecchio marinaio di Camogli che aveva ritrovato i vestiti di Giorgia. Ci raccontò che aveva visto sul molo, vicino ai vestiti, tracce circolari di acqua di mare che potevano essere stati lasciati solo da una piovra. Ma tutto ciò si rivelò solo frutto della sua fantasia di ubriacone: sul molo non c’erano tracce di nessun genere.
Per alcune notti la polizia illuminò la spiaggia e alcune motovedette pattugliarono l’intero golfo del Tigullio ma senza risultato. Io andavo alla spiaggia a ogni ora del giorno e della notte, sfuggendo al controllo dei miei genitori. Quando rincasavo, a notte inoltrata, i miei dapprima non mi dicevano nulla: mi abbracciavano forte forte e io sentivo che capivano tutta la mia angoscia e il mio dolore. Poi mio padre cominciò a inquietarsi, dicendo che dovevo dimenticare quella storia, che meno male che non era tempo di scuola se no mi avrebbero bocciato, eccetera eccetera.
Una settimana dopo questi eventi mi trovavo all’Odeon, senza più lacrime, per cercare di distrarmi; proiettavano “Quando dico che ti amo” con Tony Renis e Lola Falana. Nel buio della sala, nonostante parlasse sottovoce, riuscii a individuare dietro di me Caterina, la ragazza più... più, come potrei dire, più formosa del paese che quando ti guardava non potevi non arrossire, che ti faceva seccare la saliva in gola. Stava proponendo al suo nuovo amico un bagno a mezzanotte. Il ragazzo, che si chiamava Daniele, era un po’ titubante, frenato dalla paura di sparire per sempre ma spronato dalla possibilità di vedere le nudità agognate. Alla fine si accordarono: sarebbe stato per la sera successiva, vicino al molo. Non avvisai i miei amici che del resto non mi frequentavano più, dicendo che ero diventato pazzo per la scomparsa di Camilla.
La sera seguente mi appostai dietro gli scalini del molo e attesi. Era quasi mezzanotte e ormai disperavo di vederli; stavo per lasciare il mio nascondiglio, quando decisi di rimanere altri dieci minuti. Ah, non l’avessi fatto; forse non avrei mai scritto queste cose e non avrei deciso di scappare! La luna piena rischiarava a giorno la spiaggia. Li vidi arrivare correndo a piedi scalzi. Daniele propose di togliersi tutti i vestiti. Lei disse di no e si buttò vestita in acqua. Stava ancora sguazzando, inseguita dal ragazzo, quando l’acqua s’increspò leggermente e all’improvviso, quasi a riva, uscì piano piano una massa oscura che li trascinò sott’acqua senza un grido, senza spruzzi, senza lotta, senza un lamento. L’unico rumore: la risacca. Tutto successe in pochi secondi. Poi la cosa uscì dall’acqua sotto la luce della luna, pallida ma vivida per i miei occhi dilatati dalla paura. Per descrivere qualcosa d’indescrivibile sono costretto a usare paragoni con le poche cose che conosco, anche se da oggi so che non conosco quasi niente delle persone, degli animali e delle cose che mi circondano. Sembrava un’enorme tartaruga ma senza testa né zampe o piuttosto un enorme purillo con la coda e una gobba di circa quattro metri. A occhio, al mio occhio dilatato, doveva essere lungo circa sette metri e largo sei. Si muoveva, scivolando sui sassi della spiaggia come se fosse un millepiedi. Non si distinguevano occhi o altri organi. L’aria sembrava ferma ma di sicuro io lo ero; paralizzato dal terrore ero diventato anche afono; così non gridai per risvegliare Camogli e servire al paese su un piatto d’argento il terrore che viene dal mare. Un gatto randagio mi capitò tra i piedi, miagolante; mentre si strofinava sulle mie gambe rigide come tutto il resto del corpo, la cosa sembrò aver sentito il felino, si fermò e molto lentamente se ne ritornò al mare, dove s’immerse senza sollevare spruzzi e sparì.
Trascorse un’ora prima che riuscissi a muovermi: mi sembrava di essere stato vicino alla manifestazione del Male. Ma mentre rincasavo, madido di sudore, mentre pensavo che sarei potuto morire anch’io e che l’avevo scampata bella rispetto a Caterina e Daniele, il mio pensiero corse a Camilla. Non ero convinto che, se fossi andato alla polizia a denunciare l’accaduto, qualcuno mi avrebbe creduto; pensavo invece che per onorare la memoria di Camilla avrei dovuto uccidere quella cosa a costo della mia vita.
Mi buttai sul letto e caddi in un sonno senza sogni. I miei genitori, stanchi per il lavoro, continuavano a non accorgersi delle mie uscite notturne. Mi risvegliai alle tre di notte con la gola riarsa e corsi in cucina per prendere un bicchiere d’acqua gelata dal frigo. Accendendo la luce, risvegliai il cane dei vicini che cominciò a ringhiare; mostrava le zanne nella mia direzione e tirava la catena fin quasi a strozzarsi; non riuscì peraltro a spostare la cuccia di un solo millimetro. Fu allora che mi venne l’idea: non mi avesse mai sfiorato la mente!
Il giorno dopo, a notte inoltrata, mi appostai, armato di un grosso coltello, sulla riva vicino al molo dietro alla chiesa. Avevo legato la mia gamba sinistra due capi di una gomena che avevo fatto passare intorno a uno dei piloni che sorreggevano la terrazza del ristorante della spiaggia. Avrei colpito a morte quella cosa che non avrebbe potuto trascinarmi in acqua. Con le narici dilatate per l’affannosa respirazione attesi tutta la notte. Per notti e notti continuai ad aspettarla.
Ieri alla fine l’ho vista e pensavo proprio che l’avrei uccisa e catturata. Erano le quattro di notte; la falce di luna calante illuminava soffusamente il tratto di mare davanti a me. All’improvviso il mare si gonfiò e la bestia uscì. Rimase sulla battigia per circa un minuto e poi avanzò sulla spiaggia sassosa, avrei detto, con estrema circospezione, se fossi riuscito a individuare qualcosa che assomigliasse, se pur vagamente, a un organo della vista.
Quando fu a metà della spiaggia, uscii dal mio nascondiglio costituto da una bassina nera e attaccai. Affondai il mio pugnale su quella gobba maledetta ma era come pugnalare un mollusco anche se la sua pelle sembrava più gommosa che molle. Così vicino, al chiarore della luna, potevo vedere e toccare una specie di criniera che mi parve bianca; vidi anche cinque o sei branchie che sembravano feritoie pulsanti; e anche la sua coda, sulla quale si potevano scorgere due file di spine. Mentre continuavo a colpire, la cosa si fermò; non si sentiva alcun lamento, dalle ferite non usciva né sangue né altro liquido. Poi qualcosa si mosse: era un piccolo tentacolo che mi afferrò la gamba libera; lo colpii, si ritirò ma fui afferrato da un altro e un altro ancora. Altri piccoli tentacoli mi afferravano in altri punti del corpo e anche se io li trafiggevo, sembrava ne sorgessero altri che occupavano il posto di quelli che, colpiti, si erano ritirati. Fu allora che la bestia inarcò la gobba e io potei vedere là sotto: un enorme bocca dentata mi attendeva. Compresi che non avrei potuto abbattere la bestia ma almeno dovevo salvarmi. Afferrai la gomena e cominciai a tirare verso il pilone, sicuro che la bestia non ce l’avrebbe fatta a trascinarmi in acqua. Mentre tiravo con tutte le forze, altrettanto faceva la cosa con i suoi tentacoli. Vedevo però che impercettibilmente riuscivo a muovermi e la bestia cominciava a mollare alcuni piccoli tentacoli. Indietreggiai sempre di più con le tempie che martellavano. Quando pensai di essere salvo, perché il mostro aveva allentato la maggior parte delle sue appendici, da quelli ancora attaccati fuoriuscì un liquido giallastro che mi penetrò nelle carni. Subito dopo ebbi come la sensazione che tutto il mio sangue fosse risucchiato dal mostro. Molto indebolito, tirai ancora un po’ la gomena e la bestia mi liberò, tornandosene in acqua con la stessa lentezza con la quale ne era uscita. Nessuno sciabordio quando s’immerse e si allontanò.
Dopo un tempo che mi parve eterno, mi scossi e ritornai a casa con estrema fatica.

Stamattina mi sono risvegliato molto presto, mi sono alzato, mi sono guardato allo specchio del bagno e non mi sono riconosciuto, non ho riconosciuto la mia faccia! Eppure sono io! Mi sento svuotato, privo di volontà, non m’importa più di niente. Sono tornato a letto e poi mi sono di nuovo alzato per andare in bagno; questa volta mi sono riconosciuto ma la totale inerzia perdura. Mi sono lavato con estrema riluttanza e sono uscito senza svegliare i miei genitori. Tutto quello che mi circonda mi appare privo di senso: il cielo, il sole che sta sorgendo, le pietre della spiaggia, il mare, le poche persone che incontro, lo sferragliare del treno che passa, un cane randagio che abbaia, i genitori che ho lasciato addormentati, i miei compagni di scuola, Camilla, morta!
Non ho più desideri o meglio adesso ne ho uno solo, dominante, che però mi fa paura. Finché la paura ha prevalso, sono riuscito a riempire questi fogli che ho infilato in una bottiglia e affidato alle onde.
Ho nascosto i vestiti nella barca di mio zio, ho aspettato la sera e poi, completamente nudo, dal porticciolo, mi sono gettato in mare; ora, però non ho più paura: so cosa fare devo andare lunamea ta, nangami chiama, il mare chiama.

Si chiudeva così; non c’era la firma.»
«E tu hai creduto a questa trama da b-movie per diventare, come si direbbe ora, un criptozoologo?» domanda, stupita, mia sorella.
«Forse tu non lo sai ma io, da quel giorno, ho fatto delle ricerche e ho raggiunto risultati incredibili!»
«Nel senso che non si possono credere!» mi deride Samantha.
«Tu non capisci proprio niente. Ho scoperto che nel 1968 un tal Giovanni Schiaffino, di anni quattordici, sparì da Camogli; che trovarono tutti i suoi vestiti perfettamente ripiegati e nascosti in una barca di proprietà di un suo vecchio zio; che non fu più ritrovato; che in quell’anno sparirono altri ragazzi suoi coetanei senza lasciare traccia. A casa ho tutti i ritagli dei giornali locali di quegli anni che riportano le più disparate ipotesi su quelle sparizioni.»
«Beh, poteva essere solo un ragazzo che conosceva le vicende e si è inventato la storia del mostro; hai trovato giornali che parlano di uno strano essere acquatico ritrovato in quel di Camogli?»
«Per la verità no ma c’era una cosa strana in quella lettera; non era la storia in sé che, come dici tu, poteva essere inventata. La cosa strana erano quelle parole di una lingua sconosciuta nelle ultime righe della lettera: lunamea ta, nangami. Facendomi aiutare da Rossi, il mio professore di latino, sono riuscito a decifrarle. Perciò quella riga dovrebbe intendersi così: ’…so cosa devo fare: devo andare a casa mia. Mio padre chiama, il mare chiama’.»
«Non riesco a capire cosa c’entri una lingua sconosciuta con la tua scelta di diventare biologo marino!» replica mia sorella, sgranando gli occhi.
Estraggo dalla tasca uno spiegazzato articolo di giornale e glielo porgo; lei lo apre e comincia a leggere. Il nome del giornale è The Mercury, il titolo dell’articolo in italiano suonerebbe: Mostro marino ritrovato potrebbe diventare un caso mondiale. Di spalla una foto con le fattezze del mostro: sono quelle descritte da Schiaffino nelle pagine ingiallite.
Mentre Samantha boccheggia, aggiungo:
«Il ragazzo non può avere letto quel giornale che risale all’agosto del 1960: aveva appena compiuto sei anni e non era ancora andato a scuola. Il mostro riprodotto fa parte dei cosiddetti globster, termine inventato dal biologo Ivan T. Sanderson nel 1962 dalla contrazione di globular monster, che individua una massa di materiale organico arenatosi sulle rive del mare o dell’oceano. Un globster si distingue dalle normali carcasse spiaggiate, per l’estrema difficoltà nell’individuarne l’origine; spesso si parla di resti di piovre gigantesche ma il nostro caso è diverso.»
«Questo articolo dimostra solo che un animale simile alla descrizione del ragazzo è esistito davvero…»
«Non solo: ricordi le parole di quella lingua straniera sconosciuta?»
«Sì, e allora?»
«Si tratta di una lingua morta che si parlava su un’isola a sud dell’Australia e questo giornale è il quotidiano di Hobart, la capitale di quell’isola!»
«Vuoi farmi credere che quel ragazzo fu assalito proprio da questa bestia?» domanda, indicando la foto sul giornale e poi aggiunge:
«E di quale isola si tratta?»
«La Tasmania, la Tasmania: da tutti gli studiosi questa cosa è conosciuta come il mostro della Tasmania!»



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Spartaco
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Re: Il mostro della Tasmania

Messaggio#2 » martedì 12 settembre 2017, 12:32

Benissimo, stavolta sei dentro le 20000 battute! Dovessi fare altre modifiche, hai tempo fino al 24/09 alle 23:59, falle su questo racconto e non postarne uno nuovo. Provvedo io a cancellare quello vecchio ;)

Buona Sfida!

Roberto Masini
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Re: Il mostro della Tasmania

Messaggio#3 » martedì 12 settembre 2017, 19:27

Spartaco ha scritto:Benissimo, stavolta sei dentro le 20000 battute! Dovessi fare altre modifiche, hai tempo fino al 24/09 alle 23:59, falle su questo racconto e non postarne uno nuovo. Provvedo io a cancellare quello vecchio ;)

Buona Sfida!

Grazie! A presto!

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Sonia Lippi
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Re: Il mostro della Tasmania

Messaggio#4 » martedì 26 settembre 2017, 11:57

Ciao Roberto piacere di leggerti,

la tua storia secondo me ha del potenziale, ma non scorre.
Ho fatto fatica a leggerla e ho trovato qua e la dei refusi.
L'uso del presente non da respiro e non da spazio alle descrizioni e alle caratterizzazioni dei personaggi.
Capisco che la vera storia è quella centrale, ma avrei voluto comunque un pochino più di suspance e soprattutto avrei voluto vivere di più la storia.
Ti consiglio di togliere la cornice della storia del biologo Marino e di sviluppare la storia centrale, così il racconto prenderebbe corpo, e il lettore vivrebbe l'ansia e la paura, sia dei protagonisti che quella dei personaggi secondari come i ricercatori.
Insomma hai un buona storia ma da sviluppare meglio, questo il mio modesto consiglio.

Buona giornata

Sonia

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Wladimiro Borchi
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Re: Il mostro della Tasmania

Messaggio#5 » martedì 26 settembre 2017, 17:55

Quoto Sonia,
(si dice così? Scusate ma, nonostante la veneranda età, mi piace fare il giovine)
La storia nella storia regge il giusto. Non a caso la stessa sorella del protagonista lo riprende dicendogli: "Macché ti sei messo a studiare una vita per aver letto la trama di un b-movie?".
Peraltro, il fatto che il lettore stia leggendo la pergamena vergata di suo pugno dal protagonista della vicenda, spoilera (mi è presa la mano con i termini da giovane) il fatto che quest'ultimo sia scampato al terribile mostro e toglie ogni suspance anche al duello finale.
La creatura è orginalissima per forma, struttura e attacchi.
Mi è piaciuto, anche, tanto che il mostriciattolo trasmetta un morbo che ti trasforma lentamente.
Insomma il potenziale c'è ma, come ha detto Sonia, eliminerei la parte al presente e terrei solo la storia centrale.
A presto
W
IMBUTO!!!

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ceranu
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Re: Il mostro della Tasmania

Messaggio#6 » mercoledì 27 settembre 2017, 9:48

Ciao Roberto, piacere di conoscerti.
Il problema di commentare dopo gli altri è che potrebbero aver già detto quello che pensi tu. Questo è il mio caso.
La storia è interessante, ci starebbe anche la parte con lo studente e la sorella, ma non in 20000 battute.
Come detto dagli altri, il racconto del racconto è un po' pesante. Fossi in te proverei a tagliare la parte con la sorella e farei partire tutto con lui sulla spiaggia che trova la bottiglia. A quel punto potresti alternare lettura e azione, con lui che cerca di scoprire se quello che sta leggendo è vero.
C'è da dire che anche una soluzione del genere è più da libro che da racconto.
Insomma, se a Sonia ho detto che il suo racconto sembra più l'intro di un romanzo, nel tuo direi che siamo al cospetto di un'ottima sinossi.
Stile e idea sono interessanti, personalmente credo che abbiano il fascino dei film d'avventura per ragazzi degli anni '80, però per funzionare come racconto devi decidere di tagliare qualcosa.
Una cosa non mi è piaciuta: a un certo punto il protagonista si rivolge in maniera molto brusca alla sorella. Pensavo potesse essere l'inizio di una mutazione del suo carattere che l'avrebbe portato ad essere iracondo e invece è rimasta una reazione isolata. Secondo me stona un po' con il resto.

Nel complesso è un lavoro interessante ma, fossi in te, sfrutterei questi giorni per rivederlo così da dare allo SPONSOR un racconto finito.

Ciao

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Spartaco
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Re: Il mostro della Tasmania

Messaggio#7 » giovedì 28 settembre 2017, 23:30

Primo Lettore Anonimo

Ciao
giusto un paio di cose… innanzitutto dividiamo le due storie: la prima riguarda il ragazzo laureando e la seconda è La storia contenuta nel messaggio.
Su quest'ultima, a livello di narrazione non ho nulla da dire.. Hai descritto bene i vari passaggi e il lettore riesce a seguirti durante lo svolgimento dei fatti.. l’unica critica riguarda alcune espressioni del protagonista, che vedo improbabili in bocca ad un ragazzino di quattordici anni nel 1968. Diciamo che se la storia si fosse conclusa qui, o se avessi scelto un modo diverso per integrarla alla realtà, sarebbe stato meglio.

Per quanto riguarda la storia “reale", il laureando è caratterizzato male, parla in modo troppo irrealistico e diventa antipatico agli occhi del lettore, cosa che non dovrebbe accadere ad un protagonista principale. Ti consiglio di rivedere le parti dei dialoghi e renderle più credibili e dare al protagonista un tono meno saccente e più affabile.
Inoltre credo che l’uscita finale sul mostro della Tasmania ti sia uscita male… guarda gli ultimi 25 secondi del video nel link (tralascia tutto il video, non ci sono dialoghi); servono per farti capire la sensazione che mi ha dato… del tipo: ”perché usa questo tono? Cosa non ho capito? ” e mi lascia con una strana cosa addosso.
https://youtu.be/EqkmNVIGJ58
In definitiva, storia bella e non banale ma che non mi fa gridare al miracolo.
Per il resto manca qualche segno di punteggiatura e (parere personale) credo tu abusi del “punto e virgola”, mettendolo anche dove non serve.

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Spartaco
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Re: Il mostro della Tasmania

Messaggio#8 » venerdì 29 settembre 2017, 23:44

Secondo Lettore Anonimo

La conclusione sembra messa lì per caso. Il lato debole è la storia presente, mentre la storia passata è ben raccontata.

Roberto Masini
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Re: Il mostro della Tasmania

Messaggio#9 » sabato 30 settembre 2017, 12:49

BONUS A CUI ASPIREREI

1) UN MANOSCRITTO, UNA PERGAMENA, UN DIARIO, UNA LETTERA O UN DATTILOSCRITTO: -4 punti
2) UN OMICIDIO O UN SUICIDIO: -2 punti

Roberto Masini
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Re: Il mostro della Tasmania

Messaggio#10 » domenica 1 ottobre 2017, 10:14


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DavidG
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Re: Il mostro della Tasmania

Messaggio#11 » mercoledì 4 ottobre 2017, 20:25

Ciao e bentrovato.
Per quanto trovi l'idea carina anche se non del tutto originale ( ma al riguardo anche chi se ne frega dato che nessuno si fa problemi a martellare con zombie e vampiri) purtroppo l'ho trovato un po' mal gestito.
La prima regola dello scrivere è "show don't tell", ossi mostra ma non raccontare: facci vivere la storia.
Invece nel tuo racconto è tutto raccontato o descritto. Dovresti rivedere il tutto, lascia stare il laureando e facci vivere la storia dell'altro ragazzo in prima persona.

Poi magari fai un salto temporale e ci fai vivere l'altra storia.
Taglia tutto l'inutile ( descrizioni non necessarie ) e secondo me ce la fai tranquillamente in 20000 caratteri.

Un saluto

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