DORA

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il sette gennaio sveleremo il tema deciso da Francesco Nucera. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Francesco Nucera assegnerà la vittoria.
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Eugene Fitzherbert
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DORA

Messaggio#1 » domenica 27 gennaio 2019, 19:14

DORA
Di Eugene Fitzherbert


1.
«Teha, sei sicura di quello che fai? Sei mancata per un intero pomeriggio e ora torni con quest’idea.» Giorgio non nascondeva l’espressione preoccupata che gli oscurava il viso.
Teha rispose convinta: «Devo andare, G. Devo aiutare la bambina.»
«Questa bambina, Dora, chi è? Non l’abbiamo neanche vista.»
«Sta sempre nascosta. L’ho incontrata ieri mentre fuggiva da un palazzo diroccato. Era mezza nuda e aveva i marchi, Giorgio, sulla schiena, sulle spalle, sulla pancia. Sai cosa significa.» Involontariamente Teha rabbrividì, portandosi una mano alla spalla, tastando gli innesti metallici da Schiava del Dolore che aveva. Anche per lei era iniziato con i tatuaggi, l’intervento di installazione e poi l’inferno.
«Se vuoi che questa ragazzina non faccia la tua stessa vita, non è meglio rimanere qui con noi? Come abbiamo accolto te, qualche giorno fa, può rimanere anche lei.» Lui a Trinitapoli aiutava tutti i disperati vittime di un mondo marcio e moribondo, di cui erano rimaste solo macerie fumanti.
«No, Giorgio. Dora continua a ripetere: Zio Dario e Via delle Croci. È lì che vuole tornare. E io devo portarla. Sento che è la cosa più giusta da fare.»
« Mi pare così strano. Sei appena arrivata, fuggita dalla tua vita dolorosa e ora… questo. Non mi piace.»
«So che devo farlo. Da quando ho visto il visino di Dora, i suoi occhi ormai spenti, i marchi sulla pelle. Non potevo lasciarla stare lì. È talmente traumatizzata che riesce a ripetere solo quelle parole…»
«Sì, Zio Dario e Via delle Croci. E tu vorresti arrivare a Via delle Croci. Lo sai che è pericoloso, no?»
«Lo so. E tu conosci la strada, vero?»
Giorgio rimase un po’ in silenzio, poi, rassegnato aggiunse: «Alla fine qui non sei prigioniera.»

2.
Per un giorno e mezzo avevano percorso un bel po’ di strada senza avere intoppi. Erano arrivati nel punto più critico e su quello Giorgio era stato chiarissimo: «State alla larga dalla città dei Mutanti del Cemento. Allungate verso nord e girate intorno alla discarica.»
«E come riconosciamo la città?»
«Il nome è Foggia. Dopo quella, c’è un’area semidesertica, con i resti di un paese disabitato, Lucera, mi pare, o Nucera. Da lì superate il confine, sarete alla Via delle Croci, in Molise.» Teha ricordava che le aveva guardata come due condannate a morte. «Il Molise non esiste, è solo un’invenzione geografica. Quella è terra di nessuno. Se sei lì, è come se non fossi da nessuna parte. Non c’è nessuna regola, nessuno che ti possa sentire, o che possa venire in tuo aiuto. È quello che vuoi?»
Lei non aveva risposto.
Quel pomeriggio avevano superato la Discarica e avevano visto le indicazioni per Foggia. «Ora dobbiamo stare nascoste. Allungheremo un po’, ma non preoccuparti ti porterò da Zio Dario.»
Dora, con lo sguardo apatico, aveva mormorato: «Zio Dario. Via delle Croci.»

A sera, avevano deciso di accamparsi, per trovare riparo dalle esalazioni che arrivavano dalla Discarica. Durante tutto il tragitto, Teha aveva studiato Dora, sperando di carpire quello che la ragazzina di dodici anni poteva aver passato per essersi ridotta in quelle condizioni. Sapeva che era facile finire vittima delle barbarie in quella Puglia devastata. Dora era distrutta: non parlava se non per ripetere sempre quelle parole, e la luce nei suoi occhi era quasi inesistente, come avesse già deciso di essere morta.
Teha sperava con tutto il cuore che riportarla da suo Zio Dario l’aiutasse in qualche modo. Ma soprattutto sentiva che fare quella traversata avrebbe aiutato lei. Non si sentiva così determinata da quando aveva deciso di scappare da Léon, per non essere più una Schiava del Dolore.
«Dora, siamo a buon punto. Non sei contenta?»
«Zio Dario.»
«Sì, certo. Stiamo andando da lui. Domattina ho bisogno del tuo aiuto per procurarci dell’acqua. Te la senti?»
«Via delle Croci, Zio Dario.»
Teha era un po’ esasperata. «Va bene. Sì. Domani però dobbiamo controllare un pozzo qua vicino. Io mi avvicino e tu fai la guardia. ok?»
«Zio Dario. Zio! Dario!»
Forse Teha stava riponendo troppa fiducia nella ragazzina, ma avevano bisogno dell’acqua anche se voleva dire uscire allo scoperto. Probabilmente stava scommettendo la sua vita su una bambina traumatizzata.
«Via delle Croci!» esclamò Dora, come se avesse capito che stava pensando a lei. Poi si accasciò su un fianco e si mise a dormire.
Teha si avvicinò alla ragazzina e le accarezzò una ciocca di capelli. Ogni volta che la toccava aveva una spiacevole sensazione, ma era qualcosa di passeggero. Anche adesso, la ciocca sembrò quasi fuori fuoco, irreale e poi prese la normale consistenza dei capelli.
«Povera Dora. Quei segni che ti ritrovi sulla pelle, io li conosco benissimo. Sono il preludio all’inferno. Anche io ho iniziato così: dopo pochi giorni dai Marchi, sono arrivati i chirurghi e mi hanno installato questi innesti.» E scrollò le spalle per verificare che fossero tutti al loro posto. «Un sistema di produzione di droga: mi hanno trasformato in una fabbrica di endomorfina, derivata dall’endorfina.»

I suoi ricordi tornarono a qualche tempo prima, a prima che fuggisse, quando la stavano addestrando a fare quello per cui l’avevano creata: c’era un uomo, si chiamava Léon, crudele e spietato che aveva messo le cose in chiaro, un’espressione che significava che prima l’aveva picchiata, poi l’aveva violentata e poi le aveva parlato. Era sempre così, quando metteva le cose in chiaro. «Ora che ho la tua attenzione, puttana, ti dico quello che devi fare. È semplicissimo.» E la colpì ancora al volto.
Lei singhiozzò, coprendosi il volto con le mani, mentre il sistema di tubi sottopelle si attivava con un ronzio sinistro. Dopo pochi secondi, sentì in mezzo alle gambe una sensazione di umido.
«Brava!» esultò Léon. E le diede un altro schiaffo.
Il liquido aumentò.
«Vedi? Questo è quello che devi fare. Farti picchiare, tutte le volte che un cliente lo vuole, senza mai tirarti indietro. Perché ogni volta che qualcuno ti procura dolore…» altro schiaffo. «Tu sbrodoli. E quella è droga, tesoro mio, la migliore endomorfina che corpo umano possa produrre. Il sistema che hai dentro è all’avanguardia, il top.»
Teha continuava a singhiozzare, tenendosi la mano sul volto, seduta nuda in un lago di umori.
«Oh, beh, non è finita qui, ovviamente. Sei pur sempre una puttana, quindi dopo, ti scoperanno. Così va la vita, no?» Léon rise. «E così ora sei titolare, Teha. Vedi di non deludere il tuo allenatore!» E continuò a ridere.

Ecco da cosa era fuggita, Teha, non poteva lasciare Dora in balia di questo destino. Doveva portarla da Zio Dario, a Via delle Croci, fosse l’ultima cosa che faceva.

3.
La mattina successiva, arrivarono al pozzo, vicino a una catapecchia.
«Tu sta qui, vado a vedere.»
Teha si mosse veloce. La casupola di lamiere era ingombra di spazzatura, un materasso coperto di macchie scure e i resti di un fuoco. Chiunque aveva vissuto lì, sembrava essere andato via da tempo.
Tirò un sospiro di sollievo e si diresse verso il pozzo. Sul fondo vide baluginare dell’acqua. Si voltò verso Dora per richiamare la sua attenzione. Lei era lì immobile dove l’aveva lasciata, a fissare un punto perso in lontananza. Teha agitò una mano, e in quel momento da dietro una roccia emerse un uomo dalla pelle grigia, deformata da croste chitinose. Gli occhi erano delle pietre infiammate e guizzanti e sembrava annusare l’aria per saggiarne la consistenza. La mano destra era solo un moncherino scheggiato, le dita sgretolate come pietre farinose.
Un Mutante del Cemento.
Il mostro ruggì, un suono secco e pastoso come il passaggio di rocce dentro una clessidra d’osso. In due balzi fu su Teha e la scaraventò al suolo, immobilizzandola.
Teha cominciò a ruotare la testa a destra a sinistra per cercare Dora, per chiederle aiuto, per sapere se poteva contare su di lei, o per farla fuggire.
Il mostro le teneva la braccia ferme sotto le ginocchia e quando le aprì il poncho emise un grugnito di vittoria: «FEMMINA!» urlò trionfante. La scoprì del tutto.
Il passato, che Teha sperava di essersi lasciato indietro, la raggiunse con la potenza di un treno in corsa. Oh dio, no, non con questo coso!
«DORA!» urlò con quanto fiato aveva in gola. La vide a pochi passi da lei, immobile, in piedi, la solita espressione stolida sul volto.
Infastidito dalle sue urla, il mostro le sferrò un ceffone in faccia, spaccandole il labbro.
Il dolore esplose come un vecchio amico e il sistema di innesti che aveva sulla schiena si mise al lavoro, sintetizzando l'endomorfina. Teha si sentì inondare le sue parti basse, una sensazione appiccicosa e disgustosa. «No, no!» disse, mentre su di lei quell'essere era pronto a finire il lavoro. Le stava divaricando le gambe a forza, con la mano integra nodosa e tagliente per le croste di cemento. «Dora, per l’amor di dio, aiutami!» Ma la ragazza rimase ferma, senza neanche sbattere gli occhi.
Il mutante la penetrò, e Teha strinse gli occhi, spremendo fuori le lacrime amare che stava versando, ingoiando il sangue che le colava dal labbro ferito. Il dolore continuava a farle produrre droga. Si accorse che il mostro ne era particolarmente sensibile: stava ansimando, gli occhi rivolti al cielo, in estasi. Ebbe un’idea.
Strinse i denti, furiosa, e incastrò il mignolo nel terreno. Spinse con il braccio per quanto le permetteva la morsa con cui era bloccata a terra.
Fu sufficiente: con un schiocco sordo che avvertì fino al gomito, il dito si ruppe e un’ondata di dolore la travolse.
Il suo corpo reagì di conseguenza, buttando nel sangue vagonate di endorfine. Il sistema di sintesi fece il resto: in un lago di secrezioni, il mutante assorbì una quantità immane di droga che nell’arco di pochi istanti raggiunse il suo cervello già scarsamente funzionante. Fu un attimo, e Teha lo vide rigirare gli occhi all’indietro, le pupille strette come due spilli, e poi accasciarsi esanime.
Overdose.
La donna si scalzò il mutante di dosso e prese a massaggiarsi la mano, il mignolo che sporgeva in posizione innaturale. Léon lo diceva sempre ai suoi clienti: niente ossa rotta o è peggio per voi!

4.
Dopo aver recuperato l’acqua, Teha e Dora proseguirono. Il mutante che avevano incontrato era sicuramente un solitario. Con un branco, non ce l’avrebbero mai fatta.
«Perché non mi hai aiutato?» chiese Teha.
Nessuna risposta.
«Ti avevo chiesto di fare la guardia. Se fossi morta, cosa ne sarebbe stato di te?»
Nessuna risposta.
«E perché non ti ha sentito? Non ti ha attaccato?» Alla fine le chiese: «Chi sei?»
«Zio Dario, Via delle Croci.»
«Sì, sì, ok. Ti ci porto. Spero solo che questo Zio ti possa aiutare.» Teha, snervata, sentiva ancora il bisogno di riportare la bambina dai suoi parenti, quasi una necessità fisica.

Oltre la terra desertica tra i resti di Lucera (e non Nucera), superarono il confine. Fu come oltrepassare una specie di membrana, non tanto fisica quanto mentale: l’idea stessa del Molise era velenosa, un purgatorio malato, Terra di Nessuno infestata da esseri umani e derelitti.
Teha cominciava ad avere paura, perché da quel momento in poi potevano solo seguire la Via delle Croci: non c’erano strade secondarie o vie alternative. Sperava che in quella landa vivessero anche persone normali, poveri disperati che cercavano di sbarcare il lunario, e tra quelli ci fosse lo Zio Dario.
«La Via delle Croci porta a un qualche villaggio?»
«Zio Dario.»
Teha voleva prenderla a schiaffi.
L’aria, più rarefatta odorosa di vegetazione morta e carne putrefatta, li accolse all’inizio della Via delle Croci, uno dei peggiori manufatti umani.
«Non ho mai visto niente del genere.»
Teha lasciò correre lo sguardo. Ai bordi della strada, c’erano alberi marcescenti e rachitici, cespugli agonici e terra bruciata, ma il vero orrore era a terra. L’asfalto era stato sostituito da esseri umani morti sulle croci e poi incastrati gli uni agli altri, ancora inchiodati al loro supplizio. Il patchwork di cadaveri era stato ricoperto di resina trasparente, solidificata a fare da manto stradale.
«È come camminare sui morti.» disse Teha con un filo di voce.
Fece l’errore di guardare giù e due occhi vitrei, sbarrati in un’espressione di dolore ricambiarono il suo sguardo.
A Teha scappò un singhiozzo, mentre muoveva i passi attraverso questo cimitero a vista.
Dora sembrava insensibile: si muoveva apatica come sempre, spedita, in un’unica direzione. Non abbassava lo sguardo, non sembrava distratta dalla storia di morte sotto i suoi piedi. «Via delle Croci.» continuava a ripetere, anche ora che erano arrivate.
«Siamo qui, Dora. Non sei contenta? Tra un po’ sarai da tuo zio e questa storia sarà finita.»
Proseguirono e quando incontravano zone di asfalto sbrecciato che lasciavano emergere i corpi decomposti, Teha accelerava il passo per lasciarsi l’orrore alle spalle.

Dietro una curva a gomito, c’era un furgoncino di traverso sulla strada. «Ci sono due uomini. Dora, li conosci?»
«Zio Dario!» Esclamò Dora. «Via delle Croci! Zio Dario!» sembrava essersi animata un po’ di più.
Teha prese coraggio e avanzò il più lentamente possibile, sperando che uno dei due fosse davvero Zio Dario.
«E tu chi cazzo sei?» esplose la voce di quello con il cappello, mentre l’altro più giovane con l’orecchino faceva il giro del veicolo.
«Sto scortando questa bambina. Dora. Sto cercando Zio Dario.» urlò Teha alzando le mani per far vedere che era disarmata.
I due si guardarono. «Quale bambin-» disse Orecchino, ma Cappello gli diede una gomitata.
«Ah, Dora è con te! La… la bambina, sì.»
«Cerca Zio Dario. Lo conoscete?»
Orecchino sembrava disorientato.
Cappello invece era più a suo agio. « Conosciamo Dario, certo. Venga.»
Dora nel frattempo sembrava più arzilla, continuava a ripetere «Zio Dario Zio Dario Zio Dario», a pochi passi da lei.
Teha notò le mazze chiodate, ma Cappello le sorrise: «Siamo pur sempre in Molise, no? Lei e la bambina potete avvicinarvi.»
«Ma quale bambina del cazzo?» sussurrò Orecchino.
«E sta zitto, coglione.» lo apostrofò Cappello. «Venga, signora. La scorteremo da Dario. E vieni anche tu Dora.» E a quelle parole sorrise…
Ma lo fece dall'altra parte rispetto a dove si trovava la bambina. «Che cazz…» Teha avvertì qualcosa di sbagliato.
«Prendila!» ordinò Cappello e Orecchino scattò verso di lei. «E non la danneggiare!»
Teha si girò, inciampò nel terreno vetrificato e finì con la faccia a terra. Orecchino le fu addosso e la tirò su. La portò verso Cappello. Teha vide Dora ferma davanti a lei che fissava la strada, la sentiva ripetere ancora «Zio Dario zio Dario zio Dario».
Il tizio con il cappello si avvicinò sorridendo. «Bentornata, tesoro. Respira questo.» e le schiacciò sulla bocca un fazzoletto umido.
Tornata? Lei o Dora?
Dopo pochi istanti, svenne.

5.
«Ehi, come ti chiami?»
Una voce sconosciuta che arrivava da lontano la richiamava alla realtà. Non era quella di Dora.
Thea spalancò gli occhi. «DORA!»
In un attimo fu sveglia.
Era rinchiusa in una gabbia di metallo, nuda. Si tastò il corpo e le dita che seguivano la carta geografica di dolore che le sue cicatrici disegnavano su ogni centimetro quadrato della sua pelle: bruciature di sigarette, segni da taglio, elettrocuzione, morsi graffi.
«Siamo ridotte maluccio.» si intromise nuovamente la voce.
Si girò e vide una donna sdentata dai capelli grigi e la pelle raggrinzita nella cella accanto. Anche lei aveva degli innesti che solcavano i lati del collo e arrivavano alle guance.
«Chi sei? Dov’è Dora?»
«Sono Kara, al suo sevizio, signora.» e scoppiò a ridere, una risata gracchiante al limite della follia. «E se cerchi Dora, prima dimmi: cos'è per te Dora?»
«È una bambina che ho incontrato pochi giorni fa. La dovevo riportare a casa.»
«Per te era una bambina. Che carina. Ma non eri tu che portavi a casa Dora, piccola mia. Credi davvero che non l’avessero previsto?»
«Chi?»
«Chiunque ha immaginato di montare questi affari sulla nostra schiena. Chiunque ha deciso che eravamo buone per essere picchiate e stuprate con il solo scopo di produrre droga. Un tempo, per gli uomini le donne erano una droga. Ora noi siamo diventate l’essenza stessa di quella metafora, siamo la personificazione di un modo di dire, piccola mia.»
«Ma anche tu sei una ragazza…» Poteva ben vedere il corpo rinsecchito di Kara, un monumento vivente alla fantasia torturatrice degli uomini. Come il suo.
«Oh, se sono una ‘ragazza rubinetto’? Che la picchi e si bagna?» rise nuovamente in quel modo polveroso. «Beh, lo sono stata per molto tempo, ma ora la parte migliore di me è cambiata. Si diventa secche dopo un po’. Ora sono esperta solo con la bocca. Devi vedere come sbavo, un san Bernardo idrofobo che secerne sintoamfetamine.» I suoi occhi erano velati da una disperazione senza fine.
« dov’è Dora?»
Kara si avvicinò alle sbarre che la separavano da Teha. «Tesoro mio, non hai davvero capito? Non sei tu che hai portato Dora a casa, ma è lei che ti ha riportato all’Inferno. Credevi davvero che non avessero pensato che potevamo fuggire? Oh sì! E hanno ideato il sistema più bastardo del mondo per non doverci neanche cercare.»
Teha non capiva.
«Quel sistema si chiama D.O.R.A.: Dispositivo Occulto di Ritorno Automatico. Dora non esiste, è un programma che ti fotte il cervello e ti convince a tornare qui, sulla Via delle Croci e neanche te ne accorgi! Per te era una bambina? Poteva essere un oggetto, una lettera di un lontano parente… qualunque cosa.»
Teha rivisse i fatti dei giorni precedenti: la comparsa di Dora, di cui nessuno pareva accorgersi. L’episodio con il Mutante del Cemento. I due al posto di blocco. E ancor di più, l’impellenza ingiustificata con cui voleva a tutti i costi portare a termine la missione.
«Vedo che stai realizzando come ti hanno fottuto, no? Adesso Léon sta decidendo come mettere le cose in chiaro. Preparati a qualcosa di coreografico.»
Teha cominciò ad avere paura: il peggio doveva ancora venire. «No. Kara, non posso sopportare ancora una volta tutto quello che mi hanno fatto. Preferisco morire.»
«Oh oh, non puoi, bambina mia. Quell'aggeggio, che è il tuo nuovo giogo, non te lo permetterebbe. Sei una schiava, non puoi prendere decisioni. Sei condannata.»
«Ci deve essere un modo per sfuggire a tutto questo.» Se non trovava una soluzione, sarebbe impazzita per quello che volevano farle. Si bloccò.
«Che cosa butti fuori dalla bocca?»
«Io? Sintoamfetamine. Non chiedermi l’effetto, perché io sono protetta dalle mie stesse droghe e tu dalle tue.»
Teha si avvicinò alle sbarre. «Ascolta, Kara.» Le sbarre erano larghe abbastanza da far passare appena il naso e la bocca. «C’è un modo per salvarmi»
«Oh no, non c’è, bambina mia.»
«E invece sì. Se non posso scappare con il corpo, allora mi brucio la mente. Non sentirò niente, sarà come se non esistessi.»
«Oh ho, certo, provaci. Come farai?»
«Oh, lo scoprirai presto. Mi spiace.»
L’altra la guardò perplessa, e poi spaventata quando Teha le afferrò il braccio attraverso le sbarre e lo portò dalla sua parte. Lo strinse e l’espressione di Kara si colorì di sofferenza. Un filo di bava cominciò a colarle sul mento.
Teha le prese la testa e gliela tirò verso le sbarre. Avvicinò anche la sua cercò di bere la bava che stava colando fuori dalla bocca della vecchia.
Teha chiuse gli occhi e spezzò il braccio di Kara in mezzo alle sbarre. La donna dall’altra parte gorgogliò. L’impennata tremenda del dolore da frattura aveva inondato le fauci di Kara di bava. Teha ne stava bevendo quanto più possibile. Nonostante il sapore viscido e rancido, rimase attaccata alla faccia di Kara.
Voleva l’overdose di sintoamfetamina e, con un ultimo scampolo di lucidità, morse le labbra di Kara e ne bevve anche il sangue.
Continuò fin quando ne ebbe le forze, e alla fine, con un suono schioccante si staccò. Avvertì distrattamente i singhiozzi di Kara che si accasciava dall’altra parte cercando di ritirare il braccio fratturato, scolando saliva sul petto vecchio e nudo.
Teha si librò in aria e volteggiò nella stanza, sorridendo al suo corpo.
Niente poteva farle male. Neanche gli uomini che erano entrati e che cercavano di risvegliarla a schiaffi e calci. Non sentiva niente.
E il sistema di produzione di Endomorfina rimaneva silente.
Era solo un guscio vuoto, inservibile.
Aveva vinto.



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Eugene Fitzherbert
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Re: DORA

Messaggio#2 » domenica 27 gennaio 2019, 19:30

I BONUS:
la mia protagonista non solo è reduce da una lunga fuga, ma a cautela, si fa un altro viaggio per tutto il racconto.

Il buon Léon dice a Teha: Sei titolare, non tradire l'allenatore. O qualcosa del genere.

Spero di aver interpretato bene il tema e aver capito i bonus. In caso contrario è colpa di Nucera o Lucera, che è criptico. :D

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Sonia Lippi
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Re: DORA

Messaggio#3 » martedì 29 gennaio 2019, 22:28

ciao Eugene, felice di rileggerti.
che dirti? quando leggo i tuoi racconti sto sempre in ansia, e anche questo non è stato da meno.
è scritto bene e mi pare di non aver visto refusi.
Per quanto riguarda il resto è un bel racconto.
Beh bello nel senso di pauroso, la scena finale mi ha fatto male e schifo nello stesso tempo.
Non sono un esperta di calcio, quindi se dici che quella frase è un aforisma del calcio ci credo e per quanto riguarda il viaggio, c'è tutto come bonus, anche se l'hai interpretato in una maniera diversa.
ps: il riferimento al Nucera mi ha fatto sorridere….
Bella prova, complimenti.
Sonia

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Eugene Fitzherbert
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Re: DORA

Messaggio#4 » mercoledì 30 gennaio 2019, 21:28

Ciao, Sonia,
Grazie per il feedback e per i complimenti.
La questione ansia: non so se chiederti scusa o esserne contento, visto che era quello che volevo. La mia intenzione era quella di creare un incubo in cui una schiava non era neanche in grado di scappare. Spero esserci riuscito.

L'ultima scena è stata difficile da digerire anche per me, ma era inevitabile, purtroppo doveva andare a finire così.

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giottone
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Re: DORA

Messaggio#5 » mercoledì 30 gennaio 2019, 22:13

Ciao Eugene, piacere di conoscerti.
È un racconto davvero ingegnoso, ben articolato, a tratti dirompente, spinto da un’immaginazione che viaggia ben oltre la convenzionalità. La struttura della trama è decisamente originale, e pur nella sua complessità, è sorretta da uno stile e da un filo logico impeccabili, elargendo una lettura scorrevolissima.
Proprio per cercare il pelo nell’uovo, forse avresti potuto fornire una motivazione più robusta per il fatto che Giorgio non avesse impedito a Teha di intraprendere un viaggio in un territorio così pericoloso per la sua incolumità; infatti sulle prime lui stesso aveva avanzato delle forti perplessità su quella ragazzina (Dora) comparsa improvvisamente dal nulla, ma successivamente ha accettato la sua decisione quasi con passività.
Apprezzabile anche l’ottimo equilibrio tra le descrizioni (particolarmente suggestiva quella del Mutante del Cemento; ma anche quella della secrezione della bio-droga da parte di Teha risulta sconvolgente e inoltre è sostenuta da una giusta dose di delicatezza, soprattutto in considerazione del meccanismo, di per sé, un po’ raccapricciante) e i dialoghi, entrambi efficaci ed esposti con dettaglio, semplicità e notevole proprietà di linguaggio.
Tornando al linguaggio, mi ha impressionato il cambio di tono che diventa esplicito e disincantato, nel momento in cui dai la parola all’anziana Kara. In sostanza, hai dato vita a personaggi dotati di vivacità, e a un linguaggio, che li rappresenta, tutt'altro che monocorde.
Per il bonus dell’aforisma sul calcio, sinceramente, non lo vedrei centrato in pieno, perché espresso così, potrebbe riferirsi indistintamente a qualunque sport o qualunque gioco.
Il tema della marginalità è espresso sia in Teha che, ancora di più, nello scenario del Molise: “l’idea stessa del Molise era velenosa, un purgatorio malato, Terra di Nessuno infestata da esseri umani e derelitti.”
Giuseppe

Rovignon
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Re: DORA

Messaggio#6 » venerdì 1 febbraio 2019, 19:54

DORA
Ciao Eugene…
Sì e no. Ma credo che tutto ricada più in una questione di gusto personale e non di stile e regia.
Il sì è per l’ambientazione, per lo sviluppo della trama e per la sorpresa di scoprire che non sta scappando ma sta tornando dal proprio aguzzino.
Il no è per il raccapriccio delle immagini che evochi e che non sono ciò che più vado cercando nei racconti. Dunque, più un problema mio che non tuo.
Per quanto riguarda la narrazione, non ho molto da dire, il racconto è ben cadenzato e il ritmo tenuto regolare per tutto il racconto.
In conclusione un buon racconto, anche se non in sintonia con i miei gusti personali.

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Eugene Fitzherbert
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Re: DORA

Messaggio#7 » domenica 3 febbraio 2019, 11:46

Faccio una risposta congiunta a Giottone e Rovignon.

First: grazie per i feedback e per i complimenti, ché fanno sempre bene.

A Giottone:
Dunque, il problema del primo paragrafo è vero e hai perfettamente ragione. Ho dovuto sacrificare un po' di dialoghi tra Giorgio e Teha per concentrarmi invece sulla parte centrale e finale della storia, che era quella che volevo veramente raccontare. Se mai dovessi passare il turno, vedrò di integrare, proprio come mi suggerisci.

A Rovignon:
L'idea, come ho scritto poco sopra, era quella di creare un incubo e purtroppo le immagini raccapriccianti sono parte integranti dell'incubo. Mi spiace che non sia la tua Cup Of Tea, ma apprezzo tanto il fatto che tu sia arrivato fino alla fine e soprattutto che non abbia rilevato incongruenze e/o strafalcioni di qualche genere. D'altronde il bello e il brutto di questa competizione è proprio quello di leggere cose che altrimenti terremmo a debita distanza da noi, no?

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roberto.masini
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Re: DORA

Messaggio#8 » martedì 5 febbraio 2019, 17:59

Ciao, Eugene.
Una fantasmagorica fantasia ti ha consentito di realizzare un fanta-horror-noir. Fantascientifica l'ambientazione; horror il Mutante del Cemento; noir la condizione di "ragazza rubinetto" la quale si scopre priva di volontà proprio nel momento più alto in cui pensa di salvare una persona indifesa e che, quindi, preferisce affrontare la morte piuttosto che continuare quella non-vita.Il raccapriccio che ha infastidito alcuni commentatori, credo invece sia funzionale alla storia orrenda ( ma io scrivo racconti horror e quindi, FORSE, sono di parte). I personaggi sono tutti magistralmente delineati.
Pelo nell'uovo. Concordo con Giuseppe per quanto riguarda la strana passività di Giorgio nei confronti della decisione di Teha.
Tema centrato; bonus presenti.
Congratulazioni! (come sempre).

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Eugene Fitzherbert
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Re: DORA

Messaggio#9 » martedì 5 febbraio 2019, 19:24

Ciao, Roberto,

Sempre grazie per i complimenti.
La questione Giorgio è un tarlo che mi sta rodendo dentro. Se passo il turno, gli dedico un po'più di spazio, giuro!

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DavidG
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Re: DORA

Messaggio#10 » giovedì 7 febbraio 2019, 19:24

Ciao Eugene,
complimenti per il bel pezzo e per la tua immaginazione: sei riuscito a creare una realtá Cyber Punk
(o Sado Punk ?) e dei personaggi vividi.

Tanto per trovare peli nell’uovo ti faccio un po’ di osservazioni, secondo il mio (pessimo) gusto personale:
Non mi hanno fatto ridere le battute Molise/Nucera, le ho trovata inadatte al contesto del pezzo (e quella del Molise un po’ abusata :/).
Il dettaglio “ciocca dei capelli fuori fuoco” è un indizio troppo palese per i malati mentali come me che subito si mettono a pensare sul perché e sul percome e poi magari capiscono troppo in anticipo il trucco.
Non ho capito bene come funziona l’assorbimente di droghe durante la penetrazione, attraverso le mucose? Mi pare che sia difficile arrivare a un’overdose in cosí poco tempo no?
(questa è una sega mentale mia, in realtá la sospensione dell’incredulitá regge)
Ecco basta. Per il resto complimenti.

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Eugene Fitzherbert
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Re: DORA

Messaggio#11 » giovedì 7 febbraio 2019, 20:15

Allora.
Attraverso le mucose di assorbe un sacco di droga (pensa alla cocaina, nel naso e poi strofinata sulle gengive) e sì, si può arrivare alla overdose. Ti dico queste informazioni da medico anestesista, quindi abbastanza avvezzo all'uso di stupefacenti (per gli altri, non per me!)

La Ciocca fuori fuoco: grazie di avermelo fatto notare. Ero indeciso anche io se lasciarla o meno. Sei un dritto.

La battuta è nota solo nell'ambito del contest, perché siamo qui a vedercela Con il Nucera. Nella vita vera, hai ragione tu, non ha senso o non è una battuta

La questione del Molise. È puramente fortuita. O meglio, ho trovato Via delle Croci su Google map (ESISTE, davvero) ed era in Molise, da lì sono partito a ritroso fino a Trinitapoli e poi ci ho costruito su la mia mitologia finta.

Spero di essere stato esaustivo e comunquee , grazie dei suggerimenti acuti e dei complimenti. Alla prossima!

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Marco Lomonaco - Master
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Re: DORA

Messaggio#12 » lunedì 25 febbraio 2019, 19:16

DORA
Di Eugene Fitzherbert

Ciao Eugene, è la prima volta che ti leggo, quindi può benissimo essere che molti dei difetti che ti ho segnalato non siano tuoi errori soliti e siano cose che già conosci. Vedi tu cosa può esserti utile e cosa no, io ti ho riportato il mio pensiero, ma alla fine sei l'unico che può decidere in che direzione vuole portare la propria scrittura.
Gli interventi sono tra parentesi quadre (quindi un ctrl+f su [ nel testo e li trovi tutti uno dopo l'altro).
Buona lettura e buon lavoro ;)


1.
«Teha, sei sicura di quello che fai? Sei mancata per un intero pomeriggio e ora torni con quest’idea.» Giorgio non nascondeva l’espressione preoccupata che gli oscurava il viso.
Teha rispose convinta: «Devo andare, G. Devo aiutare la bambina.»
«Questa bambina, Dora, chi è? Non l’abbiamo neanche vista.»
«Sta sempre nascosta. L’ho incontrata ieri mentre fuggiva da un palazzo diroccato. Era mezza nuda e aveva i marchi, Giorgio, sulla schiena, sulle spalle, sulla pancia. Sai cosa significa.» Involontariamente Teha rabbrividì, portandosi una mano alla spalla, tastando gli innesti metallici da Schiava del Dolore che aveva. Anche per lei era iniziato con i tatuaggi, l’intervento di installazione e poi l’inferno.
«Se vuoi che questa ragazzina non faccia la tua stessa vita, non è meglio rimanere qui con noi? Come abbiamo accolto te, qualche giorno fa, può rimanere anche lei.» Lui a Trinitapoli aiutava tutti i disperati vittime di un mondo marcio e moribondo, di cui erano rimaste solo macerie fumanti. [infodump inutile, era facile qui far passare la notizia in altro modo]
«No, Giorgio. Dora continua a ripetere: Zio Dario e Via delle Croci. È lì che vuole tornare. E io devo portarla. Sento che è la cosa più giusta da fare.»
« Mi pare così strano. Sei appena arrivata, fuggita dalla tua vita dolorosa e ora… questo. Non mi piace.»
«So che devo farlo. Da quando ho visto il visino di Dora, i suoi occhi ormai spenti, i marchi sulla pelle. Non potevo lasciarla stare lì. È talmente traumatizzata che riesce a ripetere solo quelle parole…»
«Sì, Zio Dario e Via delle Croci. E tu vorresti arrivare a Via delle Croci. Lo sai che è pericoloso, no?»
«Lo so. E tu conosci la strada, vero?»
Giorgio rimase un po’ in silenzio, poi, rassegnato aggiunse: «Alla fine qui non sei prigioniera.»

[Non si capisce dove stia la focalizzazione, che è abbastanza grave, sembra quasi che tu non abbia nemmeno voluto decidere. Dialoghi da rendere più efficienti, asciugali e vedi se girano meglio.]

2.
Per un giorno e mezzo avevano percorso un bel po’ di strada [perché “un bel po’”? dammi dei riferimenti, fammi capire, un bel po’ non vuol dire niente] senza avere intoppi. Erano arrivati nel punto più critico e su quello Giorgio era stato chiarissimo: «State alla larga dalla città dei Mutanti del Cemento. Allungate verso nord e girate intorno alla discarica.»
[Quando leggo persone che mettono poca punteggiatura, ce la infilo io in automatico in lettura, ma attento, molta gente si perde se non scandisci meglio il ritmo che vuoi dare tu alla lettura della tua storia]
«E come riconosciamo la città?»
«Il nome è Foggia. Dopo quella, c’è un’area semidesertica, con i resti di un paese disabitato, Lucera, mi pare, o Nucera. Da lì superate il confine, sarete alla Via delle Croci, in Molise.» Teha ricordava che le aveva guardata come due condannate a morte. «Il Molise non esiste, è solo un’invenzione geografica. Quella è terra di nessuno. Se sei lì, è come se non fossi da nessuna parte. Non c’è nessuna regola, nessuno che ti possa sentire, o che possa venire in tuo aiuto. È quello che vuoi?» [qui la battuta risulta innaturale, soprattutto la seconda parte, dopo l’inciso. Meglio intervallare con una domanda o un’esternazione di Teha che faccia da assist a quello che dice Giorgio sul Molise, e sta cosa del Molise che non esiste è un po’ inflazionata, consiglio di trovare modi più creativi di dirla, perché così brutale è stata davvero sentita in mille occasioni]
Lei non aveva risposto.
Quel pomeriggio avevano superato la Discarica e avevano visto le indicazioni per Foggia. «Ora dobbiamo stare nascoste. Allungheremo un po’, ma non preoccuparti ti porterò da Zio Dario.»
Dora, con lo sguardo apatico, aveva mormorato: «Zio Dario. Via delle Croci.»

A sera, avevano deciso di accamparsi, per trovare riparo dalle esalazioni che arrivavano dalla Discarica. Durante tutto il tragitto, Teha aveva studiato Dora, sperando di carpire quello che la ragazzina di dodici anni poteva aver passato per essersi [attento, usando il riflessivo qui suggerisci l’idea di una responsabilità della bambina in quello che è successo. Non che non possa essere, ma sei nel pdv di Teha, farlo dire a lei è un po’ poco politically correct. Vedi una ragazzina traumatizzata e nel tuo modo di pensare esce linguisticamente l’implicazione che possa essere stata colpa sua? Sembra uno di quei BIAS tipo “avevi la minigonna, te la sei cercata”. È sottile questa, ma è potenzialmente pericolosa, soprattutto da un personaggio donna che ha in comune una fetta di storia personale con la ragazzina e quindi si presume che possa empatizzare meglio. Tanto più che l’hai caratterizzata in modo molto positivo e vicino alla bimba finora. Fai attenzione ai dettagli] ridotta in quelle condizioni. Sapeva che era facile finire vittima delle barbarie in quella Puglia devastata [alla luce di quanto detto prima, questa frase suona come un “si sa che ti succedono ste cose se non stai attenta]. Dora era distrutta: non parlava se non per ripetere sempre quelle parole, e la luce nei suoi occhi era quasi inesistente, come avesse già deciso di essere morta.
Teha sperava con tutto il cuore che riportarla da suo Zio Dario l’aiutasse in qualche modo. Ma soprattutto sentiva che fare quella traversata avrebbe aiutato lei. Non si sentiva così determinata da quando aveva deciso di scappare da Léon [aggiungi un dettaglio o qualcosa per dare la certezza che sia una persona e non un luogo], per non essere più una Schiava del Dolore.
«Dora, siamo a buon punto. Non sei contenta?»
«Zio Dario.»
«Sì, certo. Stiamo andando da lui. Domattina ho bisogno del tuo aiuto per procurarci dell’acqua. Te la senti?»
«Via delle Croci, Zio Dario.»
Teha era un po’ esasperata. «Va bene. Sì. Domani però dobbiamo controllare un pozzo qua vicino. Io mi avvicino e tu fai la guardia. ok?»
«Zio Dario. Zio! Dario!»
Forse Teha stava riponendo troppa fiducia nella ragazzina, ma avevano bisogno dell’acqua anche se voleva dire uscire allo scoperto. Probabilmente stava scommettendo la sua vita su una bambina traumatizzata.
«Via delle Croci!» esclamò Dora, come se avesse capito che stava pensando a lei. Poi si accasciò su un fianco e si mise a dormire.
Teha si avvicinò alla ragazzina e le accarezzò una ciocca di capelli. Ogni volta che la toccava aveva una spiacevole sensazione, ma era qualcosa di passeggero. Anche adesso, la ciocca sembrò quasi fuori fuoco, irreale e poi prese la normale consistenza dei capelli.
«Povera Dora. Quei segni che ti ritrovi sulla pelle, io li conosco benissimo. Sono il preludio all’inferno. Anche io ho iniziato così: dopo pochi giorni dai Marchi, sono arrivati i chirurghi e mi hanno installato questi innesti.» [lo spiegone è sempre brutto, mi rendo conto che a volte è necessario ma mascheralo meglio che puoi, possibilmente meglio di così… comunque sai che di queste informazioni non se ne sentiva particolarmente il bisogno per ora? Hai già detto circa la stessa cosa in un punto più comodo sopra] E scrollò le spalle per verificare che fossero tutti al loro posto. «Un sistema di produzione di droga: mi hanno trasformato in una fabbrica di endomorfina, derivata dall’endorfina.» [brutto e brutale qui lo spiegone, infodump a pioggia…]

I suoi ricordi tornarono a qualche tempo prima, a prima che fuggisse, quando la stavano addestrando a fare quello per cui l’avevano creata: c’era un uomo, si chiamava Léon, crudele e spietato che aveva messo le cose in chiaro, un’espressione che significava che prima l’aveva picchiata, poi l’aveva violentata e poi le aveva parlato [questo pezzo è tutto tell e risulta comunque poco chiaro, non va bene la presentazione di Leon, né l’introduzione a questo paragrafo]. Era sempre così, quando metteva le cose in chiaro. «Ora che ho la tua attenzione, puttana, ti dico quello che devi fare. È semplicissimo.» E la colpì ancora al volto.
Lei singhiozzò, coprendosi il volto con le mani, mentre il sistema di tubi sottopelle si attivava con un ronzio sinistro. Dopo pochi secondi, sentì in mezzo alle gambe una sensazione di umido.
«Brava!» esultò Léon. E le diede un altro schiaffo.
Il liquido aumentò.
«Vedi? Questo è quello che devi fare. Farti picchiare, tutte le volte che un cliente lo vuole, senza mai tirarti indietro. Perché ogni volta che qualcuno ti procura dolore…» altro schiaffo. «Tu sbrodoli. E quella è droga, tesoro mio, la migliore endomorfina che corpo umano possa produrre. Il sistema che hai dentro è all’avanguardia, il top.» [mascherato un po’ meglio lo spiegone, ma sempre spiegone è… avresti potuto metterlo meglio, fai almeno chiedere a lei “perché mi fate tutto questo, lasciatemi andare” falla provare a strapparsi di dosso i tubi e leon la picchia e le dice di non azzardarsi e lì fai uscire alcune informazioni, non so, qualcosa del genere, ci sono mille modi migliori di far parlare il villain a caso mentre pichia la tipa dicendole cose che non è che gli freghi che lei sappia.]
Teha continuava a singhiozzare, tenendosi la mano sul volto, seduta nuda in un lago di umori.
«Oh, beh, non è finita qui, ovviamente. Sei pur sempre una puttana, quindi [la virgola successiva va qui] dopo, ti scoperanno. Così va la vita, no?» Léon rise. «E così ora sei titolare, Teha. Vedi di non deludere il tuo allenatore!» E continuò a ridere.

Ecco da cosa era fuggita, Teha, non poteva lasciare Dora in balia di questo destino. Doveva portarla da Zio Dario, a Via delle Croci, fosse l’ultima cosa che faceva. [Troppo tell, non sono un nazista dello show, però nemmeno usare tell dappertutto per comodità]

3.
La mattina successiva, arrivarono al pozzo, vicino a una catapecchia.
«Tu sta qui, vado a vedere.»
Teha si mosse veloce. La casupola di lamiere era ingombra di spazzatura, un materasso coperto di macchie scure e i resti di un fuoco. Chiunque aveva vissuto lì, sembrava essere andato via da tempo.
Tirò un sospiro di sollievo e si diresse verso il pozzo. Sul fondo vide baluginare dell’acqua. Si voltò verso Dora per richiamare la sua attenzione. Lei era lì immobile dove l’aveva lasciata, a fissare un punto perso in lontananza. Teha agitò una mano, e in quel momento da dietro una roccia emerse un uomo dalla pelle grigia, deformata da croste chitinose. Gli occhi erano delle pietre infiammate e guizzanti e sembrava annusare l’aria per saggiarne la consistenza [cosa vuol dire? Saggiare la consistenza dell’aria annusandola? Non ha molto senso, capisco che sia esteticamente una bella frase, ma il senso è importante]. La mano destra era solo un moncherino scheggiato, le dita sgretolate come pietre farinose.
Un Mutante del Cemento.
Il mostro ruggì, un suono secco e pastoso come il passaggio di rocce dentro una clessidra d’osso. In due balzi fu su Teha e la scaraventò al suolo, immobilizzandola.
Teha cominciò a ruotare la testa a destra a sinistra per cercare Dora, per chiederle aiuto, per sapere se poteva contare su di lei, o per farla fuggire. [nell’adrenalina del momento pensi a una cosa, non 2, non 3. Se in un momento concitato fai pensare troppo i personaggi, togli di velocità, immediatezza e urgenza al momento, decrementandone la forza]
Il mostro le teneva la braccia ferme sotto le ginocchia [di chi? Altrimenti uno si immagina scene da kamasutra avanzato] e quando le aprì il poncho emise un grugnito di vittoria: «FEMMINA!» urlò trionfante. La scoprì del tutto.
Il passato, che Teha sperava di essersi lasciato indietro, la raggiunse con la potenza di un treno in corsa. Oh dio, no, non con questo coso!
«DORA!» urlò [lo dici che urla, non hai bisogno di usare lo stampatello, agli editor in genere non piace] con quanto fiato aveva in gola. La vide a pochi passi da lei, immobile, in piedi, la solita espressione stolida sul volto.
Infastidito dalle sue urla, il mostro le sferrò un ceffone in faccia, spaccandole il labbro.
Il dolore esplose come un vecchio amico e il sistema di innesti che aveva sulla schiena si mise al lavoro, sintetizzando l'endomorfina. Teha si sentì inondare le sue parti basse, una sensazione appiccicosa e disgustosa. «No, no!» disse, mentre su di lei quell'essere era pronto a finire il lavoro. Le stava divaricando le gambe a forza, con la mano integra nodosa e tagliente per le croste di cemento. «Dora, per l’amor di dio, aiutami!» Ma la ragazza [ragazzina, la ragazza in questo contesto è più Teha che Dora] rimase ferma, senza neanche sbattere gli occhi.
Il mutante la penetrò, e Teha strinse gli occhi, spremendo fuori le lacrime amare che stava versando [se le sta già versando non le spreme fuori, le spreme fuori se le sta trattenendo, e spremere implica la volontà di farlo, non che le scappano mentre cerca di non piangere], ingoiando il sangue che le colava dal labbro ferito. Il dolore continuava a farle produrre droga. Si accorse che il mostro ne era particolarmente sensibile: stava ansimando, gli occhi rivolti al cielo, in estasi. Ebbe un’idea.
Strinse i denti, furiosa, e incastrò il mignolo nel terreno. Spinse con il braccio per quanto le permetteva la morsa con cui era bloccata a terra. [non si capisce a una prima lettura, rivedi il passaggio]
Fu sufficiente: con un schiocco sordo che avvertì fino al gomito, il dito si ruppe e un’ondata di dolore la travolse.
Il suo corpo reagì di conseguenza, buttando nel sangue vagonate di endorfine. Il sistema di sintesi fece il resto: in un lago di secrezioni, il mutante assorbì una quantità immane di droga che nell’arco di pochi istanti raggiunse il suo cervello già scarsamente funzionante [non uscire dal pdv]. Fu un attimo, e Teha lo vide rigirare gli occhi all’indietro, le pupille strette come due spilli, e poi accasciarsi esanime. [addirittura? Attento]
Overdose. [ecco, appunto, per morire di overdose devi avere il tempo di assorbire la droga (attraverso la pelle del pene in questo caso, immagino), di farle fare effetto e di raggiungere nel sangue (e/o negli organi target) la concentrazione necessaria a mandarti in tilt. Sono pochissime le droghe che fanno effetto istantaneamente, ancora meno se consideri la somministrazione attraverso l’epidermide (che è mediamente molto più lenta di altri metodi) e, anche in caso di overdose, ci vuole del tempo prima che sopraggiunga la morte, che avviene in media per soffocamento, asfissia e consimili. Si parla di minuti, come minimo.]
La donna si scalzò il mutante di dosso e prese a massaggiarsi la mano, il mignolo che sporgeva in posizione innaturale. Léon lo diceva sempre ai suoi clienti: niente ossa rotta o è peggio per voi!

4.
Dopo aver recuperato l’acqua, Teha e Dora proseguirono. Il mutante che avevano incontrato era sicuramente un solitario. Con un branco, non ce l’avrebbero mai fatta.
«Perché non mi hai aiutato?» chiese Teha.
Nessuna risposta.
«Ti avevo chiesto di fare la guardia. Se fossi morta, cosa ne sarebbe stato di te?»
Nessuna risposta.
«E perché non ti ha sentito? Non ti ha attaccato?» Alla fine le chiese: «Chi sei?»
«Zio Dario, Via delle Croci.»
«Sì, sì, ok. Ti ci porto. Spero solo che questo Zio ti possa aiutare.» Teha, snervata, sentiva ancora il bisogno di riportare la bambina dai suoi parenti, quasi una necessità fisica. [quest’ultimo scambio è molto innaturale, da ripensare e riscrivere. La posizione di Teha non è giustificata da nulla che hai detto nel brano. Poi solleva anche un’altra questione: il mostro ha il fiuto come metodo di percepire la realtà, quindi come fa a capire che Teha è femmina quando le strappa il poncho (e vede il seno, immagino), a livello olfattivo, le donne dovrebbero riconoscersi dalla fronte/testa, sono i maschi che si riconoscono dal petto/collo.]

Oltre la terra desertica tra i resti di Lucera (e non Nucera) [???], superarono il confine. Fu come oltrepassare una specie di membrana, non tanto fisica quanto mentale: l’idea stessa del Molise era velenosa, un purgatorio malato, [perché? Il fatto che non esista non rende una cosa velenosa, anzi, è di altro ordine il tipo di problemi che vengono in mente per come hai caratterizzato il Molise] Terra di Nessuno infestata da esseri umani e derelitti.
Teha cominciava ad avere paura, perché da quel momento in poi potevano solo seguire la Via delle Croci: non c’erano strade secondarie o vie alternative. Sperava che in quella landa vivessero anche persone normali, poveri disperati che cercavano di sbarcare il lunario, e tra quelli ci fosse lo Zio Dario.
«La Via delle Croci porta a un qualche villaggio?»
«Zio Dario.»
Teha voleva prenderla a schiaffi.
L’aria, più rarefatta odorosa di vegetazione morta e carne putrefatta, li accolse all’inizio della Via delle Croci, uno dei peggiori manufatti umani [è corretto dal pdv lessicale, ma manufatto si tende ad associare a un oggetto, attento non solo al significato letterale ma anche a quello che le parole più probabilmente generano nella testa di chi ti legge, meno riesci a far cambiare idea su queste cose al lettore e meglio è].
«Non ho mai visto niente del genere.»
Teha lasciò correre lo sguardo. Ai bordi della strada, c’erano alberi marcescenti e rachitici, cespugli agonici e terra bruciata [4 aggettivi in 8 parole, un po’ esagerato], ma il vero orrore era a terra. L’asfalto era stato sostituito da esseri umani morti sulle croci e poi incastrati gli uni agli altri, ancora inchiodati al loro supplizio. Il patchwork di cadaveri era stato ricoperto di resina trasparente, solidificata a fare da manto stradale [bella immagine, ma il tuo è un racconto dai toni realistici, questa cosa mi pare un po’ fuori scala].
«È come camminare sui morti.» disse Teha con un filo di voce.
Fece l’errore di guardare giù e due occhi vitrei, sbarrati in un’espressione di dolore ricambiarono il suo sguardo.
A Teha scappò un singhiozzo, mentre muoveva i passi attraverso questo cimitero a vista.
Dora sembrava insensibile: si muoveva apatica come sempre, spedita, in un’unica direzione. Non abbassava lo sguardo, non sembrava distratta dalla storia di morte sotto i suoi piedi. «Via delle Croci.» continuava a ripetere, anche ora che erano arrivate.
«Siamo qui, Dora. Non sei contenta? Tra un po’ sarai da tuo zio e questa storia sarà finita.»
Proseguirono e quando incontravano zone di asfalto sbrecciato [era resina, non asfalto, e sarebbe carino che dessi un’idea dell’origine delle sbrecciature, così da introdurre qualche elemento di ambientazione, magari utile alla storia] che lasciavano emergere i corpi decomposti, Teha accelerava il passo per lasciarsi l’orrore alle spalle.

Dietro una curva a gomito, c’era un furgoncino di traverso sulla strada. «Ci sono due uomini. Dora, li conosci?»
«Zio Dario!» Esclamò Dora. «Via delle Croci! Zio Dario!» sembrava essersi animata un po’ di più.
Teha prese coraggio e avanzò il più lentamente possibile, sperando che uno dei due fosse davvero Zio Dario.
«E tu chi cazzo sei?» esplose la voce di quello con il cappello, mentre l’altro più giovane con l’orecchino faceva il giro del veicolo.
«Sto scortando questa bambina. Dora. Sto cercando Zio Dario.» urlò Teha alzando le mani per far vedere che era disarmata.
I due si guardarono. «Quale bambin-» [nell’unico posto dove ci stavano bene i puntini di sospensione, hai messo il trattino…] disse Orecchino, ma Cappello gli diede una gomitata.
«Ah, Dora è con te! La… [qui, per esempio, ci stava il trattino] la bambina, sì.»
«Cerca Zio Dario. Lo conoscete?»
Orecchino sembrava disorientato. [Allora, ancora con i dialoghi… sei nel pdv di Teha, lei nota tutti gli atteggiamenti sospetti e non fa niente? Continua a fare domande e conversare come nulla fosse? Non è molto credibile, così come il fatto che non faccia dei pensieri sui gesti equivoci che ha appena visto]
Cappello invece era più a suo agio. « Conosciamo Dario, certo. Venga.»
Dora nel frattempo sembrava più arzilla, continuava a ripetere «Zio Dario Zio Dario Zio Dario», a pochi passi da lei.
Teha notò le mazze chiodate, ma Cappello le sorrise: «Siamo pur sempre in Molise, no? Lei e la bambina potete avvicinarvi.»
«Ma quale bambina del cazzo?» sussurrò Orecchino.
«E sta zitto, coglione.» lo apostrofò Cappello. «Venga, signora. La scorteremo da Dario. E vieni anche tu Dora.» E a quelle parole sorrise…
Ma lo fece dall'altra parte rispetto a dove si trovava la bambina. «Che cazz…» Teha avvertì qualcosa di sbagliato. [buongiorno]
«Prendila!» ordinò Cappello e Orecchino scattò verso di lei. «E non la danneggiare!»
Teha si girò, inciampò nel terreno vetrificato [non può inciampare in una lastra di resina, al massimo in una delle brecce] e finì con la faccia a terra. Orecchino le fu addosso e la tirò su. La portò verso Cappello. Teha vide Dora ferma davanti a lei che fissava la strada, la sentiva ripetere ancora «Zio Dario zio Dario zio Dario».
Il tizio con il cappello si avvicinò sorridendo. «Bentornata, tesoro. Respira questo.» e le schiacciò sulla bocca un fazzoletto umido.
Tornata? Lei o Dora?
Dopo pochi istanti, svenne.
[in generale questo pezzo d’azione è un po’ confusionario]

5.
«Ehi, come ti chiami?»
Una voce sconosciuta che arrivava da lontano la richiamava alla realtà. Non era quella di Dora.
Thea spalancò gli occhi. «DORA!»
In un attimo fu sveglia.
Era rinchiusa in una gabbia di metallo, nuda. Si tastò il corpo e le dita che seguivano la carta geografica di dolore che le sue cicatrici disegnavano su ogni centimetro quadrato della sua pelle [molto verbosa, inserire figure retoriche non è obbligatorio, il mio consiglio è di dare sempre la precedenza alla fluidità del testo, poi dove ci stanno figure retoriche ben scelte e che danno un bel valore aggiunto, allora le inserisci]: bruciature di sigarette, segni da taglio, elettrocuzione, morsi graffi.
«Siamo ridotte maluccio.» si intromise nuovamente la voce.
Si girò e vide una donna sdentata dai capelli grigi e la pelle raggrinzita nella cella accanto. Anche lei aveva degli innesti che solcavano i lati del collo e arrivavano alle guance.
«Chi sei? Dov’è Dora?»
«Sono Kara, al suo sevizio, signora.» e scoppiò a ridere, una risata gracchiante al limite della follia. «E se cerchi Dora, prima dimmi: cos'è per te Dora?»
«È una bambina che ho incontrato pochi giorni fa. La dovevo riportare a casa.»
«Per te era una bambina. Che carina. Ma non eri tu che portavi a casa Dora, piccola mia. Credi davvero che non l’avessero previsto?»
«Chi?»
«Chiunque ha immaginato di montare questi affari sulla nostra schiena. Chiunque ha deciso che eravamo buone per essere picchiate e stuprate con il solo scopo di produrre droga. Un tempo, per gli uomini le donne erano una droga. Ora noi siamo diventate l’essenza stessa di quella metafora, siamo la personificazione di un modo di dire, piccola mia.» [troppo prolisso, troppo spiegone, fuori dalla situazione… dialoghi così staccano la mente del lettore dalla storia]
«Ma anche tu sei una ragazza…» Poteva ben vedere il corpo rinsecchito di Kara, un monumento vivente alla fantasia torturatrice degli uomini. Come il suo.
«Oh, se sono una ‘ragazza rubinetto’? Che la picchi e si bagna? [c’era bisogno della seconda domanda (retorica)?]» rise nuovamente in quel modo polveroso. «Beh, lo sono stata per molto tempo, ma ora la parte migliore di me è cambiata. Si diventa secche dopo un po’. Ora sono esperta solo con la bocca. Devi vedere come sbavo, un san Bernardo idrofobo che secerne sintoamfetamine.» [questo personaggio non è per nulla credibile se lo fai parlare così, si sente la voce dell’autore, non del personaggio] I suoi occhi erano velati da una disperazione senza fine [disperazione senza fine ti pare compatibile col suo modo di parlare?].
« dov’è Dora?»
Kara si avvicinò alle sbarre che la separavano da Teha. «Tesoro mio, non hai davvero capito? Non sei tu che hai portato Dora a casa, ma è lei che ti ha riportato all’Inferno. Credevi davvero che non avessero pensato che potevamo fuggire? Oh sì! E hanno ideato il sistema più bastardo del mondo per non doverci neanche cercare.» [anche qui, asciuga]
Teha non capiva. [buongiorno #2, gliel’ha detto esplicitamente, “non capiva” è al 100% l’assist per uno spiegone, si vede, e dà fastidio fatto così]
«Quel sistema si chiama D.O.R.A.: Dispositivo Occulto di Ritorno Automatico. Dora non esiste, è un programma che ti fotte il cervello e ti convince a tornare qui, sulla Via delle Croci e neanche te ne accorgi! Per te era una bambina? Poteva essere un oggetto, una lettera di un lontano parente… qualunque cosa.» [ecco infatti lo spiegone… bella l’idea, ma detta così è un po’ pesante]
Teha rivisse i fatti dei giorni precedenti: la comparsa di Dora, di cui nessuno pareva accorgersi [non l’ha portata dai suoi nuovi amici, non puoi dire che nessuno pareva accorgersi di lei, l’ha vista solo Teha]. L’episodio con il Mutante del Cemento. I due al posto di blocco. E ancor di più, l’impellenza ingiustificata con cui voleva a tutti i costi portare a termine la missione.
«Vedo che stai realizzando come ti hanno fottuto [fottuta], no? Adesso Léon sta decidendo come mettere le cose in chiaro. Preparati a qualcosa di coreografico.»
Teha cominciò ad avere paura: il peggio doveva ancora venire. «No. Kara, non posso sopportare ancora una volta tutto quello che mi hanno fatto. Preferisco morire.»
«Oh oh, non puoi, bambina mia. Quell'aggeggio, che è il tuo nuovo giogo, non te lo permetterebbe. Sei una schiava, non puoi prendere decisioni. Sei condannata.»
«Ci deve essere un modo per sfuggire a tutto questo.» Se non trovava una soluzione, sarebbe impazzita per quello che volevano farle. Si bloccò.
«Che cosa butti fuori dalla bocca?»
«Io? Sintoamfetamine. Non chiedermi l’effetto, perché io sono protetta dalle mie stesse droghe e tu dalle tue.» [un po’ tardi questa spiegazione, e la vecchia sa tutto, un po’ comodo che non sa questa che è una cosa un pelo più complessa da spiegare]
Teha si avvicinò alle sbarre. «Ascolta, Kara.» Le sbarre erano larghe abbastanza da far passare appena il naso e la bocca. «C’è un modo per salvarmi»
«Oh no, non c’è, bambina mia.»
«E invece sì. Se non posso scappare con il corpo, allora mi brucio la mente. Non sentirò niente, sarà come se non esistessi.»
«Oh ho, certo, provaci. Come farai?»
«Oh, lo scoprirai presto. Mi spiace.»
L’altra la guardò perplessa, e poi spaventata quando Teha le afferrò il braccio attraverso le sbarre e lo portò dalla sua parte. Lo strinse e l’espressione di Kara si colorì di sofferenza. Un filo di bava cominciò a colarle sul mento.
Teha le prese la testa e gliela tirò verso le sbarre. Avvicinò anche la sua cercò di bere la bava che stava colando fuori dalla bocca della vecchia.
Teha chiuse gli occhi e spezzò il braccio di Kara in mezzo alle sbarre. La donna dall’altra parte gorgogliò. L’impennata tremenda del dolore da frattura aveva inondato le fauci di Kara di bava. Teha ne stava bevendo quanto più possibile. Nonostante il sapore viscido e rancido, rimase attaccata alla faccia di Kara.
Voleva l’overdose di sintoamfetamina e, con un ultimo scampolo di lucidità, morse le labbra di Kara e ne bevve anche il sangue.
Continuò fin quando ne ebbe le forze, e alla fine, con un suono schioccante si staccò. Avvertì distrattamente i singhiozzi di Kara che si accasciava dall’altra parte cercando di ritirare il braccio fratturato, scolando saliva sul petto vecchio e nudo.
Teha si librò in aria e volteggiò nella stanza, sorridendo al suo corpo.
Niente poteva farle male. Neanche gli uomini che erano entrati e che cercavano di risvegliarla a schiaffi e calci. Non sentiva niente.
E il sistema di produzione di Endomorfina rimaneva silente.
Era solo un guscio vuoto, inservibile.
Aveva vinto.

[La storia non è strutturata male, ci sta, ci sono anche un paio di belle trovate, anche a livello di scrittura si vede che non sei alle prime armi, ma ho notato una certa tendenza a usare “frasi fighe” (passami il termine) solo perché sono fighe, questo in genere è un sintomo di un certo ego, non so dire se sia anche il tuo caso, è solo il primo tuo brano che leggo e non ti conosco personalmente, ma il consiglio che ti do è quello di tenere sempre al centro la storia. E la storia la scrivi per chi ti legge, ci sono modi molto più efficaci che metter giù frasi fighe per dimostrare che sei capace di scrivere. Quello che conta è come fai entrare il lettore in sintonia con le emozioni dei tuoi personaggi, quanto riesci a stimolare l’empatia, quanto la tua storia sa usare i meccanismi narrativi per far passare qualcosa. Per esempio, un punto che c’è a livello di struttura ma non arriva neanche un pochino al lettore: immagino saprai che una delle meccaniche narrative più potenti è quella di far pensare al lettore “voglio che il protagonista faccia questa cosa, deve farla, per forza, FALLA SUBITO!” e quando poi il protagonista la fa, si scopre che in realtà porta delle conseguenze devastanti, con le quali il lettore si sente addirittura in colpa (funziona anche al contrario questo meccanismo). Nel tuo brano a livello teorico c’è: bisogna portare a casa Dora, è la cosa giusta da fare, e farla si rivela un dramma. Ok. Ma la scelta iniziale cosa fai per farla “sentire” al lettore? Niente. A me non fregava nulla che Teha riportasse a casa la bambina, poteva anche buttarla in pasto ai cani del cemento e non mi sarebbe cambiato nulla, a livello di empatia creata da te. Quindi quando poi quella scelta si rivela l’origine del dramma, quanto mi sento una me*da per aver pensato quella cosa? Zero.
Tutto ciò è in buona parte perché hai scritto quasi tutto in tell. Il tell aiuta a sbrogliare situazioni noiosette in poche righe, ma non crea praticamente nessuna empatia, o comunque molto meno che uno show fatto come si deve, rispettando i punti di vista e, soprattutto (cosa su cui sei un po’ carente), la caratterizzazione dei personaggi. I personaggi non sono pezzi di storia che sono lì per fare i tuoi comodi e portare avanti la narrazione, se li tratti così, il lettore non empatizzerà mai con loro e qualsiasi scelta o situazione che li coinvolge non sarà sentita, e questa è la morte di una storia.
Queste sono cose importanti. Non sono il livello 1.0 della scrittura narrativa, da molti punti di vista a quel punto sei già arrivato ma sono i prossimi passi su cui ti consiglio di concentrarti per andare al 2.0.
La creatività ce l’hai, impara a metterla al servizio della storia e non il contrario e già farai dei bei passi avanti. :)
Se dici cose senza senso, sarai trattato come un paroliere.
Sbattuto su e giù e ribaltato su un tavolo, fino a che le tue interiora saranno fuoriuscite.
E ci leggerò dentro ciò che mi pare, magari il futuro. [cit.]

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