Storia di periferia

Per partecipare alla Sfida basta aver voglia di mettersi in gioco.
Le fasi di gioco sono quattro:
1) Il sette gennaio sveleremo il tema deciso da Francesco Nucera. I partecipanti dovranno scrivere un racconto e postarlo sul forum.
2) Gli autori si leggeranno e classificheranno i racconti che gli saranno assegnati.
3) Gli SPONSOR leggeranno e commenteranno i racconti semifinalisti (i migliori X di ogni girone) e sceglieranno i finalisti.
4) Francesco Nucera assegnerà la vittoria.
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Sonia Lippi
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Storia di periferia

Messaggio#1 » martedì 22 gennaio 2019, 15:56

«Luna! Vieni tesoro andiamo!» Dissi accovacciandomi sulle ginocchia e aprendo le braccia.
Il cane, una pit bull marrone con focatura nera sul muso, mi raggiunse di corsa e si gettò fra le mie braccia leccandomi il viso.
Sorrisi.
Adoravo ricevere le sue attenzioni al rientro dall’università, prima di portarla al parco.
Le misi la pettorina, agganciai il moschettone e le presi il muso fra le mani grattandola dietro le orecchie.
Era una bella giornata di ottobre, tiepida e luminosa.
Mentre passeggiavo con il mio cane, pensavo che con il sole diventa bella anche una zona di periferia come la Rustica.
I cassonetti erano pieni di immondizia e il marciapiede sembrava un percorso di guerra, ma le persone sorridevano avvolte in quella luce particolare del primo pomeriggio.
Passai davanti al centro commerciale.
Con la coda dell’occhio vidi i soliti tre individui che chiacchieravano bevendo birra seduti sopra un muretto.
«Abbella, me lo vendi quer cane? l’hai fatto ammansì che pare ‘n agnellino, nelle mano mia si infoierebbe come un leone GRRRR!» e poi uno scoppio di risa.
«Sei monotono.» Risposi sbuffando e tirando dritta.
Ogni pomeriggio si ripeteva quel teatrino, ogni giorno sempre uguale.
Giunsi sullo stradone che porta al parco e Luna iniziò a tirare il guinzaglio, non vedeva l’ora di arrivare.
«Buona piccoletta! Oggi è venerdì e ci fermiamo a cena dalla nostra amica, sei contenta?»
Luna rallentò il passo e mi leccò la mano, sembrava aver capito.
Arrivate, la lasciai libera nell’area cani e mi sedetti su una panchina.
Mi guardai attorno cercando Tiziana.
«Strano, di solito è lei la prima ad arrivare.»
Luna fece qualche giro del parco di corsa, poi venne da me posandomi il muso fra le mani.
«Ti annoi tesoro? Vedrai che fra poco arriverà Tizy con i tuoi amici,» le dissi accarezzandola sulla testa e tirandole una pallina.
Controllai l’ora, erano le 15.30.
Tiziana aveva mezz’ora di ritardo, non era da lei.
Un misto di ansia e preoccupazione iniziarono a pervadermi, «mica sarà tornato quello stronzo a cercarla,» pensai sfilandomi il cellulare dalla tasca per inviarle un messaggio.
Poi in preda all’agitazione la chiamai.
Dopo quattro squilli partì la segreteria.
Sentii il battito cardiaco aumentare.
«Sta calma Vanessa, è successo altre volte che non ti rispondesse, vedrai che a breve ti richiama».
Tenni il cellulare in mano guardando fissa il display.
Mille pensieri si affacciarono alla mente.
Rividi le immagini del suo labbro spaccato e degli occhi gonfi, dei molteplici lividi che avevo curato con un unguento all’arnica, del suo sguardo sofferente e tristissimo, del suo contegno e della sua rassegnazione quando aprì la porta in quelle condizioni.

«Chi ti ha fatto questo?» Le chiesi inorridita.
«Gabriele, il mio ex,» mi rispose con un filo di voce facendomi entrare.
«Cazzo Tizy lo devi denunciare! Hai chiamato la polizia?» La mia voce tremava.
«Non posso, peggiorerei la situazione e poi non fregherebbe un cazzo a nessuno.» Disse sedendosi con una smorfia di dolore su una sedia della cucina.
«Perché dici così? A me frega eccome! Ti voglio bene, sei mia amica e ho voglia di fargliela pagare a quello stronzo».
Lei mi guardò con un misto di affetto e terrore, «sei proprio una colombella, ingenua e candida. Possibile che non ti sei accorta di nulla?»


Un suono di notifica mi riportò al presente, sperai che fosse un suo messaggio, aprii whatsapp ma rimasi delusa.
Provai di nuovo a chiamarla, ma dopo quattro squilli rispose ancora la segreteria, un brivido mi passò dietro la schiena.
presi Luna per la pettorina e le riagganciai il guinzaglio.
«Andiamo» le dissi, alzandomi di scatto dalla panchina.
Mentre attraversavo il parco per arrivare a casa di Tiziana cercavo di tranquillizzarmi.
«Sono pazza a pensare che le sia successo qualcosa, è una donna adulta che ne ha passate tante!» Ripetevo guardandomi attorno sperando di vederla arrivare.
Prima di sbucare di fronte al suo palazzo sentii in lontananza dei cani abbaiare e vidi tra gli alberi flash di luci blu.
Mi sentii avvampare e iniziai a correre.
Arrivata alla fine del parco, davanti il cancello del suo condominio, c’era un ambulanza e tre macchine dei carabinieri.
Guardai in alto; al primo piano c’era l’appartamento di Tiziana, i cani erano in balcone e sembravano impazziti, abbaiavano e giravano su se stessi.
«Cazzo» dissi fra i denti, le lacrime mi invasero gli occhi, offuscandomi la vista.
Luna iniziò ad agitarsi e ad abbaiare, mi sedetti sulla terra e l’ abbracciai.
«Calmati tesoro, calmati,» le dissi accarezzandola, «i tuoi amici sono sul terrazzo li vedi? Tutto apposto, stai tranquilla.»
Ma io non stavo tranquilla per niente, mi sciugai le lacrime e attraversai la strada dirigendomi verso i due carabinieri che stavano parlando alla radio.
«Salve, scusate se vi disturbo, posso sapere cosa è successo?» chiesi con voce tremante.
Mi guardarono entrambi con un espressione contrita.
«Lei abita nel palazzo?» mi chiese quello più anziano squadrandomi dalla testa ai piedi.
«No in verità ci abita una mia amica, sono preoccupata perché…»
«Signorina per cortesia se ne vada, se non è del palazzo non può entrare e non siamo tenuti a darle informazioni.”
«Capisco ma qui ci abita una mia carissima ami..»
«Signorina ci può abitare anche sua nonna, per cortesia si allontani, non c’è nulla da vedere. Se vuole può aspettare la sua amica laggiù, all’inizio del parco. Ora per favore si allontani, ci faccia lavorare in serenità.»
Non replicai, riattraversai la strada e mi sedetti per terra al limitare del parco.
Alzai la testa.
Tutte le finestre del palazzo erano chiuse, nessuno che faceva capolino per curiosare.
«Stronzi» pensai, «come arrivano i carabinieri vi cagate addosso. Avete la coscienza sporca eh? Bastardi.»
Davanti a me la scena non cambiava, i carabinieri parlavano costantemente alla radio, ma non riuscivo a capire cosa fosse successo.
Pensai al giorno che avevo conosciuto quella che poi era diventata la mia migliore amica, era stato proprio in quel parco.
Per giorni ci eravamo scrutate da lontano.
Vedevo la sua figura alta, slanciata ed elegante appoggiata sempre allo stesso albero, sempre con un fazzoletto legato al collo, oggi giallo, ieri rosso, domani blu, in tono con il suo abbigliamento.
I nostri cani giocavano assieme ma noi stavamo sempre a debita distanza.
Poi un giorno, mentre seduta per terra cercavo di leggere un libro, percepii un cambiamento del paesaggio e alzando gli occhi la osservai incantata mentre si avvicinava con passo lento, cadenzato, sensuale.

«Ciao sono Tiziana», disse con voce roca e bassa porgendomi la mano.
«Piacere Vanessa», risposi stringendole le dita e facendo leva per alzarmi da terra.

Ricordo che da vicino mi dette subito una sensazione di sicurezza.
«Che bella» pensai.

In realtà nulla nel suo viso era perfetto: era lungo, quasi mascolino, con una bocca fine e due meravigliosi occhi neri profondi come pozzi, i capelli color ebano erano mossi e lunghi, li portava sciolti e le conferivano al contempo un aria selvaggia ed elegante.
Da quel giorno diventammo inseparabili: io una ventitreenne universitaria, lei una quarantacinquenne commessa in un negozio di abbigliamento maschile.
Alzai nuovamente la testa verso il suo terrazzo, i cani sembravano più calmi.
«Forse sta parlando con i carabinieri» pensai, «magari gli sbirri sono qui per lo spacciatore del secondo piano e le stanno facendo qualche domanda, per questo non mi risponde!» stavo quasi per convincermi, quando vidi i barellieri dell’ambulanza scendere con in mano la valigetta del primo soccorso e la tuta sporca di sangue.
«Porco cazzo», imprecai, attraversando di corsa la strada.
«Per favore ditemi che cazzo sta succedendo! Temo per una mia amica che abita qui e che ha già subìto aggressioni,» gridai verso i carabinieri e i barellieri.
«Signorina stia tranquilla, nessuna donna è morta, la sua amica stà sicuramente bene, ora per favore si allontani, nessuno di noi è tenuto a darle spiegazioni, se ne vada.»
Stringendo i pugni e serrando le labbra me ne tornai al mio posto d’osservazione, non me ne sarei andata per nulla al mondo.
Le parole dei carabinieri mi rimbombavano in testa, «nessuna donna è morta, la sua amica stà sicuramente bene».
Lo speravo. Ma cosa volevano dire con quella frase? Che comunque qualcuno era morto?
Seduta a gambe incrociate, massacravo la carne ai lati dell’unghia del mio pollice destro.
Luna poggiò il muso sulla mia coscia sinistra e incominciai ad accarezzarla meccanicamente.
«Nessuna donna è morta, nessuna donna è morta, nessuna donna è morta» continuavo a ripetermi come un mantra.
Una colomba si posò per un attimo sul balcone di Tiziana strappandomi un sorriso.
«Sei una colombella, ingenua, candida e bella», cantilenava spesso quando voleva prendermi in giro e farmi capire che ero troppo "pulita" per quel quartiere.
Tornai con la mente al giorno in cui Gabriele l’aveva malmenata: la sua cucina con le pareti appena dipinte di giallo, i quadri di legno, i fiori finti dentro un grande vaso sul tavolo e lei seduta, sofferente, decisa a non voler denunciare l’aggressione.

«sei proprio una colombella, ingenua e candida. Possibile che non ti sei accorta di nulla?»
«Di cosa mi sarei dovuta accorgere? Che lui è uno stronzo? Non capisco perché ti continua a tormentare. Mi hai detto che ha un’altra donna no? Perché continua a cercare te?»
Un sorriso amaro le distese le labbra.
«Perché la donna che ha adesso non lo fa guadagnare quanto lo facevo guadagnare io.»
Sgranai gli occhi, «in che senso?»
«Non ti sei mai chiesta perché porto sempre un fazzoletto al collo? Perché cerco sempre di parlare con un tono basso? Non ti sei accorta che la mia voce è roca?»
La guardai con terrore, «cazzo Tizy, che hai fatto al collo? Ti hanno ferito? E chi è stato?»
La mia voce era concitata e preoccupata.
«Niente di tutto quello che pensi,» disse togliendosi il fazzoletto dal collo e scoprendo un pomo d’Adamo più sporgente del normale, «sono un uomo, mi chiamo Luigi e quando stavo con Gabriele mi prostituivo. Lui era il mio protettore.»


«Nessuna donna è morta, nessuna donna è morta, nessuna donna è morta,» continuai a cantilenare.
«Già, nessuna donna è morta. Ma Tiziana è un uomo.» Dissi ad alta voce.
Mi guardai attorno, un capannello di gente si era riunita sul ciglio della strada al limitare del parco, molti avevano cani a guinzaglio, alcuni li conoscevo.
Mi alzai in piedi e incrociai lo sguardo di Mara, una signora anziana amica di Tiziana che incontravamo al parco tutti i pomeriggi con il suo barboncino.
Mi sorrise mestamente e si avvicinò.
«Vanessa, so cosa stai pensando ma non ti preoccupare, sono sicura che non le è successo nulla. Qualche tempo fa mi confidò che Gabriele è partito per il Brasile. La sua nuova fiamma è di quelle parti, quindi credo che non sia ancora tornato.»
Mi passai una mano tra i capelli e con voce insicura domandai, «perché allora non risponde al telefono? Perché non si affaccia al terrazzo? Perché non mi manda un messaggio per dire che sta bene?»
Mara alzò le spalle e abbassò lo sguardo, poi aggiunse «ci sono i carabinieri, e nessuno si affaccia al terrazzo o alla finestra in questo quartiere, ognuno si fa i fatti propri. Appena vanno via vedrai che trambusto. Se ne parlerà per mesi.»
Poi si abbassò per fare una carezza a Luna che stava accanto a me senza fiatare ne muoversi, come se la tristezza e la preoccupazione avesse travolto anche lei.
«E se Gabriele fosse tornato? Se il Brasile non gli fosse piaciuto? Se la sua nuova fiamma lo avesse piantato? Mara, sai anche tu che vita d’inferno ha fatto Tiziana, sembra quasi che non riesca a scrollarsi di dosso il passato. Non sto tranquilla.»
Mara mi passò un braccio dietro la schiena e appoggiò la testa sulla mia spalla, «non sto tranquilla nemmeno io in verità,» disse stringendomi a sé.
Ci abbracciammo, poi la sentii sussultare, la guardai in faccia e vidi i suoi occhi riprendere vita.
«Ascoltami bene Vanessa, sai che dietro questo palazzo c’è un parcheggio. Conosci la macchina di Gabriele, va a controllare che non ci sia. Ti aspetto qui con le piccole.» Disse prendendomi il guinzaglio dalle mani.
Non me lo feci ripetere, attraversai la strada e costeggiai il muro fino ad arrivare al parcheggio sul retro.
Le auto non erano molte ma quelle poche posteggiate erano quasi tutte di colore grigio, come la macchina di Gabriele.
Sospirai, cercando con lo sguardo una punto; ne contai due.
Mi avvicinai alla prima, l’ansia mi attanagliava la gola e non mi faceva quasi respirare, ma mi accorsi subito che non poteva essere l'auto di quel bastardo.
Il cuore mi batteva all’impazzata mentre mi avviavo a controllare la seconda.
Quando mi accorsi che non corrispondeva a quella che cercavo esultai.
«Quello stronzo è sempre in Brasile per fortuna, o comunque non è qui!» sentii l’ansia allentare la morsa e ripresi a respirare.
Mi passai le mani sul viso, poi mi girai per tornare da Mara.
Mentre attraversavo il parcheggio mi sentivo sollevata, «sicuramente Tizy sta bene. Chissà quanto mi prenderà in giro per essermi preoccupata così tanto.»
Accennai un sorriso che pochi istanti dopo si trasformò in una smorfia.
Parcheggiata lungo il marciapiede, quasi nascosta tra i bidoni dell’immondizia, c’era un'altra punto grigia.
Ebbi un tuffo al cuore.
Mi avvicinai, pregando che non fosse la sua.
Sul lunotto posteriore spiccavano due adesivi a forma di scudetto.
Li lessi ad alta voce quasi a scongiurare ciò che già sapevo: «le religioni sono state inventate perché non esisteva ancora l’A.S.Roma.» e «Il cuore di Dio è giallorosso.»
Non contenta feci il giro della macchina e guardai dentro.
Sul cruscotto, un adesivo trasparente metteva in evidenza la scritta «Francesco Totti è il mio capitano».
Fui pervasa da una rabbia violenta e iniziai a bombardare l’auto di calci e pugni, «bastardo figlio di una merda, l’hai uccisa vero?» Urlavo mentre sfogavo il mio dolore sulla carrozzeria.
Poi mi accasciai addosso alla macchina singhiozzando, per un tempo incalcolabile.
Mentre piangevo, i ricordi più intimi della nostra amicizia si accalcavano facendomi pulsare le tempie.
Pensai a quando mi aveva confessato di essere stata violentata più volte dal marito della sua tata,

«avevo cinque anni e non capivo perché mi facesse quelle cose. Mi convinsi di essere una femmina, in fondo i maschi amano le femmine, e allora visto che quel bastardo era un maschio, io sicuramente ero una femmina».
Oppure quando mi raccontò di aver detto ai suoi genitori della violenza subita,
«non devi dire bugie Luigi, non si accusano le persone solo perché non ti piacciono. Non vogliamo più sentirti dire certe cose capito?»
O quando fu cacciato di casa,
«mio figlio è un frocio, un femminiello, un culattone. Mi vergogno ad essere tuo padre, vattene finocchio di merda.»

Pensai a quando mi spiegò di essere stata licenziata dal negozio di moda in cui lavorava perché aveva intrapreso il percorso per cambiare sesso, della sua difficoltà a trovare un lavoro, della felicità nell’accorgersi di essere amata da Gabriele e dalla delusione bruciante quando la spinse con la violenza a prostituirsi.
Pensai alla forza che aveva avuto nel cercare in ogni modo di cambiare vita, alla sua determinazione per trovare un nuovo lavoro e dei nuovi amici che accettassero la sua condizione.
Ricordai le mille volte che mi aveva consigliata, la sua saggezza, la sua maturità, a quello sprazzo di felicità che ogni tanto gli invadeva gli occhi quando passavamo le sere assieme a ridere come matte.
«Lo uccido! Giuro che lo uccido.» Urlai al cielo.
Mi asciugai rabbiosamente gli occhi e tornai verso il parco.
Mara mi vide e si coprì il viso con le mani.
Aveva capito.
Ci abbracciammo, «non la farà franca credimi!» Le sussurrai all’orecchio.
«Non fare cazzate» mi rispose di rimando.
In quel momento vedemmo arrivare la macchina della polizia mortuaria, mi sganciai dal suo abbraccio, «chissà dove la porteranno, chissà se informeranno i suoi familiari.»
«Certo che si, anche se l’hanno rinnegata è sempre una loro figlia, anzi il loro primogenito». Disse Mara soffiandosi il naso e asciugandosi le lacrime.
Vedemmo l’ambulanza allontanarsi e gli addetti della polizia mortuaria entrare dentro l’atrio del palazzo con una barella e un sacco arancione.
Vidi alcuni carabinieri salire sulle rispettive auto.
«Ora porteranno fuori quel bastardo» dissi a denti stretti, guardandomi attorno e raccogliendo una grossa pietra da terra.
Attraversai la strada.
Mi posizionai tra due macchine lampeggianti, cercando di non dare nell’occhio.
Il mio intento era quello di scagliare la pietra in testa a Gabriele sperando di fargli più male possibile, fregandomene delle conseguenze.
Dal portone spalancato vidi scendere dalle scale tre persone.
Soppesai il sasso con la mano destra, cercando di trasferire in quell’oggetto tutto il mio odio.
Appena varcarono il portone, portai il braccio dietro la testa, pronta a lanciare il mio rudimentale proiettile.
Il cuore mi martellava in petto, avevo le labbra serrate e una gran voglia di urlare.
Presi la mira e trattenni il fiato e mentre stavo per dare sfogo alla mia rabbia, il braccio si paralizzò e ricadde lungo il corpo.
In mezzo alle forze dell’ordine c’era Tiziana, con gli occhi pesti, la bocca spaccata e un braccio fasciato sporco di sangue, legato attorno al collo.
Mi vide e il suo viso si rasserenò, o almeno così mi parve visto la maschera informe che era diventato.
Disse qualcosa ai carabinieri che annuirono.
L’accompagnarono verso di me che la guardavo incredula, come se fosse un fantasma.
«Lui è morto.» Parlava lenta con un filo di voce, tremava e io con lei.
«Non hanno dubbi che sia stata legittima difesa» sussurrò indicando la sua faccia «visto come mi ha ridotto!…Stai tranquilla torno presto. Forse anche domani, ma fino ad allora puoi occuparti dei miei cani?»

Sonia Lippi
Ultima modifica di Sonia Lippi il domenica 27 gennaio 2019, 23:02, modificato 4 volte in totale.



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Sonia Lippi
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Re: Storia di periferia

Messaggio#2 » sabato 26 gennaio 2019, 8:25

Dimenticavo i bonus...
Ci sono 2 aforismi sul calcio scritti negli adesivi sopra il lunotto posteriore dell' Auto.
E Gabriele è tornato dal Brasile .

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Eugene Fitzherbert
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Re: Storia di periferia

Messaggio#3 » martedì 29 gennaio 2019, 11:58

LADIES FIRST!

Ciao, Sonia,
in quanto unica pulzella dell'Edizione, ho letto per primo il tuo racconto.
E che bel racconto!
Sei stata molto capace a descrivere la paranoia e la paura che letteralmente lacera la protagonista, dalla sua passeggiata al parco a casa della sua amica. Hai dosato i colpi di scena, dalla violenza familiare, alla prostituzione fino alla rivelazione finale, in un crescendo di orrore.
Il 'lieto' fine forse è allo stesso tempo scontato e sorprendente: da una parte noi lettori siamo lì a tifare per Tiziana, ma sotto sappiamo che raramente queste storie finiscono bene. Poi però arriva il capovolgimento. Avevamo tifato per la persona giusta.
► Mostra testo
il tuo racconto funziona benissimo così com'è, e ti ripeto: Brava per come hai fatto crescere la tensione e come hai descritto la periferia romana, che mio malgrado conosco, avendo vissuto per undici anni a prima valle e Monte mario.
Ottima prova!

Ti segnalo un po' di typo e una punteggiatura erratica, ma niente di trascendentale, una buona rilettura e si corregge tutto.
Bonus presenti ambedue.

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Sonia Lippi
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Re: Storia di periferia

Messaggio#4 » martedì 29 gennaio 2019, 21:44

Grazie Eugene
Sono felice che la storia ti sia piaciuta.
Avevo anche io pensato a più finali, ma quello che ho scelto mi sembrava il più realistico e il più coerente con la storia.
Grazie di cuore, lo sai che al tuo giudizio ci tengo molto.
un abbraccio
Sonia

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wladimiro.borchi
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Re: Storia di periferia

Messaggio#5 » mercoledì 30 gennaio 2019, 23:35

Ciao Sonia,
Condivido con Eugene l'apprezzamento per la gestione della tensione, con il crescendo che hai creato magistralmente.
La tematica è assolutamente centrata, anche se ho trovato un po' troppo melodrammatica la genesi del lato femminile di Tiziana, a seguito dei reiterati stupri da parte del marito della sua tata.
I bonus ci sono e il colpo di scena finale arriva abbastanza inatteso.
Non sono riuscito a immergermi fino in fondo e a empatizzare a sufficienza con la protagonista. Non riesco a capire quale sia il problema, forse l'eccesso di aggettivi o forse l'utilizzo di alcune descrizioni un po' didascaliche ("Sentii il battito cardiaco aumentare", "un brivido mi passò dietro la schiena" ecc.)
Infine mi sembra ci siano davvero troppe ripetizioni involontarie.
Ti evidenzio, qui di seguito, con dei colori quelle trovate nelle prima dieci righe, ma ce ne sono molte altre in tutto il racconto. Il mio consiglio è quello di trovare dei sinonimi o eliminarle se non strettamente necessarie o volute.

«Luna! Vieni tesoro andiamo!» Dissi accovacciandomi sulle ginocchia e aprendo le braccia.
Il cane, una pit bull marrone con focatura nera sul muso, mi raggiunse di corsa e si gettò fra le mie braccia leccandomi il viso.
Sorrisi.
Adoravo ricevere le sue attenzioni al rientro dall’università, prima di portarla al parco.
Le misi la pettorina, agganciai il moschettone e le presi il muso fra le mani grattandola dietro le orecchie.
Era una bella giornata di ottobre, tiepida e luminosa.
Mentre passeggiavo con il mio cane, pensavo che con il sole diventa bella anche una zona di periferia come la Rustica.
I cassonetti erano pieni di immondizia e il marciapiede sembrava un percorso di guerra, ma le persone sorridevano avvolte in quella luce particolare del primo pomeriggio.
Passai davanti al centro commerciale.
Con la coda dell’occhio vidi i soliti tre individui che chiacchieravano bevendo birra seduti sopra un muretto.
«Abbella, me lo vendi quer cane? l’hai fatto ammansì che pare ‘n agnellino, nelle mano mia si infoierebbe come un leone GRRRR!» e poi uno scoppio di risa.


Concludendo una buona idea, ma per diventare un bellissimo racconto necessita di qualche ulteriore accorgimento e piccola modifica.
A rileggerci presto
Wladimiro

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Sonia Lippi
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Re: Storia di periferia

Messaggio#6 » giovedì 31 gennaio 2019, 12:37

Ciao Wladimiro
Grazie per i consigli...
La storia di Tiziana è una storia vera... almeno nella parte messa in corsivo... Conosco un Luigi che è diventato Tiziana che da piccolo è stato violentato da dal marito della tata ...così come conosco altri Trans (ho lavorato con loro in passato) che dopo violenze sessuali nell' infanzia hanno sviluppato questo cambio di personalità... quindi l ho scritto perché so che é una causa di cambio M to F e di F to M.
Per quanto riguarda le ripetizioni.. ci lavorerò su se mai passerò il turno.
Sinceramente non capisco perché frasi come " un brivido mi passò sulla schiena" non vadano bene e altrettanto sinceramente non trovo il mio racconto pieno di aggettivi... ma questa è la mia opinione... accetto la tua.
Buona
Sonia

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Pretorian
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Re: Storia di periferia

Messaggio#7 » venerdì 1 febbraio 2019, 20:25

Ciao, Tiziana.
Ti sei cimentata in un racconto impegnato, che tocca temi scomodi e difficili da trattare come femminicidio, prostituzione e transessualità. Il racconto è stato all'altezza della sfida? Per me la risposta è un ni.
Il problema più grande di questo racconto, a mio giudizio, sono gli infodump, tramite i quali riceviamo la gran parte delle informazioni sui vari personaggi che compaiono in scena. Di per sé, infatti, nel racconto succede relativamente "poco" e i pochi eventi sono scanditi da un continuo richiamo ai ricordi che la protagonista ha di Tiziana. Questo rende la narrazione troppo lenta per mantenere una tensione efficace.
Nonostante questo, però, la storia non è da buttare: alla fine i personaggi (anche se avrei approfondito maggiormente l'omosessualità di Tiziana, che si riduce ad una battuta e a una rapida "Giustificazione" data dalle molestie infantili) sono abbastanza realistici e i dialoghi sono ben scritti.

Peccato, Tiz: per me la storia si ferma su un 6,5, anche se ho apprezzato il coraggio che hai dimostrato.

Alla prossima!

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wladimiro.borchi
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Re: Storia di periferia

Messaggio#8 » venerdì 1 febbraio 2019, 23:08

Sonia, mi devo scusare, effettivamente hai ragione.
Ho riletto il racconto e non mi pare che tu abbia ecceduto con gli aggettivi.
Purtroppo non sono tecnicamente preparato, a differenza della maggior parte dei concorrenti, e vado spesso a sensazioni, senza riuscire a cogliere con precisione quale sia il problema. Nel tuo racconto non sono riuscito a empatizzare con la protagonista. Il perché mi resta oscuro, almeno al momento.
Quanto alle due espressioni didascaliche, sempre senza credermi depositario di verità (quanto di molti dubbi) la sensazione che ho è che "brividi sulla schiena" e "aumento del battito cardiaco" siano un po' dei cliché per indicare l'ansia. Le prime due cose a uno vengo in mente per rappresentarla. Quasi delle espressioni fatte. Io preferisco trovare in quello che leggo delle espressioni che sembrino scritte apposta per me.
Non so se mi spiego. Una volta trovai in un romanzo: "sorridenti come la pubblicità di un dentifricio". Rendeva l'idea, pur senza cadere nel cliché.
Spero di essere riuscito a chiarire il mio pensiero.
Purtroppo non sono però così preparato da dirti niente di più preciso.
Un abbraccio e a rileggerci presto.
Wladimiro

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Sonia Lippi
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Re: Storia di periferia

Messaggio#9 » sabato 2 febbraio 2019, 13:57

Ciao Pretorian
partendo dal presupposto che mi chiamo Sonia, ma se ti piace Tiziana puoi chiamarmi come vuoi tanto un nome alla fine vale l'altro, ti ringrazio per il commento.
Ci sono centinaia di libri che usano proprio questo stile, ovvero far conoscere il passato di una persona tramite i ricordi della protagonista e tra l'altro sono ricordi attivi e non raccontati, quindi io non li chiamerei propriamente infodump.
forse si può affermare che non ho usato questa tecnica in maniera magistrale, ma sinceramente non si può criticare la tecnica in se, altrimenti centinaia se non migliaia di libri pubblicati e con un discreto successo non avrebbero motivo di esistere.
Altra cosa, non capisco come si possa dire che nel racconto succede poco, Vanessa va al parco, non trova l'amica, va a cercarla a casa, trova i carabinieri, l'ambulanza, ricorda la vita di Tiziana dove c'è uno stupro ripetuto da piccola, una violenza casalinga da parte del suo ex, la prostituzione, il cambio di sesso di Tiziana, i genitori che la cacciano di casa, la perdita di lavoro da parte di Tiziana, Vanessa incontra Mara, Vanessa va a cercare la macchina di Gabriele, arriva la polizia mortuaria, vanessa vuole spaccare la testa a Gabriele.
Cazzo ma in una storia così che altro dovevo metterci?
Poi un racconto può piacere o no, è una questione di gusti, mi puoi dire che non ti ha catturato, mi puoi dire che per te è lento, mi puoi dire che è scritto a cazzo, ma non che succede poco.
Scusa Pretorian, di solito accetto i commenti senza ribattere, ma se siamo qui a scrivere è per imparare.

Ciao Wladimiro
Ti ringrazio per questo tuo ulteriore commento.
Che non si riesca a empatizzare con il protagonista ci stà, i motivi possono essere tanti, magari non sei particolarmente sensibile a queste tematiche, oppure sono talmente distanti da te che è ovvio che non riesci ad entrarci in connessione.
Per quanto riguarda le frasi cliché ti posso rispondere così: Freud diceva che a volte un sigaro è solo un sigaro.
In scrittura si traduce nel fatto che bisogna chiamare le cose con il suo nome, "un brivido che scorre dietro la schiena" si chiama "brivido che scorre dietro la schiena", poi possiamo stare ore a pensare come renderlo più personale, ma a meno che tu non sia un genio della scrittura ( e io non lo sono) rischierei di cadere nel ridicolo.
In ogni corso di scrittura creativa una delle 10 regole è proprio di chiamare le cose con il proprio nome, quindi mi rimane difficile fare diversamente.
Comunque ripeto, siamo qui a scrivere per imparare ed è per questo che ho deciso di non accettare più le critiche che non mi risuonano e di provare a dire la mia…
Wladimiro lo sai ti stimo tanto, quindi non avercela con me per questo battibecco.
bacio

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Re: Storia di periferia

Messaggio#10 » sabato 2 febbraio 2019, 14:59

SOnia (pardon, errore mio sul nome), rileggi l'elenco delle cose che mi hai elencato: almeno la metà di quegli avvenimenti avviene al di fuori della storia e sono frutto dei ricordi di Tiziana. Questo avrebbe senso se la storia intervallasse flashback e narrazione, ma qui abbiamo solo una valanga di informazioni aggiuntive date dai ricordi di Tiziana , o meglio, dal narratore che esprime i suoi ricordi. Questo è quello che intendevo per infodump. Ed è questo che, per me, rende la narrazione estremamente lenta. è la mia opinione, giusta o sbagliata che sia, spero ti sia utile.

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Sonia Lippi
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Re: Storia di periferia

Messaggio#11 » sabato 2 febbraio 2019, 15:09

Grazie Pretorian,

allora in realtà ciò che tu chiami informazioni aggiuntive nella maggior parte dei casi si, se vai a vedere. sono Flash Back.
Vanessa non racconta i suoi ricordi, ma li fa vivere tramite flash back dove i personaggi dialogano, e sono essenziali per il racconto, non sono informazioni superflue , quindi chiamarli infodup è improprio.
Poi ripeto, sicuramente ho usato male questa tecnica, ma ci tenevo a precisare.
è vero che metà delle cose avvengono nei ricordi di Vanessa, ma ti ripeto che le altre cose che avvengono, sono dei Flah back che derivano dai ricordi di Vanessa, che non sono raccontati ma sono in azione, quindi non passivi ma attivi.
per te questo metodo di scrittura risulta lento, questo lo accetto e la tua opinione mi è utilissima.
a rileggerci
Sonia

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wladimiro.borchi
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Re: Storia di periferia

Messaggio#12 » sabato 2 febbraio 2019, 16:09

Ma scherzi Sonia,
la mia stima e la simpatia per te (e perchè no, anche l'affetto) non potrebbe mai cambiare, figurarsi per una diatriba su qualcosa di effimero come la scrittura.
Non ho troppe competenze e mi limito a tramandare gli insegnamenti che hanno dato a me.
Non so se ho ragione io o tu.
Io mi limito a rilevare quel che ci vedo (e credo) essere da modificare.
Alle volte ci posso prendere, alle volte no (proprio perché non ho una preparazione tecnica/scientifica/universitaria in materia).
Sicuramente mi prendo a cuore ogni commento e ci lavoro finché lo ritengo necessario.
Potrei leggere, fare i complimenti e passare oltre, risparmiandomi parecchia fatica, ma non credo sia questo lo scopo dei contest.
TVB
Wladimiro

andyvox
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Re: Storia di periferia

Messaggio#13 » lunedì 4 febbraio 2019, 15:39

Ciao Sonia,

devo farti i complimenti per la tua storia ma soprattutto per come l'hai raccontata, secondo me sei stata molto brava nel far crescere gradualmente la tensione e nel tenere sempre sulla corda il lettore. L'unico appunto che mi viene, ma proprio solo se devo trovare a tutti i costi un difetto, riguarda il punto in cui fai dire al poliziotto "Nessuna donna è morta", frase che poi la protagonista si ripete per farsi coraggio. Non so perchè ma questa cosa non mi convince al cento per cento, trovo poco plausibile che un poliziotto, nel bel mezzo della situazione, ci tenga proprio a sottolineare questo fatto, mi sembra una frase un po' artefatta che serve come espediente di narrazione. Se proprio questo elemento è indispensabile nell'economia del racconto, forse dovresti trovare il modo di farlo emergere in modo più naturale, magari ampliando il dialogo. Per il resto, complimenti ancora.
Andrea Pozzali

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Sonia Lippi
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Re: Storia di periferia

Messaggio#14 » lunedì 4 febbraio 2019, 18:29

Grazie andyvox
Mi fa piacere che il racconto ti sia piaciuto.
Per quañto riguarda la frase del carabiniere provo a spiegare il mio punto di vista ma se passo il turno ci lavorerò su per renderla più spontanea...
L ho scritta così perché Vanessa era già la seconda volta che andava a chiedere cosa fosse successo... e a ripetere che era preoccupata per una amica, così ho pensato che il carabiniere per levarsela di torno le dicesse quella frase... ma cmq se dovesse servire ci lavoro su grazie 1000 per il commento.

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Marco Lomonaco - Master
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Re: Storia di periferia

Messaggio#15 » lunedì 25 febbraio 2019, 19:29

Ciao Sonia, è la prima volta che ti leggo, quindi non ho punti di riferimento per capire/sapere come scrivi di solito e quindi dare anche un valore prospettico all'analisi del brano, quindi resto su questo che hai scritto e via.
Come detto anche agli altri, quello che ti ho scritto sono le mie opinioni, non devi per forza concordare e non me la prendo per nulla se non lo farai. Io ti ho dato i miei spunti, poi però lascio che sia tu a decidere cosa farne :)
Detto questo, spero che sapranno esserti utili e spronarti a fare sempre meglio.
Trovi tutti gli interventi tra parentesi quadre nel testo, con il comando ctrl+f apri la funzione di ricerca, ti basta cercare "[" e trovi tutti i commenti :)


«Luna! Vieni tesoro andiamo!» Dissi accovacciandomi sulle ginocchia e aprendo le braccia. [Due gerundi così vicini stonano, “accovacciandomi sulle ginocchia a braccia aperte” potrebbe essere una soluzione… poi “accovacciandomi” rende già l’idea, che bisogno hai di dire “sulle ginocchia”? Capisco che non è proprio la stessa cosa, ma se non ti serve che sia sulle ginocchia, lascia stare di dirlo e lascia al lettore tutta la libertà che vuole di immaginarsela]
Il cane, una pit bull marrone [e dire solamente “la pit bull marrone con…mi raggiunse di corsa…”? non hai citato una razza che non conosce nessuno, serve specificare che sia un cane? Poi, subito dopo, dici che è il cane della protagonista, ti pare che narrando in prima persona la voce narrante definirebbe “il cane” il proprio cane? Non lo chiamerebbe per nome? E avrebbe bisogno di descriverlo così? È una forma particolare di infodump… il protagonista che dice (a sé stesso) esplicitamente informazioni che lui sa già, a beneficio del lettore] con focatura nera sul muso, mi raggiunse di corsa e si gettò fra le mie braccia leccandomi il viso.
[Faccio un piccolo discorso sulla prima persona che può chiarire alcune prese di posizione: la prima persona va tanto di moda di recente perché, dicono, riesce a favorire molto l’empatia e l’immersione nel punto di vista. È abbastanza vero, ma ci sono dei ma. Prima di tutto, la prima persona ti lega le mani molto più della terza e bisogna essere molto scrupolosi quando la si usa, perché dove con la terza puoi concederti alcune libertà in virtù della separazione tra la voce del narratore e quelle dei personaggi (anche quando portatori di punto di vista), con la prima sei forzata a una formale unità tra voce narrante e voce del protagonista, che spesso porta a errori tecnici come quello del cane che hai fatto tu, che sono molto comuni anche tra scrittori “blasonati” e famosi, ma restano errori. Scrivere in prima persona NON è più facile, né una scelta “comoda”, anzi. Quindi, prima di decidere di usarla, rifletteteci bene e innalzate il livello di allerta nei confronti soprattutto degli infodump, del modo in cui decidete di affrontare la “presa diretta” sui pensieri del protagonista, e, soprattutto, della strutturadella storia, che va pensata molto molto bene perché possa essere performante usando un solo pdv. Attenzione anche alla caratterizzazione del portatore di pdv, è molto facile uscirne per necessità di trama. Fine del focus, non so ancora se tutto quanto detto corrisponda a errori che hai fatto, ma sono buoni consigli in generale.]
Sorrisi.
Adoravo ricevere le sue attenzioni al rientro dall’università, prima di portarla al parco. [attenta qui che l’uso dell’imperfetto implica che o non lo adora più, o si è separata dal cane, se è così e l’hai fatto apposta, ok, altrimenti puoi usare il passato prossimo tipo “ho sempre adorato”. Non è una questione strettamente grammaticale, ma di sensibilità nei confronti di cosa può capire il lettore.]
Le misi la pettorina, agganciai il moschettone e le presi il muso fra le mani grattandola dietro le orecchie.
Era una bella giornata di ottobre, tiepida e luminosa. [è al chiuso nell’ultima riga, o fai un paragrafo nuovo in modo che si capisca che c’è un salto temporale (per quanto piccolo), o la fai uscire prima di parlare del tempo. Poi, parlare del tempo è sempre più efficace se contestualizzato. Quindi, tepore del sole sulla pelle e foglie che cadono funziona meglio di “era una bella giornata di ottobre, tiepida e luminosa”]
Mentre passeggiavo con il mio cane, pensavo che con il sole diventa bella anche una zona di periferia come la Rustica. [Rustica che non so dov’è, aiutami a contestualizzare attraverso i pensieri del protagonista.]
I cassonetti erano pieni di immondizia [ok, siamo a Roma XD] e il marciapiede sembrava un percorso di guerra [attenta, i “percorsi di guerra” sono quelli di addestramento, quindi non penso alle buche ma al filo spinato e agli ostacoli con le corde], ma le persone [quali persone? Dovresti introdurle almeno un filino prima di dire che fanno qualcosa, nemmeno so che c’è della gente in giro, siamo nel pdv della protagonista, prima vede le persone e poi nota che sorridono, altrimenti mi manca un pezzo] sorridevano avvolte in quella luce particolare del primo pomeriggio.
Passai davanti al centro commerciale.
Con la coda dell’occhio vidi i soliti tre individui che chiacchieravano bevendo birra seduti sopra un muretto.
«Abbella, me lo vendi quer cane? [meglio inserire qui un inciso che ci dica che lui le sta gridando a distanza] [e ci va la maiuscola dopo il punto di domanda] l’hai fatto ammansì che pare ‘n agnellino, nelle mano mia si infoierebbe come un leone GRRRR! [questo GRRRR! È un po’ poco elegante, dillo che sta facendo quel verso, almeno puoi anche connotarlo]» [maiuscola, c’è un punto esclamativo subito prima] e poi uno scoppio di risa.
«Sei monotono.» Risposi sbuffando e tirando dritta. [doppio gerundio]
Ogni pomeriggio si ripeteva quel teatrino, ogni giorno [se è ogni pomeriggio lo sappiamo che è ogni giorno, non serve ripeterlo] sempre uguale.
Giunsi sullo stradone che porta al parco e Luna iniziò a tirare il guinzaglio, non vedeva l’ora di arrivare [se lo dici così è un po’ un infrazione del pdv: il narratore non lo può sapere se sia davvero così, può solo presumerlo, quindi meglio introdurre il concetto con“pareva che” o “come se” o consimili].
«Buona [virgola] piccoletta! Oggi è venerdì e ci fermiamo a cena dalla nostra amica, sei contenta?»
Luna rallentò il passo e mi leccò la mano, sembrava aver capito.
Arrivate, la lasciai libera nell’area cani e mi sedetti su una panchina.
Mi guardai attorno cercando Tiziana.
«Strano, di solito è lei la prima ad arrivare.» [perché una battuta qui e non un pensiero? Tanto sei in prima persona, i pensieri diretti li puoi usare direttamente nel narrato, e dopo che si guarda attorno dimmi che Tiziana non c’è, non obbligarmi a desumerlo dalla battuta, è meglio se alla battuta ci arrivo con la situazione già chiara, ne guadagni in scorrevolezza]
Luna fece qualche giro del parco di corsa, poi venne da me posandomi il muso fra le mani.
«Ti annoi [virgola] tesoro? Vedrai che fra poco arriverà Tizy con i tuoi amici,» le dissi accarezzandola sulla testa e tirandole una pallina [la pallina, a meno che l’ha trovata per terra o ne abbia N in borsa, poi fammi vedere la pallina anche solo di sfuggita prima di fargliela usare, sennò sembra uscita dal nulla].
Controllai l’ora, erano le 15.30.
Tiziana aveva mezz’ora di ritardo, non era da lei.
Un misto di ansia e preoccupazione iniziarono [iniziò, il soggetto è il “misto”] a pervadermi, «mica sarà tornato quello stronzo a cercarla,» pensai sfilandomi il cellulare dalla tasca per inviarle un messaggio.
Poi in preda all’agitazione la chiamai.
Dopo quattro squilli partì la segreteria.
Sentii il battito cardiaco aumentare. [attenta al periodare e alla struttura delle frasi, il passato remoto sa dare spesso l’impressione di un elenco di cose che diventa pesante: la chiamai, pensai, sentii, etc… o cambi struttura delle frasi per evitare la monotonia, o ne metti di meno, o rendi impliciti certi verbi per evitare di usarne troppi in poco spazio]
«Sta [apostrofo, è una troncatura di “stai”] calma Vanessa, è successo altre volte che non ti rispondesse, vedrai che a breve ti richiama».
Tenni il cellulare in mano guardando fissa il display.
Mille pensieri [mi] si affacciarono alla mente.
Rividi le immagini del suo labbro spaccato e degli occhi gonfi, dei molteplici lividi che avevo curato con un unguento all’arnica, del suo sguardo sofferente e tristissimo, del suo contegno e della sua rassegnazione quando aprì la porta in quelle condizioni. [troppi elementi, scegli solo i 3 che rendono di più l’idea, altrimenti diventa lungo e pesante l’elenco]

«Chi ti ha fatto questo?» Le chiesi inorridita. [attenta, è un flashback, cerca di farlo capire in modo esplicito, altrimenti si crea confusione. Usa il trapassato per far capire il distacco temporale, o introduci il paragrafo con una nota temporale, o quello che vuoi tu, basta che lo rendi chiaro, altrimenti è spiazzante…]
«Gabriele, il mio ex,» mi rispose con un filo di voce facendomi entrare.
«Cazzo [virgola] Tizy [virgola] lo devi denunciare! Hai chiamato la polizia?» La mia voce tremava.
«Non posso, peggiorerei la situazione [punto, dai pause al parlato dove sono sensate, qui lei è sicuramente traumatizzata e vive un forte conflitto interiore, stona se la fai parlare a raffica. Le pause le servono, dagliele] e poi non fregherebbe un cazzo a nessuno.» Disse sedendosi con una smorfia di dolore su una sedia della cucina.
«Perché dici così? A me frega eccome! Ti voglio bene, sei mia amica e ho voglia di fargliela pagare a quello stronzo». [sei solita mettere la punteggiatura dentro le caporali, sii omogenea nelle scelte di questo tipo] [poi, rifletti, la protagonista dice a Tiziana “no, a me frega tantissimo, sei mia amica, tvb, etc… e poi la prima cosa che le dice è che vuole vendicarsi? La prima cosa che uno si aspetta date queste premesse è che voglia sapere l’amica sana e salva, al sicuro… se parti con la vendetta il mio pensiero è “beh, allora non è che le freghi poi molto dell’amica…”]
Lei mi guardò con un misto di affetto e terrore, «sei proprio una colombella, ingenua e candida. Possibile che non ti sei accorta di nulla?» [Questa frase mi sembra uscire davvero un po’ fuori dal nulla… cioè, Tiziana viene menata, non dice niente, non chiede aiuto (e fin qui nessun problema narrativamente parlando), però quando poi l’amica se ne accorge la “rimprovera” di non essersi accorta di nulla? Non so, mi sembra un po’ strano…]

Un suono di notifica mi riportò al presente [no, questo è proprio un errore… se il flashback è un ricordo in presa diretta non devi separarlo e devi inserirlo nella narrazione presente, se lo metti staccato è un artificio che serve a far vedere al lettore alcune scene che gli fanno capire meglio la situazione (fabula e intreccio), e quando torni al presente non puoi dire “mi riportò al presente” perché il protagonista non se n’era mai andato dal tempo presente, quindi non ci può/deve ritornare], sperai che fosse un suo messaggio, aprii whatsapp ma rimasi delusa.
Provai di nuovo a chiamarla, ma dopo quattro squilli rispose ancora la segreteria, un brivido mi passò dietro la schiena. [i brividi passano dentro la schiena, non dietro… dietro la schiena sei fuori dal corpo della protagonista]
[maiuscola] presi Luna per la pettorina e le riagganciai il guinzaglio.
«Andiamo [virgola]» le dissi, alzandomi di scatto dalla panchina.
Mentre attraversavo il parco per arrivare a casa di Tiziana cercavo di tranquillizzarmi. [che stia cercando di tranquillizzarsi è esplicito dalle battute, non serve dirlo così, è un po’ una ripetizione]
«Sono pazza a pensare che le sia successo qualcosa, è una donna adulta che ne ha passate tante!» Ripetevo guardandomi attorno sperando di vederla arrivare. [non si “ripetono” frasi così lunghe, e soprattutto che hai scritto una sola volta.]
Prima di sbucare di fronte al suo palazzo sentii in lontananza dei cani abbaiare e vidi tra gli alberi flash di luci blu. [qui è un errore logico… prova a empatizzare: la protagonista è preoccupata, ci hai fatto vedere quel flashback e hai provato a portarci nel pdv e nell’ansia… non esiste che mi riduci i lampeggianti a qualcosa che avviene “prima di arrivare al palazzo”. Così dicendo, il focus è l’arrivo al palazzo, mentre se io sono preoccupato e vedo i lampeggianti, quello è il punto focale che mi invade la testa, POI magari accelero il passo e arrivo al palazzo, ma i lampeggianti sono nutrimento per la mia ansia, devo dargli il risalto che meritano oppure l’ansia perde di forza, molto.]
Mi sentii avvampare e iniziai a correre.
Arrivata alla fine del parco, davanti il [al] cancello del suo condominio, c’era [c’erano] un [apostrofo] ambulanza e tre macchine dei carabinieri.
Guardai in alto; [virgola, o i due punti li puoi anche mettere qui] al primo piano c’era l’appartamento di Tiziana [due punti o punto fermo o punto e virgola, a seconda di come vuoi separare/legare il concetto], i cani erano in balcone e sembravano impazziti, abbaiavano e giravano su se stessi.
«Cazzo» dissi fra i denti, le lacrime mi invasero gli occhi, offuscandomi la vista.
Luna iniziò ad agitarsi e ad abbaiare, mi sedetti sulla terra [non mi hai detto di diversi “terreni”, quindi si siede a terra e basta, o sull’asfalto se vuoi proprio farmi capire che si siede dove sta, in mezzo alla strada] e l’ [no spazio] abbracciai.
«Calmati [virgola] tesoro, calmati,» le dissi accarezzandola, «i tuoi amici sono sul terrazzo li vedi? Tutto apposto, stai tranquilla.» [ma che discorso è? Teme che abbiano massacrato la sua amica e la prima cosa che fa è dire (al cane) “tranquilla, i cani stanno bene”? Mi sembra un po’ strano]
Ma io non stavo tranquilla per niente, mi sciugai le lacrime e attraversai la strada dirigendomi verso i due carabinieri che stavano parlando alla radio.
«Salve, scusate se vi disturbo, posso sapere cosa è successo?» chiesi con voce tremante. [nel panico mi sentirei più empatico con una reazione più “di pancia”, sottolineata da una battuta più diretta e non mediata dalla cortesia]
Mi guardarono entrambi con un [apostrofo] espressione contrita.
«Lei abita nel palazzo?» [maiuscola] mi chiese quello più anziano squadrandomi dalla testa ai piedi. [i carabinieri prima salutano]
«No in verità ci abita una mia amica, sono preoccupata perché…»
«Signorina [virgola] per cortesia [virgola] se ne vada, [punto] se non è del palazzo non può entrare e non siamo tenuti a darle informazioni.” [non mischiare simboli diversi per i dialoghi, se vai con le caporali, continua con le caporali] [le battute del carabiniere sono del tutto fuori dal personaggio]
«Capisco ma qui ci abita una mia carissima ami..»
«Signorina ci può abitare anche sua nonna [ecco, appunto, ma un carabiniere risponde così, secondo te?], per cortesia si allontani, non c’è nulla da vedere. Se vuole può aspettare la sua amica laggiù, all’inizio del parco. Ora per favore si allontani, ci faccia lavorare in serenità.»
Non replicai, riattraversai la strada e mi sedetti per terra al limitare del parco.
Alzai la testa.
Tutte le finestre del palazzo erano chiuse, nessuno che faceva capolino per curiosare.
«Stronzi» pensai, «come arrivano i carabinieri vi cagate addosso. Avete la coscienza sporca [virgola] eh? Bastardi.»
Davanti a me la scena non cambiava, i carabinieri parlavano costantemente alla radio, ma non riuscivo a capire cosa fosse successo.
Pensai al giorno che avevo conosciuto quella che poi era diventata la mia migliore amica, era stato proprio in quel parco.
Per giorni ci eravamo scrutate da lontano.
Vedevo la sua figura alta, slanciata ed elegante appoggiata sempre allo stesso albero, sempre con un fazzoletto legato al collo, oggi giallo, ieri rosso, domani blu [oggi, ieri, domani… non mi convincono, danno l’idea sbagliata rispetto al tempo della narrazione], in tono con il suo abbigliamento.
I nostri cani giocavano assieme ma noi stavamo sempre a debita distanza. [quando un pit bull gioca con un altro cane, il padrone di quel cane difficilmente sta tranquillo in disparte, e nemmeno il padrone del pit bull]
Poi un giorno, mentre seduta per terra cercavo di leggere un libro, percepii un cambiamento del paesaggio e alzando gli occhi la osservai incantata mentre si avvicinava con passo lento, cadenzato, sensuale.

«Ciao sono Tiziana», disse con voce roca e bassa porgendomi la mano.
«Piacere Vanessa», risposi stringendole le dita e facendo leva per alzarmi da terra.
Ricordo che da vicino mi dette subito una sensazione di sicurezza.
«Che bella» pensai.
[interrompo qui le segnalazioni puntuali sul testo, tanto ti ho già segnalato un bel ventaglio di errori e imprecisioni, anche nel prosieguo gli errori principali e più numerosi cono quelli]


[Non so, Sonia, l’idea alla base del racconto non è male, si capisce che cosa volevi ottenere e per me avrebbe potuto anche funzionare bene.
Come puoi vedere dalla quantità di note sul testo, però, la realizzazione tecnica non è stata all’altezza dell’idea.
A dover fare una lista di priorità delle cose su cui dovresti concentrarti, metterei in cima a tutto i dialoghi. Quando i tuoi personaggi parlano, spesso usano frasi che fanno un po’ a pugni con la sospensione dell’incredulità. Mi rendo conto che spesso i brani per i laboratori online vengono scritti velocemente e quindi l’accuratezza viene un po’ meno, magari quando scrivi nei tempi giusti esce tutto meglio e quelli che ti segnalo non sono nemmeno veramente tuoi strutturali ma solo dati dalla situazione. Non avendo letto nulla di tuo prima di ora non so dirti nulla di preciso a riguardo.
Poi, capiamoci, non è che la tua scrittura sia terribile: il livello medio che sto trovando qui su MC non è male, e mi fa molto piacere, ma ci sono ancora enormi margini di miglioramento.

Per tua/vostra informazione, io ho l’abitudine di scrivere i commenti in presa diretta durante la prima lettura del brano, perché per il lettore la storia deve funzionare alla prima lettura, non alla seconda, terza o ennesima. I colpi di scena, i disvelamenti, la tensione… deve funzionare tutto anche in itinere, non solo che “alla fine capisci”. Cioè, ok che si capisca alla fine (con un plot twist costruito ad arte), ma se non funziona anche prima, il lettore alla fine non ci arriva e quindi il plot twist non lo vede.

Quindi, in generale, per me hai delle lacune (come tutti, ognuno ha le sue) che sono quelle che ti ho segnalato, se ti trovi d’accordo con la mia analisi prova a focalizzarti su quelle: con l’esercizio si sistema tutto. Non demordere, mettiti nel giusto stato d’animo per imparare a fare meglio e abbi pazienza. Vedrai che farai meglio! È l’artigianalità della scrittura il punto su cui, se fossi in te, lavorerei di più, quindi esercizio+esercizio+esercizio. Non c’è altra strada. :)
L’idea alla base della storia, ripeto, è comunque interessante (un pochino troppo telefonata verso la fine, ma niente di drammatico) e denota un certo intuito che, con i giusti strumenti, può diventare un punto di forza importante. ;)]
Se dici cose senza senso, sarai trattato come un paroliere.
Sbattuto su e giù e ribaltato su un tavolo, fino a che le tue interiora saranno fuoriuscite.
E ci leggerò dentro ciò che mi pare, magari il futuro. [cit.]

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Sonia Lippi
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Re: Storia di periferia

Messaggio#16 » lunedì 25 febbraio 2019, 21:06

Grazie Marco...
Con un bimbo di 4 anni non ho molto tempo, ma cercherò di esercitarmi sulle lacune che mi hai evidenziato...
Grazie ancora.

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