O R

Partenza: 01/07/2020
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Polly Russell
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O R

Messaggio#1 » mercoledì 8 luglio 2020, 13:46

L’uomo in fila davanti a Johann cadde all’improvviso, le ossa del braccio scrocchiarono come un ramo spezzato, sotto al peso della catasta di mattoni che stava trasportando. Il grido arrivò subito dopo, tanto acuto da sembrare femminile. Johann lasciò cadere il proprio carico e lo raggiunse in un paio di passi. «Ehi, non muoverti, ti aiuto.» Lo sollevò con il massimo garbo possibile, mentre il resto della fila li superava in silenzio. Una lunga fila di formiche a righe bianche e nere, curve ed emaciate.
«I mattoni...» Balbettó l’uomo, gli occhi grigi persi nello stesso vuoto dove annaspava con la mano buona.
Una delle formiche fece loro un cenno, senza smettere di camminare. «Lascialo stare, campione, non ce la farà, vieni via.»
Johann agitò la mano, un sorriso brillò quasi stonato sulla pelle scura. «Lo porto alla baracca, almeno ci provo.» Ebbe appena il tempo di caricarselo in spalla, poi il buio, evocato dal calcio di un fucile, lo avvolse.

Si svegliò nello stesso posto in cui era stato colpito, impiegò qualche secondo a muovere le braccia, intorpidite dal gelo. La catasta di mattoni e il corpo dell’uomo cui era caduta, erano coperti da un sottile strato di neve lì accanto. Si scrollò la casacca irrigidita con le mani e si levò in piedi. Raccolse i mattoni e seguì la fila, una piacevole sensazione di calore sul collo, lo informò che stava ancora sanguinando.
«Lo toglieremo di lì stasera.» Sentenziò l’uomo che lo seguiva, rispondendo a una domanda non posta. «Ma non tu, meglio che rimani in baracca. Mentre eri a terra, ho visto che portavano via altri sinti. Forse ti hanno creduto morto e ti hanno lasciato lì.»
«Dove li stavano portando?»
«Non lo so, parlavano di un altro campo. Di un dottore.»

La brodaglia nelle scodelle era fredda e insipida. Difficile capire da cosa fosse composta. Comunque, Johann ci tuffò il pane nero. A metà pasto reclinò la testa indietro, poggiandola sulla parete e prese un respiro. Si guardò intorno: nei loculi di legno che chiamavano brande, decine di paia di occhi lo osservavano.
«Allora?» Karl, seduto accanto a lui, sorrise. «Siamo preoccupati per te Rukeli, stanno prendendo tutti i sinti del campo.»
«Non chiamarmi in quel modo.»
«Perché no? Eri fantastico! Il grande Rukeli! Il Gipsy!» Gli occhi vagarono qualche istante tra le tavole sconnesse e i ricordi. «Anche se sembra una vita fa.»

Un paio di colpi che sembrarono fracassare la porta e i toraci: la prima si spalancò mentre i secondi rischiarono di scoppiare. «Detenuto Trollmann!» Gracidò un soldato senza nemmeno entrare.
Nessuna esitazione, Johann si alzò in piedi, raddrizzò le spalle e raggiunse la squadriglia, senza smettere di guardare il militare negli occhi, con una forza e una dignità che prevaricava l’istinto di sopravvivenza.
Questi sembrò non notarlo nemmeno, diede una gomitata al commilitone alla propria destra. «Te lo dicevo che c’è ne erano altri. Io porto lui, voi finite il giro.»
Raggiunsero una baracca dipinta di bianco in fondo al campo, seguendo le linee sovrapposte di fanghiglia sul manto nevoso. Johann rabbrividì un momento, prese un respiro, sbuffò una nuvoletta algida e entrò.
Una selezione. Una nuova, interminabile selezione. Non erano solo sinti, come gli avevano detto, riconobbe alcuni rom con cui aveva parlato qualche volta e un paio di nani, probabilmente ebrei. Si mise in fila, incoraggiato da uno spintone, dietro a due ragazzini che sembravano gemelli.
Dopo un paio d’ore maturò la convinzione che non fosse l’ennesima selezione, piuttosto che stessero stilando una lista, perché tutti i nomi finivano nello stesso registro e nel dubbio se questo fosse un bene o un male, prese in braccio uno dei gemelli, che da un po’ faticava a rimanere in piedi.
Il ragazzino gli si addormentò in collo dopo una manciata di minuti, ma gli venne strappato via dalle braccia subito dopo, da uno dei kapò che camminavano tra le file. L’uomo lasciò cadere il bambino come un sacco di patate. «Cosa non ti è chiaro, nelle parole “aspetta e fermo”, zingaro?» Sollevò il manganello per colpirlo, ma Johann inarcò le spalle, alzò la guardia e schivò, spostandosi di lato, con una grazia tale da farlo sembrare un ballerino. Un cigno che si erge da un pollaio sovrappopolato.
Il kapò sgranò gli occhi, dischiudendo appena le labbra. «Parola mia se non sembri... cazzo, io lo so tu chi sei!» Abbassò l’arma e si precipitò verso il tavolaccio, dove una decina di soldati e un paio di ufficiali, annotavano nome e numero dei prigionieri. Johann riuscì a vederlo sbracciarsi, un sorriso ebete nel volto rossiccio e due dita puntate verso di lui.

Tornò alla propria branda qualche ora più tardi e ci crollò sopra. Karl, dal letto a fianco, si sollevò sui gomiti e lo raggiunse strisciando sulle coperte sudice. «Ti hanno lasciato qui alla fine? Credevo non ti avrei più rivisto, campione.»
Uno dei fari esterni illuminò le finestre della baracca, esponendo le brande alla luce. Johann aveva un occhio semichiuso dal gonfiore violaceo che spingeva dallo zigomo e le labbra spaccate da un lato.
«Ma che t’hanno fatto?»
«Uno dei kapò mi ha riconosciuto, ha convinto gli ufficiali a non farmi partire.»
«Ed è un bene o un male?»
«Non lo so.» Si strinse il torace con la destra tremante e si girò di lato. «Però a quel punto è sembrato che tutti gli aspiranti pugili del campo, avessero voglia di provare a battermi.»
«E ci sono riusciti?»
Sollevò un angolo della bocca, scoprendo i denti sporchi di sangue. «No.» Sussurrò, e un istante dopo dormiva.

Il giorno successivo passò uguale agli altri. Tra la malta, le fornaci e il trasporto dei mattoni. Molti cadevano e qualcuno non si rialzava più. Il lavoro e le pause scanditi dalla musica di Kroll e di Kummer, gracchiata dagli altoparlanti. I walzer e gli assoli di violoncello, davano al campo un aria di serenità malsana. Una sensazione di calore appiccicoso, nonostante il gelo e la neve, mentre tra una battuta e l’altra, gli uomini morivano sopraffatti dalla fatica.
Il rientro alle baracche era accompagnato da una marcia veloce e trionfante di ottoni che cozzava con lo strascichio dei piedi e le membra doloranti.
Il kapò fermò Johann e Karl sulla porta. «Tu no, zingaro. Abbiamo organizzato un incontro per te, anche questa sera.» Ridacchiò e gli diede una pacca sulle spalle.
Lasciò indietro gli occhi imploranti di Karl e seguì il kapò fino agli alloggi dei soldati.
Avevano allestito un ring. Con tanto di panche per il pubblico e un paio di riflettori puntati al centro del quadrato. Avevano addirittura rivestito gli angoli con stoffe colorate.
Il kapò gli diede una spinta. «Vatti a cambiare, laggiù.»
Indossò i calzoncini e un paio di stivaletti leggeri, non erano proprio la sua misura, ma per un momento gli parvero perfetti. Chiuse gli occhi e spostò appena la testa di lato. Sembrava il brusio concitato del pubblico prima dell’incontro, anche se probabilmente erano solo le caldaie.
Raccolse le fasce dalla panca. Erano sporche, vecchie, ma le srotolò tra palmo e polso con la cura che si avrebbe per una reliquia. Appoggiò le mani sulle corde e inarcò la schiena, poi infilò i guantoni e salì sul ring.
Il militare che aveva deciso di sfidarlo era un palmo più alto e se ne stava lì, al centro del ring, granitico come una colonna, la guardia alta e le gambe ben piantate per terra.
Rukeli molleggiò un paio di volte sulle punte, portò il peso da una gamba all’altra e subito dopo era al Bock di Berlino, circondato da una folla di ammiratori, a contendersi il titolo dei medio massimi. Non c’era più nulla oltre lui e il gigante che aveva davanti. Non c’era il campo, il filo spinato, il dolore, la morte. Non c’era nemmeno più la fatica, mentre schivava i colpi dell’avversario con la grazia di una danzatrice. Un diretto, un altro, un passo di diagonale e altri diretti in serie. Il pugilato gli concedeva di nuovo il lusso dell’equità: due persone, stesse possibilità, stesse armi. Quando assestò il gancio finale, il tedesco non era riuscito ad andare a segno nemmeno una volta.
Il quarto round fu l’ultimo. Un gancio fece crollare la colonna, inutile il conteggio rallentato del kapò, inutili le grida di incitamento degli altri soldati. La montagna bionda rimase a terra, un ginocchio sollevato e il fiato corto.
Johann tornò al suo angolo. Nessuna celebrazione per una vittoria che non avrebbe mai dovuto esserci. Rimase seduto in silenzio, finché l’avversario fu portato via a braccia e finché la sala non si fu svuotata. Cornelius, il kapò che lo aveva scortato fin lì gli gettò addosso un telo. «E bravo, zingaro. Ti sei meritato un pagamento.» Cacciò del pane e del formaggio da una gavetta e li tirò ai suoi piedi con un gesto annoiato.
«Che stai facendo?» Uno dei soldati che avevano assistito all’incontro si era avvicinato. «Com’è che diceva il francese? Gli atleti non devono ricevere compensi, o si perderebbe il senso stesso dello sport.» Raccolse la borraccia da terra e la rovesciò in testa al campione, poi pestò il pane secco, riducendolo in briciole.
«Quale francese?» Sottolineò Cornelius.
«Quello delle Olimpiadi... De Coubertin, razza di ignorante. E per fortuna dici a tutti di essere stato un pugile.» Passò una mano sulla testa rasata di Johann e la spinse indietro di scatto. «Vattene a dormire, zingaro, domani tocca a me, vediamo se riesci a buttarmi giù.»


Della neve, che si era sciolta da giorni, rimaneva solo una fanghiglia grigia e nera ai bordi delle vie. Qualche mucchio ancora gelato, appiccicato ai muri o ai pali più grossi delle recinzioni.
Alla baracca, Johann, ci arrivò sulle sue gambe ma non riuscì a raggiungere la branda. Karl gli corse incontro e lo prese sotto le ascelle, lo trascinò fino al letto e lo aiutò a coricarsi. «Quanto pensi di andare avanti così?»
«Ancora un po’...» Sorrise, scoprendo una fossetta piena di sangue, al posto del premolare superiore. «Non sono mai stato un buon incassatore.» Sputò un guizzo porpora, che si raggrumò sulla polvere del pavimento.
Karl tirò fuori da sotto alla branda una scodella piena. «Ce la fai a mangiare? L’abbiamo tenuta per te.»
«Magari tra un po’.» Sussurrò con gli occhi socchiusi.
«Tra un po’ sarà l’alba.» Gli sfilò la casacca madida, il fianco destro era livido, come la clavicola e il collo. «Ti ammazzeranno così. Vogliono vederti perdere, da settimane ormai, e allora perdi per Dio!»
«Sono quasi finiti, quanti cazzo di pugili falliti ci potranno mai essere in questo campo?»
Lo aiutò a sedersi, passandosi il suo braccio dietro al collo. Sopra il numero identificativo altre due lettere tatuate, un po’ più distanti: “O R”. «E questo che diavolo è?»
Il campione le sfiorò con due dita. Sorrise e si appoggiò sulla sua spalla. «Questo è il mio cuore, mia moglie e mia figlia.»
«Certo capisco: sono morte?»
«Morte? No, no tutt’altro. Sono riuscito a divorziare appena in tempo perché lei potesse riprendere il nome da nubile e darlo anche alla bambina. Sono partite, sono in salvo.»
«E tu che cazzo ci facevi ancora qui, se avevi capito cosa sarebbe successo?»
«Non sono stato abbastanza veloce.» Chiuse gli occhi di nuovo. «Ironico eh?»
«No, per niente.» Lo aiutò a indossare una casacca asciutta. «Devi stare attento ragazzo, il Kapò Cornelius sono giorni che lo dice a tutti, che è stato una promessa del pugilato, che le tue vittorie sono solo una farsa e che vuole combattere contro di te.» Lo scrollò pretendendone l’attenzione, gli occhi ghiaccio fissi in quelli scuri e profondi del pugile. «E quindi vuole vincere.»
Lui gli diede un colpetto sulla spalla, un gesto affettuoso, increspò appena il labbro superiore nello sforzo di sorridere. «Voglio rimanere vivo quanto te, nessun alzata di testa, te lo prometto.»
«Allora dormi, domani esci al lavoro con noi, poi troveremo il modo di nasconderti. Così potrai riposare, almeno un po’.»

Per un paio di notti consecutive non venne nessuno a cercare Rukeli, nella sua baracca, per un paio di notti gli lasciarono l’illusione che avessero trovato un nuovo diversivo. Una nuova vittima, aveva anche sperato, pentendosene un momento più tardi. Ma non era così.
Raggiunse il ring passando tra decine di soldati, ufficiali anche e per la prima volta, le loro signore. Non vedeva tanta gente ben vestita da un paio d’anni almeno, né tanti sorrisi. Sembrava una serata di festa, era anche caldo, tanto, per essere primavera solo da qualche giorno. Superò la coltre di fumo che avevano prodotto le decine di sigarette consumate nell’attesa e si portò al centro del quadrato. Il kapò Cornelius era già lì, trionfante nel suo accappatoio verde chiaro, sorrideva alle signore nelle prime file, quasi fossero lì per lui.
Volevano vederlo perdere. Sarebbe bastato poco e forse, lo avrebbero lasciato in pace. Il campanello del primo round risuonò nelle orecchie e nel petto, si scosse, strizzò gli occhi e si portò al centro del quadrato. Abbassò un po’ la guardia, i piedi veloci, piantati a terra come radici sicure.
Il primo diretto lo prese al fianco. La spalla, l’osso iliaco, ancora il fianco. Un paio di insulti coloriti dalle prime file, qualche risata, poi un gancio. E lui rimaneva lì, in piedi, a fare da sacco. Era già successo, un paio d’anni prima, quando l’avevano obbligato a perdere e aveva accettato, pur di mantenere la licenza da professionista. Un destro abbastanza forte da farlo barcollare gli arrivò alla mascella. Portò la gamba indietro, una donna lanciò un gridolino da una fila più lontana.
«Non sembri tanto forte!» Gridò Cornelius e spargendo saliva e sudore lo colpì ancora, e ancora, alternando i colpi maldestri alle imprecazioni. Continuò ad affondare in quel corpo immobile anche dopo la campana che annunciava la fine del round.
Ora era davvero Rukeli, l’albero. Arrivò al proprio angolo e si versò l’acqua del secchio in faccia. Sotto di lui decine di persone ridevano, si davano gomitate, finalmente fiere di essere dalla parte vincente.
Tornò al proprio massacro, sarebbe stato veloce, avrebbe preso un paio di ganci e sarebbe andato giù, più per stanchezza che per volontà. Era una farfalla con le ali strappate in mezzo alla pioggia.
«Vai giù zingaro bastardo!» Gli urlò in faccia l’avversario e sembrava più stanco di lui, più disperato.
Johann, abbassò la guardia, socchiuse gli occhi in una strana sensazione di galleggiamento, di oblio. Una ragazza dalla prima fila tolse la mano da quelle del proprio accompagnatore e strinse un fazzoletto. Occhi azzurri, grandi, impauriti. Preoccupati, come quelli della sua bellissima Olga prima di ogni incontro.
«Sei ancora in piedi, zingaro?»
Gli risuonò in testa come un gong, e come se l’incontro fosse appena iniziato, si lanciò contro l’avversario. Scartò un paio di colpi, lenti e mal portati, e saltellando si portò a sinistra in diagonale, la sequenza veloce di uno-due sbilanciò Cornelius che tento una reazione, ma Johann non era più lì. Era balzato dalla parte opposta e aveva continuato a picchiare. Prima che il campanello suonasse la fine del secondo round, Cornelius era a terra, privo di sensi, in un coro di risa.

Era una notte particolarmente silenziosa quella in cui sfondarono la porta di una delle baracche vicino al fiume. I soldati entrarono di corsa, non cercarono, non chiesero. Si diressero verso una specifica branda nel precario castello di letti incolonnati. Afferrarono Johann “Rukeli” Trollmann per le braccia e lo trascinarono fuori, nel cortile. I mitra spianati. Il kapò Cornelius aveva una benda sull’occhio, la mascella annerita e le labbra gonfie. «Hai alzato la testa una volta di troppo, zingaro!» Roteò il badile sopra la testa e lo sprofondò su quel viso che era stato così bello: una volta, due, finché del volto del campione non rimase che poltiglia cremisi sulla ghiaia.

L’archiviazione del decesso del prigioniero 721/1943 creò qualche problema di carattere amministrativo, nulla di complicato da risolvere, quando il soldato semplice incaricato di compilare i moduli decise di ignorare quelle due lettere fuori posto: “O R”.
Ultima modifica di Polly Russell il venerdì 10 luglio 2020, 1:13, modificato 4 volte in totale.


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Polly Russell
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Re: O R

Messaggio#2 » mercoledì 8 luglio 2020, 13:51

-Tutta la vicenda è, in effetti un accadimento storico. Il pugile, campione tedesco dei pesi medio massimi, Johann Wilhelm Trollmann, venne ucciso il 31 marzo del 44, nel campo di Wittenberge, dal kapò Emil Cornelius.
BONUS
-Si boxa per tre quarti di racconto
-Il soldato parla di De Coubertin, al kapò dopo l’incontro.
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wladimiro.borchi
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Re: O R

Messaggio#3 » giovedì 16 luglio 2020, 14:54

Niente di meglio per cominciare questa avventura olimpica che commentare un racconto dell'amica Polly.
Stante il livello della "tenzone" mi sono ripromesso di fare le pulci a tutti, un po' alla Luca Nesler maniera, ma, come c'era da immaginarsi, nel tuo caso non è stato affatto facile.
Comincio col dire che il racconto è stupendo. Di stile ne hai sempre avuto da vendere e, anche in questa prova, hai dato sfoggio di una tecnica davvero notevole.
La crudezza del campo di sterminio passa attraverso una serie di immagini evocative di una perfezione invidiabile (ma invidia vera, quella brutta, quella che ti fa dire: "cazzo perché a me non vengono così"). Mi riferisco a espressioni come "i walzer e gli assoli di violoncello, davano al campo un aria di serenità malsana": due parole e hai creato un atmosfera che ti resta appiccicata (certo la virgola fra i soggetti e il verbo la potevi evitare!).
La morte (anche quella del protagonista) e la violenza "accadono" con semplicità, con naturalezza, senza enfasi, senza partecipazione emotiva. Perché così accadeva e il lettore lo percepisce e trova ancora più doloroso tutto quel che gli passa dinanzi agli occhi. Ci ho rivisto "Mattatoio n. 5" di Vonnegut. Lui però c'era stato sotto i bombardamenti di Dresda, tu no e questo rende ancora più pregevole questa tua ultima prova.
Ancora bellissimo come sei riuscita sfruttando lo sciogliersi della "la neve" a comunicare il passaggio del tempo senza fastidiose didascalie, ma solo e sempre con immagini efficaci.
Unico consiglio per, eventualmente, provare a migliorare l'opera per la finale è quello che segue.
"«Detenuto Trollmann!» Gracidò un soldato senza nemmeno entrare."
Ancora in questo punto non hai dichiarato che si tratta di soldati tedeschi, ma si è già capito. "Gracidare" non mi sembra renda giustizia a una lingua secca, sincopata e gridata come quella che parlano lorsignori. Secondo me puoi fare di meglio.
Forse uno dei tuoi racconti più belli che ho letto.
Complimenti ancora,
Wladimiro

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Polly Russell
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Re: O R

Messaggio#4 » venerdì 17 luglio 2020, 10:31

Grazie Wlady! Ci siamo già detti tutto o quasi, su Messenger, quindi, oltre a ringraziarti e a sentirmi onorata dall’averti suscitato sentimenti di invidia (almeno siamo pari) ho poco altro da aggiungere. Sistemerò quel “gracidò” e la virgola maledetta! È più forte di me, tra soggetto e predicato le metto sempre, SEMPRE! Poi rileggo e tolgo, e alla fine, una o due continuano a sfuggirmi.
Polly

Giulio_Marchese
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Re: O R

Messaggio#5 » sabato 18 luglio 2020, 17:54

O R, di Polly Russell

Questo è il racconto che mi è piaciuto di più del gruppo. Coinvolgente, coerente e ottimamente scritto.

Punti di forza: Sicuramente la gestione dei vari elementi. Si vede che le scene sono architettate con cura, rapide pennellate definiscono un'ambientazione ottima, ogni dettaglio è al posto giusto. Ogni "pistola" mostrata, a un certo punto, spara.

Punti Deboli:La grammatica. Nonono scherzo! Ne ho trovati pochi, mi è piaciuto e basta. Ci sono diverse imperfezioni però, le segnalo al punto successivo.

Cosa cambierei: leggiamo insieme alcuni stralci:

[...]appena il tempo di caricarselo in spalla, poi il buio, evocato dal calcio di un fucile, lo avvolse.[In che senso? Se siamo nel POV di Jon, il buio è evocato dalla "botta in testa" non dal fucile che non vede, intrusione scomoda del narratore onniscente.]
[...]
una piacevole sensazione di calore sul collo, lo informò che stava ancora sanguinando. [Ehm... a onor del vero...]
[...]
«Lo toglieremo di lì stasera.» Sentenziò l’uomo che lo seguiva, rispondendo a una domanda non posta. «Ma non tu, meglio che rimani in baracca. Mentre eri a terra, ho visto che portavano via altri sinti. Forse ti hanno creduto morto e ti hanno lasciato lì.»
«Dove li stavano portando?»
«Non lo so, parlavano di un altro campo. Di un dottore.» [Qua ho un problema temporale, il fatto che il corpo fosse coperto dalla neve, seppur sottile, mi ha dato l'idea che fosse trascorso del tempo, invece a quanto pare sono ancor in fila. Probabilemte è l'immagine di prima ad essere "sbagliata", perchè sembra avere la funzione di dirmi che è passato un bel po' mentre non è così.]

[...] con una forza e una dignità che prevaricava l’istinto di sopravvivenza. [Grazie per il commento narratore, ma lo capivo da me.]
[...]
e un paio di nani, probabilmente ebrei. [Sono i nani a essere ebrei? Non sono sicuro di aver capito.]
[...]
con una grazia tale da farlo sembrare un ballerino [un altro commento, ho frainteso il POV?]
[...]
Johann riuscì a vederlo sbracciarsi, [...sembrerebbe di no, anche il POV sembra un po' un ballerino XD]
[...]
Tornò alla propria branda qualche ora più tardi e ci crollò sopra [tell evitabile, ma ci può stare]
[...]
Lo scrollò pretendendone l’attenzione [omniscience]

Conclusioni: Lettura piacevole con qualche sbavatura stilistica, nessun reale punto debole, la storia è solida, tutti gli elementi sono al proprio posto. Ottima prova, Complimenti!

Nota di classifica: In questo momento sei in testa nella mia classifica personale, tallonata da Eugene Fitzherbert. Il fatto che io non abbia gli strumenti per valutare a pieno il suo pezzo rende la classifica incerta. Continuerò a leggere e rileggere in cerca di un discrimine rilevante. I giochi sono ancora aperti!

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Polly Russell
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Re: O R

Messaggio#6 » sabato 18 luglio 2020, 18:17

Grazie! Sono contenta che ti sia piaciuto.
Ti ringrazio molto anche dell’analisi.
Per il pov, ahimè hai ragione, dannatamente ragione. Non uso mai il pov interno focalizzato su qualcuno. Di solito resto dietro le quinte e uso un narratore esterno del tutto inconsapevole, ma in questo caso avevo bisogno di creare empatia in modo più veloce, essendo a corto di caratteri. E purtroppo, non essendo “il mio” ho commesso diverse cazzate.

«Non lo so, parlavano di un altro campo. Di un dottore.» [Qua ho un problema temporale, il fatto che il corpo fosse coperto dalla neve, seppur sottile, mi ha dato l'idea che fosse trascorso del tempo, invece a quanto pare sono ancor in fila. Probabilemte è l'immagine di prima ad essere "sbagliata", perchè sembra avere la funzione di dirmi che è passato un bel po' mentre non è così.]

No, nessun problema temporale per la verità, sono ancora in fila perché hanno continuato a trasportare mattoni avanti e indietro per tutto il giorno, sorpassando i due corpi. Però ci sta che debba spiegarlo meglio, lo farò di certo, è una di quelle cose che si risolve con un paio di parole in più.
Grazie mille!
Polly

Giulio_Marchese
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Re: O R

Messaggio#7 » sabato 18 luglio 2020, 18:35

Per il pov, ahimè hai ragione, dannatamente ragione. Non uso mai il pov interno focalizzato su qualcuno. Di solito resto dietro le quinte e uso un narratore esterno del tutto inconsapevole, ma in questo caso avevo bisogno di creare empatia in modo più veloce, essendo a corto di caratteri


Ma ci sei riuscita alla grande, anzi per me è la cosa che ha fatto spiccare il tuo racconto (l'empatia intendo). Qualche svarione capita, ma si aggiusta facile una volta individuato., e, in questo, spero di essere stato utile. Ancora complimenti!

alexandra.fischer
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Re: O R

Messaggio#8 » lunedì 20 luglio 2020, 21:02

Il racconto scorre bene. Il tema è centrato. Hai creato l’atmosfera del lager nazista con i prigionieri che vengono uccisi di fatica con il lavoro dei mattoni e usati, come nel caso del protagonista Rukeli come svaghi fino allo sfinimento. Lui è stato un pugile professionista lo è ancora, ha usato tutta la sua forza per sconfiggere pugili meno forti di lui per puro spirito antagonistico, lo stesso che lo porterà ad accettare la sfida contro il kapò Cornelius e a morirne. Lui, un tempo campione, ora ridotto a numero 721/1943, ritrova la sua dignità nella morte eroica (e le lettere tatuate O.R., corrispondenti ai nomi della moglie e della figlia che ha salvato sacrificando se stesso, provano la sua dignità di eroe anche nella vita).
Attenta:
Cornelius tento (tentò)

Dario17
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Re: O R

Messaggio#9 » martedì 21 luglio 2020, 18:41

Ehi!

Curioso l'approccio che ho avuto con questo racconto: Conoscevo la storia, l'avevo dimenticata, man mano che andavo avanti ne ho recuperato la conoscenza.
L'ambientazione fa il suo dovere ed è tratteggiata con cura e con poca banalità. Non era scontato, visto il soggetto.
Si fa leggere quasi tutto d'un fiato ed è anche merito del fatto che perlopiù sono fasi di combattimento sul ring. Ho apprezzato anche come hai tenuto basso il numero di definizione tecniche a favore di metafore e parole più stilose ed evocative. ( Cercato di fare lo stesso anche per il mio racconto che parla di Boxe anche lui, sebbene in stile cyberpunk ).

Nota dolente: devi proprio odiarle le virgole! Le massacri e le lasci a terra un po' come il tuo Rukeli ha suonato un nazi dopo l'altro. Magari si chiude un occhio quando il contest è quello da quattro ore tipico di MC, però con più giorni a disposizione magari una ricontrollatina...
Buon lavoro anche come ricostruzione storica.
Un'ottima prova.

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Polly Russell
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Re: O R

Messaggio#10 » martedì 21 luglio 2020, 19:39

È inutile, dovrò fare la pace con queste virgole, prima o poi. Le vedo, le limo, ma solo quando il racconto ha più di cinque-sei mesi: e nemmeno tutte. :(
A parte questo, sono contenta che tu abbia apprezzato, anche il non usare termini tecnici. In realtà non l’ho fatto perché non sapevo quando lo fossero diventati, in che anno voglio dire, e allora mi sono tenuta bassa.
Polly

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Mauro Lenzi
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Re: O R

Messaggio#11 » mercoledì 22 luglio 2020, 16:49

O R sta ricevendo molti complimenti, che merita dal primo all’ultimo. Prendiamo il lanternino e vediamo se posso dare un contributo a quest’ottimo racconto.
Intanto mi permetto di sottolineare una serie di piccoli accorgimenti.


L’uomo in fila davanti a Johann cadde all’improvviso, le ossa del braccio scrocchiarono […] Il grido arrivò subito dopo, tanto acuto da sembrare femminile.
L’azione è in sequenza, specificare che il grido arriva “subito dopo” è superfluo.

Il grido arrivò subito dopo, tanto acuto da sembrare femminile. Johann lasciò cadere il proprio carico e lo raggiunse in un paio di passi. «Ehi, non muoverti, ti aiuto.» Lo sollevò con il massimo garbo possibile, mentre il resto della fila li superava in silenzio.
Chiaramente si riferisce all’uomo in fila, ma il soggetto si è un po’ perso in queste frasi, che ne pensi? (è una vera domanda)

Una delle formiche fece loro un cenno, senza smettere di camminare. «Lascialo stare, campione, non ce la farà, vieni via.»
Non è sbagliato, ma al “senza smettere di camminare” avrei preferito un più diretto “proseguì”, o simile, comunque un’azione positiva (non so se sto usando un termine corretto), anziché un “senza smettere dì…”

un sorriso brillò quasi stonato
Anche i “quasi” danno un’idea di indecisione dell’autore. È stonato o non lo è. Se ritieni che “stonato” sia eccessivo (in questo caso non direi), trova un sinonimo più blando.

Ebbe appena il tempo di caricarselo in spalla, poi il buio, evocato dal calcio di un fucile, lo avvolse.
(Mi pare te l’abbiano già segnalato) A parte che limiterei il più possibile i “poi” e simili, procederei in sequenza. Carico in spalla, calcio del fucile, (dolore?), buio

La catasta di mattoni e il corpo dell’uomo [in] cui era caduta, erano coperti da un sottile strato di neve lì accanto.
(Hai già consapevolezza riguardo le virgole). Rivedrei la costruzione della frase, magari sostituendo il tell del “in cui era caduta” con qualche dettaglio. Es. I mattoni coperti di neve, un arto dell’uomo che spunta dal mucchio.

«Lo toglieremo di lì stasera.» Sentenziò l’uomo che lo seguiva, rispondendo a una domanda non posta.
Così al lettore l’uomo “compare”, ma non ci sono reazioni di Rukeli che mi facciano pensare che il nostro protagonista non se ne fosse già accorto. Pertanto metterei prima un accenno all’uomo, anche solo il raspare dei suoi passi nella neve, e poi la voce.
Dal gerundio in poi cancellerei, è implicito e non mi pare dia informazioni utili.

Dopo un paio d’ore maturò la convinzione che non fosse l’ennesima selezione, piuttosto che stessero stilando una lista, perché tutti i nomi finivano nello stesso registro e nel dubbio se questo fosse un bene o un male, prese in braccio uno dei gemelli, che da un po’ faticava a rimanere in piedi.
Non sono un fan dei “dopo N minuti / ore…”, troppo riassuntivi. Preferirei uno stacco di scena con qualcosa che ti faccia intuire lo scorrere del tempo. In ogni caso ti ho segnalato la frase perché è troppo lunga, secondo me andrebbe spezzata in due parti. Come ti ho detto prima, anche se qui si nota meno, i gemelli “compaiono” all’attenzione.
Ecco, i gemelli che faticano a stare in piedi potrebbero diventare lo stacco temporale che ti fa capire che è passato parecchio tempo.

Il ragazzino gli si addormentò in collo dopo una manciata di minuti, ma gli venne strappato via dalle braccia subito dopo, da uno dei kapò che camminavano tra le file.
Eviterei le forme passive, tra l’altro anche in questo caso la sequenza temporale più realistica sarebbe: ragazzino dormiente – kapò che arriva – kapò che gli strappa via il ragazzino dalle braccia (inoltre, ma forse è una sensibilità mia, prima è un ragazzino, poi un bambino: per me non è la stessa cosa, mi sto facendo un’idea incoerente).

Sollevò il manganello per colpirlo ma Johann inarcò le spalle, alzò la guardia e schivò, spostandosi di lato, con una grazia tale da farlo sembrare un ballerino.
Eviterei di spiegare il perché lo fa, è evidente. C’è poi qualcosa che non mi torna nella sequenza. Il manganello sembra rimanga sospeso a mo’ di minaccia, per cui non trovo il senso di schivare un colpo che non arriva, al più si sposta e basta. Viceversa scriverei del colpo che arriva, e dell’effettiva schivata. Soluzione che, ai fini della storia, mi sembra molto più efficace.

In questo momento non riesco ad andare avanti, ma intanto posto questa parte.
Per ora che ne dici, Polly?

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el_tom
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Re: O R

Messaggio#12 » mercoledì 22 luglio 2020, 17:28

Ciao Polly e piacere di leggerti, mi sembra sia la prima volta che ti tocca subirmi come giudice, mi dispiace per te 
Beh, il tuo racconto mi è piaciuto molto, l’atmosfera è ben resa, un senso di malinconia e rassegnazione lo pervade trasmettendo ineluttabilità ma non disperazione, il detenuto Trollmann affronta il suo triste destino a testa alta con orgoglio e dignità dando prova di una superiorità umana rispetto ai suoi aguzzini. Il finale dolce e amaro con la vittoria e la vendetta del Kapò concludono perfettamente il racconto.
Ben resa l’ambientazione con brevi descrizioni sia per gli ambienti che per il clima, psicologico e temporale.
Buona l’ambientazione ma non originalissima, perché i nazisti? ;-) scherzo… pure io ho utilizzato i seguaci del baffetto 
Bonus tutti presenti.
Alla prossima.
La frase più pericolosa in assoluto è: Abbiamo sempre fatto così.

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Polly Russell
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Re: O R

Messaggio#13 » giovedì 23 luglio 2020, 1:03

Beh, l’ambientazione era obbligata, Trollmann c’è morto davvero in quel campo e in quel modo, alcune fonti dicono un colpo di pistola, ma tutte concordano che lo abbia ucciso Emil Cornelius dopo essere stato umiliato sul ring. Mi sono inventata il tatuaggio, ho unito le vicende che accadevano, in realtà, in campi diversi, ma la fine quella era! lol
Grazie, sono contenta che ti sia piaciuto!
Polly

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Polly Russell
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Re: O R

Messaggio#14 » giovedì 23 luglio 2020, 12:49

Mauro Lenzi ha scritto:O R sta ricevendo molti complimenti, che merita dal primo all’ultimo. Prendiamo il lanternino e vediamo se posso dare un contributo a quest’ottimo racconto.
Intanto mi permetto di sottolineare una serie di piccoli accorgimenti.


L’uomo in fila davanti a Johann cadde all’improvviso, le ossa del braccio scrocchiarono […] Il grido arrivò subito dopo, tanto acuto da sembrare femminile.
L’azione è in sequenza, specificare che il grido arriva “subito dopo” è superfluo.

Il grido arrivò subito dopo, tanto acuto da sembrare femminile. Johann lasciò cadere il proprio carico e lo raggiunse in un paio di passi. «Ehi, non muoverti, ti aiuto.» Lo sollevò con il massimo garbo possibile, mentre il resto della fila li superava in silenzio.
Chiaramente si riferisce all’uomo in fila, ma il soggetto si è un po’ perso in queste frasi, che ne pensi? (è una vera domanda)

Una delle formiche fece loro un cenno, senza smettere di camminare. «Lascialo stare, campione, non ce la farà, vieni via.»
Non è sbagliato, ma al “senza smettere di camminare” avrei preferito un più diretto “proseguì”, o simile, comunque un’azione positiva (non so se sto usando un termine corretto), anziché un “senza smettere dì…”

un sorriso brillò quasi stonato
Anche i “quasi” danno un’idea di indecisione dell’autore. È stonato o non lo è. Se ritieni che “stonato” sia eccessivo (in questo caso non direi), trova un sinonimo più blando.

Ebbe appena il tempo di caricarselo in spalla, poi il buio, evocato dal calcio di un fucile, lo avvolse.
(Mi pare te l’abbiano già segnalato) A parte che limiterei il più possibile i “poi” e simili, procederei in sequenza. Carico in spalla, calcio del fucile, (dolore?), buio

La catasta di mattoni e il corpo dell’uomo [in] cui era caduta, erano coperti da un sottile strato di neve lì accanto.
(Hai già consapevolezza riguardo le virgole). Rivedrei la costruzione della frase, magari sostituendo il tell del “in cui era caduta” con qualche dettaglio. Es. I mattoni coperti di neve, un arto dell’uomo che spunta dal mucchio.

«Lo toglieremo di lì stasera.» Sentenziò l’uomo che lo seguiva, rispondendo a una domanda non posta.
Così al lettore l’uomo “compare”, ma non ci sono reazioni di Rukeli che mi facciano pensare che il nostro protagonista non se ne fosse già accorto. Pertanto metterei prima un accenno all’uomo, anche solo il raspare dei suoi passi nella neve, e poi la voce.
Dal gerundio in poi cancellerei, è implicito e non mi pare dia informazioni utili.

Dopo un paio d’ore maturò la convinzione che non fosse l’ennesima selezione, piuttosto che stessero stilando una lista, perché tutti i nomi finivano nello stesso registro e nel dubbio se questo fosse un bene o un male, prese in braccio uno dei gemelli, che da un po’ faticava a rimanere in piedi.
Non sono un fan dei “dopo N minuti / ore…”, troppo riassuntivi. Preferirei uno stacco di scena con qualcosa che ti faccia intuire lo scorrere del tempo. In ogni caso ti ho segnalato la frase perché è troppo lunga, secondo me andrebbe spezzata in due parti. Come ti ho detto prima, anche se qui si nota meno, i gemelli “compaiono” all’attenzione.
Ecco, i gemelli che faticano a stare in piedi potrebbero diventare lo stacco temporale che ti fa capire che è passato parecchio tempo.

Il ragazzino gli si addormentò in collo dopo una manciata di minuti, ma gli venne strappato via dalle braccia subito dopo, da uno dei kapò che camminavano tra le file.
Eviterei le forme passive, tra l’altro anche in questo caso la sequenza temporale più realistica sarebbe: ragazzino dormiente – kapò che arriva – kapò che gli strappa via il ragazzino dalle braccia (inoltre, ma forse è una sensibilità mia, prima è un ragazzino, poi un bambino: per me non è la stessa cosa, mi sto facendo un’idea incoerente).

Sollevò il manganello per colpirlo ma Johann inarcò le spalle, alzò la guardia e schivò, spostandosi di lato, con una grazia tale da farlo sembrare un ballerino.
Eviterei di spiegare il perché lo fa, è evidente. C’è poi qualcosa che non mi torna nella sequenza. Il manganello sembra rimanga sospeso a mo’ di minaccia, per cui non trovo il senso di schivare un colpo che non arriva, al più si sposta e basta. Viceversa scriverei del colpo che arriva, e dell’effettiva schivata. Soluzione che, ai fini della storia, mi sembra molto più efficace.

In questo momento non riesco ad andare avanti, ma intanto posto questa parte.
Per ora che ne dici, Polly?

Ciao Mauro, grazie per l’attentissima analisi e, devo dire mi trovi d’accordo su molto di quello che mi hai fatto notare, lo userò di certo per migliorare il pezzo.
Non su tutto,
Il grido arrivò subito dopo, tanto acuto da sembrare femminile. Johann lasciò cadere il proprio carico e lo raggiunse in un paio di passi. «Ehi, non muoverti, ti aiuto.» Lo sollevò con il massimo garbo possibile, mentre il resto della fila li superava in silenzio.[/i]
Chiaramente si riferisce all’uomo in fila, ma il soggetto si è un po’ perso in queste frasi, che ne pensi? (è una vera domanda)
emm no, il soggetto è Trollmann. È sempre lui quando non è specificato.

un sorriso brillò quasi stonato
Anche i “quasi” danno un’idea di indecisione dell’autore. È stonato o non lo è. Se ritieni che “stonato” sia eccessivo (in questo caso non direi), trova un sinonimo più blando.
boh? Da impressione di indecisione? In realtà volevo proprio sottendere che non lo fosse, stonato, ma che lo sembrasse. Che lo fosse, appunto, quasi. lol
Polly

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Mauro Lenzi
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Re: O R

Messaggio#15 » giovedì 23 luglio 2020, 14:16

Polly Russell ha scritto:
Il grido arrivò subito dopo, tanto acuto da sembrare femminile. Johann lasciò cadere il proprio carico e lo raggiunse in un paio di passi. «Ehi, non muoverti, ti aiuto.» Lo sollevò con il massimo garbo possibile, mentre il resto della fila li superava in silenzio.[/i]
Chiaramente si riferisce all’uomo in fila, ma il soggetto si è un po’ perso in queste frasi, che ne pensi? (è una vera domanda)
emm no, il soggetto è Trollmann. È sempre lui quando non è specificato.


Giusta risposta alla domanda posta nel modo sbagliato ^^
Rielaboro come metterei io.
Il grido arrivò subito dopo, tanto acuto da sembrare femminile. Johann lasciò cadere il proprio carico e raggiunse l'uomo in un paio di passi. «Ehi, non muoverti, ti aiuto.» Lo sollevò con il massimo garbo possibile, mentre il resto della fila li superava in silenzio.

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Re: O R

Messaggio#16 » giovedì 23 luglio 2020, 14:20

Ahhh, ok. lol ha senso!
Polly

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Re: O R

Messaggio#17 » giovedì 23 luglio 2020, 16:20

Sto proseguendo con la lettura.
Un consiglio generale... se rileggi ad alta voce, penso che ti aiuterà a ottimizzare alcuni "tempi" dettati dalla punteggiatura.
Cerco ora di soffermarmi meno sui dettagli o farei più fatica a seguire la storia.
E che dire, bella. Vorrei godermela, scusa eh! ;)

Quando assestò il gancio finale, il tedesco non era riuscito ad andare a segno nemmeno una volta.
Il quarto round fu l’ultimo. Un gancio fece crollare la colonna, inutile il conteggio rallentato del kapò, inutili le grida di incitamento degli altri soldati. La montagna bionda rimase a terra, un ginocchio sollevato e il fiato corto.

Leggendo "gancio finale" pensavo fosse riferito al match. Leggendo dopo, mi sorge il dubbio che fosse riferito solo al primo round.

«Quale francese?» Sottolineò Cornelius.
Sottolineò mi suona simile a "puntualizzò", e non mi pare adatto a una domanda.

In questo scambio di battute, mi rendo conto che la terza persona non aiuti a tenere il filo. Sottolineato il mio suggerimento.
«No, per niente.» Karl lo aiutò a indossare una casacca asciutta. «Devi stare attento ragazzo, il Kapò Cornelius sono giorni che lo dice a tutti, che è stato una promessa del pugilato, che le tue vittorie sono solo una farsa e che vuole combattere contro di te.» Lo scrollò pretendendone l’attenzione, gli occhi ghiaccio fissi in quelli scuri e profondi del pugile. «E quindi vuole vincere.»


«Vai giù zingaro bastardo!» Gli urlò in faccia l’avversario e sembrava più stanco di lui, più disperato.
Avversario è troppo impersonale e mi ha dato una sensazione di tell, distaccandomi dall'adrenalina del combattimento. Che ne diresti di sostituirlo con Cornelius?

Sull'incontro in generale, ti dico quello che mi è suonato strano.
Nella prima fase Rukeli è esageramente passivo, immobile. Non è possibile che tutti siano così idioti, deve fare almeno finta di combattere. Proteggersi, portare qualche colpo accompagnato.
Il solo accenno di pensiero alla moglie gli scatena la voglia di combattere? Ci vuole qualcosa di più: l'idea della moglie può anche essere buona, ma non mi è arrivata con sufficiente potenza.
Secondo round, troppo tell. Sì lo so, sono un fanatico del mostrato, però leggerlo così non mi piace. Volevi dare un'idea di velocità, vero? Potresti descrivere bene uno, due colpi. Mi permetti un suggerimento specifico? Un bel gancio al fegato e Cornelius andrà a terra, non privo di sensi, ma non ce la farà a rialzarsi per il dolore. Il bersaglio ideale per gli umilianti lazzi degli spettatori. E bella prova di Rukeli per precisione e sangue freddo.
Se vuoi un riferimento, guarda Micky Ward vs Alfonso Sanchez. Settimo round, a un minuto e mezzo dalla fine.


Bello, commovente. Duramente triste, mai smielato. Bella resa del protagonista: un filo troppo "tosto", mi piacciono personaggi un po' più vulnerabili, ma è un gusto personale. Certo, cmq, si notano dignità e orgoglio così eccessivi da essere sia un bene che un male (per lui). Punti di forza, la storia e il protagonista, che hai delineato molto bene. Occhio solo a quegli aspetti che ti ho indicato nell'ultimo match, sono le uniche cose che non mi sono suonate del tutto logiche.
Complimenti... di quelli molto sentiti.

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Re: O R

Messaggio#18 » giovedì 23 luglio 2020, 17:10

Grazie! Grazie davvero! Prenderò per oro colato i consigli che mi hai dato, tu, come tutti gli aaltri. Tengo davvero tanto a questo racconto è mi piacerebbe che alla fine venisse fuori perfetto.
Capisco quello che dici sul tel e cercherò di evitarlo. Per la sua passività iniziale, ho cercato di essere fedele alla storia vera. In realtà non so cosa gli dia frullato in testa a metà del secondo, probabilmente come riportano le fonti la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato lo “vai giù zingaro di merda” che gli ha urlato in faccia Cornelius, a dimostrazione che fino a quel momento le aveva solo prese. Però sistemerò la fine dell’incontro per renderlo più visivo.
Per il suo essere troppo tosto, in realtà mi sono tenuta bassa, pensa che si è presentato all’incontro per il titolo dei medio massimi (Incontro che gli era stato imposto di perdere) con i capelli colorati di giallo e viso e corpo ricoperti di farina: “volevate un campione ariano?” Ha urlato in faccia ai gerarchi: “eccomi”! Lol
Polly

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