Notte tempestosa pt 2

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Fagiolo17
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Notte tempestosa pt 2

Messaggio#1 » giovedì 6 agosto 2020, 19:10

NOTTE TEMPESTOSA Pt2
di Luca Fazioli


La vecchia grida, con le mani artiglia la federa del cuscino, le unghie strappano il tessuto. Spalanca le gambe e del liquido scuro si accumula sul materasso. L’addome scalpita di calci e spinte. Qualsiasi cosa ci sia lì dentro non ha capito qual è la porta d’uscita.
Una sventagliata trasporta grosse lacrime di pioggia nella stanza. In cucina le finestre sbattono e un vetro finisce in frantumi. I fulmini non mi danno requie, si susseguono e rincorrono sempre più vicini. Le gocce d’acqua presto si trasformano in chicchi di grandine e mitragliano la tettoia. Alcune tegole spezzate piovono di sotto travolgendo l’orto di papà. Una raffica di vento spruzza la donna come un pirata in mezzo a una burrasca. Questa non è una tempesta, questa è la fine del mondo!
Mi spingo in piedi con la schiena ancora premuta contro l’armadio. Do le spalle alla vecchia e indosso l’impermeabile giallo. Ho sempre odiato questo colore, ma non è il momento di essere schizzinoso. Le chiavi del motorino sono ancora in tasca, le stringo.
«Non lasciarmi sola.»
Qualcosa sul suo viso è cambiato. Il sorriso da pazza ha lasciato il posto al terrore che aveva negli occhi quando l’ho fatta entrare.
«Ho paura, ti prego aiutami.»
È disperata, un animale braccato. Cosa l’ha ridotta così? E cosa diavolo le cresce in pancia?
Un fragore improvviso mi spaventa, infilo la testa nelle spalle, la stanza rimbomba come una grancassa.
«Non lo avrai! È anche figlio mio!» Sbraita la vecchia agitando il pugno.
Basta, ho sentito a sufficienza.
Mi sbatto dietro la porta della camera, attraverso l’appartamento e corro in cortile. Pioggia e grandine mi assalgono da ogni direzione. Una noce di ghiaccio mi colpisce lo zigomo, alzo il cappuccio per proteggermi dall’ira del cielo. Il fango mi seppellisce le scarpe, il liquame scivola tra le dita dei piedi come una biscia. Sento ancora le urla della donna nonostante il fragore del temporale.
Il motorino è caduto sul fianco, lo sollevo e lo rimetto sul cavalletto. Il casco chissà dov'è. Provo ad accenderlo con un calcio, un altro ancora. Non dà segni di vita. Salgo e comincio a pedalare ma cado dopo pochi metri: mi ritrovo a terra, la gamba schiacciata, il pantano mi fagocita.
Merda!
Me lo levo di dosso. Il polpaccio destro sanguina, la tuta è già impregnata di rosso e fa un male cane.
Le fronde del boschetto ondeggiano impazzite, i tronchi scricchiolano sotto il peso della pioggia, il fondo è troppo viscido per pensare di attraversarlo. La barca da pesca è stata sbalzata a riva. Forse è una follia pensare di andarmene con quella, ma dall’altra parte del lago abita Marisa. Quando il cielo è terso vedo la villa di sua zia, potrei cercare rifugio da loro. Sono solo pochi colpi di remi, sempre se l’imbarcazione non si capovolge con me sopra.
Ma abbandonare la vecchia qui…
Dietro di me la porta spalancata sull’incubo, davanti una possibile via di fuga: la scelta sembra scontata.
Mi batto la mano sulla fronte e mi rimetto in piedi. Sono un idiota.

«Respiri profondamente e spinga.»
Il candelabro sul comodino illumina il lato destro della vecchia, ombre imbizzarrite le guizzano sul viso. Mi guarda come se le avessi chiesto la luna. Ritento.
«Inspiri ed espiri.»
Risponde con uno strillo di dolore, schizzi nauseabondi mi finiscono in faccia.
È stesa supina, appoggiata sui gomiti. Le braccia le tremano per lo sforzo, le gambe divaricate nella mia direzione. Io non so esattamente cosa dovrei vedere qui sotto, ma non mi sembra che stia succedendo proprio niente.
«Proviamo a spingere, ok? Al mio tre.» Mi asciugo il sudore con l’avambraccio. «Uno, due e…»
Inarca la schiena sul materasso, la nuca incassata nel cuscino, chiude le gambe di colpo e per poco non mi schiaccia la testa tra le ginocchia. Si accartoccia su sé stessa e si morde la mano per trattenere l’ennesimo urlo di dolore. Non sta andando bene.
La tempesta non vuole acquietarsi, pare incuriosita dallo spettacolo nella camera, fulmini e tuoni come invitati speciali. Ha smesso di grandinare. La pioggia cade fitta, una coltre che mi impedisce di scorgere persino il salice piantato dietro casa. Se continua di questo passo il lago si ingrosserà fino ad inghiottire l’intero lotto.
«Non ci riesco. Le forze mi stanno abbandonando.» Ansima, un raschio in fondo alla gola.
«Tenga duro signora, ci siamo quasi.» Sono un pessimo bugiardo.
«Smettila di chiamarmi signora! Il mio nome è Sicorace.»
La osservo rigirandomi le sillabe sulla lingua.
«Ascoltami bene, devi tagliare.»
«Devo fare cosa?» Faccio un passo indietro.
«Aprimi la pancia e tira fuori Calibano.»
«Non sono un chirurgo e nemmeno un macellaio. Io non sventro nessuno.»
«Devi incidere qui.» Mi indica un punto tra il ventre e il pube senza prestare ascolto alle mie proteste «Tanto così dovrebbe bastare.» Distanzia le mani di una spanna abbondante.
«Non ci penso proprio. E se qualcosa va storto?»
Digrigna i denti e chiude gli occhi per un istante.
«Qualcosa è già andato storto.»
Un lampo illumina la stanza a giorno. Il sudore le ha incollato i capelli radi al cranio, la pelle tirata sulle guance sembra la copertina di un libro inzuppata d’acqua e lasciata asciugare al sole, un occhio mi fissa, mentre l’altro se ne frega di me. Mi prende per il maglione e mi tira talmente vicino da farmi venire un conato per il tanfo: sangue, sporcizia e decomposizione.
«Devi toglierlo da lì, prima che mi divori da dentro! È chiaro ora?»
Muovo la testa. Vorrebbe essere un sì ma mi trema in tutte le direzioni.

Il pavimento della cucina è invaso di cocci e vetri. Evito di calpestarli anche se con la poca luce a disposizione non è facile. Le scarpe scricchiolano sulle schegge più minuscole, la gamba ferita trascinata più che sollevata. Dalla finestra entra odore di legno bagnato e il sentore salmastro del lago. Apro il cassetto della credenza e getto a terra forchette, cucchiai e mestoli. Nascosto dietro al mattarello c’è lo spelucchino in ceramica: non sarà un bisturi ma è la cosa più tagliente e precisa che ho in casa. Non sono molto convinto di questo taglio cesareo improvvisato. La immagino scannata e morente sul mio letto. Ho la nausea. Mi appoggio al lavandino con un saporaccio che mi risale la gola. Riempio un bicchiere d’acqua e lo ricaccio giù in una sorsata. Alzo la mano libera e trema, trema come le fronde del salice in questa terribile tempesta. Se non mi do una calmata sarà un disastro.
Sicorace ha ricominciato a gridare. Mi tappo le orecchie ma è inutile, la sua voce mi penetra nella testa. Non posso abbandonarla. Ci ho già provato e il fottuto senso di colpa mi ha fatto tornare indietro. Facciamo nascere questo poppante.

«Taglia in orizzontale, ma non troppo in profondità. E sta attento al bambino, non fargli del male, qualsiasi cosa succeda.»
«Cosa potrebbe succedere?» Le dita mi tremano.
«Non lo so, ma promettimi che non gli farai del male.»
«Non ce la faccio.» Piagnucolo.
Sicorace appoggia il palmo sulla mia mano sudata e le accompagna al ventre. Devo smetterla di frignare come un moccioso. Ce la posso fare. Ce la devo fare!
Spingo lo spelucchino sulla pelle tesa e un rigagnolo di sangue si perde nel pube, la vecchia mugugna appena, dev’essere nulla in confronto a tutto il dolore che ha patito.
«Così, bravo ragazzo. Non ti fermare.»
Il bambino scalcia e tira colpi, non gradisce quello che sto facendo. Tra poco sarai fuori di lì, non scaldarti tanto piccolo. Una bocca spalancata compare sotto la pelle tesa. Piccole fauci risucchiano e mordono un trancio di carne dall’interno. Sicorace si porta le mani al ventre con un ululato, i tuoni gioiscono in coro e anche la pioggia sembra diminuire d’intensità per ascoltare meglio il suo dolore.
«Ma che cazzo!»
Salto via dalla donna, il coltello mi scivola di mano finendo sul materasso tra le sue gambe. Sicorace lo cerca a tentoni con la mano rigonfia di vene bluastre. Lo afferra e se lo pianta nel ventre.
«No, no!»
Glielo strappo di mano e lo scaravento a terra, ma il danno è fatto: il taglio lungo due spanne gronda sangue. All’interno scorgo un piccolo cranio pelato. Le mie dita gli sfiorano la pelle ricoperta di liquido viscoso e inizia a strillare peggio della madre. Il corpicino rachitico è sormontato da una grossa testa ammaccata come una mela caduta dall’albero. Sul viso deforme gli occhi, uno più in basso dell’altro, sono chiusi e il piccolo naso schiacciato inspira a fatica. Espira dalla bocca piena di denti simili a quelli di un luccio marino. Tutta questa fatica per un abominio del genere? Sicorace lo osserva e sorride. Nonostante il dolore patito, nonostante la ferita aperta, nonostante tutto quello che ha passato lo ama, per il semplice fatto che è suo figlio.
«Portalo via, Setebo non deve averlo.» La testa le ricade all’indietro. Sotto al suo corpo minuto il sangue ha imbrattato tutto il materasso e sta gocciolando sul pavimento. Quanto può perderne un essere umano prima di morire?
«Sicorace? Sicorace!»
La scuoto e le braccia molli seguono il busto senza alcuna reazione.
«Chi è Setebo? Cosa devo farci io con questo marmocchio?»
La creatura che sembra un neonato mi stringe il pollice con dita troppo lunghe e piano piano si calma. Apre gli occhi neri e lividi e sembra soppesarmi.
«No, non farti illusioni, io non sono tuo padre.»
Non sa di essere mostruoso e in cuor suo non gli interessa particolarmente, lui vuole solo vivere. D’altro canto io voglio impedire che gli facciano del male.

Adagio la cesta di vimini imbottita sul fondo della barca e mi tolgo il ciuffo bagnato dagli occhi. L’asciugamano che la copre a mo’ di coperchio è già impregnato d’acqua. Sollevo un lembo e il piccolo Calibano allunga una manina nella mia direzione mostrando i denti raccapriccianti.
«Stai buono. Adesso ti porto da un’amica che si prenderà cura di noi.»
Marisa mi ammazza se mi presento da lei con un neonato, ma ho bisogno del suo aiuto. Dovrebbe essere brava coi bambini, i suoi cuginetti sono piccoli, o almeno credo. Oddio, avrei dovuto prestare più attenzione ai suoi noiosissimi racconti di famiglia.
Poi c’è da risolvere il problemino del cadavere squartato sul mio letto. Un dettaglio. Una quisquilia.
Merda!
Slego la gomena dal pontile e spingo la barca sull’acqua. Fulmini e tuoni accompagnano ogni mio movimento. Perlomeno la pioggia si è presa una pausa, gocce rade e fini ticchettano sulla superficie del lago. A destra i nuvoloni schiariscono in un grigio stinto illuminati dal sorgere del sole. Questa notte infinita sta per volgere al termine.
Remo verso l’altra sponda del lago. La fatica si accumula nelle braccia, ogni colpo un dolore che risale i muscoli fino alle spalle. La barca avanza zigzagando, anche se cerco di mantenerla più dritta possibile. Piccole onde increspano la superficie e si infrangono sullo scafo. Alcuni pesci guizzano a pelo d’acqua in direzione opposta alla nostra.
Nel chiarore dell’alba intravedo il molo della villa di Marisa, gli angoli della bocca mi si alzano in un sorriso.
Sbircio dentro la cesta. «Ci siamo quasi, mostriciattolo.»
Dorme, con i piedi stretti nelle mani, come una tartarughina rovesciata. Per un istante – uno solo – dimentico la follia di quella notte da incubo.
«Sei brutto forte. Dillo allo zio quanto sei brutto!» Gli solletico sotto al mento con l’indice.
Uno scossone fa ondeggiare la barca e la cesta si rovescia. Calibano scivola sulla tolda e vagisce. Me lo stringo al petto.
«Stai calmo piccoletto, ci sono io. Andrà tutto…»
Una massa enorme si solleva dal centro del lago con un verso gutturale, un boato da fare invidia ai tuoni. Lunghi tentacoli volteggiano come capelli scompigliati dal vento. La montagna di carne rugosa avanza con un rollio inquietante verso di noi.
«E questo che cazzo è?»
Ultima modifica di Fagiolo17 il giovedì 6 agosto 2020, 23:18, modificato 3 volte in totale.



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Giacomo Puca
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Re: Notte tempestosa pt 2

Messaggio#2 » giovedì 6 agosto 2020, 22:29

Ciao Fagiolo (o preferisci Luca?), è un piacere leggerti di nuovo.

Faccio qualche appunto qua e là:

I fulmini non mi danno requie,
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Il miomotorino è caduto sul fianco, lo sollevo e lo rimetto sul cavalletto. Il casco è perso chissà dov'e. Provo ad accenderlo con un calcio (con un calcio?), un altro ancora. Non dà segni di vita. Salgo e comincio a pedalare (non era un motorino??) macado dopo pochi metri: mi ritrovo steso a terra, con la gamba schiacciata, il pantano mi fagocita.
-
Me lo levo di dosso con un calcio.
-
Mi batto la mano sulla fronte e mi rimetto in piedi. Sono un idiota.
«Respiri profondamente e spinga.»

Divertente, ottima idea spezzare con l'ironia.
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Getta la schiena sul materasso Forse spinge? Inarca?
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la gamba ferita trascinata più che sollevata non riesco a immaginare una via di mezzo tra il sollevare e il trascinare la gamba.
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Ci sono un po' troppe descrizioni sensoriali forse. Sono ben fatte, ma spesso non rilevanti. In fondo, se ci pensi, passiamo la maggior parte del tempo a ignorare le cose che ci circondano.
Secondo appunto, le similitudini. Tenti a usarle un po' troppo, specialmente quando si capisce benissimo cosa sta succedendo e non ce ne sarebbe quindi "bisogno".
-
Riguardo la vicenda, molto interessante, hai creato un atmosfera perfetta. Ero lì, per tutti e due i brani, nel temporale sul lago. Forse il finale è troppo "leggero". Se mi trovassi in mezzo a un lago, in un temporale, con un bambino deforme nato da una vecchia e con un mostro marino di fronte, dubito che la mia espressione sarebbe «E questo che diavolo è?»
Anche il fatto che la donna sia morta ti mette un po' in pericolo "tema". Dovevamo usare due protagonisti, il tuo più debole è morto, hai introdotto un nuovo personaggio e forse Marisa. Questo non toglie nulla alla vicenda, ma potrebbe penalizzarti.
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Comunque, se te lo stessi chiedendo, mi è piaciuto molto. Decisamente superiore di quello di cui discutemmo qualche settimana fa.
Ottimo lavoro e buona gara!
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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Fagiolo17
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Re: Notte tempestosa pt 2

Messaggio#3 » giovedì 6 agosto 2020, 23:28

Ciao Giacomo!

Va benissimo Luca, altrettanto bene Fagiolo!

Grazie mille per tutte le tue dritte, ci lavoro subito!

Per la questione del motorino ho immaginato un modello tipo "Bravo" che aveva la pedalina (per questo il calcio) oppure bisognava pedalare per farlo partire.

Per la donna "morta" invece... Ho un piano... Ma non voglio svelare troppo!

Grazie mille delle belle parole... Spero che anche la terza parte sia di tuo gradimento! Sono già in ansia per le indicazioni dell'antico...

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Re: Notte tempestosa pt 2

Messaggio#4 » venerdì 7 agosto 2020, 0:38

Molto bene, caratteri ok, pronto per il giudizio!

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Giacomo Puca
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Re: Notte tempestosa pt 2

Messaggio#5 » venerdì 7 agosto 2020, 1:33

Fagiolo17 ha scritto:Ciao Giacomo!

Va benissimo Luca, altrettanto bene Fagiolo!

Grazie mille per tutte le tue dritte, ci lavoro subito!

Per la questione del motorino ho immaginato un modello tipo "Bravo" che aveva la pedalina (per questo il calcio) oppure bisognava pedalare per farlo partire.

Per la donna "morta" invece... Ho un piano... Ma non voglio svelare troppo!

Grazie mille delle belle parole... Spero che anche la terza parte sia di tuo gradimento! Sono già in ansia per le indicazioni dell'antico...


Avevo capito che ti riferivi a quei motorini a pedali. Tieni però conto che molti che leggeranno avranno in mente il classico scooter per cui non capirebbero la faccenda del pedalare. Io ogni caso avviare con un calcio è un errore. Un calcio è una cosa, poggiare il piede sul pedalino e fare un affondo è tutt'altro.
Un saluto ;)
In narrativa non esistono regole, ma se le rispetti è meglio.

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Re: Notte tempestosa pt 2

Messaggio#6 » giovedì 13 agosto 2020, 10:42

Tensione sempre molto buona, ma, come temevo, i troppi riferimenti ai personaggi de LA TEMPESTA di Shakespeare gli danno una marcia in meno perché 1) costringono sempre a uscire dalla lettura per cercare i riferimenti esterni perché 2) elenchi nomi senza fornire elementi che li rendano autonomi all'interno della tua storia. Insomma, dopo l'ottima partenza il testo sta perdendo, a mio avviso, il suo forte grip iniziale e questa fuga verso Marisa si rende fondamentale anche per capire come mai tu avessi seminato, subito in partenza, il suo rientro notturno con i rischi che ne comportava e l'immediata apparizione della vecchia: se riuscirai a unire questi punti allora ci sarà una ritrovata coerenza interna che non potrà che giovare al testo. Per tornare alla traccia: 1) la tempesta c'è, bella roboante e 2) i personaggi si dividono, anche se uno dei due sembra uscire proprio definitivamente di scena. Come valutazione scendo a un pollice tendente verso l'alto in modo convinto e pari posizione in classifica con i pezzi di Puca, Polly e Fitzherbert.

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